Nazareth e la Sacra Famiglia
Quando la Storia riserva sorprese

Gli studi sulla Sacra Famiglia di Nazareth, sviluppatisi in un lungo arco temporale, hanno cercato – in via prioritaria – di contemplare in qualche modo il ruolo svolto da questo nucleo nell’ambito del Disegno Redentivo di Dio (Vangelo secondo Matteo 1, 20-21; Vangelo secondo Luca 1, 32-33). Altri aspetti, collaterali ma non deboli, quali ad esempio quelli storici, sono rimasti talvolta meno evidenziati, in penombra (recuperati in parte dall’omiletica). Tale orientamento si è basato sulla Rivelazione, e rimane essenziale per individuare la ricchezza di ogni singolo offertorio. Unitamente a ciò, con il trascorrere dei decenni, ci si è resi conto che la valorizzazione di studi storici non costituisce un qualcosa di marginale. Ha una sua utilità. Per più motivi.

1) Perché aiuta a meglio seguire le fasi attraverso le quali si è manifestato il Mistero dell’Incarnazione.

2) Perché consente di rispondere a talune polemiche anti-cattoliche.

3) E perché è possibile replicare alla tesi secondo la quale la Famiglia di Gesù, proprio perché «Sacra», non può essere considerata un modello per le attuali famiglie cristiane. Alcuni autori la considerano una realtà «troppo speciale» per essere «avvicinata» alle odierne Chiese domestiche.

Può essere utile, allora, fare un po’ di chiarezza.


La questione di Nazareth

L’antico abitato di Nazareth non si trova citato nell’Antico Testamento. Anche il Talmud e gli scritti di Flavio Giuseppe e di altri autori fanno silenzio. Per questo motivo qualcuno ha concluso: Gesù non poteva essere «di Nazareth». È la nascita di una polemica anti-cattolica. Ma la risposta è arrivata dall’archeologia. Nel 1933 René Neuville, e nel 1965 Bernard Vandermeersch, scoprirono alcune tombe a Qafzeh, non lontano da Nazareth. L’evento ha permesso una datazione risalente a 90.000 anni fa. Nella stessa Nazareth (nell’area della città alta), è stato poi trovato (1963) un complesso di caverne sepolcrali. Vi era deposto del vasellame (prima parte della media Età del Bronzo). Più in basso, nella zona della basilica latina dell’Annunciazione, esisteva certamente un antico villaggio abitato per lungo tempo.

La ricerca archeologica dentro e intorno a questa chiesa venne condotta dai Padri Benedict Vlaminck (1892), Prosper Viaud (1889 e 1907-1909), Bellarmino Bagatti ed Emanuele Testa (1956-1970), quando la preesistente chiesa del XVIII secolo (1730) fu demolita per edificare una nuova, più grande basilica (dell’Annunciazione). L’area sotto e intorno alla chiesa, così come riscontrato anche nella chiesa di San Giuseppe (poco distante), era chiaramente quella di un villaggio agricolo. C’erano numerose grotte, silos per il grano, cisterne per acqua e olio, presse per uva e olive, e pietre di mulino. Sotto i mosaici della chiesa bizantina (V secolo) furono trovati i resti di una sinagoga giudeo-cristiana e graffiti dei pellegrini (tra cui X[AIP]E MAPIA, Ave Maria).

Nel 1962, un’équipe di archeologi israeliani (diretti dal professor Avi-Yonah dell’Università di Gerusalemme), rinvenne nei pressi dell’antica Cesarea Marittima una lapide di marmo grigio che citava la località di Nazareth, datandola al III secolo avanti Cristo. Nel 2009, durante una campagna di scavi condotta nell’area dell’odierna Nazareth (guidata dall’archeologa Yardenna Alexandre), è stata scoperta per la prima volta una casa privata risalente all’epoca di Gesù.


Vita quotidiana

Nazareth esisteva quindi prima della nascita di Gesù. A questo punto, può essere utile rispondere a una seconda domanda: come si svolgeva la vita quotidiana? Dagli studi effettuati, l’abitato era considerato irrilevante dai contemporanei per le ridotte caratteristiche (confronta anche Vangelo secondo Giovanni 1, 46). I riscontri, comunque, hanno individuato abitazioni costruite in parte con materiale edile, e in parte usufruendo di grotte naturali o di cavità pre-esistenti poi ampliate. Gli ambienti interni erano ridotti al minimo, privi in genere di un piano rialzato. Di frequente, un unico locale serviva per le attività quotidiane, per consumare i pasti, per dormire (delle stuoie erano utilizzate per sedere in terra, e a uso «letto»). L’illuminazione era ottenuta con lucerne di terracotta che funzionavano ad olio.

A scopo di deposito e di conservazione di alcuni prodotti (carni salate, cibi secchi, olio, vino) si utilizzavano caverne. Gli animali da trasporto potevano essere collocati o nelle immediate vicinanze dell’abitazione o all’interno della stessa. Anche per le botteghe artigiane (di modeste dimensioni) si poteva utilizzare lo stesso ambiente domestico o un luogo non lontano (specie se era necessario l’uso di materiale vario). L’acqua era attinta da una fontana utilizzando appositi contenitori (è stata ritrovata l’unica conduttura che esisteva al tempo di Gesù). L’alimentazione era a base di legumi, frutta (fresca e secca), zuppe, latticini e formaggio. Si consumavano due pasti al giorno. Quello di metà giornata era un pasto freddo a base di pane, latte e formaggio. La carne (pecora, vitello e capra) veniva mangiata solo durante le feste e le occasioni importanti.

Il vestiario era condizionato dal clima. Si trattava di abiti lunghi, sciolti e svolazzanti per ripararsi dal calore. I contadini portavano una fascia ai fianchi e (o) una tunica e un mantello. L’uomo indossava una tunica bianca lunga fino alle ginocchia, che tirava su fermandola con la cintola attorno ai fianchi, quando lavorava o correva (un gesto da cui derivò l’espressione «cingersi i fianchi»). I bambini indossavano solo una tunica sbracciata e corta. In casa si camminava scalzi. Uscendo di casa si indossavano i calzari.


La vita religiosa

In ambito religioso, i villaggi ebraici, anche se di modeste dimensioni, avevano comunque un punto di riferimento: la sinagoga. Probabilmente, quella di Nazareth era costituita da un ambiente molto semplice.

Nel giorno di sabato si celebrava lo Shabbat, la festa del riposo (Esodo 20; 8-11; e Deuteronomio 5; 12-15). Il rabbino – quando era necessario – svolgeva compiti di natura giuridico-legale. La sinagoga era pure il luogo delle intese matrimoniali.

I matrimoni non costituivano una scelta personale. Erano un evento sociale. Di gruppo. Combinato dai rispettivi padri (confronta Genesi 24, 35-53; 38, 6). Avvenivano al compimento della maggiore età (al tempo di Gesù: 12 anni compiuti, sia per la donna che per l’uomo). Comunque, mai prima della pubertà (Talmud, «Sanhedrìn» 76b), anche se i genitori potevano promettere i figli in sposa o sposo subito dopo la nascita.

I figli minori non potevano rifiutarsi di sposare i contraenti scelti dalle rispettive famiglie, mentre la donna maggiorenne aveva voce in capitolo e poteva anche rifiutarsi.

Al tempo del secondo Tempio (quindi anche nel periodo di Gesù), i giovani potevano scegliere la moglie tra le ragazze in due sole occasioni: nella festa popolare del 15° giorno del mese di Av (agosto-settembre) e nella festa di Yom Kippùr (Mishnàh, «Taanit» – Digiuno 4, 8).

Le giovani, tutte vestite di bianco (per evitare di discriminare quelle povere), andavano a danzare nei vigneti sotto lo sguardo attento dei ragazzi che potevano così scegliere la moglie. Una volta accettata la proposta di matrimonio da parte del padre della donna o, in sua assenza, del fratello più anziano, si contrattava il prezzo (la dote), il «mohàr», cioè la somma che lo sposo promesso doveva pagare alla famiglia della sua futura sposa.

In questo modo ella «era acquistata» e diveniva proprietà esclusiva del marito, passando dalla sottomissione del padre a quella dello sposo. La legge giudaica mette in rilievo che nel matrimonio è l’uomo che sposa la donna, non viceversa.

Il matrimonio avveniva, di solito, dopo un anno di fidanzamento (confronta Primo Libro di Samuele 18, 17-19; Mishnàh, «Ketubòt» 5, 2). Quest’ultimo, legava definitivamente l’uomo e la donna che si chiamavano già marito e moglie. Per l’effettivo inizio della vita coniugale mancava solo la cerimonia della coabitazione (confronta Vangelo secondo Matteo 1, 18). Lo sposalizio era, ieri come oggi, l’occasione di una grande festa durante la quale si cantavano canti d’amore in onore degli sposi (confronta Cantico dei Cantici 4, 1-7). Seguiva un banchetto (confronta Genesi 29, 27; Giudici 14, 10) che durava di norma sette giorni.

Non tutti i giovani si sposavano, ma solo quelli che erano in grado di mantenere la famiglia.


Trent’anni di vita privata

L’evangelista Luca informa che Gesù cominciò il suo ministero all’età di circa trent’anni (Vangelo secondo Luca 3, 23). Che cosa era successo in precedenza? Per rispondere a tale interrogativo occorre tener conto di più fonti. La famiglia dove Gesù crebbe con i suoi faceva parte di un clan composto da diversi parenti: zii, cugini... (Vangelo secondo Matteo 13, 55-56). Non si sa se fu Giuseppe ad entrare nel clan di Maria o viceversa.

Per la legge ebraica era compito del padre l’educazione religiosa dei bambini. Ciò avveniva recitando preghiere a tavola (da memorizzare), spiegando versetti della Bibbia (da memorizzare), facendo rispettare le prescrizioni rituali, e accompagnando i figli in sinagoga.

L’economia famigliare era diretta dall’uomo. Le donne avevano il compito di vendere i prodotti del lavoro del marito. Anche gli acquisti li faceva l’uomo, non era quindi frequente vedere una donna al mercato come compratrice. Era dovere del padre insegnare un lavoro al figlio. L’evangelista Marco fornisce un dato: Gesù esercitò il mestiere di «tektòn» (Vangelo secondo Marco 6, 3). Era quindi un carpentiere (manovale addetto alle costruzioni). Ciò non esclude una capacità a lavorare il legno. Qualcuno, considerando il non debole sviluppo edilizio dell’antica Sepphoris, ha ipotizzato una presenza lavorativa di Giuseppe e di Gesù in tale cittadina. La tesi è plausibile perché la località era molto vicina a Nazareth. Non si hanno, però, riscontri decisivi in merito.

Esistono, poi, altri dati forniti dagli evangelisti. Matteo ricorda l’esperienza da profughi vissuta dalla Sacra Famiglia. È il solo a scrivere di una fuga in Egitto (Vangelo secondo Matteo 2, 13-23). Gli storici hanno tentato di individuare dei riscontri. Pur in assenza di dati espliciti, sono emersi comunque alcuni elementi interessanti:

1) il carattere sospettoso e vendicativo di Erode (e i diversi omicidi da lui ordinati);

2) l’effettiva presenza di comunità ebraiche in prossimità dell’Egitto e all’interno di quest’ultimo (con luoghi che attestano un culto alla Sacra Famiglia);

3) la decisione di Giuseppe di ricondurre alla fine il proprio nucleo famigliare a Nazareth.


I problemi interni

L’evangelista Luca fornisce inoltre un ulteriore dato (Vangelo secondo Luca 2, 41-50). Di ritorno da un pellegrinaggio a Gerusalemme (un fatto normale), Giuseppe e Maria non vedono Gesù. L’adolescente non si trova né nel gruppo delle donne, né in quello degli uomini. Probabilmente, i due sposi avranno chiesto notizie anche ai coetanei del figlio. Sono costretti a riandare a Gerusalemme. Alla fine individuano Gesù tra i dottori del Tempio. Li ascolta. Pone domande. Una prassi tipicamente ebraica. Maria non reprime comunque il proprio stato d’animo. «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». La risposta è imprevista: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». A questo punto, Luca annota: «Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro».

Quello che scrive l’evangelista accompagna verso più piste di ricerca:

1) c’è un personale cammino vocazionale che sta progressivamente emergendo;

2) esistono esperienze famigliari ove comunque la mente umana fatica a comprendere l’altro;

3) l’episodio conclude i riferimenti alla vita privata del Messia. Subito dopo, infatti, il racconto affronta gli inizi della vita pubblica di Cristo. Tutto questo può essere letto come un dato «di collegamento» tra gli avvenimenti. Come una profezia (perdita del figlio in futuro). Ma può essere individuato anche come una possibile chiave di lettura di interi contesti su cui l’autore sacro non sviluppa descrizioni.

Se Luca arriva a riferire di una non-sintonia, vuol dire che i genitori non hanno una piena percezione del ruolo che dovrà in seguito svolgere il figlio. Questo lo si intuisce anche dal fatto che Maria «conserva in cuore» fatti e parole di Gesù (conservare significa riflettere per meglio comprendere), e che in seguito farà certamente molta fatica a capire il difficile confronto avvenuto tra il figlio e gli abitanti di Cafarnao (Vangelo secondo Matteo 13, 53-58).


L’insegnamento sulla crescita

L’evangelista Luca termina la parte che riguarda la vita della Sacra Famiglia a Nazareth con una frase molto breve: «E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Vangelo secondo Luca 2, 52). A qualcuno la frase è sembrata banale. Ad altri è parso di individuare un artificio letterario. Un ulteriore gruppo di autori ha poi deciso di colmare dei silenzi scrivendo nuovi testi con avvenimenti fantasiosi. Ma, a ben vedere, dietro a tale espressione, si racchiudono due dati:

1) la normalità di una crescita;

2) il rispetto di Dio per i tempi dell’uomo (non ci sono forzature).

Occorre quindi entrare in una logica di normalità. Che cosa significa? Vuol dire descrivere semplicemente quello che avveniva nei piccoli villaggi della Palestina del I secolo.

In genere, il pane e i vestiti del tempo venivano preparati dalle donne in famiglia. Per il pane si costruiva un piccolo forno. La lana veniva tosata, pettinata e filata, e infine tessuta a telaio. Gli archeologi hanno ritrovato anche resti di mulini domestici. Per le incombenze che richiedevano un maggior impegno, più donne (legate da parentela o vicine di casa) lavoravano insieme (esempio, molitura del grano per fare il pane; preparazione della lana da tessere). La solidarietà di gruppo consentiva, inoltre, di affrontare anche realtà particolarmente delicate: l’assistenza alla donna in stato di gravidanza (confronta Vangelo secondo Luca 1, 39), la vicinanza ai malati, la partecipazione alla sepoltura dei defunti.


Gesù e i bambini del suo tempo

I bambini di un piccolo villaggio non avevano difficoltà a girare indisturbati per l’abitato (non dovevano però allontanarsi da questo). In genere, lo facevano in piccoli gruppi chiassosi. Grazie alla rete di parentele, la gente del luogo si conosceva. Le donne, in particolare, tenevano sotto controllo i movimenti dei piccoli e degli adolescenti. In Gesù, l’esperienza dell’infanzia dovette rimanere un qualcosa di profondamente caro. Quando, durante gli anni della vita pubblica, si accorse che alcuni bambini venivano sgridati e allontanati da lui (Vangelo secondo Matteo 19, 13-15), intervenne con decisione. In un caso addirittura andò oltre. Prese un fanciullo. Lo pose al centro dell’uditorio. E lo presentò come esempio da seguire (Vangelo secondo Matteo 18, 2).

Anche i bambini del I secolo giocavano. Era in uso il tiro alla fune. Esistevano bambole di terracotta. Si formulavano indovinelli. Con le pietre (o con ossa di pecora) si dovevano centrare delle buche. Non mancava il gioco della mosca-cieca. Il salto con una gamba da un quadrato a un altro (tracciato per terra). L’imitazione di cerimonie corali degli adulti (per esempio, cortei).


Alcune considerazioni

1) Lo storico che cerca di individuare nei Vangeli elementi utili a contestualizzare la vicenda di Gesù, rimane presto colpito dal fatto che il Messia conosceva a memoria la Sacra Scrittura, la sapeva leggere, commentare, applicare a situazioni concrete (per esempio, Vangelo secondo Matteo 4, 1-10; Vangelo secondo Marco 6, 2). Questo significa che negli anni della vita privata (non «nascosta» come qualcuno ha scritto), il Signore è «cresciuto» anche in termini culturali (dall’età di sei anni). Sicuramente conosceva l’ebraico. A casa si parlava in aramaico.

2) Nel Cristo, inoltre, si osserva pure un’attenzione a entrare nelle case, a partecipare a pranzi, ad essere presente in ore di festa e di dolore. Tutto questo deriva dall’esperienza realizzata a Nazareth. È in questa località, infatti, che Gesù ha compreso il significato sociale del mangiare insieme. In tale consuetudine, non c’è solo la prassi di mantenere un impegno di prossimità, di buon vicinato, ma esiste anche un orientamento: quello di meglio conoscere le persone che si incontrano in dati ambienti o anche lungo una strada. L’obiettivo chiave, quindi, non è il mangiare ma è il conoscere. Comprendere l’animo umano. Ripercorrere delle storie. Individuare la sofferenza presente in molti vissuti.

3) L’educazione ricevuta a Nazareth si individua anche in una serie di abitudini che riconducono al primato di Dio. Anche negli anni precedenti la vita pubblica, infatti, Gesù rispetta ad esempio il divieto di mangiare alcuni tipi di carne (detta impura), per evitare infezioni e malattie, mentre gli alimenti permessi venivano detti «Kasher», cioè «puri». Queste regole igieniche erano diventate norme religiose (Levitico 11 e Deuteronomio 14) per fare in modo che ogni gesto fosse fatto con il pensiero sempre rivolto a Dio. Anche il mangiare.

4) Non si può infine dimenticare l’importanza che la musica e il canto avevano presso le comunità ebraiche del I secolo. Anche per i bambini questi momenti erano molto significativi: da una parte si partecipava a una coralità d’iniziativa, dall’altra si percepivano meglio degli stati d’animo, dei moti dello spirito, e – infine – i piccoli potevano in modo facile individuare elementi-chiave dell’insegnamento religioso.

(settembre 2016)

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