L’infanzia di Gesù nei Vangeli apocrifi
Come e perché la figura di Gesù negli
scritti apocrifi è assai diversa dall’immagine tramandataci
dai Vangeli canonici
Fu nel corso del tempo che i Cristiani, sempre più diffusi nel mondo romano, cominciarono a porsi interrogativi sulla vita e – soprattutto – sull’infanzia di Gesù a cui, però, i Vangeli canonici (quelli attribuiti convenzionalmente a Marco, Matteo, Luca e Giovanni) non davano risposta: Marco e Giovanni, infatti, presentano un Gesù già adulto, mentre Matteo e Luca non dedicano alla nascita e all’infanzia di Gesù che pochi versetti, inadeguati a soddisfare la curiosità dei credenti. Vennero quindi prodotti scritti specificatamente dedicati ai primi anni di vita di Gesù, con il duplice obiettivo di fornire informazioni sia sulla famiglia, i genitori, i nonni, i parenti di Gesù, sia sul lungo periodo della giovinezza a Nazareth, completamente ignorato da Matteo e al quale Luca riserva un unico versetto («Intanto il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di Lui», Vangelo secondo Luca, 2, 40). Si tratta dei Vangeli cosiddetti «apocrifi», cioè «nascosti», che nacquero non solo dalla pietà popolare ma anche da ambiti cólti, col pretesto di «completare» i libri canonici: in realtà sono storie fantasiose, completamente avulse dal contesto storico e con una qualità teologica – quando c’è – assai parziale. Ciò nonostante, sono entrati nella devozione popolare, nella liturgia (la festa della presentazione di Maria al Tempio di Gerusalemme, celebrata dalla Chiesa il 21 novembre, è contenuta negli apocrifi), nella tradizione iconografica: è dagli apocrifi che «veniamo a sapere» che Gesù è nato in una grotta, riscaldato dall’alito di un bue e di un asinello, e che i Magi erano precisamente tre, erano Re, si chiamavano Gaspare, Melchiorre e Baldassarre ed erano uno bianco, uno nero ed uno olivastro. Sono sempre gli apocrifi ad informarci che, durante la sua permanenza nel Tempio, Maria era nutrita quotidianamente da un angelo, e ci raccontano le «divine malefatte» di un Gesù bambino che fa morire e risorgere o mutare in capretti i suoi compagni di gioco, che paralizza il maestro che sta per picchiarlo a causa della sua sapienza troppo saccente, ma anche che sa guarire dai morsi di vipera ed estrae prodigiosamente bimbi caduti in forni o pozzi, che aggiusta senza fatica manuale un letto sghembo uscito dalla falegnameria di Giuseppe. Così come è l’apocrifo Vangelo arabo dell’infanzia del Salvatore, carissimo ai Cristiani d’Oriente e persino ai musulmani, che ci assicura che Giuda Iscariota, che tradì Gesù, dava segni di possessione diabolica fin da piccolo.
Il Protovangelo di Gacomo (il cui titolo più antico è Natività di Maria. Rivelazione di Giacomo), attribuito al Giacomo noto come il «fratello del Signore» o il «giusto», risale con ogni probabilità a prima della fine del II secolo. Nella prima parte, facendo riferimento a testi della Bibbia ebraica, si narra della vita di Maria, dal suo concepimento al suo matrimonio con Giuseppe (la storia dei genitori di Maria, della sterilità della madre e della gravidanza inattesa, del voto di consacrare a Dio il figlio che nascerà, della permandenza di Maria nel Tempio sotto la custodia dei sacerdoti, è costruita sulla base del Primo Libro di Samuele); la seconda parte, che si concentra sulla nascita di Gesù, arricchisce di particolari e in parte tenta di armonizzare i Vangeli di Matteo e di Luca. Ecco, ad esempio, come viene narrata la nascita di Gesù: «E giunse un ordine dell’Imperatore Augusto che fossero censiti tutti gli abitanti di Betlemme di Giudea […]. Giuseppe sellò l’asina e vi fece sedere Maria […]. Giunti a metà percorso, Maria gli disse: “Giuseppe, fammi scendere dall’asina, perché ciò che è in me preme per venire alla luce”. E la fece scendere e le disse: “Dove posso condurti per mettere al riparo il tuo pudore? Il luogo, infatti, è deserto”. Trovò là una grotta e la condusse all’interno; lasciò accanto a lei i suoi figli e uscì per cercare una levatrice ebrea nella regione di Betlemme […] Ed ecco che una donna scendeva dalla montagna e mi disse: “Uomo, dove vai?”. Le risposi: “Sto cercando una levatrice ebrea”. Quella mi domandò: “Sei di Israele?”. Risposi: “Sì”. Quella mi disse: “E chi è colei che sta per partorire nella grotta?”. Le risposi: “La mia fidanzata”. Quella mi disse: “Non è tua moglie?”. Le risposi: “È Maria, colei che è stata allevata nel Tempio del Signore; io sono stato designato dalla sorte per prenderla in moglie. Non è ancora mia moglie, ma ha concepito dallo Spirito Santo”. E la levatrice disse: “Davvero?”. Giuseppe rispose: “Vieni e vedrai”. E quella si mise in cammino insieme a lui e si fermarono all’ingresso della grotta. Una nube luminosa avvolgeva la grotta; e la levatrice disse: “Oggi la mia anima è stata esaltata, perché i miei occhi hanno visto cose meravigliose: è nata la salvezza per Israele”. E subito la nube si allontanò dalla grotta e una grande luce apparve nella grotta, al punto che gli occhi non la potevano sopportare. E a poco a poco quella luce si dissipò, finché non apparve un bambino, che si volse a prendere il seno di sua madre, Maria. Allora la levatrice esclamò: “Quanto è grande per me questo giorno: ho visto questa cosa meravigliosa senza precedenti!”. Le levatrice, poi, uscì dalla grotta e Salome la incontrò. E quella le disse: “Salome, Salome! Devo raccontarti una cosa meraviglosa senza precedenti: una vergine ha partorito, cosa che la sua natura non consentirebbe”. E Salome disse: “Quant’è vero che il Signore, mio Dio, vive, se non ci metto il dito e non scruto la sua natura, non crederò mai che una vergine abbia partorito”. E la levatrice entrò e disse: “Maria, stenditi, perché a tuo riguardo è sorta una discussione non piccola”. E Maria, a sentire quelle cose, si distese. E Salome mise il dito nella natura di lei e lanciò un grido e disse: “Guai alla mia iniquità e alla mia incredulità, perché ho tentato il Dio vivente. Ed ecco che la mia mano, come divorata dal fuoco, si ritira da me”. E Salome cadde in ginocchio davanti al Signore e disse: “Dio dei miei padri, ricordati di me: io sono discendente di Abramo, Isacco e Giacobbe. Non additarmi ad esempio ai figli di Israele, ma restituiscimi ai poveri. Tu sai, infatti, oh Signore, che è nel tuo nome che ho prodigato le mie cure e che da Te ho ricevuto la mia ricompensa”. Ed ecco che un angelo del Signore si presentò davanti a lei e le disse: “Salome, Salome! Il Signore di tutte le cose ha esaudito la tua preghiera. Avvicina la tua mano al bambino e prendilo in braccio, ed Egli sarà per te salvezza e gioia”. E, piena di gioia, Salome si avvicinò al bambino e lo prese in braccio, dicendo: “Io lo adorerò, perché ad Israele è nato un gran Re”. E subito Salome fu guarita e uscì giustificata dalla grotta. Ed ecco che una voce disse: “Salome, Salome! Non divulgare le cose straordinarie che hai visto finché il bambino non sia arrivato a Gerusalemme”».
La nascita di Gesù viene presentata in modo miracoloso; le due donne, la levatrice e Salome, assenti nei Vangeli canonici, hanno la funzione di attestare la verginità di Maria dopo il parto. È molto probabile che questo insistere sulla purezza di Maria, vera protagonista dell’episodio narrato, sia stato fatto per rispondere alle accuse pagane ed ebraiche che volevano Gesù nato da una relazione adulterina della madre con un soldato romano. Dopo la nascita di Gesù, Maria non avrà altri figli: quelli che sono mezionati sono figli del solo Giuseppe, che li aveva avuti da un precedente matrimonio; nel IV secolo Girolamò dimostrò, con un’analisi attenta dei testi biblici, che i fratelli e le sorelle di Gesù menzionati nei Vangeli canonici erano in realtà suoi cugini. Da allora, la credenza nella verginità perpetua di Maria si affermò in tutta la Cristianità, ed è oggi dogma di fede.
L’infanzia del Signore Gesù è una breve raccolta di episodi che raccontano fatti della vita di Gesù da quando aveva cinque anni fino ai dodici: Gesù è presentato come una sorta di «bambino terribile», vendicativo e indisciplinato, ma anche capace di compiere miracoli prodigiosi e dotato di una sapienza superiore. Ne riproduciamo alcuni passi: «Quando aveva cinque anni, il fanciullo Gesù stava giocando, dopo la pioggia, presso il greto di un torrente; raccoglieva in alcune buche le acque che scorrevano e subito le rendeva limpide, impartendo un ordine con la sola sua parola. Impastata della soffice creta, ne formò dodici uccellini. Quando fece queste cose era di sabato; e c’erano anche molti altri ragazzini che giocavano con Lui. Un Ebreo, vedendo quello che aveva fatto Gesù di sabato mentre stava giocando, se ne andò subito a riferirlo a suo padre Giuseppe: “Ecco, tuo figlio è al torrente; ha preso dell’argilla e ne ha plasmato dodici uccellini, profanando in questo modo il sabato”. Giuseppe si recò sul posto, vide quello che era successo e lo rimproverò, dicendo: “Perché di sabato hai fatto queste cose, che non è lecito fare?”. Ma Gesù, battendo le mani, gridò agli uccellini: “Andatevene via!”. E quelli presero il volo e se ne andarono cinguettando. Vedendo questo, gli Ebrei furono presi da stupore e andarono poi a raccontare ai loro capi quello che avevano visto fare da Gesù. [...]
Un’altra volta, Gesù stava attraversando il villaggio quando un ragazzo, correndo, lo urtò alla spalla. Stizzito, Gesù gli disse: “Tu non finirai di correre!”. E subito quello cadde a terra, morto. Alcuni testimoni di quanto era successo allora esclamarono: “Da dove viene questo ragazzo? Ogni sua parola è un fatto compiuto!”. I genitori del ragazzo morto si recarono da Giuseppe e lo biasimavano dicendo: “Tu, con questo ragazzo, non puoi abitare con noi al villaggio; altrimenti, insegnagli a benedire e non a maledire. Costui, infatti, fa morire i nostri bambini”. Giuseppe allora chiamò il fanciullo in disparte e lo ammonì, dicendo: “Perché fai questo? Costoro ne soffrono, ci odiano e ci perseguitano”. Gesù rispose: “Io so che queste parole non sono tue; tuttavia, per amor tuo me ne starò zitto. Quelli, però, dovranno sopportare il loro castigo”. E subito gli accusatori furono colpiti da cecità. I testimoni del fatto ne furono scossi ed erano perplessi, constatando, a proposito di Lui, che ogni parola da Lui proferita, sia che fosse buona sia che fosse cattiva, era un fatto compiuto e si trasformava in un prodigio. […]
Qualche giorno dopo, mentre Gesù stava giocando sulla terrazza di una casa, uno dei ragazzini che giocavano con lui cadde dalla terrazza e morì. Gli altri, visto quello che era successo, fuggirono via e Gesù rimase solo. Venuti i genitori del bambino morto, lo accusavano di averlo fatto cadere giù. Gesù rispose: “Io non l’ho spinto giù!”. Ma quelli continuavano ad accusarlo. Allora Gesù, sceso dal tetto, si fermò vicino al cadavere del ragazzo e gridò a gran voce: “Zenone!” era questo, infatti, il suo nome “Alzati e dimmi: sono stato Io a spingerti giù?”. Quello si alzò sull’istante e disse: “No, Signore; Tu non mi hai spinto giù, ma mi hai risuscitato”. I presenti rimasero attoniti. I genitori del bambino glorificarono Dio per il prodigio che era avvenuto e si misero ad adorare Gesù».
Il primo messaggio del testo è che il Gesù bambino è lo stesso del Gesù adulto: il taumaturgo che opera miracoli, il profeta potente in opere e parole è tale fin dalla sua infanzia. Sia all’interno del mondo greco-romano, sia nella letteratura giudaico-ellenistica e nella successiva tradizione agiografica cristiana, c’è la convinzione che i tratti fondamentali del carattere e della personalità restino costanti nel corso dell’intera vita di ognuno, per cui si deve presumere che i pregi e i difetti che si riscontrano nelle idee e nei comportamenti di una persona adulta siano già presenti dalla sua infanzia. Per questo Gesù non è visto comportarsi come un bambino: la sua potenza divina deborda in ogni gesto e non si lascia contenere, la sua sapienza straordinaria stupisce i suoi maestri e lascia ammutolito suo padre Giuseppe. Però, dall’altro lato, il suo carattere è tratteggiato come concretamente e realisticamente umano: Gesù bambino è presentato come bizzarro, capriccioso, suscettibile ed irascibile, tutti difetti dei bambini di quella età, che però sono tesi a riprendere tratti del Gesù adulto quando si adira, maledice, minaccia. L’opera potrebbe risalire al III secolo, ma la datazione non è sicura.