L’Apocalisse. Il libro non delle catastrofi, ma del Cristo
Un’introduzione al libro più «misterioso» della Bibbia

Il libro più misterioso e forse più affascinante della Sacra Scrittura (anche se parecchi si contendono questo primato) porta un titolo divenuto indebitamente sinonimo di «fine del mondo, catastrofe». Ma non è questo il suo vero significato.

«Apocalisse», infatti (in greco «Apokalypsis») deriva dal verbo greco «apokalupto», «svelo». È quindi il libro del «disvelamento», o, più propriamente, della «rivelazione». Non a caso, nei paesi di lingua inglese è definito Revelation book, mentre il tedesco recita Offenbarung Buch, che è lo stesso; l’italiano ha conservato invece il titolo greco originale. Il testo proviene sicuramente dall’area dell’Asia Minore, una delle più prolifiche della Chiesa Cristiana delle origini[1], da cui dovrebbero provenire anche altre opere, come il resto del «corpus» giovanneo (Vangelo e tre epistole), più alcune epistole paoline. In particolare, Apolicasse sarebbe legata alla città di Efeso, la più citata nel Nuovo Testamento dopo Gerusalemme, importante crocevia dell’Asia Romana e sede di una Chiesa in cui San Paolo visse per ben tre anni assieme a vari suoi discepoli (Luca, Apollo, Priscilla, Aquila eccetera). Tra l’altro, questa Chiesa ha dovuto confrontarsi molto presto con il problema delle eresie, come si comprende dallo stesso testo di Apocalisse[2].

Per quanto riguarda la datazione, siamo alla fine del I secolo dopo Cristo, come dice l’«incipit», all’epoca dell’Imperatore Domiziano, per la cui persecuzione lo scrivente sarebbe stato esiliato sull’isola egea di Patmos[3]. L’autore si identifica come Giovanni e si presenta come un profeta o carismatico; la tradizione, a partire da Giustino Martire, Dialogo con Trifone 81,4, identifica con questo profeta l’Evangelista e Apostolo Giovanni. Tuttavia gli studiosi, per quanto convinti che entrambe le opere provengano dalla stessa area culturale e, magari, anche da una stessa cerchia, hanno rilevato notevoli problemi al riguardo: ad esempio, il profeta Giovanni non sembra considerarsi un Apostolo, anzi guarda agli Apostoli come al passato; basti pensare al fatto che i loro nomi sono incisi sulle fondamenta delle mura della Gerusalemme celeste (confronta 21,14). Il rapporto con il Vangelo di Giovanni è molto discusso, anche perché differenze innegabili di stile e di declinazione dei medesimi concetti («Logos», «Agnello» eccetera) ci dicono che, malgrado la tradizione, i due scritti non risalgono allo stesso autore; tuttavia, appare ormai assodato che la tradizione letteraria sia la medesima, volta nel Vangelo in forma più intellettualizzata[4]. Ma veniamo ora al contenuto, piuttosto complesso.

L’intera Apocalisse possiede una struttura quasi epistolare, perché evidentemente doveva essere letta quale epistola indirizzata alle Chiese antiche: possiede in effetti un saluto iniziale alle Chiese (confronta 1,4-5) e uno finale (confronta 22,20); tuttavia, il prologo (1,1-3) definisce il tutto «rivelazione». Nel capitolo 1 compare il profeta Giovanni, che ha una visione del Cristo, il quale gli affida un messaggio per sette Chiese d’Asia e i loro «angeli» (nel senso di Vescovi o responsabili); attraverso questi sette messaggi, che seguono la medesima struttura, vengono così tratteggiate le principali tipologie di comunità non solo di allora, ma di tutti i tempi, da quella più eroica a quella più tiepida e priva di slancio. Così, Efeso, che pure ha resistito con costanza agli eretici e nella testimonianza della fede, ha perso però «l’amore primitivo» (confronta Apocalisse 2,4); Smirne ha il merito di resistere al martirio e alla persecuzione da parte «di quelli che si dicono essere Giudei e non lo sono, bensì sono sinagoga di satana» (confronta Apocalisse 2,9; Ebrei o eretici?); Pergamo, parimenti tribolata, ma che ha ceduto a degli eretici definiti «Nicolaiti» e a coloro che accettano la compromissione col paganesimo; Tiatira, virtuosa, ma che lascia fare a una pseudo-profetessa paganeggiante chiamata «Gezabele»; Sardi, spiritualmente morta a parte alcuni rimasti fedeli; Filadelfia, a cui, nella sua fedeltà, viene promesso di convertire alcuni «che si dicono Giudei, ma non lo sono, bensì mentiscono» (confronta 3,9); infine, Laodicea, la comunità che riceve le parole più dure, ma anche uno dei versetti più belli del libro:

«Conosco le tue opere, che non sei né freddo, né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Così, poiché sei tiepido, e né freddo, né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca. Poiché tu dici: “Sono ricco, mi sono arricchito e non ho bisogno di nulla”, ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un mendicante, cieco e nudo… Sii dunque zelante e convertiti. Ecco, Io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e apre la porta, io entrerò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (confronta 3,15-17 e 3,19-20)[5].

Dopo questi primi tre capitoli introduttivi, comincia una lunga serie di visioni, organizzate spesso in settenari; nell’aritmologia (cioè studio dei numeri) biblica, il sette rappresenta la pienezza e qui le serie di sette elementi abbondano e si intrecciano nel complesso, in cui vengono tratteggiate con scenari grandiosi le «cose ultime»: gli «eskata», come si dice in greco, cioè l’intervento finale di Dio nella storia, su cui domina incontestabilmente il Cristo. Quindi, dopo la maestosa apparizione del trono di Dio (capitolo 4), troviamo un «volumen» (libro arrotolato dell’epoca) che reca ben sette sigilli e può essere aperto solo dall’Agnello, cioè il Cristo (capitoli 5-7). L’apertura di questi sigilli implica una serie di castighi che si rovesciano sul mondo peccatore, ma anche la comparsa dei martiri al quinto sigillo; la sequenza di questi castighi, cui ne seguono altri, è piuttosto complessa e ricorda quasi una spirale.

Quando viene aperto il settimo sigillo (quello che ha ispirato anche il celebre, omonimo film di Ingmar Bergmann), questo introduce altri castighi, segnalati da sette trombe, cui si intersecano tre «guai» preannunciati da un’aquila (capitoli 8-11); prima però che venga suonata la settima tromba sulla Terra, due testimoni si manifestano nella grande città, definita «Sodoma ed Egitto», e identificata con quella in cui il Signore è stato crocifisso. Essi vengono uccisi, poi risuscitati e assunti in cielo. A questo punto compare la celebre visione della Donna vestita di sole (identificata nel corso dei secoli con la Chiesa o con Maria), che genera un figlio maschio immediatamente rapito verso il cielo e viene insidiata dal dragone, identificato col diavolo (capitolo 12).

«E un grande segno si vide in cielo: una donna rivestita di sole, la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle; essendo incinta, grida per le doglie e il travaglio del parto. E si vide un altro segno nel cielo: ed ecco un grande drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle sue teste dieci diademi; la sua coda trascina un terzo delle stelle del cielo e le gettava sulla terra. Il drago si pose davanti alla donna in procinto di partorire, per divorarne il figlio dopo il parto. E partorì un figlio maschio, che avrebbe guidato tutti i popoli con verga di ferro. Suo figlio fu rapito verso Dio e il suo trono. E la donna fuggì nel deserto, dove ha là un luogo preparatole da Dio, affinché la nutrano per 1.260 giorni»[6].

Questo è il primo di ben sette segni, cui seguono il manifestarsi di esseri anti-cristici, come la bestia del mare (capitolo 13) e la bestia della terra (capitolo 14). A partire dal capitolo 15, sette angeli portano altri sette flagelli, i peggiori, volti a compiere l’ira di Dio mediante sette coppe che vengono simbolicamente riversate sulla Terra (capitoli 15-16); infine, il capitolo 17 mostra la «grande prostituta», «Babilonia la grande», assisa sulla bestia salita dall’Abisso e immagine di una città perversa, simbolo di un potere mondano che perseguita i «Santi»: molto probabilmente, essa rappresenta Roma e l’Impero, ma può ben attagliarsi a ogni potere politico ribelle a Dio (mentre vari evangelici, non immuni dalla propaganda politica, negli anni scorsi vi vedevano l’Irak di Saddam Hussein = alla lettera a Babilonia! e lo studioso John Dominic Crossan ci vedeva gli Stati Uniti[7]). Ma Babilonia cade (capitolo 18; finalmente…) e gli ultimi capitoli preannunciano la vittoria di Cristo e la disfatta della bestia e dei Re che si sono corrotti con essa (capitolo 19). Segue un regno cristico in terra di 1.000 anni, permesso dal fatto che il diavolo è stato incatenato nell’abisso; terminati i 1.000 anni, esso viene liberato un’ultima volta per la battaglia finale, prima della sua sconfitta definitiva, del giudizio finale e della Gerusalemme celeste, cioè di cieli nuovi e terra nuova, cui sono dedicati gli ultimi capitoli (capitoli 20-22). La Gerusalemme celeste è la sposa dell’Agnello e la città finale dei Santi, illuminata dal Cristo.

Nonostante che la struttura del libro sia molto complessa e difficile da decifrare come i suoi simboli, tuttavia è anche particolarmente compatta: ricca di allusioni all’Antico Testamento, di temi biblici e apocalittici giudaici e di elementi liturgici, fusi entro un insieme di grande potenza, l’Apocalisse è però centrata sul Cristo, che ha già vinto il male con la sua morte e preannuncia la vittoria definitiva. Lo stile è molto particolare: la lingua è il greco, ma l’autore, è stato osservato, pensa in ebraico, o meglio, nell’ebraico biblico, tanto da fare violenza al greco (a esempio, mette il nome di Dio al nominativo anche dopo le preposizioni che esigono un caso obliquo). Queste violenze grammaticali traducono però l’estrema potenza del pensiero del profeta, una potenza che si sublima nel sospiro per la venuta del Cristo:

«Dice colui che attesta questo: “Sì, vengo presto”. Amen, vieni Signore Gesù. La grazia del Signore Gesù sia con tutti»[8].


Note

1 Confronta P. Rossano, Vangelo e Culture a Efeso e nella provincia d’Asia al tempo di San Paolo e San Giovanni, «Cultura classica e cristiana» 13 (1992), pagine 282-296.

2 Sul rapporto tra Efeso e il Primo Cristianesimo, confronta P. Trebilco, The Early Christians in Ephesus from Paul to Ignatius (Wissenschaftliche Untersuchungen zum Neuen Testament 166), Tübingen, Mohr-Siebeck, 2004; H. Koester ed., Ephesos. Metropolis of Asia. An Interdisciplinary Approach to its Archaeology, Religion, and Culture (Harvard Theological Studies 41), Valley Froge, Pennsylvania, Trinity Press International, 1995; M. Günther, Die Frühgeschichte des Christentums in Ephesus (Arbeiten zur Religion und Geschichte des Urchristentums 1), Frankfurt am Main, Peter Lang, 1995 dalle tesi però spesso insolite e da rivedere criticamente mediante E. J. Schnabel, Die ersten Christen in Ephesus, «Novum Testamentum» 41 (1999), pagine 349-382.

3 Sull’Apocalisse, confronta C. Moreschini-E. Norelli, Storia della letteratura cristiana antica greca e latina, volume 1, Brescia, Morcelliana, 1995, pagine 142-150; O. Böcher, Die Johannes-Apokalypse in der neueren Forschung, ANRW II, 25.5 (1988), pagine 3.850-3.893. Per dei commentari, confronta a esempio G. K. Beale, The Book of Revelation. A Commentary on the Greek Text, Carlisle, The Paternoster Press-Grand Rapids, Michigan-Cambridge, U.K., W. B. Eerdsman, 1999; E. Schüssler-Fiorenza, Das Buch der Offenbarung. Vision einer gerechten Welt (traduzione tedesca), Stuttgart, Kohlhammer, 1994 (edizione originale Augsburg, Minneapolis, 1991); P. E. Hughes, The Book of the Revelation. A Commentary, Leicester, Inter-Varsity Press-W. B. Eerdmans, Grand Rapids, Michigan, 1990; G. R. Beasley-Murray, The Book of Revelation (The New Century Bible Commentary), Grand Rapids, Michigan, W. B. Eerdsman-London, Marshall, Morgan & Scott, 1974 (ristampata nel 1983); H. Kraft, Die Offenbarung des Johannes, Tübingen, Möhr (Siebeck), 1974.

4 Confronta per esempio E. Cothenet, Les communautés johanniques, «Esprit et vie» 107 (1997), pagine 433-440; P. Trebilco, The Early Christians in Ephesus from Paul to Ignatius, «Wissenschaftliche Untersuchungen zum Neuen Testament» 166, Tübingen, Mohr Siebeck, 2004; S. S. Smalley, John’s Revelation and John’s Community, «Bulletin of the John Rylands’ Lybrary» 69 (1986-1987), pagine 549-571; O. Böcher, Johanneisches in der Apocalypse des Johannes, «New Testament Studies» 27 (1980-1981), pagine 310-321; E. Lupieri-P. Sacchi-E. Corsini-C. Doglio, L’Apocalisse di Giovanni: una discussione, «Henoch» 22 (2000), pagine 325-362.

5 Per il testo originale, confronta Eberhard Nestle-Erwin Nestle-Kurt Aland e altri, Novum Testamentum Graece, Stuttgart, Deutsche Bibrlgesellschaft, 197926, pagine 634-639. La traduzione è mia.

6 Confronta Eberhard Nestle-Erwin Nestle-Kurt Aland e altri, Novum Testamentum Graece, Stuttgart, Deutsche Bibrlgesellschaft, 197926, pagine 654-655 (traduzione mia).

7 Confronta John Dominic Crossan, God and Empire: Jesus Against Rome Then and Now, New York, HarperCollins 2007.

8 Confronta Eberhard Nestle-Erwin Nestle-Kurt Aland e altri, Novum Testamentum Graece, Stuttgart, Deutsche Bibrlgesellschaft, 197926, pagina 680 (traduzione mia).

(febbraio 2023)

Tag: Annarita Magri, Apocalisse, Cristo, Bibbia, Sacra Scrittura, corpus giovanneo, Nuovo Testamento, Imperatore Domiziano, Patmos, Giustino Martire, Dialogo con Trifone, Apostolo Giovanni, Vangelo di Giovanni, Chiese d’Asia, aritmologia, trono di Dio, Agnello, Donna vestita di sole, bestia del mare, bestia della terra, grande prostituta, Babilonia, Gerusalemme celeste.