Storia dell’Italia medievale
Aspetti della vita cittadina italiana settentrionale

La trattazione che qui esponiamo ovviamente non è esaustiva ma un contributo alla storia medievale, sempre molto complessa e contorta, attraverso una sintesi di storie locali. La storia medievale italiana ed europea mette in generale in difficoltà gli studiosi perché ha come oggetto entità statali perennemente precarie, in un accavallarsi di istituzioni, di poteri formalmente importanti che talvolta non riuscivano ad essere effettivi. Lo stato divenne una realtà volubile che si confondeva con il patrimonio personale del signore, la progressiva decadenza delle vie di comunicazione rendeva anche materialmente difficile il controllo da parte delle autorità centrali su quelle locali, il generale impoverimento dell’economia, le difficoltà della finanza pubblica a sua volta causate dalla perdita di catasti e anagrafi rese il mondo insicuro e incapace a superare un’economia che non fosse di semplice sostentamento. In un mondo in cui prevaleva l’analfabetismo, venne ad accrescersi il potere del clero, l’unico a detenere la cultura e a poter conferire legittimità alle istituzioni. A fianco di esso si rafforzarono coloro, in generale proprietari terrieri, che disponevano di un proprio esercito col quale imporre un potere effettivo sul territorio.

Fra il 400 e il 460 molte delle città del Nord subirono saccheggi ad opera dei barbari, sia di quelli inquadrati nell’esercito romano, come i Visigoti sia di quelli invasori come gli Unni di Attila, rappresentativo di questa situazione fu lo spostamento della capitale da Milano alla più difendibile Ravenna nel 402. Le conseguenze di tali eventi sono ben documentate ad Imola (Forum Cornelii) dove parte della popolazione abbandonò la città per trasferirsi sul più difendibile Monte Castellaccio, mentre a Modena fu l’impossibilità a causa di problemi finanziari di gestire le opere di contenimento delle acque a determinare la fuga dei suoi cittadini. Le origini della città di Venezia e delle altre piccole città della laguna, furono dovute alla fuga di abitanti delle città e delle campagne che qui potevano vivere non esposti alle minacce dei barbari. Tale situazione ebbe conseguenze anche nelle campagne, dove è documentato il fenomeno delle fortificazioni delle «villae» rustiche, le grandi aziende agricole romane, e l’abbandono di quelle più esposte a pericoli. Più tardi altre città conobbero nuove devastazioni ad opera dei Goti ma anche dei Bizantini durante la guerra (535-553) di riconquista della nostra penisola da parte di Bisanzio. Interessante notare che gli Italiani non parteggiarono sempre per l’Impero, l’importante città di Verona venne presa dopo un lungo assedio e alcuni anni dopo la sua conquista si ribellò alle nuove autorità. La decadenza e lo spopolamento delle città furono ovviamente conseguenze anche della vasta crisi economica che spinse molti a trasferirsi dove vi era abbondanza di cibo e prodotti agricoli.

Si è spesso parlato del lungo dominio longobardo come di un potere oppressivo dai connotati negativi, dobbiamo comunque ricordare che il re di tale popolazione assunse già nel 589 (quindici anni dopo l’invasione) il titolo di Flavius quindi accettando una sua integrazione con lo stato romano, mentre una situazione non molto migliore presentavano quei territori del Centro Sud dominati dai Bizantini, dopo le grandi opere architettoniche nella capitale Ravenna del periodo 400-550, si ebbe un lungo periodo di decadenza attestata dall’impaludamento dei territori anche più prossimi alla città.

I Longobardi si impossessarono di molte terre di proprietà dei Romani o imposero pesanti tassazioni su di esse, in genere preferivano vivere al di fuori delle città in piccoli insediamenti e non si interessavano in maniera determinante ad esse. Le città, in gran parte in stato di abbandono e drasticamente ridotte per numero di abitanti, vennero per un certo periodo governate direttamente o indirettamente dai vescovi. Il primo vescovo che si ritiene abbia avuto un ruolo politico fu San Petronio a Bologna nel 430, in qualche modo preceduto da Sant’Ambrogio a Milano cinquanta anni prima. A Cremona già prima della sua conquista da parte dei Longobardi il vescovo esercitava funzioni politiche. A Modena la situazione fu più complessa e il potere episcopale fu contrastato dopo il 750 dalla vicina e potente Abbazia di Nonantola. Anche l’arcivescovo di Ravenna, ricordiamo indipendente dall’autorità di Roma (controllava le nomine anche dei vescovi delle città vicine), godette di un potere politico che si estendeva oltre la metropoli. Un caso particolare fu quello dell’autorevole vescovo (Patriarca) di Aquileia, non soggetto all’autorità papale, ottenne importanti donazioni di terre dai duchi longobardi e dopo il 1077 governò una larga parte del Friuli.

Il periodo longobardo rimane in larga parte oscuro per mancanza di fonti storiche, dopo la conquista dei Franchi l’Italia del Nord venne governata da conti (allora funzionari di stato e non nobili in senso stretto) che governavano territori di dimensioni analoghe a quelle delle nostre province. Tale situazione non durò a lungo e a causa del nascente feudalesimo e quindi della gestione dei territori come beni personali, si venne a creare una certa confusione di poteri aggravata da questioni di successione, vendite, donazioni e cessioni di terre in cambio di sostegno militare. Il «Regnum Italiae» in teoria era il più importante dei regni del Sacro Romano Impero, come attestato dal fatto che Lotario, primogenito dell’imperatore Ludovico il Pio, ebbe il titolo imperiale e la corona d’Italia. La discendenza di Lotario fu particolarmente breve e di questo ne approfittarono gli altri due rami carolingi, francese e tedesco, a cui si aggiunsero successivamente alcune dinastie locali, in particolare quella del Friuli, di Spoleto, di Ivrea e fuori dal nostro paese, Provenza e Borgogna. Fra l’875 e il 961 si ebbero ben tredici sovrani. Data la grave incertezza su a chi spettasse il titolo, alla fine perse d’importanza e il re spesso riconosciuto solo da una parte dei nobili, ebbe poteri più teorici che reali. All’interno del regno si vennero a formare fra 800 e 900 tre grandi Marche: Friuli (poi Verona), Ivrea (chiamata anche Italia, ma che successivamente si frazionò in più parti) e Tuscia (corrispondente alla Toscana). Quest’ultima ebbe un periodo di grandezza sotto la dinastia degli Attoni, meglio conosciuti come Canossa per il celebre episodio che lì avvenne. Prima del Duecento tutte le Marche si dissolsero a causa di contrasti interni e della affermazione dei Comuni.

Bergamo (dal 904 al 1098), Brescia e più tardi Piacenza (dal 997 al 1126) vennero governate da vescovi o da vescovi conti investiti dall’autorità imperiale del titolo, fino a quando intorno al Mille e Cento si costituirono in liberi Comuni. Anche il vescovo di Parma per aver dato sostegno all’imperatore contro le pretese al titolo dei parenti ottenne nell’877 il governo della città, anche se non si estese al resto della provincia e terminò progressivamente a causa del formarsi del Comune successivamente al 1022. Il vescovo, poi vescovo conte, di Cremona governò la città già al tempo dei Longobardi e sebbene non particolarmente amato per la sua pesante politica fiscale, estese intorno al Mille e Cento il suo potere sulla vicina Crema. A Mantova il potere dei vescovi si ridimensionò notevolmente nel 1186 con la creazione del Podestà. A Modena il potere dei vescovi nonostante la ripresa della città cessò piuttosto tardi nel 1227. Sempre parlando di autorità ecclesiastiche, ebbe notevole importanza l’Abbazia di Bobbio sulle colline piacentine, disponeva di un proprio esercito, comandato dalla dinastia degli Obertenghi che successivamente (1164) si impossessarono dei loro vasti territori. Quando parliamo di monasteri e abbazie medievali, dobbiamo ricordare che costituivano qualcosa di molto diverso da quelli del periodo più antico. Queste istituzioni raccoglievano molti uomini di cultura, svolgevano attività artigianali e agricole avanzate, come delle piccole città e in molti casi arrivarono a disporre di beni fondiari enormi. Gli abati venivano spesso nominati dalle massime autorità politiche (imperatore o sovrani locali) e questo portava a una certa rilassatezza dei costumi e ad un notevole interesse per le questioni politiche.

Altrove il potere formale o informale dei vescovi fu di breve durata. A Milano il potere più o meno riconosciuto in modo pieno dei vescovi andò dall’868 al 1045. Anche nella vicina Lodi durò poco più di un secolo, dal 975 al 1107. A Imola la situazione fu più particolare, dopo la conquista franca venne governata da conti su designazione dell’arcivescovo di Ravenna che governava più o meno direttamente anche molte delle città romagnole, comunque l’alto prelato condivideva il potere sulla propria città con il conte di Romagna. Il potente arcivescovo non riuscì comunque ad estendere il suo potere su Rimini che fu una delle città dove più a lungo governarono i conti.

In Veneto, Treviso e Vicenza vennero governate dai conti per un periodo più lungo ma anche qui il loro potere progressivamente si disgregava. In particolare a Vicenza il vescovo pur non disponendo di un potere riconosciuto divenne arbitro dei contrasti tra potenti famiglie nonché protettore degli indigenti, ma alla fine del XII secolo il vescovato ebbe gravi problemi economici e contrasti con i conti Maltraversi. In Piemonte, Torino dopo la conquista franca conobbe il governo dei conti e solo per un breve periodo quello dei vescovi, diversamente ad Asti il vescovo governò a lungo la città, dal 962 al 1206 e fino al Trecento questi era eletto dai Canonici della Curia locale.

Nel Nord Est d’Italia si ebbe una situazione diversa, il Patriarca di Aquileia governò il Friuli per un lungo periodo, dal 1077 al 1420, mentre i Principati vescovili di Trento e di Bressanone sorsero nello stesso periodo in cui iniziò quello di Aquileia e si conclusero addirittura con la fine formale del Sacro Romano Impero nel 1803.

Come abbiamo visto il potere dei vescovi già presente al tempo dei Longobardi, durò fino all’affermarsi dei Comuni che si costituirono intorno all’anno Mille e Cento, ma non andava molto oltre l’area urbana, in gran parte le campagne erano gestite dai signori feudali che in alcuni casi con la ripresa delle città dopo il Mille dovettero subire il dominio di quelle più vicine ed economicamente più potenti e in molti casi (senza rinunciare alle proprie terre) si trasferirono in esse.

Poco dopo l’anno Mille con la crescita demografica e la maggiore produttività dei terreni (con l’introduzione di alcune nuove tecnologie) si ebbe la rinascita delle città e la formazione dei Comuni che ricordiamo erano una entità associativa e non tutti i residenti ne erano partecipi. Gli storici hanno opinioni diverse sulla loro origine e sviluppo. Gli studi storici più recenti propendono per l’idea che la crescita delle città fosse dovuta all’insediamento dei piccoli feudatari, anche se non è facile comprendere la ragione per la quale un signore avrebbe dovuto rinunciare al controllo diretto delle sue terre, forse i rami cadetti ebbero un ruolo maggiore. In ogni caso i Consoli, i primi amministratori delle città, furono di origine nobile, anche se eletti dal Parlamento o Arengo che comprendeva una buona parte dei cittadini, in particolare coloro che pagavano una tassa ed erano proprietari di case. Quando le città crebbero molto come numero di abitanti, il Parlamento risultava troppo numeroso e vennero istituite delle assemblee rappresentative. Gli storici hanno individuato diversi periodi nella storia dei Comuni, il primo vedeva la prevalenza dei nobili, seguì un periodo di lotte fra aristocratici e borghesi al termine del quale il cosiddetto popolo grasso, ricchi mercanti e banchieri, venne a costituire insieme ai nobili i cosiddetti magnati, la potente categoria che disponeva delle funzioni di governo cittadino, infine si ebbe almeno in una parte delle città un periodo popolare con l’emanazione di leggi antimagnatizie e il prevalere delle corporazioni anche se disunite fra loro, con le Arti maggiori (giudici, notai, banchieri, medici, nonché attività mercantili e artigianali principali) in contrasto con le Arti minori. Tale situazione non emerge sempre dalla storia delle singole città che vede spesso i contrasti fra singole famiglie prevalere sui contrasti fra gruppi sociali. Dal punto di vista istituzionale si ebbe invece la successione di Consoli, Podestà (forestieri e pertanto maggiormente imparziali) e Capitani del Popolo rappresentanti dei non nobili, a volte associati ai precedenti. In altri casi emersero nel periodo finale dei Comuni i Priori, i capi delle corporazioni. Tale successione di istituzioni non va intesa in maniera rigida, a volte si ebbero dei ritorni a forme di governo precedenti, mentre podestà e capitani (talvolta già presenti prima del Duecento) sebbene di regola estranei alle fazioni cittadine non sempre riuscirono a garantire la convivenza pacifica. Nell’ultimo periodo si ebbero podestà imposti da una potente città sulle altre.

A Verona già a metà del 1100 è attestata la prevalenza di un numero ristretto (una decina) di famiglie, in contrasto fra loro. Una situazione peggiore conobbe Genova, dove uno stato di lotte violente a varie riprese si ebbe già dopo la metà del Mille e Cento. Protagonisti furono alcune fazioni cittadine e soprattutto i feudatari delle zone intorno alla città sottomessi almeno formalmente ad essa. A Bergamo nel 1206 e nel 1296 si ebbero scontri fra nobili ghibellini e borghesi guelfi ed eventi analoghi a Lodi intorno al 1270. A Brescia a metà del Duecento i nobili vennero cacciati dalla città ma a fine secolo con il sostegno dei Visconti poterono fare ritorno in città. Nella seconda metà del Duecento sono attestate dure lotte interne a Piacenza, analogamente a Bologna, città governata da aristocratici in particolare con studi giuridici, dopo il 1270 si ebbero scontri fra guelfi e ghibellini capeggiati da potenti famiglie, infine sempre nello stesso periodo si ebbero contrasti della stessa natura a Cremona e Ferrara, preceduti da quelli nella città di Rimini. Una significativa eccezione a questa situazione si ebbe a Venezia che brillò sempre per libertà e tolleranza, dove i contrasti non degenerarono mai in gravi conflitti.

Contemporaneamente a questi difficili eventi si ebbe l’espansione del potere delle città sulle campagne vicine, politica che portò ad un conflitto fra Comuni per il controllo dello stesso territorio, mentre non era raro il caso di alleanze tra fazioni sconfitte e città più grandi. Tale situazione portò alla egemonia di una città su quelle vicine e quindi ad un assetto politico diverso e più accentrato. Progressivamente le cariche di Podestà e Capitano del Popolo sebbene temporanee ed elettive divennero appannaggio di alcune potenti famiglie che se le trasmettevano ereditariamente, dando vita dopo la fine degli imperatori Svevi alle Signorie, che portarono ad una pacificazione della vita cittadina ma anche alla ricostituzione di un potere assolutistico.

(marzo 2020)

Tag: Luciano Atticciati, storia dell’Italia medievale, comuni medievali, vescovi-conti, conti, Longobardi, storia città medievali, consoli, podestà, capitani del popolo.