La Santa che combatté per Roma
Una ragazza umile e incolta riuscì là, dove molto uomini di cultura avevano fallito

Santa Caterina

Giovanni Battista Tiepolo, Santa Caterina da Siena, 1746 circa, Kunsthistorisches Museum, Vienna (Austria)

Molto spesso, insegna la religione cattolica, Dio si serve, per realizzare i Suoi progetti, delle persone più improbabili, più umili, di quelle che non si valuterebbero due centesimi; proprio per mostrare la Sua grandezza. È quello che accade il 18 giugno del 1376 quando nella città di Avignone, famosa per le sue quaranta torri, fa il suo ingresso una singolare ambasciatrice della Repubblica di Firenze, su cui il Papa Gregorio XI ha scagliato l’interdetto.

Sono ormai passati quasi settant’anni da quando il Papa Francese Clemente V ha trasferito in questa città la sua sede, dentro un immenso palazzo circondato da mura e da fossati come una fortezza, o piuttosto come una prigione. Nessuno si decide a riportare la sede dei Pontefici nella Città Eterna. Tanti appelli sono stati rivolti al Papa, tante voci si sono levate nel mondo, ma senza frutto. Anche l’ambasciatrice di Firenze è venuta per chiedere al capo della Chiesa di tornare a Roma.

I Fiorentini hanno scelto con cura la persona più adatta per questo incarico: una donna non ancora trentenne, ma già famosa in tutta Italia per la sua virtù e per la sua saggezza, Caterina di Jacopo di Benincasa.

Caterina, nata a Siena, stupisce la Corte Papale per la sua sapienza e per la sua umiltà, ma ancor più per il coraggio e la franchezza con cui rimprovera al Pontefice i troppi agi della vita avignonese e le contese politiche che dividono la Chiesa Cattolica. Lo supplica a lungo di tornare in Italia.

I cittadini di Avignone, molti Cardinali e quasi tutta la Corte Papale sono contrari alla partenza, ma Caterina sa superare ogni ostacolo e, finalmente, riesce a convincere il Papa.

Così, il 13 settembre dello stesso anno, Gregorio XI lascia definitivamente Avignone e dopo aver toccato con la sua flotta le città di Genova, Portofino, Pisa e Livorno, accolto ovunque con grandi manifestazioni di esultanza, raggiunge le coste del Lazio. Il 17 gennaio dell’anno successivo, Gregorio XI è di nuovo a Roma.

Il ritorno del Pontefice nella Città Eterna è l’atto centrale, la missione più importante di Caterina da Siena. Ma questa grande donna, proclamata Santa dalla Chiesa Cattolica, già altre volte è intervenuta nell’agitata vita pubblica del suo tempo e non ha mai esitato a presentarsi dinanzi a principi, a Cardinali, a Capi di Stato e di città per ottenere la pace e la concordia dei popoli, per proteggere i poveri da ogni prepotenza.

La sua storia comincia a Siena, una città medievale nel cuore della Toscana, chiusa dalle sue mura, e nella quale hanno lavorato i famosi pittori Duccio di Buoninsegna e Simone Martini. In una delle strette vie che attraversano Siena, in una strada buia ed angusta del quartiere di Fontebranda dominato dalla chiesa di San Domenico, il 25 marzo 1347 nasce Caterina, ultima dei ventitre o ventiquattro figli del tintore Jacopo di Benincasa e della seconda moglie di lui, Lapa di Puccio di Piagente. La famiglia appartiene al popolo minuto, è modesta ma non povera.

Amata da tutti per la sua bontà, soprattutto dalla madre a cui si sforza sempre di obbedire, Caterina trascorre la sua infanzia davanti ai fornelli, lavando i panni, andando ad attingere l’acqua alla fontana, spezzando la legna, come una qualsiasi bambina del tempo. Ha una grande fede, e già da piccola dimostra un grande amore per la preghiera, tanto da passare ore ed ore in ginocchio. Il suo desiderio è quello di ritirarsi in un convento a pregare e meditare; invece, sarà costretta dalla vita agitata dei suoi tempi ad intervenire nelle contese politiche.

Questa vocazione alla vita consacrata le viene fin dai primi anni di età: ha appena sei anni quando fugge un giorno da casa in cerca del deserto per fare una vita di penitenza ed imitare i santi eremiti di cui ha sentito parlare. Ma poi, spaventata dal pensiero del dolore che proverebbero i suoi cari, fa ritorno.

Un anno dopo giura di consacrare la sua vita all’amore di Dio e del prossimo, come ha comandato di fare Gesù. Così, nonostante i genitori pensino di maritarla (a dodici anni Caterina, sotto l’influsso della sorella Bonaventura, attraverserà una modesta «crisi di vanità», giungendo perfino a tingersi i capelli; ma la morte prematura della sorella la scuoterà al punto di farla decidere di mutar vita), Caterina sceglie la vita conventuale: a quattordici anni si taglia i capelli e a sedici veste l’abito delle «mantellate» (o suore della penitenza), cioè delle suore terziarie di San Domenico, un’associazione di pie donne di condizione vedovile. È la prima vergine che entra a farne parte; siamo sul finire del 1364 o nel 1365.

Non va in convento, ma resta in casa ad accudire alle faccende domestiche: qui si è ricavata una piccola cella, veste la tunica bianca e il nero mantello dei Domenicani. La notte la passa pregando. Non ha compiuto studi, è ignorante; ma la sua parola ha una forza di penetrazione straordinaria. Sa parlare ai peccatori, sa parlare a chi bestemmia, sa penetrare nel cuore più indurito: Caterina ha il potere di convertire tutti, anche coloro che sono lontani da Dio da molti anni. Questa ragazza incolta e sempliciotta ha una suggestione e un fascino spirituale come nessun altro.

Ma Caterina non si limita a pregare, è anche ricolma d’amore per il prossimo. Quando a Siena scoppia la peste, ella si prodiga in mille modi, aiutando i malati, portando loro da mangiare, sollevandoli nello spirito, rincuorando i deboli, facendo coraggio ai moribondi. Non teme il contagio, e difatti contrae la peste che le sfigura il viso. La sua fama si sparge in breve tempo per tutta la Toscana: da Pisa, da Lucca, da Firenze, da Montepulciano la chiamano per avere consigli, per mettere pace.

Caterina trascorre le giornate dedicandosi attivamente alle opere di carità, curando i malati e i lebbrosi, visitando le case dei poveri per portare pane ed indumenti (a volte regalando loro persino i vestiti dei suoi familiari).

È sempre vicina alle sofferenze piccole e grandi dei suoi concittadini: dovunque vi siano persone che soffrono, porta la sua parola di conforto. Assiste anche i condannati a morte, come Niccolò di Tuldo, un gentiluomo perugino che nel 1375 viene destinato alla pena capitale per motivi politici. Il giovane è innocente e non vuole morire; Caterina va da lui, gli fa coraggio, lo rasserena. Ecco come in una delle sue lettere più famose ne descrive l’esecuzione: «Pòsesi giù con grande mansuetudine e io gli distesi el collo, e chinàmi giù e rammentàli el sangue de l’Agnello. La bocca sua non diceva se non “Gesù” e “Caterina”; e così dicendo ricevetti el capo ne le mani mie…».

Non ha paura nemmeno di affrontare tumulti popolari, come le accade a Firenze nel 1378.

Si impone anche durissime penitenze, flagellandosi e digiunando: si racconta che per cinquanta giorni si sia nutrita soltanto dell’ostia che riceveva quando si comunicava. Ha molte estasi e visioni: in una di queste le appare Cristo che le offre in dono il proprio cuore in cambio di quello di lei; in un’altra apparizione Cristo la sposa misticamente, donandole un meraviglioso anello di perle.

Caterina vive circondata da molti devoti che divengono la sua famiglia spirituale; la chiamano «mamma» e la seguono ovunque. A loro la Santa, analfabeta per molta parte della sua vita, detta i suoi pensieri e le sue lettere: ci rimangono 381 lettere, il Dialogo della divina dottrina e il Libro. Molti religiosi ed anche molti laici, spesso appartenenti a grandi famiglie toscane, le si rivolgono per ricevere ammaestramenti e consigli.

Inviata ad Avignone dal Papa, come si è già ricordato, Caterina rimane scandalizzata: la vita della città provenzale non è certo degna della sede dei Papi, e senza peli sulla lingua lo dice ai Cardinali e perfino al Pontefice. Tornata a Siena, gli invia lettere che non sono eleganti, non sono raffinate, ma sono piene di accuse, di parole roventi, di fede in Dio. Scrive a tutti, a Vescovi e a Re. Quando non può intervenire di persona, Caterina invia lettere che ancora oggi si leggono con ammirazione per la loro chiarezza e forza di convinzione. E la sua parola non rimane senza risposta.

Difatti è proprio grazie a Caterina che la sede dei Papi verrà riportata a Roma da Avignone. Gregorio XI muore il 27 marzo 1378, mentre a Sarzana è appena iniziato il convegno, da lui promosso, dei delegati di tutti i principi europei. Il Cardinale Egidio Albornoz metterà pace negli Stati Pontifici, riportando l’accordo fra le famiglie avverse e fra i vari partiti di Roma.

Caterina muore poco dopo, il 29 aprile 1380; ha solo trentatre anni.

È dichiarata Santa da Papa Pio II nel 1461. Nel 1939 il Papa Pio XII la proclama Patrona d’Italia, assieme a San Francesco d’Assisi. Nel 1970, il Papa Paolo VI la proclama Dottore della Chiesa. La sua festa si celebra il 30 aprile.

Nell’iconografia sacra, solitamente Caterina viene presentata con in mano il giglio, simbolo della sua verginità, e il libro, simbolo della sua dottrina e dell’amore di Dio. Può essere rappresentata anche con una triplice corona che fa riferimento alla sua verginità, al suo martirio (per le penitenze che si inflisse) e alla sua dottrina.

(gennaio 2014)

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