Motrone, il porto dei Cavalierati Lucchesi
Oggi scomparso, era uno dei porti più attivi del Medioevo Italiano

Quando pensiamo ai cavalieri medievali spesso consideriamo nella nostra mente le loro battaglie, le loro gesta cavalleresche. Ma non è così. I cavalieri medievali erano essenzialmente dei «mercanti» nel senso che servivano interessi mercantili e commerciali, a partire dall’Alto Medioevo e le stesse loro guerre altro non erano che la risposta in armi a traffici commerciali. Se vogliamo davvero rintracciare i cavalieri e i cavalierati, quelli più noti e discussi e quelli meno conosciuti, dobbiamo passare attraverso i loro porti e le loro tratte commerciali. Gli eserciti del passato erano sì terrestri ma anche marittimi. I più grandi cavalierati sono stati più forti e temibili sui mari che non in terra ferma.

Per comprendere tale affermazione basta rispolverare quanto gli storici hanno scritto sul condottiero lucchese Castruccio Castracani. Lui, si insiste, appartenne a una famiglia di banchieri e uomini di affari e in effetti era così. Suo padre faceva affari oltralpe e apparentemente per gli storici non era nobile. Teoria poco credibile questa. Castruccio secondo documenti di storici del passato come Monsignor Giandomenico Pacchi era un Porcarese, dunque apparteneva a una schiatta longobarda imparentata con i Da Corvaia e i Sigifredi. Tant’è che lo stesso Castruccio scrisse una Vita Matildis, a riprova del suo interesse per la nobildonna con origini lucchesi, presumibilmente Sigifrede. Non ci si improvvisava cavalieri di rango se alle spalle non c’era una tradizione familiare corposa nei cavalierati. E Castruccio non fece eccezione.

Se le gesta dei grandi condottieri italiani ed europei del Quattrocento e Cinquecento si attestano sulle esperienze di detti cavalierati, visto che lo stesso Cristoforo Colombo da molti studiosi è additato come un «erede» di congregazioni direttamente ascrivibili ai cavalierati, allora possiamo ben ammettere che i grandi cavalierati medievali europei conoscevano tutte le rotte marittime e si servivano di porti efficientissimi in Patria. Probabilmente alcuni di loro appartenevano a quelle stesse famiglie che oltre alle armi si erano dedicate a commerci e produzioni.

A partire dal Cinquecento in Toscana si costituì il Cavalierato di Santo Stefano a Livorno e i Cavalieri di Santo Stefano, primi tra tutti gli Inghirami di Volterra che lo costituirono, furono coloro che pattugliarono le coste toscane e si addentrarono in tutto il Mediterraneo per sconfiggere le navi saracene ivi presenti fino al XIX secolo.

Ma nell’Alto Medioevo e poi nel Basso Medieovo fino all’Età Moderna un altro porto che oggi nessuno conosce perché scomparso, ma importantissimo, gestì le sorti dei cavalieri toscani, primi fra tutti quelli lucchesi: il porto di Motrone.

Ripercorriamone la storia cronologica. Motrone era un porto, così si evince cercando in rete e tra le poche fonti riscontrabili, situato alla foce dell’antico fiume Versilia, chiamato anche Sala, nella località che oggi corrisponde a Marina di Pietrasanta, alla foce appunto del fiume Motrone.

Le prime notizie certe sul porto risalgono al 1084 quando viene menzionato in un Diploma concesso a Lucca da Enrico IV. Prima osservazione.

Enrico IV è il cugino di Matilde di Canossa, che in questi luoghi mantiene interessi familiari cospicui per le origini del suo quadrisavolo Sigifredo Atto dal Ducato Lucense. Evidentemente l’Imperatore amico/nemico di Matilde, voleva con questo atto salvaguardare non solo gli interessi cittadini contro le mire espansionistiche papali di Gregorio VII e dei suoi successori, ma privilegiare i così detti «fanti cugini di Matilda», per dirla con Monsignor Giandomenico Pacchi, storico muratoriano del XVIII secolo. I fanti cugini di Matilda in questi luoghi ancora «regnavano» e avevano i loro possedimenti.

Nel 1153 Lucchesi e Genovesi si accordarono affinché le merci lucchesi potessero viaggiare protette nella Repubblica di Genova per terra e per mare. Una Repubblica Marinara, quella di Genova, concorrente di Pisa e al tempo stesso potentissima. Uno Stato potente quello lucchese, indipendente e affidato non solo alla potenza del denaro dei suoi banchieri e uomini di affari ma anche degli antichi cavalierati che con accordi militari potevano proteggere a loro volta queste ricchezze.

Nell’accordo tra Lucca e Genova non si fa menzione di Motrone, un porto «fantasma» dunque, ma non troppo.

Nel 1159 fu ivi costruita dai Lucchesi una fortezza in pietra al posto di quella di legno esistente e i Pisani si rivolsero per l’occasione a Federico Barbarossa il quale il 2 aprile 1162 ordinò la sua distruzione. I Lucchesi però non volevano la distruzione del forte e, anzi, con l’aiuto dei Genovesi fu completato. I Genovesi ottennero in cambio alcuni magazzini nel porto dopo il Trattato di Lerici firmato appunto da Genovesi e Lucchesi nel 1166.

Purtroppo nel 1170 i Pisani assaltarono il forte di Motrone, lo espugnarono dopo tre giorni e lo distrussero, anche perché i Genovesi non avevano mandato gli aiuti necessari per fronteggiare i Pisani.

A quel punto i Pisani si accorsero che il porto era indifeso e facilmente attaccabile e si accinsero a costruire la fortezza di Motrone.

Nel 1172 la fortezza venne riconquistata dai Lucchesi e solo nel 1181 fu firmato un Trattato di Pace tra Lucchesi e Pisani in virtù del quale i Lucchesi avrebbero dovuto comprare il sale esclusivamente dai Pisani in cambio di metà dei profitti del monopolio su di esso e del pattugliamento della costa.

Per molto tempo non si parlò di Motrone ma nel 1254 i Fiorentini stabilirono in una pace che i Pisani dovevano restituire la fortezza ai Lucchesi. Il forte di Motrone ritornò in mani lucchesi solamente dopo la vittoria dei Fiorentini sui Pisani nel 1256. Tuttavia, nel 1264, dopo la battaglia di Montaperti avvenuta nel 1260, i Ghibellini si rivolsero anche a Lucca, costringendo i Lucchesi a riconsegnare la fortezza alle truppe di Guido Novello.

Da queste poche righe si evince come il porto avesse una sua importanza strategica e soprattutto come coloro che lo bazzicavano, cavalierati in testa, avessero un forte potere decisionale e commerciale, tale da contrastare la forza considerevole di Repubbliche Marinare fortissime come Genova e Pisa e dunque di Papi che di riflesso ne vennero coinvolti.

Dobbiamo quindi fare marcia indietro e addentrarci nel periodo medievale in cui di Motrone non abbiamo notizie certe, ossia prima del 1084.

Gli studi della dottoressa Maria Pia Branchi dell’Università di Parma[1] e della Professoressa Carlotta Taddei[2] ci aprono orizzonti nuovi.

I cavalieri medievali lucchesi, a partire dall’Alto Medioevo, transitavano certamente per Motrone. Ma come scoprirlo? Le due studiose ci parlano di una pieve in particolare, quella di Diecimo, che aveva un’importanza strategica ben definita, che rientra nei possedimenti matildici, ma che apparentemente non aveva niente a che vedere col mare e con Marina di Pietrasanta.

Non doveva essere così. La Francigena transitava per Camaiore, Pietrasanta e terre versiliesi in direzione Francia. Ma sappiamo che esisteva una via alternativa e parallela alla Francigena, che transitava per la Valle del Serchio diretta nell’attuale Garfagnana e molto transitata anch’essa in alternativa dai pellegrini. Ma anche dai cavalieri. A Diecimo i cavalieri facevano una deviazione. In località Convalle, non lontano da Diecimo, è tutt’ora presente una strada provinciale che collega il paese medesimo a Gombitelli e alla Freddana[3]. Poi, risalendo il Monte Pitoro, era semplice arrivare a Pieve e a Elici e da qui a Stiava, e dritto dritto, a Marina di Pietrasanta (questa volta in direzione di Viareggio). Ho ripercorso recentemente questa strada con indubbio interesse. Sicuramente la Freddana come ricorda la dottoressa Branchi, poteva essere la via più diretta a Camaiore e poi a Pietrasanta, verso l’Auvergne e le terre francesi, ma i cavalieri avevano anche modo di «nascondersi» in questi anfratti facilmente percorribili perché non in altura e al tempo stesso ben protetti. La via che ho descritto era agevole per i Lucchesi che percorrendola velocemente potevano raggiungere i luoghi del porto di Motrone.

Con la decadenza del porto di Luni, non distante dai territori ascritti, il porto di Motrone e il suo fortilizio furono la risultante del cambio di destinazione di traffici e commerci di ogni genere. Una grande città commerciale non può non avere il suo porto e Lucca, grande città commerciale, aveva in Motrone la sua base commerciale sul Mediterraneo.

Credo che la presenza di Pisa e le difficoltà storiografiche dovute ai pochi documenti esistenti e alla scomparsa stessa di Motrone abbiano contribuito all’oblio che ha caratterizzato questo importante avamposto nel Mediterraneo.

Agli inizi del Trecento i cavalierati, almeno ufficialmente, entrarono in crisi. Non così il porto di Motrone. Ciò a conferma del ruolo da protagonista che dovette avere.

I Lucchesi avevano ottenuto nuovamente il porto nel 1266, con la sconfitta di Manfredi di Sicilia a Benevento. Fu grazie a Carlo I d’Angiò che i Lucchesi ottennero nuovamente il forte di Motrone nel 1268. Dopo essere stato incluso nella Vicaria di Camaiore nel 1308, nel 1314 grazie a un’alleanza tra Uguccione della Faggiola (Pisano) e alcuni capi ghibellini lucchesi (tra cui anche Castruccio Castracani) il porto fu di nuovo riconquistato dai Pisani. Nonostante ciò, Castruccio tradì e nel 1317 il forte di Motrone ritornò sotto i Lucchesi.

Dopo la morte di Castruccio, che aveva come obiettivo quello di rafforzare ulteriormente il forte, questo passò nuovamente ai Pisani, per un Privilegio del 1328 di Ludovico il Bavaro.

Lucca in quel periodo subì quella che la storiografia definisce una sorta di «servitù babilonese». Restò sottomessa a Pisa, sino al 1369 quando Carlo IV Re di Boemia intervenne in suo favore. Fino a quel periodo il porto di Motrone cambiò molti proprietari, a conferma di quanto fosse ambito e conteso: Gherardo Spinola (Genova), 1331; i Rossi, Signori di Parma; Mastino della Scala (Verona); i Fiorentini; il Vescovo di Luni; i Visconti di Milano; Pisa (1345) fino al 1369.

Nel 1403 i Fiorentini ottennero dai Lucchesi di poter usare il porto di Motrone. Il porto venne così usato dalle più illustri famiglie fiorentine e le merci che ivi sbarcavano e si imbarcavano erano di grande varietà: ferro, grano, pesce salato, sale, panni fiamminghi, lane inglesi, di Sardegna; ma anche catalani, provenzali, materie tintorie, allumi, pelli, agnelline di Scozia. Possiamo pensare a epoche ricchissime di traffici, in cui il porto fu ampiamente coinvolto e che rendono la misura degli interessi e dei traffici ivi presenti.

Fu la fine della Signoria di Paolo Guinigi intorno al 1430 a decretare la decadenza del porto. Fino alla sua definitiva scomparsa con la creazione del Porto Labronico, molto più agevole per la Signoria Medicea e per la Toscana Centrale. Passando da Convalle, come ho ricordato, sita nel comune di Pescaglia, confinante con quello di Lucca, ho per pura casualità riscoperto una via che non conoscevo, una strada provinciale ben tenuta ma stretta, una sorta di senso unico ma percorribile nei due sensi di marcia. In verità di qui anche oggi sono in pochi a transitare, quindi ciò giustifica questa doppia possibilità di transito.

Dopo aver percorso una strettoia per circa sette chilometri, ci possiamo immettere nella via che conduce prima al paesino di Gombitelli, altra frazione collinare sita nel comune di Camaiore e da lì sulla strada che conduce al Monte Magno, che divide Lucca da Camaiore.

Sia transitando dal Monte Magno, sia transitando dal Monte Pitoro, che conduce presso Stiava, e dunque in direzione Viareggio, i cavalieri medievali lucchesi si dirigevano più a Nord, dove oggi abbiamo Marina di Pietrasanta e dove allora si creò il porto menzionato. Del resto come avrò modo di descrivere in un articolo su un sito del FAI particolarmente suggestivo, queste terre con strade percorribili, spesso parallele e/o alternative alla Via Francigena, segnavano quella che gli storici definiscono la «via del sale», che tra l’altro aveva sue diramazioni, non ultima quella che attraversava tutta la Garfagnana e si dirigeva verso la Pianura Padana.

Ma il mare era il mare, e i cavalieri marinai erano degli autentici pirati dell’immaginario e insieme dei traffici commerciali, delle rotte marittime. Un mondo che possiamo ben dire sommerso, ma che fa agli occhi di chi lo scopre per la prima volta lo stesso effetto di un galeone rintracciato. Riaccende la fantasia, domande inesplorate, inebria gli animi. Questo l’effetto che l’ormai scomparso porto di Motrone suggerisce.


Note

1 Maria Pia Branchi, Un esempio di Archeologia dell’architettura su edifici e pievi: la pieve di Santa Maria di Diecimo-Lucca.

2 Carlotta Taddei, Lucca tra il IX e il XII secolo: territorio, architetture, città, Step Parma Università, dipartimento dei Beni culturali e dello Spettacolo, sezione Arte, quaderni, 23, pagine 422-427.

3 Via di transito che collega Lucca a Camaiore nel fondovalle.

(marzo 2020)

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