Vilfredo Pareto e la società delle élite
Il sociologo che mise in luce i limiti della democrazia

Vilfredo Pareto, per i non esperti è un personaggio poco conosciuto, tuttavia nel campo dell’economia e della sociologia ha avuto un’influenza eccezionale. I suoi scritti dei primi del Novecento sconcertarono molti all’epoca, la democrazia non era esattamente quel sistema politico dove i comuni cittadini avevano modo di far sentire la loro voce, ma un tipo di organizzazione sociale come quelle che l’hanno preceduta, dove «regnavano» delle élite ovvero delle oligarchie. La maggiore differenza con i sistemi politici del passato era che il governo «dei pochi» era più mascherato. In realtà Pareto non era assolutamente contrario al governo democratico, solo che riteneva inevitabile che si formassero sempre dei gruppi relativamente ristretti di uomini potenti con varie caratteristiche. In alcune società del passato emergevano gli esperti nell’arte della guerra, in altre i mercanti, in altre ancora i sacerdoti, eccetera. Una élite più o meno mascherata emerge, prospera, successivamente anche in virtù della sua posizione accomodante si indebolisce ed emerge un’altra che afferma di voler dar voce agli scontenti ma la massa rimane sempre ai margini del potere e sostanzialmente ingannata. Per il suo modo smaliziato di studiare la società è stato accostato a Machiavelli, ma entrambi non esaltavano le concentrazioni di potere, semplicemente le ritenevano inevitabili.

Vilfredo Pareto proveniva da una famiglia benestante ma che aveva conosciuto problemi politici nello stato preunitario. Studiò ingegneria con profitto ma ben presto si appassionò di economia e formulò diverse teorie innovative nel settore dove sosteneva la validità dei sistemi basati sul libero mercato; passò successivamente alla sociologia, materia per la quale è maggiormente noto. La sua teoria sulle élite influenzò molti studiosi, da Gaetano Mosca al sociologo tedesco italianizzato Robert Michels e in anni successivi numerosi autori americani. Negli ultimi anni di vita espresse dei giudizi positivi su Mussolini e il fascismo, venne criticato da Gramsci ma questi nella sua teoria della egemonia culturale implicitamente ammetteva una società con gruppi ristretti dominanti.

Attraverso gli studi storici, Pareto notò che un gran numero di comportamenti umani erano azioni non razionali (non logiche, o residui secondo la sua terminologia) ma mascherate (derivazioni) in maniera da sembrare utili o giuste. Così come atti politici finalizzati al potere o all’arricchimento venivano presentati sotto tutti i regimi come rivolti al bene comune.

Le élite come facilmente si può comprendere venivano divise in due categorie, quelle che detengono il potere e quelle che aspirano a sottrarglielo. «La nuova aristocrazia, che vuole cacciare l’antica o anche solo essere partecipe dei poteri e degli onori di questa, non esprime schiettamente tale intendimento, ma si fa capo a tutti gli oppressi, dice di voler procacciare non il bene proprio ma quello dei più». La vecchia classe dirigente indebolita da pigrizia che nasce dal disporre di posizioni di comodo, dovrà cedere il passo agli emergenti o assimilandoli nei posti di potere o venendo allontanata con la forza.

Lo studioso di poco successivo Gaetano Mosca seguì il pensiero del maestro con alcune innovazioni. Chi detiene il potere «intellettuale» aspirerebbe a ottenere quello «materiale». A sua volta, chi detiene il potere «materiale» necessita di giustificarlo «mercé il sussidio di qualcuna almeno delle forze intellettuali o morali», da qui vari compromessi e concessioni al gruppo intellettuale. «È vero, come ci ha insegnato Karl Marx che la storia dell’umanità è una storia di lotta, ma non si tratta di lotta economica, bensì di lotta politica. È lotta tra una minoranza che vuole continuare a essere classe politica e un’altra minoranza che aspira a diventarlo».

Robert Michels, affermato sociologo, fu socialista, poi deluso dal comportamento acquiescente dei socialisti tedeschi, passò al sindacalismo rivoluzionario e successivamente al fascismo. Michels chiamò «sostituzione dei fini», il fatto che «l’organizzazione, da mezzo per raggiungere uno scopo, diviene fine a se stessa», i capi politici favoriscono la prudenza, l’immobilismo e sostanzialmente il conservatorismo. Questa oligarchia acquista progressivamente una gran capacità di mantenere il potere e pur di non perdere la posizione di dominio, «ama mutar di maschera e di coccarda».

Vilfredo Pareto vide solo in parte (morì nel 1923) l’emergere delle organizzazioni delle masse, manipolabili quando non autodistruttive, che fornirono una conferma alle sue teorie. Le vicende della Russia e degli altri paesi comunisti del Novecento sono molto significative. Il proletariato urbano e contadino combatté e distrusse la classe antagonista borghese per ritrovarsi sotto forme di oppressione di gran lunga peggiori delle precedenti. La fiducia nei «rivoluzionari di professione» guida delle masse disciplinate, espressione molto utilizzata da Lenin, risultò decisamente controproducente.

In ogni caso anche i gruppi politici fortemente ideologizzati o con notevoli connotati etico-politici finiscono per divenire burocrazia e ordinaria amministrazione come vediamo oggi nei paesi che ancora si proclamano comunisti ma dai lineamenti molto incerti. Si nota una forte differenza fra comunisti di prima generazione più violenti e la seconda in cui si accontentano di reprimere il dissenso, fino ad arrivare a un «modus vivendi» con il resto della società impostato sulla semplice conservazione del potere. Di tale situazione scrisse un importante politico comunista jugoslavo, Milovan Gilas, nell’Unione Sovietica e negli altri paesi comunisti si erano consolidate delle oligarchie, una nuova classe dominante, il cui potere «è il più assoluto conosciuto finora dalla storia». Venne condannato per tali affermazioni anche se difficilmente contestabili.

Negli anni Ottanta abbiamo avuto grandi cambiamenti a livello mondiale. Molti paesi si sono aperti alla democrazia, ma in una parte di essi dove l’idea di libertà non era consolidata, si è avuta una particolare forma di governo che possiamo considerare democrazia autoritaria. In questo nuovo tipo di stato esistono partiti, una sostanziale o almeno parziale libertà d’opinione, elezioni relativamente regolari, ma gli organi rappresentativi non sono in grado di condizionare in alcuna forma il governo perché questo dispone di strumenti coercitivi o anche semplicemente intimidatori tali da porre in totale soggezione i singoli deputati e i parlamenti. Questi ultimi pur avendo sulla carta grandi poteri accettano un ruolo di comparsa.

Interessante notare che anche la nostra giovane repubblica risentiva di fatto dello scarso potere della cittadinanza. Negli anni Sessanta un importante leader della sinistra moderata, Randolfo Pacciardi, scrisse che la democrazia era stata sostituita di fatto da una partitocrazia e che il Parlamento non era più un organo decisionale ma di semplice esecuzione delle disposizioni prese dai vertici dei partiti, una considerazione che trovava valide basi d’appoggio.

In generale la teoria delle élite ci porta a esprimere una particolare valutazione sulla democrazia. Per funzionare necessita, diversamente dagli altri sistemi politici, di una società con un buon livello d’istruzione e di una informazione adeguata. L’informazione per essere valida deve essere diversificata, cioè provenire da fonti in qualche modo differenziate e contrastanti. In Italia abbiamo risentito negli anni Settanta della egemonia culturale della sinistra e successivamente degli intellettuali «politically correct» che avevano alterato la storia contemporanea e la questione dei regimi totalitari utilizzando luoghi comuni che sorprendono molto per la loro superficialità, le élite del nostro paese hanno avuto modo di dominare, almeno sul piano del modo di pensare, il resto della popolazione.

(gennaio 2021)

Tag: Luciano Atticciati, Vilfredo Pareto, Gatano Mosca, Robert Michels, circolazione delle elité, élites, oligarchie, residui, derivazioni.