Il Biennio Rosso in Italia e il mito sovietico
Dopo la Rivoluzione d’Ottobre, i movimenti politici della Sinistra italiana progettarono la fondazione di uno Stato sul modello sovietico

È difficile comprendere l’ascesa del fascismo senza considerare il quadro politico generale di quell’epoca e soprattutto la formazione di movimenti estremistici di Sinistra che intendevano apertamente distruggere le classi sociali considerate antagoniste e imporre un regime totalitario sul modello sovietico. Il 1890 aveva segnato il momento della svolta in senso moderato dei partiti socialisti, ma negli anni successivi tale spinta si esaurì nonostante le classi popolari avessero conseguito importanti risultati. Nel primo decennio del Novecento molti Paesi europei introdussero il suffragio universale e la contrattazione collettiva, nel periodo immediatamente successivo alla fine della Grande Guerra, venne introdotta la giornata lavorativa di otto ore. Molti storici ritengono che i disastri della guerra riguardarono sul piano economico molto più i ceti medi che quelli popolari, tuttavia il proletariato continuava a seguire i leader più duri e fanatici e a sentirsi del tutto estraneo allo Stato. Il mito della Rivoluzione d’Ottobre ebbe conseguenze terribili, e spinse tanta gente a credere alla imminente fine dello «Stato borghese» e alla nascita di un utopico nuovo mondo dove le masse dei lavoratori avrebbero guidato le Nazioni.

Nel periodo precedente anche nel nostro Paese si ebbe l’impressione di una possibile evoluzione politica pacifica, il governo aveva rinunciato ad attuare una politica repressiva dopo l’uccisione del Re nel 1900, ed anzi Giolitti espresse apertamente il proposito di non voler adoperare i suoi poteri nei conflitti sindacali. Il decollo industriale era iniziato, e con esso una serie di miglioramenti economici per tutte le componenti economiche del Paese, e di tale sviluppo ne beneficiò anche il Meridione che vide in quegli anni attuarsi diverse leggi speciali per far fronte alle situazioni più gravi. Tuttavia un cambiamento forte del clima culturale spinse la società a fare meno affidamento sull’idea di un confronto civile delle opinioni e di un progresso graduale che appianasse i problemi della società. Espressione in qualche modo di tale cambiamento furono i sindacalisti rivoluzionari. Questi credevano in un’azione spontanea dei lavoratori non legata a movimenti politici gerarchicizzati che privilegiasse l’agitazione sull’azione parlamentare. Nello stesso periodo il giovane leader del socialismo rivoluzionario, Benito Mussolini, rilanciava l’idea di un socialismo irruento che non avesse per fine le semplici conquiste economiche e materiali, ma che avesse lo scopo del rovesciamento dell’intera società considerata mediocre e priva di ideali. I socialisti e l’estrema Sinistra in genere avevano avuto una forte tendenza agli scontri interni e alle divisioni, la guerra di Libia e la successiva Grande Guerra ne furono l’occasione, scissioni ed espulsioni costellarono la loro intera vita. La Prima Guerra Mondiale, con le sue tragedie, di cui furono ritenute responsabili le alte classi sociali, spinse molti, anche nel ceto medio, a orientarsi a Sinistra, ma ancora più forti furono le emozioni suscitate dalla Rivoluzione d’Ottobre. Il nuovo governo russo si dimostrò da subito repressivo e antidemocratico, anarchici e socialisti, oltre ai cosiddetti «nemici del popolo», conobbero una grande quantità di arresti, il potere degli operai nelle fabbriche risultò di brevissima durata, le città conoscevano la fame, ma il mito rivoluzionario esercitava un fascino notevole.

La nuova situazione politica mise definitivamente in crisi i riformisti e diede vita ad un socialismo vicino al modello russo, rivoluzionario come quello degli anni precedenti, ma decisamente più chiuso e cupo. I socialisti persero la vitalità che li aveva caratterizzati negli anni precedenti, e nei loro scritti divennero prolissi, dogmatici ed estremamente ripetitivi. Tali scritti denotano la tendenza alla ripetizione di formule stereotipate, privi di qualsiasi originalità, non dissimili da quelli di una setta.

Già nel 1918 il partito socialista si era orientato a favore di un programma incentrato sulla dittatura del proletariato e a favore di una rivoluzione sulle orme di quella bolscevica, la direzione del partito nel dicembre di quell’anno si espresse a favore di una «azione immediata» in tal senso. Ma l’evento più notevole fu la successiva adesione alla Terza Internazionale. La nuova organizzazione fondata da Lenin prevedeva esplicitamente che: «La dittatura del proletariato è affine alla dittatura delle altri classi solo in quanto è imposta, come ogni altra dittatura, dalla necessità di schiacciare con la violenza la resistenza della classe che perde il suo dominio politico» e stabiliva dei metodi altrettanto chiari per arrivare a tale obbiettivo: «La conquista del potere politico da parte del proletariato significa annientamento del potere politico della borghesia… l’armamento del proletariato, dei soldati rivoluzionari e della guardia rossa operaia; l’allontanamento di tutti i giudici borghesi e l’organizzazione di tribunali proletari». Tale programma non rimaneva sulla carta, in tutto il Biennio Rosso si ebbero un gran numero di violenze contro proprietari terrieri, manifestazioni violente, e il tentativo, con l’occupazione armata delle fabbriche dell’estate del 1920, di dar vita a una rete di soviet. Il congresso del partito socialista nell’ottobre del 1919 fu anche più esplicito, la corrente maggioritaria, quella che faceva capo a Giacinto Serrati, affermava: «La rivoluzione russa il più fausto evento della storia… il proletariato dovrà ricorrere all’uso della violenza per la difesa contro la violenza borghese, per la conquista del potere… [e] l’abbattimento violento del dominio capitalistico». Tale corrente non fu la più estremista, quella capeggiata da Amadeo Bordiga, direttore del giornale «Il Soviet», sosteneva l’opportunità che il partito socialista non si presentasse alle elezioni per preparare meglio il percorso rivoluzionario, e nei mesi successivi si diede un’organizzazione «frazionista» per la costituzione del partito comunista. In un documento del maggio dell’anno successivo si stabiliva: «Lo scopo dell’azione del partito comunista è l’abbattimento violento del dominio borghese… con la esclusione dei borghesi dal diritto elettorale… Il partito comunista si allena ad agire come uno stato maggiore del proletariato nella guerra rivoluzionaria; esso perciò prepara ed organizza una propria rete di informazioni e di comunicazioni; esso sostiene ed organizza soprattutto l’armamento del proletariato». Nell’ottobre successivo un nuovo documento della medesima organizzazione ribadiva la «preparazione dell’azione insurrezionale», e sulla base di quanto approvato dall’Internazionale Comunista, si poneva l’accento sulla disciplina di partito e la massima centralizzazione dell’apparato decisionale.

Il 2° congresso della Terza Internazionale, nell’agosto del 1920, stabilì più in dettaglio i principi a cui i partiti aderenti dovevano attenersi: «La stampa periodica e non periodica e tutte le pubblicazioni di partito debbono essere completamente subordinate alla direzione del partito… è necessario bollare a fuoco, in modo sistematico e implacabile, non soltanto la borghesia ma anche i suoi complici, i riformisti di qualunque sfumatura… assolutamente necessario combinare l’attività legale con quella clandestina… I partiti appartenenti all’Internazionale Comunista debbono essere strutturati in base al principio del centralismo democratico. Nella fase attuale di guerra civile acutizzata, il partito comunista sarà in grado di compiere il proprio dovere soltanto se sarà organizzato il più possibile centralisticamente, se in esso dominerà una disciplina ferrea». Tale documento provocò rivolgimenti e spaccature in tutti i partiti socialisti europei, non solo perché prevedeva l’eliminazione dei riformisti, ma anche per gli inviti alla violenza (ribaditi anche in altri documenti congressuali) e allo stato di sottomissione dei militanti nei confronti degli organi direttivi. Riformisti turatiani, comunisti «unitari» di Serrati e comunisti «puri» di Bordiga accettarono tutti il durissimo diktat dell’Internazionale, ma i primi due gruppi con alcune riserve, e questo porterà alla rottura, anche perché i Russi, che ebbero da subito la preminenza in essa, imposero l’espulsione di Turati.

Il gruppo di Bordiga decise la rottura definitiva con gli altri gruppi e la costituzione nel gennaio del 1921 del Partito Comunista d’Italia Sezione dell’Internazionale Comunista, organizzazione che confermava anche nella sua denominazione la forte dipendenza alle direttive dell’Unione Sovietica. Il programma di costituzione del nuovo partito non fu meno terribile dei documenti approvati in precedenza: «Il proletariato non può infrangere né modificare il sistema dei rapporti capitalistici di produzione da cui deriva il suo sfruttamento, senza l’abbattimento violento del potere borghese… Dopo l’abbattimento del potere borghese, il proletariato non può organizzarsi in classe dominante che con la distruzione dell’apparato sociale borghese e con la instaurazione della propria dittatura, ossia basando le rappresentanze elettive dello Stato sulla sola classe produttiva ed escludendo da ogni diritto politico la classe borghese… La forma di rappresentanza politica dello Stato proletario è il sistema dei consigli dei lavoratori (operai e contadini), già in atto nella rivoluzione russa… La necessaria difesa dello Stato proletario contro tutti i tentativi contro-rivoluzionari può essere assicurata solo col togliere alla borghesia ed ai partiti avversi alla dittatura proletaria ogni mezzo di agitazione e di propaganda politica, e con la organizzazione armata del proletariato per respingere gli attacchi interni ed esterni». La storica rottura non darà vita a una nuova situazione stabile nella Sinistra, e si accompagnerà con un deciso calo del numero di militanti e di voti nelle zone operaie dove maggiori erano state le lotte. I duri contrasti tra i movimenti di Sinistra, e l’attesa eccessiva del momento fatidico rivoluzionario, porteranno ad uno sbandamento. Non molto tempo dopo i riformisti turatiani saranno espulsi dal partito socialista e il gruppo di Serrati andò a confluire nel partito comunista, mentre quest’ultimo vide il duro contrasto fra bordighiani e gramsciani riguardo al contrordine dell’Internazionale Comunista che stabiliva la realizzazione di un «fronte unico» con i socialisti. Anche di fronte all’avanzata del fascismo, la Sinistra mantenne i suoi atteggiamenti intransigenti, nel ’21 la piattaforma elettorale dei riformisti parlava di espropri ampi e generalizzati, nello stesso periodo Bordiga scrisse: «Nessuno che sia comunista può affacciare pregiudiziali contro l’impiego dell’azione armata, delle rappresaglie, anche del terrore, e negare che il partito comunista debba essere il diretto gerente di queste forme di azione che esigono disciplina ed organizzazione. Così pure è bambinesca quella concezione secondo la quale l’uso della violenza e le azioni armate sono riservate alla “grande giornata” in cui sarà sferrata la lotta suprema per la conquista del potere. È nella realtà dello sviluppo rivoluzionario che urti sanguinosi tra il proletariato e la borghesia avvengano prima della lotta finale».

(luglio 2010)

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