Corfù e la crisi italo-ellenica del 1923
Momenti della politica estera italiana nella prima fase del Ventennio

Il 27 agosto 1923 una missione italiana che era stata destinata a dirimere le controversie circa il confine tra Albania e Grecia venne trucidata in agro di Joannina, e quindi in territorio ellenico, in circostanze che non è stato mai possibile chiarire definitivamente: caddero il Generale Enrico Tellini, Capo della missione, il Maggiore Luigi Corti, il Tenente Mario Bonacini, il Militare Autista Remigio Farnetti, e l’Interprete Thanassi Gheziri. Al riguardo, senza escludere la pista della delinquenza comune, la storiografia prevalente è sembrata orientarsi verso quella di un delitto compiuto da nazionalisti greci, col possibile apporto di esecutori materiali appartenenti al brigantaggio locale[1].

Da circa dieci mesi il Governo Italiano era presieduto da Benito Mussolini, quale Primo Ministro di un Gabinetto di coalizione in cui i fascisti, compreso il Presidente del Consiglio, erano soltanto quattro. Nondimeno, la reazione ispirata dal novello Duce fu improntata ai canoni essenziali della politica «realistica» a suo tempo inaugurata dal Cancelliere Tedesco Otto von Bismarck: all’indomani dell’eccidio, l’Italia, nonostante la permanenza al Ministero degli Esteri di un Segretario Generale assai prudente come l’Ambasciatore Salvatore Contarini, fece recapitare alla Grecia un ultimatum con cui si chiedevano scuse formali e onori alla bandiera, pena capitale a carico dei responsabili, e un indennizzo pari a 50 milioni di lire. La richiesta venne parzialmente disattesa da Atene, e per tutta risposta fu seguita dall’invio di quattro corazzate[2] nella rada di Corfù e dall’occupazione dell’isola, preceduta da un bombardamento navale di dubbia utilità diretto dall’Ammiraglio Emilio Solari, che avrebbe provocato la morte di venti civili e il ferimento di altri trenta.

Si apriva quella che sarebbe passata alla storia come crisi di Corfù, e che per qualche momento parve indurre rinnovati venti di guerra, nonostante l’invito alla calma formulato da diversi Ministri Italiani, e in particolare dal titolare della Marina, Ammiraglio Paolo Thaon di Revel. Infatti, la Grecia chiese subito l’intervento della Società delle Nazioni, forte della vicinanza britannica, mentre l’Italia, grazie al gioco delle parti, ebbe modo di appoggiarsi alla Francia.

Nell’occasione, la diplomazia avrebbe avuto ragione degli eventi, anche perché la Conferenza degli Ambasciatori, allertata dalla stessa Società delle Nazioni, riconobbe la legittimità delle attese italiane, sia pure limitatamente all’indennizzo finanziario e agli onori militari che sarebbero stati riconosciuti nel porto di Falero, presso Atene. Non altrettanto accadde per la punizione dei responsabili, che del resto non vennero mai scoperti, nonostante l’affidamento delle indagini a una Commissione mista italo-franco-britannica, i cui lavori si sarebbero protratti per parecchi mesi dopo la chiusura formale della crisi, che ebbe luogo il 27 settembre con l’evacuazione di Corfù e il ritiro delle corazzate.

Per l’Italia si trattò di un successo formale significativo, tanto più che il nuovo Governo, in carica da pochi mesi, si era trovato ad affrontare la prima crisi internazionale di ampio respiro, ma nella sostanza gli scopi reali dell’azione su Corfù non vennero raggiunti.

In effetti, Mussolini aveva coltivato la speranza di poter iterare quanto stava accadendo per il Dodecaneso, conquistando col minimo sforzo anche Corfù, e facendola diventare un punto di forza italiano nello scacchiere balcanico: speranza non infondata, se non altro perché la Grecia stava uscendo dalla difficile guerra contro la Turchia, conclusasi verso la fine del 1922 con l’arrivo di tanti profughi provenienti dalle regioni anatoliche già appartenute alla sovranità ellenica, e con alti sacrifici, compresi quelli di vite umane. Era un altro esempio di politica «realistica» che d’altra parte costituiva il minimo comun denominatore nell’azione delle maggiori Potenze.

Nondimeno, le conseguenze di Corfù furono tutt’altro che trascurabili nel quadro di un effetto domino non certo svantaggioso per l’Italia. La prima avrebbe riguardato la questione di Fiume, che l’Italia non aveva ancora formalizzato dopo la rimozione del Governo autonomista che era subentrato a quello della Reggenza dannunziana: infatti, l’invio del Generale Gaetano Giardino quale Governatore della città sarebbe avvenuto soltanto il 23 settembre 1923, in stretta concomitanza con la vicenda di Corfù. Ciò, senza dire che l’atteggiamento risolutivo manifestato da parte italiana non fu alieno dal consigliare una linea duttile alla stessa Jugoslavia, per giungere in breve tempo al trattato di Roma del 27 gennaio 1924 che avrebbe risolto il problema di Fiume con la cessione definitiva della città all’Italia, e con l’attribuzione della sovranità di Belgrado sulle zone alla sinistra dell’Eneo.

Un secondo risultato positivo fu l’acquisizione di una sostanziale mano libera nel Dodecaneso, con l’archiviazione del trattato italo-ellenico del 29 luglio 1919, anche se, in un’ottica di lungo periodo, ciò avrebbe costituito una sorta di pietra d’inciampo, se non altro per il supporto fornito agli elementi greci sensibili al richiamo irredentista, sempre forte in un’epoca di non sopite rivendicazioni territoriali, non soltanto nell’area balcanica.

Per quanto riguarda le questioni di politica interna, la crisi di Corfù, con la sua rapida maturazione in senso sostanzialmente cooperativo, sia pure dopo un iniziale atto di forza, deve essere interpretata alla stregua di un fascismo non ancora in grado di dettare legge su tutti i fronti, alla luce della composizione articolata del Governo e dell’influenza di un’alta burocrazia ancora vincolata a regole di comportamento del periodo liberale. Si sarebbe dovuto attendere l’inizio del 1925 perché le cose andassero a evolvere in senso compiutamente autoritario.


Note

1 Luigi Salvatorelli, Storia d’Italia nel periodo fascista, Edizioni Einaudi, Torino 1956, pagine 272-275. Più categorico nell’attribuire il massacro al movimento nazionalista greco è il giudizio di Ernesto Ragionieri, Storia d’Italia, volume XII, Dall’Unità a oggi, Edizioni Einaudi-Il Sole 24 Ore, Milano 2005, pagina 2.155 (laddove lo storico fiorentino riferisce dell’uccisione di Enrico Tellini e del suo aiutante, ma ignorando quella degli altri componenti della delegazione). La bibliografia sulla questione di Corfù è piuttosto asciutta, specialmente nell’ambito storiografico italiano; invece, un contributo esauriente è quello di James Baron, The Corfu Incident of 1923. Mussolini and the League of Nations, University Press, Princeton 1965 (si veda anche la nuova edizione del 2016, 362 pagine, con ampio concorso di documenti e fonti diplomatiche).

2 Più specificamente, si trattava delle corazzate Conte di Cavour, Giulio Cesare, Andrea Doria e Caio Duilio: queste navi strinsero l’isola in una sorta di assedio marittimo che sembrava manifestare espressioni di non belligeranza armata, come quella subita da Fiume durante l’ultimo periodo della Reggenza dannunziana.

(ottobre 2019)

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