San Gennaro è Napoli. Napoli è San Gennaro
Storia di una lunga devozione
Al Napoletano puoi toccare tutto ma non San Gennaro (e il calcio Napoli, scusate l’assurdo accostamento); ogni nuovo Regnante, ogni nuovo sindaco, non importa se laico o religioso, si è dovuto confrontare, ieri come oggi, con San Gennaro e la fede incrollabile che i Napoletani hanno verso l’unica vera istituzione socialmente riconosciuta, unico vero protettore della città, unico punto fisso che non verrà mai messo in discussione, non importa se si crede oppure no al miracolo, è, e rimarrà, l’unica figura a cui il popolo napoletano guarda realmente nel momento del bisogno.
Si può dire che tutto cambia, tutto si evolve ma San Gennaro o «faccia gialla», altro appellativo dato al Santo protettore, è lì già da almeno 1500 anni.
Offendere San Gennaro è chiaramente offendere la città così come alterare il particolare equilibrio che c’è tra la Curia e la Reale Deputazione della Cappella del Tesoro di San Gennaro, chiamata semplicemente Deputazione, è come fare uno sgarbo ai Napoletani. Così come bloccare l’accesso al Duomo con l’eventuale pagamento di un biglietto, senza fare una corretta distinzione tra il Napoletano e il turista, significa bloccare il rapporto quotidiano che c’è tra il Napoletano e il suo Santo Patrono nel luogo che lo custodisce.
È cronaca di questi tempi la rinfocolata tensione tra la Deputazione e la Curia in seguito ad un decreto del Viminale in cui la suddetta istituzione laica viene «retrocessa» in Fabbriceria, ma il perché ciò abbia scatenato un’ondata di protesta va veramente spiegato con calma seppur a grosse linee, perché, in poche parole, San Gennaro e la sua illustre dimora non si toccano.
Prima di fare una breve ricostruzione storica sulla nascita della Deputazione e il rapporto tra il Santo e la sua città, va spiegata la differenza tra la Fabbriceria e la Deputazione: per Fabbriceria si intende un organismo che ha il compito di provvedere, senza intervenire nei servizi di culto e senza gestire i proventi derivanti dall’amministrazione del patrimonio, alla sola manutenzione ed al restauro della chiesa o bene cui è preposta. Il consiglio d’amministrazione, inoltre, è composto da soggetti laici ed ecclesiastici che sono nominati dal Vescovo il quale deve dare anche un plauso sui membri laici. Può essere soppressa, su decreto del Ministero dell’Interno, se non ha più un bene da amministrare.
Al contrario, la Deputazione è un’istituzione autonoma e laica, i membri che la compongono sono sempre stati scelti periodicamente dalle famiglie più antiche e nobili inscritte nel Libro d’Oro di Napoli e dai membri del Sedile del Popolo, i quali sceglievano due membri per Sedile in modo da garantire la rappresentanza di ogni ceto sociale; oggi il consiglio viene sempre scelto con lo stesso criterio ma deve essere approvato con un decreto del Presidente della Repubblica.
I dodici membri così eletti avevano ed hanno il compito di gestire il culto, la cappella, le preziosissime reliquie e l’immenso tesoro del Santo, affidando la parte più specificamente religiosa ad un Abate, insieme ad altri prelati segnalati dal Cardinale ed accettati da tutti i membri; l’Abate, insieme alla Deputazione, possiede la chiave del forziere in cui è racchiuso il prezioso sangue.
Con il decreto del Viminale tutta l’autonomia laica mantenuta nei secoli dalla Deputazione andrebbe fortemente ridimensionata a favore della Curia che avrebbe la piena gestione su tutto mentre la Deputazione si occuperebbe solo della manutenzione della Cappella. Inoltre il consiglio d’amministrazione verrebbe composto da un terzo di membri scelti solamente dal Cardinale che deve dare una sua approvazione anche sugli altri membri, in altre parole la Deputazione non sarebbe più né autonoma né laica.
Ovviamente questo decreto che favorirebbe la Curia non è piaciuto né alla Deputazione né ai Napoletani e il perché va letto nella stessa storia di Napoli. Per onor di cronaca, oggi, la tensione è calata e la Deputazione ha avuto la meglio, sempre nel rispetto e nell’equilibrio tra i poteri presenti e attivi nel Duomo di Napoli, sulla Curia. Staremo a vedere.
Il rapporto tra i Napoletani e San Gennaro è lunghissimo ed ha una data precisa, il 19 settembre 305 dopo Cristo, quando sotto Diocleziano il Vescovo di Benevento Gennaro cercò di liberare il suo amico e collega Sossio, arrestato e condannato a morte dalla legge romana. Entrambi furono decapitati nella solfatara di Pozzuoli ma il sangue si San Gennaro fu raccolto dalla pia Eusebia e conservato e venerato come santa reliquia, cosa comune per commemorare i Cristiani martirizzati.
Saltando nel tempo, San Gennaro dopo varie traslazioni trovò pace nella cappella nel Duomo di Napoli; la prima testimonianza sulla liquefazione del sangue risale al 19 agosto 1389, da allora il miracolo del sangue è abbastanza regolare; prima del XIV secolo non c’è testimonianza scritta sulla liquefazione ma ciò non vuol dire che non avveniva, è dubbio.
Ora, invece, cerco di spiegare il rapporto tra il Santo e la città di Napoli.
La storia di Napoli è decisamente travagliata, oltre all’alternarsi delle varie dominazioni e rivolte, periodicamente la città doveva affrontare il problema della carestia, dell’epidemia e, per finire, delle eruzioni del Vesuvio; il Napoletano sfinito da tutte queste calamità, si è votato all’unico Santo che, attraverso il miracolo del sangue, mostrava la sua benevolenza, la sua presenza e la sua protezione verso un popolo non perfetto ma devoto.
Il punto di svolta del rapporto tra i Napoletani e San Gennaro si ebbe nel 1527, quando sia i ricchi che i poveri già stremati dalla guerra contro la Spagna e la Francia, dovettero affrontare anche una violentissima eruzione del Vesuvio che lambiva minacciosamente la città, oltre che una ondata di peste, anni decisamente duri. Tutto il popolo senza distinzione economica decise di fare un voto a San Gennaro, quello cioè di costruirgli una nuova cappella nel Duomo, di omaggiarlo periodicamente con delle donazioni e di amarlo e rispettarlo per sempre se in cambio avesse protetto la città dal fiume di lava.
Così San Gennaro fu portato in processione per ben tre giorni sempre sul baldacchino e sempre seguito da una lunga processione composta dai prelati, nobili, Corte e popolo mentre il Vesuvio continuava a distruggere tutto quello che incontrava, si fece pregare tantissimo ma il terzo giorno il sangue nelle ampolle si sciolse, il Cardinale Buoncompagno lo girò verso il Vesuvio, il vulcano si placò, in quel preciso istante, secondo vari testimoni, San Gennaro in abito pontificale comparve in cielo e benedì la città, Napoli era salva.
I Napoletani per onorare il voto donarono ciò che potevano e decisero di istituire un organismo che controllasse il progetto, tutelasse le sante reliquie e gestisse tutte le future donazioni; decisero di scegliere tra le famiglie più illustri presenti nei vari Sedili, la Napoli medievale era divisa in Sedili, i dodici rappresentanti, istituirono nel 1601 la Deputazione, sottoscrissero e firmarono davanti al popolo l’impegno a rispettare e a realizzare la cappella, il cui atto notarile è conservato nell’archivio della Deputazione, non è quindi folclore.
La Cappella fu inaugurata il 16 dicembre del 1646, è un vero gioiello architettonico e artistico barocco. Da allora, nella cappella, San Gennaro e le sue reliquie accolgono i fedeli e chiunque voglia omaggiarlo pregandolo o porgergli doni preziosi come rispetto alla città e al suo Protettore.
Da allora la Deputazione ha mantenuto fede al voto fatto e ha sempre rispettato l’impegno preso verso i Napoletani e San Gennaro, ha sempre tutelato il culto, gestito la cappella e le donazioni per conto dei Napoletani e della città di Napoli, donazioni che si sono trasformate in raffinati oggetti barocchi di oreficeria. In questa breve storia non è stata mai menzionata la Curia, se non in veste dell’Abate che tocca concretamente le ampolle durante il miracolo del sangue, perché la Deputazione è laica e il Tesoro di San Gennaro è di «proprietà» della città di Napoli, non è della Chiesa né della Curia.
La gestione laica ha sempre evitato che la Curia si impossessasse delle sante reliquie e delle ingenti donazioni, quindi del Tesoro, anche se non sono mancate le bordate da parte della Curia: la prima risale al 1605, appena fondata, la Deputazione, inizialmente sottoposta alla giurisdizione del Pontefice, ottenne dal Papato l’autonomia dalla Curia di Napoli e il diritto di patronato sulla Cappella come ente laicale, la Curia non ci stava e ha dato battaglia. L’ordine a favore della Deputazione fu ristabilito con la bolla firmata da Paolo V. Nei secoli successivi la Curia ci ha riprovato più volte, l’ultima fu nel 1927 ma Papa Pio IX riconobbe e riconfermò il diritto patronato della città di Napoli sulla cappella perché non proveniva da un privilegio apostolico ma da una fondazione frutto di dotazioni laicali e sorta con i beni patrimoniali e di esclusiva provenienza laicale.
Anche lo Stato Italiano riconobbe la Deputazione aiutandola ad adattarsi ai nuovi cambiamenti politici: nel 1811, in seguito all’attuazione del Bollettino delle Leggi emesso da Gioacchino Murat, la Deputazione fu presieduta dal sindaco di Napoli, è da allora che la città annualmente versa una somma per il mantenimento della Cappella. Tale connotazione laicale, ossia l’appartenenza della Cappella alla città di Napoli, permise alla Deputazione di sopravvivere e di non perdere il suo inestimabile tesoro anche dopo l’approvazione da parte della Camera dei Deputati il 13 dicembre 1865, della legge che prevedeva la soppressione di tutti gli enti morali ecclesiastici.
Custodito in parte nella Cappella di San Gennaro e in parte nell’annesso museo, il Tesoro è nato proprio grazie alla presenza della Deputazione che ha saputo dare un’armonia stilistica ai vari pezzi custoditi.
Ma com’è nato il Tesoro?
«Semplice», dal denaro donato che, una volta raccolto, veniva usato per commissionare e quindi pagare l’artigiano orafo napoletano che realizzava per il suo Santo suppellettili quali pissidi, ostensori, la meravigliosa tiara di San Gennaro, il meraviglioso Arcangelo Michele, eccetera, oggetti di una bellezza unica e così preziosi da far impallidire ogni tesoro reale fin qui prodotto. E ogni oggetto prodotto ha una sua storia che potete chiedere ad uno dei membri della Deputazione sempre presenti nella Cappella.
Tale tesoro è nato, ovviamente, nel tempo e la sua importanza non sta solo nella scelta dei metalli e delle pietre preziose ma soprattutto nella scelta della Deputazione di commissionare le opere seguendo una linea logica e consequenziale. Commissionò tali opere a vari artigiani iscritti nella corporazione degli Orafi e presenti con le loro botteghe in una zona ben precisa chiamata «Borgo degli Orefici».
La corporazione degli Orafi nacque nella seconda metà del XIII secolo con l’istituzione autoctona di una scuola con un proprio statuto dell’Arte degli Orefici che riconosceva capacità giuridica alla corporazione artigiana, scelse come luogo il quartiere Pendino, nel tempo tale zona verrà chiamata Borgo degli Orefici. Il primo capolavoro commissionato fu il busto reliquiario di San Gennaro conservato nel Tesoro: il busto reliquiario, capolavoro dell’arte orafa gotica, conserva al suo interno le ossa del cranio del Santo e fu voluto da Carlo II d’Angiò, detto lo Zoppo, nel 1304 per commemorare il millenario della morte del Santo, è un capolavoro frutto di un «pool» di esperti orafi francesi già attivi e presenti nella Corte Napoletana, crearono uno dei capolavori più belli dell’arte orafa europea. Con il tempo la corporazione si definì diventando una delle più ricche ed agiate grazie anche ai capricci delle famiglie nobili e non solo.
Tale tesoro è l’emblema della forte devozione del popolo napoletano perché frutto, come accennato, delle varie donazioni da parte di Regnanti, nobili e poveri e per questo motivo nessuno si è mai permesso di toccarlo nemmeno per far fronte alle diverse carestie, pestilenze, eruzioni o terremoti, mai è stato toccato né fuso, nessun nuovo dominatore si è mai permesso di toccarlo, anzi, al cospetto di «faccia gialla» – nome derivato dal colore del busto-reliquiaro angioino – non solo s’inchinava ma donava perché il toccarlo significava provocare una violenta rivolta del popolo napoletano.
E per capire esattamente che cosa significa per il Napoletano il Tesoro basta ricordare una delle storie più famose sul recupero del Tesoro dopo la Seconda Guerra Mondiale; con la città sotto continuo bombardamento, fu deciso di portare il Tesoro a Monte Cassino, base tedesca, ma quando si seppe che l’omonima abbazia sarebbe stata bombardata, fu portato in Vaticano. Finita la guerra, nonostante le insistenze della Deputazione e della Curia, il Tesoro non veniva restituito; si offrì di recuperarlo un certo Giuseppe Navarra, conosciuto ai più grazie al mercato nero con il soprannome di Re di Poggioreale, partì per Roma con il difficile compito di recuperarlo ma per molto non diede notizie di sé né del Tesoro. Il 26 gennaio 1947, dopo mesi di silenzio, il Re di Poggioreale si presentò sul piazzale del Duomo con camion pieni di capolavori, consegnò il Tesoro nelle mani del Vescovo Ascalesi e non volle ricompensa ma solo l’onore di omaggiare il Santo.
In ultimo, vanno menzionate le «parenti di San Gennaro» che molti considerano folclore ma che in realtà spiegano, con le loro preghiere e «imprecazioni», l’intenso rapporto che c’è tra i Napoletani e il Santo. La loro origine è legata al martirio di San Gennaro e alla pia Eusebia, la sua nutrice, che, dopo aver raccolto il sangue, si stava allontanando dalla solfatara seguita però da alcune donne che vantando la discendenza quindi una parentela con il Santo, perché facevano di «cognome» Juennaro o simili, iniziarono a seguire e a pregare insieme ad Eusebia fino al luogo di sepoltura del Santo Martire, ma questa è un’altra storia. Da allora in poi fanno parte del rito del miracolo.
Ecco perché San Gennaro non si tocca.
(febbraio 2018)