Cappellani militari
Riflessioni sull’ipotesi di taglio dell’organico a opera del Governo giallo-verde

Il «cambiamento» propugnato come un mantra dalle nuove forze governative emerse dalle elezioni del 4 marzo 2018 starebbe per colpire anche l’organico dei Cappellani militari, sebbene sia già scoperto di parecchie decine di unità rispetto al «plenum» di 200.

È quanto risulta dalle dichiarazioni del Ministro della Difesa, Onorevole Elisabetta Trenta, secondo cui il provvedimento in questione dovrebbe indurre un risparmio di circa 15 milioni in cinque anni, pari a tre milioni per ciascun esercizio: un’autentica goccia nel mare (il debito pubblico si colloca intorno a 2.350 miliardi di euro), ma soprattutto un’offesa ai valori spirituali e storici che i Cappellani hanno saputo esprimere nelle vicende italiane, buone o cattive che fossero.

È ben vero, come fu detto durante il Risorgimento, che quanti «hanno cura del poco, a più forte ragione avranno cura del molto». Tuttavia, nel caso specifico non è possibile generalizzare, o peggio ancora, auspicare che l’istituto dei Cappellani venga addirittura cancellato, come è avvenuto da parte di alcuni esponenti di una minoranza. In effetti, questo rinnovato ostracismo nei confronti del Cappellani appare improntato, anzitutto, all’ignoranza del loro ruolo nella società civile, non meno che nell’organizzazione militare: di qui, l’opportunità di una corretta rivisitazione, tanto più necessaria in un’epoca come la nostra caratterizzata da un oblio dei valori non negoziabili elevato a sistema.

Nel solo trentennio compreso fra il 1915 e il 1945, i Cappellani Italiani caduti, dispersi e scomparsi in prigionia sono stati 340, a fronte di una mobilitazione che aveva raggiunto le 2.048 unità nella Prima Guerra Mondiale e le 3.219 nella Seconda. A conti fatti, sono stati il 7% quelli immolatisi nell’esercizio della propria nobile missione.

L’assunto diventa non meno significativo laddove si prenda in esame il numero dei Cappellani decorati che nel periodo in questione sono stati 1.252, ivi comprese 16 Medaglie d’Oro e 220 d’Argento, tra cui quella conferita nel 1943 sul fronte russo al Beato Don Carlo Gnocchi, il celebre apostolo dei «mutilatini» colpiti dalla guerra non meno degli adulti, e fondatore dell’omonima Opera, poi sviluppata in progressione geometrica; come quella di Don Giulio Facibeni («nomen omen»!), Cappellano della Grande Guerra sul «Monte sacro alla Patria» che dalla tragedia dei suoi soldati trasse ispirazione per un impegno tuttora vivente nelle numerose, benemerite iniziative della grande Casa fiorentina.

Non basta: l’elenco delle «cooperazioni spirituali» e delle benemerite realizzazioni promosse dai Cappellani a completamento della loro missione militare continua con quelle di Padre Giovanni Semeria, fondatore dell’Opera del Mezzogiorno d’Italia per l’assistenza ai giovani, e in primo luogo agli orfani di guerra, all’insegna dello stesso benemerito altruismo che, al pari di altri Cappellani, aveva manifestato nel recupero dei Caduti e nella prima sistemazione dei cimiteri militari. Considerazioni analoghe valgono, fra tanti altri, per Don Luigi Stefani, Cappellano della Divisione Tridentina ed esule da Zara, nonché fondatore di altre importanti Opere fiorentine, e per i suoi ricordi del campo di battaglia balcanico, quando accorreva per soccorrere i feriti e benedire l’uno e l’altro Caduto, compreso il «caro nemico».

A proposito di Don Stefani vale la pena di rammentare che, proprio in concomitanza con una commemorazione di Don Gnocchi tenutasi nel 1972 a 16 anni dalla scomparsa, egli si fece premura di invocare il «Santo con la penna alpina» onde facesse rinsavire coloro che contestavano l’autorità dei Vescovi, esorcizzasse la corruzione e la disonestà dilaganti, e prevenisse la derisione degli ex combattenti e dei Cappellani tirando fuori dal fango «il sacro valore della Patria». L’opposizione non aspettava altro, scatenandosi soprattutto a livello giovanile e apostrofando sia Don Stefani che il compianto Don Gnocchi quali «banditi» retrivi e imperialisti, equiparati a delinquenti comuni nel rifiuto di ogni civile confronto. È proprio vero: nulla di nuovo sotto il sole!

L’elenco dei meriti ascritti dai Cappellani militari sarebbe assai lungo ma le cifre di sintesi e gli esempi nominativi dimostrano da soli quanto siano stati essenziali i valori espressi sia durante il servizio militare sia in tempo di pace da questi Servi di Dio che hanno dato un importante contributo di sangue meritando riconoscimenti spesso superiori, proporzionalmente all’organico, a quelli delle forze combattenti. È inutile aggiungere che questi valori non appartengono alle sole esperienze belliche ma anche – e soprattutto – a quelle compiute in tempo di pace, a vantaggio precipuo dei giovani e tanto più meritorie in momenti di crisi spirituale e di un diffuso bisogno dell’assistenza, dell’educazione, della speranza.

Proprio per questo, diversamente dal disegno governativo di cui in premessa, è auspicabile che gli indispensabili risparmi della spesa pubblica vengano perseguiti in altri capitoli di bilancio dove gli sprechi – spesso diseducativi e immorali – sono all’ordine del giorno, e minacciano di compromettere definitivamente il precario equilibrio finanziario dello Stato.

(febbraio 2019)

Tag: Laura Brussi, Cappellani militari, Elisabetta Trenta, Cappellani caduti, Cappellani decorati, Beato Don Carlo Gnocchi, Monsignor Giulio Facibeni, Padre Giovanni Semeria, Monsignor Luigi Stefani.