Esotismo e magia in Apuleio
Un interessante spaccato della realtà romana del II secolo, tra gusto per l’esotismo e tensioni religiose

Apuleio è un curioso personaggio bilingue, appassionato di ogni disciplina, retore e avvocato, stilista latino ricercatissimo, interessato anche a tematiche frivole e futili care ai «secondi sofisti» (si nota qui l’influenza tarda del neoterismo: elogi del pappagallo, del fumo e della polvere, della calvizie...). Si percepisce nelle sue opere tutta l’angoscia esistenziale, soprattutto nella sua orazione auto-apologetica: il timore della morte, della perdita dell’«io», l’incertezza su ogni cosa; lui stesso s’interessa di demoni (che nell’antichità pre-cristiana sono divinità non necessariamente malvagie, possono essere favorevoli o contrarie agli esseri umani).

Lucio Apuleio nasce nel 125 in Numidia, a Madaura, tra i palmizi africani; studia retorica recandosi presso la prestigiosa scuola di Cartagine, poi si trasferisce per lunghi anni in Grecia dove ha agio di dedicarsi alla filosofia platonica (aderisce alla corrente detta del «medio platonismo»: l’anima è imprigionata nel corpo come in un carcere, il suo vero destino è risalire alla contemplazione di Dio; quest’aspirazione è la fonte delle incertezze). In seguito studia le scienze naturali e le utilizza per fare rituali magici (identifica il microcosmo con il macrocosmo, vedendo una proiezione in grande della cosa piccola su cui agisce il mago). Distingue due tipi di magia: bianca («teurgia», cioè operato di Dio) e nera («goetia», cioè operato dello stregone); è addirittura accusato di essere un negromante, di far fare delle profezie ai morti. Viaggiando in Asia Minore, apprende i misteri dionisiaci e di Iside e Osiride che portano alla salvezza dell’anima dopo la morte. Torna a Madaura per ordine di Iside (dice lui) e inizia a fare l’avvocato e il filosofo vagante (inserendosi nella diatriba stoico-cinica; diviene famoso anche come filosofo platonico). Da Madaura si reca a Roma, dove afferma di dedicarsi allo studio della lingua latina (che però già conosceva, essendo di nobili origini). Torna a Cartagine, poi si reca ad Alessandria d’Egitto e a Tripoli; qui va a vivere dall’amico Ponziano e ne sposa la madre Pudentilla, molto ricca. Viene accusato di essere ricorso alla magia e di avere assassinato Ponziano; il processo si svolge a Saprata, in Asia, e quasi certamente – non ci rimangono attestazioni scritte, se non quella dell’accusato – si conclude con l’assoluzione di Apuleio. Si ritira a Cartagine (qui morirà verso il 170), dove svolge mestieri onorifici e continua a recitare orazioni di cui rimangono spezzoni intitolati Florida (Antologia in greco).

Apuleio scrittore si distingue per il gusto per l’esotismo e le cose meravigliose, per lo stile brillante e molto ricercato (uno stile fatto di antitesi, parole rare o neo-formate, recuperi di parole arcaiche). L’Apologia o De magia liber è un’autodifesa dall’accusa di magia; alcuni sostengono che si tratti del discorso in propria difesa stilato da Apuleio in occasione del processo di Saprata; i più fanno notare come recitare l’opera sia troppo lungo rispetto al tempo che si aveva a disposizione in un tribunale (e che era misurato con una clessidra: una volta terminata la sabbia, si veniva bloccati, qualsiasi cosa si avesse ancora da dire): probabilmente l’opera è stata composta alla fine del processo, quasi per mettere a tacere chi ancora volesse sollevare dei dubbi, forse approfondendo delle parti effettivamente pronunciate durante il processo.

Notevole anche la sua produzione scientifica e filosofica: il De mundo è la traduzione di un’opera cosmologica di Aristotele; il De Deo Socratis è un’opera di demonologia; il De Platone et eius dogmate, in tre libri, è incentrato sulla filosofia di Platone.

L’opera più famosa di Apuleio restano comunque le Metamorfosi o Asino d’oro, in undici libri, scritti a Cartagine negli anni della maturità e definiti una «fabula graecanica»; il nucleo centrale risale a Lucio di Partre, autore di un romanzo in greco in cui i primi due capitoli parlano della trasformazione di Lucio in un asino (ne abbiamo dei riassunti), senza novelle e senza aspetti religiosi. La metamorfosi è il passaggio da forma a forma, generalmente degradante (marchio della negatività); può però, in rari casi, essere positiva, per esempio passando in corpo celeste o cometa. Apuleio ama le sovrapposizioni, i salti di stile, l’incoerenza linguistica; dal punto di vista della lingua, non c’è mai un pezzo spontaneo, è sempre artificiale, obbedisce ai modi letterari (vi si ritrovano parole arcaiche, poetiche, influssi dal greco, parole puniche, invenzioni personali, uso spropositato dei diminutivi, metafore e allegorie usate anche a scapito della chiarezza logica). Sebbene sia ritenuto semplicemente un romanzo erotico (molto erotico: c’è anche una scena d’amore tra il protagonista – già trasformato in asino per aver incautamente ingerito una pozione magica – e una nobildonna dagli equivoci appetiti sessuali), l’Asino d’oro si potrebbe definire a maggior ragione un’opera fantasy: in effetti, la magia vi gioca un ruolo fondamentale, con tutto un dispiegamento d’incantesimi, pozioni, cerimonie religiose e persino un racconto (la favola di Eros e Psiche) che ha tutti i canoni di una storia alla Walt Disney: la fanciulla bellissima e perciò odiata dalle due sorelle, il corteggiatore misterioso, l’invidia delle sorelle che l’allontanano da lui, la «suocera» che la costringe a superare delle prove (vi riuscirà grazie all’aiuto di animali intelligenti), il ricongiungimento finale degli amanti; la frase d’incipit: «C’era una volta un re...» è divenuta proverbiale. L’Asino d’oro è un’opera completa e ricca di colpi di scena, scenette umoristiche, ma anche pervasa da un sottilissimo filo d’inquietudine, riflesso di un uomo che ha cercato, per tutta la sua vita, risposta alle più profonde questioni dell’esistenza nei culti misterici del lontano Oriente, pur rimanendo fedele al culto – non solo puramente formale – per gli dèi «nazionali» dell’Impero Romano!

(aprile 2006)

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