L’antica Roma dalla Repubblica all’Impero
Cesare Ottaviano, rimasto padrone assoluto di Roma, con molta abilità e con molto tatto riuscì a trasformare lo Stato Romano da Repubblica a Impero

Giunto a Roma dopo l’assassinio di Caio Giulio Cesare, suo padre adottivo, il giovane Ottaviano si trovò ben presto ad avere dei poteri eccezionali. Non aveva che 27 anni, quando in Roma si diffuse la convinzione che solo lui poteva salvare la Repubblica dai danni che le stava procurando Marco Antonio con la sua sconsiderata politica in Oriente: così, nell’anno 36 avanti Cristo, gli vennero conferiti a vita i poteri di cui godevano i tribuni della plebe. Non era una cosa da poco: i tribuni avevano il diritto di convocare il Senato e i comizi, di proporre leggi e di opporsi alle deliberazioni di qualsiasi magistrato. Ma a Ottaviano si volle dare un’autorità straordinaria: si dispose cioè che, mentre egli poteva respingere le decisioni dei tribuni, questi non avessero la facoltà di opporsi alle sue. Ebbe poi il titolo di proconsole, con la differenza che, se ai proconsoli spettava il comando di una sola provincia, a lui fu concesso di amministrare tutte le province romane. Siccome nelle province erano dislocati gli eserciti, Ottaviano poté considerarsi fin d’allora il capo di tutte le forze armate dello Stato.

Vinto Marco Antonio nelle acque di Azio (31 avanti Cristo), Ottaviano si trovò di fatto come unico e assoluto signore di Roma. Il 13 gennaio dell’anno 27 avanti Cristo, in una famosa assemblea tenuta nel Senato, lesse una solenne dichiarazione: «Senatori, io depongo nelle vostre mani il mio comando, vi restituisco ogni cosa: armi, leggi, province. Cedo il potere a voi, che siete forti e saggi!» Con simili parole, Ottaviano rinunciava ai suoi poteri straordinari e – ciò che più conta – rimetteva in vigore tutte le istituzioni della Repubblica; non solo, ma per dimostrare con una chiarezza ancora maggiore che non era per niente desideroso di ricoprire alte cariche nello Stato, annunciò di volersi ritirare a vita privata.

Il futuro avrebbe smentito queste parole, e possiamo essere certi che anche nella mente di molti Senatori si affacciò l’idea che Ottaviano non fosse del tutto sincero. Era chiaro che si trattava di un’abile manovra, che mentre all’apparenza proteggeva la Repubblica, nel concreto ne metteva in estremo pericolo tutte le istituzioni. Ma nessuno di loro poteva osare manifestare un tale pensiero proprio di fronte a colui che veniva considerato il salvatore della Repubblica. Così, fattisi intorno a Ottaviano, i Senatori lo pregarono di non abbandonare la vita politica, e per dimostrargli tutta la loro fiducia lo acclamarono con le parole: «Oh Cesare Ottaviano, sii Principe!» Conferendogli questo titolo, il Senato lo considerava non solo il «primo cittadino di Roma», ma anche il «primo tra i Senatori».

Nella Roma Repubblicana, l’autorità era rappresentata dal Senato; ma ora, considerando Ottaviano il primo dei Senatori, si doveva attribuire a lui la maggior parte di autorità. Da quel momento, Ottaviano poteva veramente essere considerato, di nome e non solo di fatto, il signore assoluto di Roma; e la cosa più importante è che era stato lo stesso Senato ad attribuirgli un tale potere! Con quell’atto, la Repubblica abdicava.

Dopo la nomina a Principe, Ottaviano dimostrò subito una particolare accortezza: sapeva che per esercitare l’enorme potere di cui era stato investito senza suscitare violente opposizioni, era necessario lasciare ancora intatte le istituzioni repubblicane, sebbene solo di facciata, mentre nel concreto venivano svuotate di ogni potere. Sua grande preoccupazione fu sempre quella di non dar mai l’impressione di volersi fare l’usurpatore dei poteri pubblici.

Così, il Senato non solo non venne abolito, ma Ottaviano controllò di persona che vi entrassero a far parte i cittadini più degni. Allo stesso tempo, con tatto e senza mai far pesare in modo eccessivo la propria autorità, il Principe andò man mano limitandone sempre più i poteri. A un certo momento, riuscì a imporre al Senato la propria completa volontà e si riservò anche il diritto di nominare a propria discrezione i nuovi Senatori, una nomina che, durante la Repubblica, veniva fatta da un’assemblea di cittadini.

Il consolato fu ritenuto ancora la più alta fra le magistrature. Ma i consoli non furono più considerati, come al tempo della Repubblica, i capi supremi dello Stato e dell’esercito, perché questi poteri erano passati nelle mani di Ottaviano. La funzione dei consoli divenne così limitata che, alla fine, apparve inutile lasciarli in carica per un anno intero: la nomina consolare fu ridotta dapprima a sei mesi, e in seguito soltanto a due.

I comizi, ossia le assemblee popolari, che nella Roma Repubblicana rappresentavano, insieme al Senato, la massima autorità, continuarono a essere convocati, ma anch’essi persero man mano il loro potere. Il popolo fu di grado in grado privato del diritto di approvare o respingere le leggi che il Senato, diretto da Ottaviano, proponeva e promulgava.

In pratica, Ottaviano deteneva tutti i poteri: quello militare, quello legislativo, quello amministrativo, quello finanziario e quello religioso.

Conferendo a Ottaviano, in seguito, il titolo di Augusto («Divino»), il Senato e il popolo romano dimostrarono di accettare senza discutere la sua opera e, nel contempo, la nuova forma di governo da lui attuata, ossia l’Impero (anche se il periodo di Ottaviano Augusto è più propriamente denominato «Principato»). Da allora, e per cinque secoli, Roma e i suoi domini furono governati da un unico capo supremo: l’Imperatore!

(marzo 2021)

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