I 50 anni di lotte civili a Roma (133-82 avanti Cristo)
I contrasti sociali di allora ricordavano quelli dei tempi moderni

Dopo la conclusione intorno al 350 avanti Cristo della lotta fra patrizi e plebei, Roma ebbe un lungo periodo di pace interna. I plebei (intesi semplicemente come i non aristocratici) avevano ottenuto i loro diritti e i loro rappresentanti, l’equilibrio fra le classi sociali sembrava ben avviato e collaudato quando si vennero a creare nuove situazioni economiche che determinarono nuovi conflitti. Il nuovo scontro riguardava i latifondisti in genere appartenenti alle classi superiori (classe senatoriale ed equestre) e i non possidenti che vivevano di solo lavoro (braccianti, coloni, eccetera). La questione appare di un certo interesse perché trova delle similitudini con quanto avvenne nel corso dell’Ottocento e Novecento, ricordiamo che il rivoluzionario comunista Francois Babeuf si fece chiamare come l’antico romano Caio Gracco perché intendeva riproporsi come l’uomo della plebe.

I fratelli Gracchi appartenevano a una famiglia di nobili origini orientata verso la cultura ellenistica in un periodo in cui era ancora prevalente la cultura legata alle antiche tradizioni. Entrambi si dedicarono ai problemi delle classi sociali povere nonché a quella degli Italici che richiedevano la parificazione con i Romani. I nuovi territori conquistati durante le guerre diventavano terreno pubblico («ager publicus») e spettavano in teoria a tutti i cittadini ma di fatto potevano ottenere le concessioni su di essi solo i benestanti, nonostante la Legge Licinia del 367 avanti Cristo stabilisse dei limiti. Inoltre questi nuovi latifondi venivano lavorati dagli schiavi e pertanto con costi di produzione più bassi, fatto che mise in difficoltà i piccoli proprietari soggetti a una forte concorrenza. Molti contadini rimasti disoccupati si riversarono a Roma portando ad aumentare notevolmente il numero dei diseredati della città e creando una situazione difficile dal punto di vista sociale. Dobbiamo infine considerare che questa contrazione del ceto medio rurale comportava un danno per l’esercito dove gli arruolati dovevano acquistare personalmente le armi, spesa che non tutti potevano permettersi.

Il maggiore dei due fratelli, Tiberio, conobbe una disavventura ancora giovanissimo perché accusato di aver tenuto un comportamento arrendevole durante la guerra contro i Numantini di Spagna. Quando fu trentenne, nel 133 avanti Cristo divenne tribuno della plebe e in tale qualità propose una riedizione della vecchia Legge Licinia, che prevedeva che nessuno potesse possedere più di una certa quantità di terreno, chi la superava doveva cederla (con l’intervento economico dello stato) ai piccoli proprietari. In suo discorso pubblico affermò: «La maggior parte dei Romani non ha un focolare, e nessuno ha una tomba dei suoi antenati. Soltanto per il lusso e la gloria degli altri, [militando nell’esercito] devono spargere il loro sangue e morire». Tale legge venne approvata non senza difficoltà dal Senato, al tempo stesso Tiberio cercò (anche se le fonti storiche non sono del tutto sicure) di ridurre i poteri del Senato, di consentire l’ingresso in esso di un maggior numero di cavalieri, di diminuire la durata del servizio militare allora molto impegnativo, migliori condizioni per gli Italici, nonché la destituzione del tribuno collega considerato poco favorevole agli interessi degli indigenti. Quando arrivò al termine l’anno di mandato come tribuno, Tiberio ripropose la candidatura per l’anno successivo. Tale iniziativa venne considerata come un tentativo di instaurare una tirannide e seguirono gravi disordini nel corso dei quali persero la vita 300 Romani tra i quali lo stesso Tiberio, una strage come non si era mai vista in tutta la storia della città. Il giudizio sul personaggio era fra i Romani come fra i contemporanei controverso, la destituzione del collega tribuno anche con il ricorso alla violenza popolare e la ricandidatura a tribuno erano considerate atti contrari o al limite della legalità.

Negli anni successivi si ebbe una maggiore tranquillità, ma il fratello di Tiberio, Caio, uomo di grande capacità oratoria e di costumi severi, cresceva e intendeva proseguire l’opera a favore delle classi indigenti. Nel 124 avanti Cristo Caio, allora questore, venne accusato dal Senato ma la questione rientrò e nell’anno successivo fu nominato tribuno della plebe. Le prime iniziative dopo la nomina furono l’ineleggibilità alla carica pubblica per i magistrati che fossero stati deposti dal popolo e l’illegalità di qualsiasi condanna grave comminata senza deliberazione dei cittadini. Ma l’iniziativa legislativa alla quale dovette la maggiore popolarità fu la legge frumentaria che prevedeva la distribuzione di grano a prezzo politico, il che comportava un certo peso per l’erario e spingeva i disoccupati a non cercare un impiego. Inoltre promosse la costituzione di alcune colonie (nonché lavori pubblici) per i proletari di Roma dove avrebbero potuto trovare maggiore fortuna, e infine un contributo dello stato per i soldati. Caio cercò comunque anche l’appoggio dei cavalieri e dispose che la carica di giudice non fosse più riservata ai senatori e alcuni generi di appalti pubblici spettassero a loro. Infine ricercò il sostegno degli Italici ai quali sarebbe andato uno «status» simile a quello dei Latini, ma quest’ultima disposizione insieme a quella per la fondazione di una colonia a Cartagine non venne approvata e comportò una perdita di consensi. Caio non solo non ottenne il terzo mandato come tribuno, ma venne dichiarato dal Senato nemico pubblico e fu aggredito, insieme ai suoi sostenitori, da una massa di popolani forse istigata dai nobili. 3.000 dei suoi seguaci finirono in carcere e negli anni successivi le leggi da lui promosse vennero abolite. Difficilmente le sue riforme come quelle precedenti del fratello potevano essere considerate eversive come anche i fatti successivi dimostrarono, tuttavia alcuni storici lo hanno considerato un demagogo per le sue elargizioni di frumento ai nullatenenti, politica poi ripresa come sappiamo da altri governi successivi, inoltre gli storici hanno messo in luce che gli espropri dei latifondi colpivano anche gli Italici a favore dei soli Romani indigenti.

Negli anni successivi le tensioni sociali decrebbero e Roma si impegnò nella guerra contro la Numidia (Algeria settentrionale) nonché contro alcune pericolose incursioni barbariche a danno della Gallia meridionale controllata dai Romani, guerre in cui si distinse particolarmente Caio Mario, un Italico considerato salvatore della patria. Nonostante non appartenesse alla classe superiore, Mario venne eletto console per cinque volte consecutive (in tutto sette mandati), fatto mai accaduto in precedenza, inoltre riformò l’esercito che divenne interamente sussidiato dallo stato, creando un forte vincolo fra la truppa (formata così da gente indigente) e comandanti. Intorno all’anno 100 avanti Cristo il tribuno Lucio Apuleio Saturnino con il sostegno di Mario presentava una nuova legge frumentaria e provvedimenti per la distribuzione di terre ai veterani del generale, Italici compresi, oltre a presentare accuse contro alcuni senatori per uso improprio del denaro pubblico. A tal fine istigò il popolo contro di essi, situazione di tensione politica che sfociò in alcuni delitti di importanti personalità fra le quali lo stesso tribuno. Il Senato reagì instaurando la legge marziale e incaricando il console Caio Mario, sebbene di simpatie popolari, di ristabilire l’ordine.

Nel corso degli anni gli alleati italici avevano dato un contributo rilevante agli sforzi militari di Roma, era quindi piuttosto naturale che richiedessero di godere di uno «status» superiore e più vicino a quello dei Romani. Di questa esigenza si fece carico il tribuno Marco Livio Druso che nel 91 avanti Cristo fu promotore anche di iniziative a favore del popolo ma morì per mano di un oppositore. Tale evento scatenò la cosiddetta guerra sociale (sociale nel senso dei «socii» di Roma). Ad Ascoli i cittadini romani vennero massacrati, tuttavia un console romano cercò di pacificare la situazione concedendo la cittadinanza romana ai popoli che non si erano ribellati e a quelli che cessavano le ostilità, riportando un significativo successo.

Un altro evento esterno interessò Roma: Mitridate re del Ponto, regione dell’Anatolia, minacciava i Paesi vicini alleati di Roma. A Mario venne attribuita (provvedimento molto contrastato) la conduzione della guerra, ma ciò provocò la reazione di Lucio Cornelio Silla, sostenitore del partito aristocratico che marciò con le sue truppe su Roma, un evento rivoluzionario mai accaduto prima e che si accompagnò a gravi atti di violenza. Tali atti di violenza si scatenarono contro coloro che avevano appoggiato le leggi di ispirazione popolare, fra le vittime vi fu anche l’oratore aristocratico Publio Sulpicio Rufo difensore della causa degli Italici e in precedenza sostenitore di Mario in particolare. La sconfitta dei popolari fu di breve durata, dopo l’allontanamento di Silla, Mario e Lucio Cornelio Cinna ripresero Roma e scatenarono a loro volta una dura persecuzione contro i sostenitori del predecessore e cercarono di concedere il diritto di voto ai liberti e altre categorie, atto che avrebbe mutato la situazione costituzionale. Quando i due anziani consoli morirono (il primo di morte naturale, il secondo a seguito di un ammutinamento), Silla nonostante l’opposizione di Caio Mario il giovane (che sconfitto preferì suicidarsi) e degli Italici che ritenevano di perdere i loro diritti, venne eletto dittatore a vita dai comizi centuriati e in tale qualità impose uno spietato regime che prevedeva le liste di proscrizione, persone considerate nemiche pubbliche che potevano essere uccise da chiunque. Il potere dei tribuni della plebe venne ridimensionato e il potere giudiziario restituito ai senatori anche se negli anni successivi tali provvedimenti vennero ridimensionati. Anche il regime sillano non durò a lungo e il dittatore presto morì. I gravi fatti lasciarono un segno nella storia romana e da allora l’esercito ebbe di fatto un ruolo politico rilevante. Successivamente con Gneo Pompeo si ebbe una situazione più tranquilla ma la supremazia degli ottimati, ovvero dei nobili favorevoli alla supremazia della classe senatoriale, non venne meno.

(giugno 2022)

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