Storia del Portogallo
Come le vicissitudini storiche forgiano il carattere di una popolazione

A sentirlo nominare, il Portogallo appare ai più un Paese di poco conto: una terra schiacciata contro un oceano che da secoli non domina più, povera, con colori e profumi che variano dall’Occidente all’Oriente, quasi in bilico tra due opposte realtà e stili di vita. Ma è anche una terra con un clima mite e soleggiato, con un paesaggio riposante di colline «disegnate» in linee geometriche dalla viticoltura o dal più vivace color fulvo delle querce da sughero scortecciate da poco, con un discreto patrimonio artistico (dai graziosi porticcioli di pescatori a Nord, alla città di Lisbona con i suoi quartieri moreschi e le case barocche con le facciate decorate dalle tipiche piastrelle a disegni bianchi e azzurri, al Santuario di Fatima sorto dove il 13 maggio del 1917 la Madonna apparve a tre pastorelli), con la sopravvivenza di usi e costumi tradizionali che altrove la civiltà moderna ha cancellato. Tutto questo, e ancor più il carattere dell’intero popolo portoghese, troppo spesso quasi ignorato nei nostri libri di storia, è il risultato di una miriade di vicende succedutesi nell’arco di vari secoli, ognuna delle quali ha posato un tassello nel mosaico del Portogallo e dei Portoghesi odierni: è stato osservato più volte, con ragione, che non si può conoscere una gente se non si conosce la sua storia. Scopriamo dunque, nelle prossime pagine, il Portogallo e il popolo portoghese, ricercando i vari elementi che, nel trascorrere del tempo, li hanno formati.

Non si sa molto sulle origini degli abitanti che si stabilirono per primi in quella regione della Penisola Iberica che corrisponde grosso modo all’attuale Portogallo, né si può dire con precisione in quale epoca vi fossero giunti. Menhir, dolmen, tombe circolari e frammenti di ceramiche risalgono all’epoca neolitica. In seguito, nella regione si insediarono i Lusitani, un popolo guerriero, sempre pronto a battersi fino allo stremo contro tutti gli stranieri che minacciavano la loro indipendenza. Si confrontarono a lungo contro i Romani, che tentavano di sottometterli al loro dominio; nella lotta ebbero come alleati i Celtiberi, una popolazione che abitava nella Spagna Nord-Occidentale, e furono guidati da valorosi capi, tra i quali eccelse Viriato: per ben 12 anni, dal 149 al 137 avanti Cristo, questi tenne impegnato l’esercito romano e riuscì anche a infliggergli gravi perdite. Per riuscire vincitori, ai Romani non rimase altro mezzo che farlo uccidere a tradimento. Nel 133 avanti Cristo, tutta la Penisola Iberica cadde sotto il dominio di Roma, e per secoli i Lusitani rimasero sottomessi ai Romani.

La civiltà romana non ha lasciato troppe tracce materiali, se si eccettuano le rovine latine di Coimbra e i resti del tempio di Diana a Évora con le sue 14 colonne corinzie. Nel V secolo dopo Cristo, le invasioni dei popoli germanici che posero termine all’Impero Romano d’Occidente giunsero fino alla Penisola Iberica: nel 415 i Visigoti, guidati da Ataulfo, riuscirono a stabilirsi in Spagna, dove fondarono un Regno con capitale Toledo. Durante i tre secoli della dominazione visigota, non vi fu alcuna distinzione politica tra il territorio dei Lusitani e quello propriamente spagnolo, in cui abitavano i Celtiberi: i Visigoti tennero sotto il loro dominio tanto l’uno che l’altro popolo, ma non riuscirono a imporre la loro civiltà, troppo rozza per potersi sostituire a quella che era stata introdotta dai Romani.

Una dominazione straniera che, invece, lasciò chiari segni della sua permanenza nella Penisola Iberica, e quindi anche nella regione abitata dai Lusitani, fu quella araba: gli Arabi giunsero in Spagna nel 711 guidati da un loro capo, chiamato Tarik. Anche se oggi in Portogallo restano poche opere originalmente saracene, come la Cappella di San Fruttuoso presso Braga (X secolo) e la chiesa di San Pedro de Lourosa a Oliveira do Hospital, l’influsso arabo è ben avvertibile nell’architettura dei più vecchi quartieri di Lisbona, con il loro accentuato decorativismo, nella pavimentazione a mosaico dell’Avenida de Liberdade e di altre strade della capitale, nello sviluppo dell’industria delle piastrelle di maiolica («azulejos») che è caratteristica del Portogallo, e nei tratti del volto di molta gente.

Avenida de Liberdade

Avenida de Liberdade, Lisbona (Portogallo)

I Monti Cantabrici fecero da barriera naturale all’avanzata araba, e così la regione delle Asturie, che si trova a Nord di questi monti, poté mantenere la propria indipendenza: fu proprio da quella regione che ebbe inizio la lunga lotta per cacciare gli Arabi dalla Penisola Iberica!

Verso la metà dell’XI secolo, il Re delle Asturie era già riuscito a strappare agli Arabi parecchi territori e a fondare il nuovo Regno di Leòn. Nel 1095 il Re di Leòn, Alfonso VI, concesse al genero Enrico di Borgogna – un cavaliere appartenente alla stirpe dei Re di Francia, andato a combattere i musulmani più per spirito di avventura che per zelo religioso – il territorio compreso tra il fiume Miño e Douro, col titolo di Conte di Portucale (ovvero, Portogallo), nome derivato da Portus Cale, un borgo che sorgeva dove ora si trova Oporto. Suo figlio Alfonso Henriquez riuscì a estendere il proprio dominio sino al fiume Tago, e nel 1143 venne proclamato Re del Portogallo. Quattro anni dopo tolse agli Arabi anche la regione denominata Alemtejo (cioè, oltre il Tago) e, nel 1249, Alfonso III aggiungeva al suo Regno l’Algarve. Da allora lo Stato del Portogallo comprende sette regioni: Miño, Traz oz Montes, Beira, Estremadura, Alemtejo, Algarve e Douro.

Alfonso Henriques

Ritratto di Alfonso Henriques, Biblioteca Nazionale del Portogallo, Lisbona (Portogallo)

Data la posizione geografica del loro Paese, schiacciato tra l’incombente potenza spagnola (quindi impossibilitato a espandersi sulla terraferma, nonostante brillanti vittorie militari) e le onde corrusche dell’oceano sconfinato, era piuttosto naturale che i Portoghesi cercassero la loro fortuna sul mare.

Il primo a dotare il Portogallo di una efficiente flotta mercantile fu il Re Dionigi (1279-1325), che tra le altre cose promosse la piantagione di pini nella zona tra il Mondego e il Tago, con cui verranno più tardi costruite le navi che solcheranno gli oceani. Ma i fondatori della potenza marittima e commerciale del Portogallo furono il tenace principe Enrico, detto il Navigatore, e il Re Giovanni II. Essi organizzarono delle grandi spedizioni marittime, che in meno di un secolo e mezzo (dal 1415 al 1560) portarono il Portogallo a procurarsi un vastissimo Impero Coloniale: esso comprendeva le Azzorre, Madera, le Isole del Capo Verde, la Colonia del Capo, il Congo in Africa; il Brasile in America; Ormuz, Goa, Ceylon, la Penisola di Malacca in Asia, dove l’arrivo di Vasco da Gama a Calicut (India) nel 1498 diede l’avvio al dominio sull’Oriente. Con queste e altre conquiste, i Re Portoghesi si assicurarono tutti i maggiori centri di traffico commerciale col Levante, monopolizzando il commercio delle spezie e potendo giustamente considerarsi «Signori del Mar delle Indie».

Questo, però, non portò fortuna al Portogallo, anzi, fu il fondamento della sua secolare arretratezza economica, rivelata anche dal fenomeno di una forzata emigrazione: le ingenti ricchezze giunte dai possedimenti coloniali portarono infatti un momentaneo benessere, ma anche un generale aumento dei prezzi; i più intraprendenti si davano da fare per «accaparrarsi» un posto nell’amministrazione delle colonie o arricchivano col commercio transoceanico. In compenso la madrepatria – tranne il porto di Lisbona – da queste attività non traeva alcuna spinta al progresso: le attività artigianali non erano stimolate, le comunicazioni interne non miglioravano, l’agricoltura rimaneva impostata sul latifondo, senza la spinta a un aumento di produttività delle terre; in sostanza, non si creò una tradizione produttiva proprio negli anni in cui molti Paesi Europei si stavano trasformando in quel senso. È per questo che il Portogallo ha avviato tardivamente la propria industria: quella vinicola, che oggi il Paese vanta, nacque nell’Ottocento con capitale e direzione inglese.

Nel 1580 20.000 Spagnoli, al comando del Duca d’Alba, sconfissero l’esercito portoghese e giunsero fino a Lisbona; un anno dopo Filippo II, Re di Spagna, venne proclamato anche Re del Portogallo. Un nobile portoghese volle restituire l’indipendenza al proprio Paese e, allestita una flotta che affidò al comando dell’Italiano Filippo Strozzi, tentò uno sbarco. Ma Filippo II lo prevenne: al largo delle Azzorre, la flotta spagnola assalì quella portoghese e la distrusse; Filippo Strozzi, ferito gravemente durante la battaglia, fu gettato in mare per ordine del Marchese di Santa Cruz, comandante delle navi spagnole. La dominazione spagnola durò 60 anni, e fu un periodo di decadenza, anche per colpa del fisco spagnolo che spremette il Paese per procurarsi il denaro necessario a finanziare le lunghe e spossanti guerre con cui la casata d’Asburgo tentava di affermare il proprio universale dominio. Ma era destino che il popolo portoghese non dovesse sopportare la schiavitù: nel 1640 scoppiò una ribellione di vaste proporzioni e nel 1668, dopo una serie di vittorie, il Trattato di Lisbona sancì la nuova indipendenza del Portogallo.

Per oltre un secolo i Portoghesi poterono godere di una vita tendenzialmente tranquilla, con alcune riforme che modernizzarono il Paese, ma nei primi anni dell’Ottocento videro nuovamente in pericolo la loro libertà. Nel novembre del 1807, l’esercito francese guidato da Napoleone Bonaparte entrò in territorio portoghese, avanzando rapidamente verso la capitale. La famiglia reale non trovò altra soluzione che quella di abbandonare il Paese e trasferirsi in Brasile; molti patrioti portoghesi continuarono invece a lottare e, con l’aiuto dell’esercito inglese, riuscirono alla fine a cacciare gli invasori dalla loro patria.

Verso la fine di quel secolo, cominciò a farsi strada in Portogallo l’idea repubblicana: il desiderio di dare una nuova forma di governo al Paese dipendeva dal fatto che alcuni Re avevano tiranneggiato il popolo e calpestato i suoi diritti. Il 4 ottobre del 1910, i repubblicani suscitarono una rivolta contro la Monarchia. La nascita della Repubblica Portoghese non fu caratterizzata da spargimento di sangue: l’esercito e la marina si schierarono dalla parte dei repubblicani, costringendo la famiglia reale ad abbandonare il Paese. I repubblicani diedero al Portogallo una nuova Costituzione e istituirono la carica di Presidente della Repubblica, il Senato e la Camera dei Deputati. Nel 1933 il Capo del Governo, Antonio de Oliveira Salazar, modificò la Costituzione sostituendo la Camera dei Deputati con la Camera Corporativa, che rappresentava le varie attività economiche del Paese: con un’abile politica, attuò il pareggio del bilancio, realizzò molte opere pubbliche, riformò l’agricoltura e l’amministrazione, riorganizzò l’esercito e la marina, e pose fine alla lotta anti ecclesiastica provocata da eccessi rivoluzionari e dall’attività massonica che nei decenni precedenti aveva insanguinato il Paese con assalti alle redazioni di giornali cattolici, aggressioni e persecuzioni ai membri del clero e a chiunque appoggiasse la Chiesa.

A Salazar successe, nel 1868, Marcello Caetano. Il 25 aprile del 1974 un gruppo di giovani ufficiali dell’esercito rovesciò il regime dittatoriale che s’era formato e diede al Portogallo libere elezioni: questa via di mezzo tra colpo di Stato e rivoluzione è stata attuata senza spargimento di sangue. Da allora, la lotta politica tra i comunisti da una parte e i partiti moderati o conservatori dall’altra è stata accesa, ma sempre rimanendo nell’ambito delle regole democratiche.

Un grave problema che il Portogallo ha dovuto affrontare è stato quello dello smantellamento del suo impero coloniale. Movimenti indipendentistici in Angola e Mozambico già da tempo avevano impegnato l’esercito in una dura guerriglia, che produceva un salasso economico in uomini e mezzi; il crollo della dittatura fece cadere anche il suicida principio del prestigio coloniale. Abbandonando i suoi possedimenti d’oltremare (tranne le Azzorre, Madera, Macao), il Portogallo dovette però trovare una sistemazione per i «retornados», un mezzo milione di cittadini residenti nelle colonie, che preferirono tornare nella madrepatria. Questa grossa ondata di immigrazione in un Paese che aveva già i suoi problemi di eccesso di manodopera fu in buona parte assorbita: alloggiati in un primo momento negli alberghi delle località turistiche del Sud, i «retornados» si distribuirono pian piano in tutto il territorio o emigrarono altrove; in fondo erano quelli dotati di più intraprendenza, tanto è vero che un tempo avevano cercato la loro fortuna oltre oceano.

Quanto detto fino a ora mostra come nel popolo portoghese vi sia un’ottima capacità di reagire ai colpi più duri, e insieme una sorta di fatalismo, non lugubre ma sempre con una punta di sorriso. Due eredità, l’una latina, l’altra araba, che hanno forgiato il «fado», ovvero la musica tipica del folclore lusitano, con toni sempre malinconici o drammatici: è la musica che esprime il sentimento della «saudade», una specie di nostalgia e rimpianto, non per ciò che è realmente passato ma per ciò che avresti potuto avere e non hai avuto. Nella vita quotidiana, comunque, si accettano le difficoltà abbastanza serenamente: si può cadere, certo, e anche farsi male, ma dopo ogni caduta non c’è da fare altro che rialzarsi in piedi. La storia del Portogallo è piena di queste cadute e di questi rialzamenti, modellando il carattere di un popolo forse scontroso e all’apparenza apatico, ma fiero e geloso della propria libertà.

Fado

Fado a Lisbona (Portogallo)

(gennaio 2019)

Tag: Simone Valtorta, storia del Portogallo, Lisbona, Fatima, Penisola Iberica, Lusitania, Viriato, Ataulfo, Toledo, Tarik, Celtiberi, azulejos, Enrico di Borgogna, Miño, Traz oz Montes, Beira, Estremadura, Alemtejo, Algarve, Douro, Enrico il Navigatore, Vasco da Gama, Filippo II, Antonio de Oliveira Salazar, Marcello Caetano, retornados, Filippo Strozzi, fado.