Sinodo e sinodalità. Vicende storiche e aspetti attuali
Origini delle riunioni sinodali. La diversità con i Concili. Il coinvolgimento dei laici

24 aprile 2021: Papa Francesco approva un nuovo itinerario sinodale per la XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi.[1] In un primo momento, l’assise era stata prevista per l’ottobre 2022. Tema dell’incontro: «Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione». La Segreteria Generale del Sinodo indica poi delle inedite modalità per affrontare un cammino corale verso l’appuntamento finale in Vaticano.[2] Il percorso (tra l’ottobre del 2021 e l’ottobre del 2023) è stabilito in tre momenti. Il programma prevede: 1) una fase diocesana, 2) una continentale, e 3) una conclusiva a livello di Chiesa Universale. Settembre 2022: la Segreteria generale del Sinodo pubblica il primo Instrumentum Laboris. Ottobre 2023: il Sinodo entra nella terza fase con un nuovo Instrumentum Laboris. Ancora una decisione del Papa: il Sinodo dei Vescovi, pur conservando la «natura episcopale», deve includere la partecipazione – come membri con diritto di voto – anche di una quota di almeno il 21% di religiosi e consacrate, di laici e laiche, di cui la metà dovranno essere donne.

Nella dinamica descritta, l’assemblea sinodale finale è un evento che non rimane un fatto apicale, di vertice. Le Chiese locali sono state ascoltate. Si è voluto conoscere le attese delle comunità, le problematiche pastorali, le criticità. I risultati, consegnati alla Segreteria del Sinodo, sono poi diventati materia di studio delle singole Conferenze Episcopali nazionali. Autunno 2023: le Conferenze Episcopali continentali consegnano una sintesi di quanto emerso dalle consultazioni.

In tale contesto, sono state diverse le persone che hanno chiesto a chi scrive di spiegare meglio che cos’è un Sinodo, e soprattutto di approfondire in modo chiaro il concetto di sinodalità[3] con le sue concrete applicazioni nelle parrocchie.


L’origine del Sinodo nella storia

Nella storia della Chiesa Cattolica la distinzione nell’uso delle parole «concilio» e «sinodo» è recente. Ciò premesso, occorre sottolineare il fatto che i sinodi della Chiesa furono introdotti per diventare un luogo ove risolvere quei casi che il Vescovo locale faticava a trattare da solo. Essi traggono origine dagli incontri promossi fin dall’inizio del cammino apostolico per affrontare situazioni legate all’impegno della prima evangelizzazione e alle realtà pastorali delle nuove Chiese locali. Un esempio, è la riunione che si tenne a Gerusalemme per esaminare il rapporto tra usi ebraici e nuovo orientamento cristiano.[4] Con il trascorrere del tempo, la storia della Chiesa sarà segnata da diversi tipi di sinodi. Alcuni vennero presieduti dal Vescovo locale («provinciali»), altri dal Vescovo metropolitano («metropolitani»), fino a quelli convocati e diretti dal Patriarca («patriarcali»).

Al riguardo, una fonte importante è cistituita dai Canoni apostolici. Si tratta di una collezione canonica, inserita nel libro VIII delle Costituzioni apostoliche, diffusa in Siria probabilmente verso il 380, di cui non si conosce l’autore. Essi codificano la disciplina ecclesiastica che era già in vigore prima del Concilio di Nicea (325), e che venne confermata anche dai concili ecumenici successivi. Il canone 34 dei Canoni apostolici, testo chiave per comprendere l’istituzione patriarcale e sinodale nelle Chiese d’Oriente, stabilisce quanto segue:

«I Vescovi di ciascuna Nazione [«ethnos»] devono conoscere [chi è] il primo [«protos»] tra di loro e prenderlo come il capo e non fare alcunché di importante senza il suo parere, e ciascuno operi solo in merito a cose riguardanti la propria circoscrizione e i territori che ne dipendono; ma neppure quello [il primo o capo] faccia qualcosa, senza il parere di tutti: così ci sarà concordia e sarà glorificato Dio, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo».[5]

Tale orientamento comunionale trova altri riferimenti chiave. Quando nella Chiesa si avvertì l’influsso negativo dell’eresia ariana (che negava la divinità di Cristo) si decise di convocare a Nicea (325) un concilio «universale». Si vollero chiamare, cioè, i vari Vescovi presenti nelle più diverse aree dell’Impero. Al riguardo si attivò l’Imperatore Costantino I, d’intesa con la Chiesa del tempo.[6] Questa assise, attraverso l’esercizio sinodale del ministero dei Vescovi, si espresse per la prima volta in modo istituzionale sul piano ecumenico.[7] I Padri approvarono una Dichiarazione di fede, che ricevette il nome di Simbolo niceno. Venne decisa la dottrina dell’«homooùsion», cioè della «consustanzialità» del Padre e del Figlio. Tale posizione nega che il Figlio sia creato («genitum, non factum»), e che la sua esistenza sia posteriore al Padre («ante omnia saecula»). In questo modo, la corrente non ortodossa dell’arianesimo fu condannata. Venne inoltre riaffermata l’Incarnazione, Morte e Risurrezione di Cristo, in contrasto alle dottrine gnostiche che arrivavano a negare la crocifissione. Si affermò la nascita verginale di Gesù («nacque da Maria Vergine» – confronta Vangelo secondo Matteo 1, 18 e 25, e Vangelo secondo Luca 1, 34-35).[8]


I sinodi nel tempo

Dall’epoca antica in poi la Chiesa ha attraversato i secoli. In questo procedere comunitario sono stati diversi i momenti nei quali il Papa e i Vescovi (ciascuno nel proprio ambito di competenza) hanno promosso incontri assembleari (a vari livelli) periodici per esaminare aspetti dottrinali, disciplinari, pastorali.[9] Sul piano organizzativo i sinodi diocesani hanno trovato una più facile programmazione, e hanno consentito di affrontare diverse questioni pratiche. I primi documenti scritti ne fanno riferimento già agli inizi del VI secolo (Lex Romana Visigotorum[10]). Nei secoli successivi non mancarono incontri diocesani convocati dal Vescovo per affrontare particolari problemi locali, anche di tipo giudiziario.

Con il Concilio Lateranense IV, tenutosi a Roma nel 1215[11], l’istituto sinodale ricevette un esplicito riconoscimento e una regolamentazione. In quella sede fu previsto che i sinodi diocesani si dovevano svolgere ogni anno, presieduti dal Vescovo o da un suo rappresentante.

Nel progredire del tempo, si definirono le materie oggetto dei sinodi: l’integrità della dottrina, l’amministrazione dei sacramenti, l’ordine delle feste ecclesiastiche e le regole per il rispetto dei luoghi sacri, la disciplina dei chierici e dei laici, il conferimento e l’amministrazione degli uffici ecclesiastici.

Con riferimento ai partecipanti, le assemblee furono ristrette al solo clero, in particolare ai canonici, ai vicari forensi, ai pievani[12] e agli altri curati[13]. Unitamente a ciò, i Vescovi potevano chiedere la partecipazione anche degli abati e degli altri prelati della diocesi.[14]


Alcune fasi temporali discontinue

Nel periodo che intercorre tra il Quattrocento e il Cinquecento la documentazione sulle assemblee sinodali locali e provinciali in Italia rimane deficitaria. Si avverte una minore tensione al rinnovamento, mentre vengono confermate le prassi in vigore da tempo. Tale situazione ha un mutamento dalla metà del XVI secolo.


Concilio di Trento

Nel 1563 i Padri del Concilio di Trento[15] (sessione XXIV, capitolo 2, de reform., dell’11 novembre) vollero specificare un obbligo annuale da parte dei Vescovi nella convocazione di un sinodo diocesano, e una scadenza triennale per il concilio provinciale.

Il concilio provinciale doveva affrontare i temi della regolazione dei costumi, della correzione degli abusi, della composizione delle differenze, della definizione dei comportamenti permessi. Convocato ogni tre anni, era presieduto dal Vescovo metropolitano o, in sua assenza, dal Vescovo più anziano della provincia. La composizione dell’assise era aperta ai Vescovi residenti nella provincia. Per i sinodi diocesani la composizione era estesa a tutti i chierici in cura di anime e ai chierici secolari. Queste disposizioni conciliari si inserivano nell’azione riformatrice della Chiesa (rinnovamento della vita e delle istituzioni diocesane), che includeva pure l’obbligo di residenza per Vescovi ordinari e parroci, della visita pastorale, e dell’esercizio di controlli con la visita apostolica.

Dalla conclusione di Trento alla promulgazione del Codice di diritto canonico del 1917, si annoverano circa 250 concili provinciali per le 90 province ecclesiastiche che esistevano all’epoca di Trento. Questo dato rappresenta circa il 2% dei concili che sarebbero dovuti essere convocati.

Il Codice di diritto canonico del 1917 (canoni 283-291) impose poi ai Vescovi l’obbligo di incontri consultivi di carattere regionale, e dedicò ai concili provinciali una specifica attenzione.[16]


Periodo successivo al Concilio di Trento

Dopo la conclusione del Concilio di Trento vennero celebrati quasi 460 sinodi nel cinquantennio successivo e altri 430 nel mezzo secolo seguente. In questa fase d’intensa attività assunse un ruolo di guida il Cardinale Carlo Borromeo[17], Arcivescovo di Milano. Nei suoi anni pastorali furono divulgati gli Acta Ecclesiae Mediolanensis.[18] Con tale opera venne pubblicato il corpus legislativo emanato nel corso dei sei concili provinciali celebrati fra il 1565 e il 1582. Questi, nei decenni successivi, costituiranno il modello di riferimento per l’attività sinodale dei Vescovi Italiani.


In particolare: i concili di Lima

Nel contesto delineato, in diversi Paesi della Chiesa Cattolica vennero promossi concili per rafforzare la vita comunitaria del tempo. Il Primo Concilio Diocesano di Lima fu organizzato dall’Arcivescovo Jerónimo de Loaysa (inizio: 4 ottobre 1551). Durò più di un anno. In tale periodo ci si occupò dell’insegnamento religioso per gli Indios. Furono emanate istruzioni per i missionari. Vennero preparati catechismi bilingue (in castigliano e quechua). Furono emanate anche direttive riguardanti i «calpixques», ovvero i catechisti indiani ingaggiati dagli «encomenderos» (proprietari terrieri) per aiutare nell’evangelizzazione.

Nel Secondo Concilio di Lima (marzo 1567-gennaio 1568) una parte delle sessioni fu dedicata alla disciplina ecclesiastica e alla vita religiosa della popolazione ispanica. Si discusse poi sulla evangelizzazione degli Indios.

Tra le risoluzioni approvate si ricordano quelle per ridurre il consumo di coca, per condurre gli Indios ai villaggi, per istituire scuole per i figli dei «caciques» (cioè i capi), per eliminare i «costumi abominevoli» come la deformazione dei crani, per promuovere l’uso delle lingue indigene da parte dei catechisti con l’utilizzo di libri in lingua vernacola.

Nel Terzo Concilio di Lima i lavori si articolarono in cinque sessioni (agosto 1582-ottobre 1583). Da questo appuntamento ecclesiale derivarono tre testi: il Catechismo, il Confessionario e il Sermonario. Furono scritti in tre lingue, castigliano, quechua e aimara. Le risoluzioni della grande assemblea di Lima condussero alla definitiva applicazione in terre andine delle riforme tridentine.

Nel Quarto Concilio di Lima (1591), breve e con un numero limitato di partecipanti, si trattarono più argomenti: la soggezione dei sacerdoti al diritto civile, la proibizione ai laici di intromettersi negli affari ecclesiastici, la riforma di alcune rubriche del Messale.

Dopo un Quinto Concilio (1601), non venne convocata un’altra riunione ecclesiastica di qualche particolare rilevanza fino alla metà del secolo XVIII.


Vicende successive in Italia

Dopo l’intensa fase pastorale successiva al Concilio di Trento, si verificò una lieve flessione del numero dei sinodi (234 nel 1716-1765). Tale realtà pastorale fu seguita da una fase di inattività nel periodo compreso tra l’età delle riforme illuministiche[19] e gli anni della Rivoluzione Francese (1789- 1799). In tale contesto, per tutta l’epoca moderna, vennero applicati modelli diversificati di sinodi. Ciò fu motivato dalle differenti condizioni socio-economiche e culturali delle regioni italiane.

Furono sette i concili provinciali convocati prima dell’unificazione italiana (Firenze, Pisa e Siena nel 1850; Ravenna nel 1855; Capua, Urbino e Venezia nel 1859).

Con l’unificazione politica della penisola, la Chiesa Italiana dovette affrontare molteplici difficoltà legate al rapporto Stato-Chiesa. Tra la proclamazione del Regno d’Italia e lo scoppio della Prima Guerra Mondiale furono celebrati i concili provinciali di Cagliari del 1886, di Milano del 1906 (grazie al Cardinale A. C. Ferrari), e di Benevento del 1895. Nel frattempo, avvenivano incontri informali tra Vescovi, così da superare difficoltà poste dai Governi Liberali del tempo. Muovono così i primi passi (secolo XIX) le conferenze episcopali.


Dopo la Prima Guerra Mondiale

Nel periodo successivo al Primo Conflitto Mondiale, si registrano molti concili provinciali. Si tratta di una tendenza storica che arriverà fino al Vaticano II. Tra i motivi legati ai nuovi appuntamenti assembleari si può ricordare la promulgazione del Codice di diritto canonico (1917), con la conseguente necessità di adeguarvi la legislazione locale. Il nuovo codice (canoni 281-282) prevedeva, accanto al concilio provinciale, la figura di quello plenario, riunione di Vescovi di varie provincie ecclesiastiche vicine presieduta da un legato pontificio. Al fine di dare un impulso a quest’attività conciliare, la Congregazione Concistoriale nel 1919 divise l’Italia in 15 regioni ecclesiastiche (escludendo però Veneto, Lombardia, Piemonte e Liguria, dove sarebbero stati ancora convocati concili provinciali).

In tale fase, e fino al Vaticano II, furono promossi 16 concili plenari: 1° Siciliano 1920 (Palermo), Umbro 1923 (Assisi), Sardo 1924 (Oristano), Abruzzese 1924 (Chieti), 1° Salernitano-Lucano 1925 (Salerno), 1° Piceno 1928 (Loreto), Pugliese 1928 (Molfetta), Campano 1932 (Napoli), Emiliano 1932 (Bologna), Etrusco 1933 (Firenze), 1° Calabrese 1934 (Reggio), 2° Siciliano 1952 (Palermo), Laziale Superiore 1953 (Viterbo), 2° Salernitano-Lucano 1955 (Salerno), 2° Piceno 1956 (Loreto), 2° Calabrese 1961 (Reggio). Mancarono quindi all’appello tre delle 15 regioni: Beneventano, Lazio Inferiore e Romagna; a Benevento però fu tenuto nel 1927 un concilio provinciale.

Nelle quattro zone rimaste esenti dal regime regionale-plenario, si tennero i concili provinciali di Milano nel 1934 e di Genova nel 1950. In Piemonte, invece, si tenne alla fine un plenario, che includeva le provincie ecclesiastiche di Torino e Vercelli, nel 1927; lo stesso avvenne nel Veneto, dove si tennero due plenari: nel 1923 (con le provincie di Venezia e Udine) e nel 1951 (Venezia, Udine e Trento).

Un caso a parte è il Sinodo Intereparchiale di Grottaferrata del 1940. Voluto da Pio XI. Il suo obiettivo fu quello di riunire i Vescovi dei tre territori di rito bizantino presenti in Italia: il monastero esarchico di Grottaferrata e le eparchie di Lungro e Piana degli Albanesi.[20] Il Secondo Sinodo Inter-eparchiale si è riunito nel 2004-2005.


Le indicazioni del Concilio Ecumenico Vaticano II

Nel migrare del tempo, la vita della Chiesa, dopo la celebrazione del Concilio Ecumenico Vaticano I[21], venne segnata da un ulteriore importante appuntamento ecclesiale: la convocazione del Vaticano II. Tale assise si svolse dall’11 ottobre 1962 all’8 dicembre 1965.[22] Tra i documenti approvati si trova anche il decreto Christus Dominus sulla missione pastorale dei Vescovi nella Chiesa. Al riguardo, nel capitolo I c’è un’indicazione significativa che qui di seguito si riporta.

«Una più efficace collaborazione al supremo pastore della Chiesa la possono prestare, nei modi dallo stesso Romano Pontefice stabiliti o da stabilirsi, i Vescovi scelti da diverse regioni del mondo, riuniti nel consiglio propriamente chiamato Sinodo dei Vescovi. Tale Sinodo, rappresentando tutto l’episcopato cattolico, è un segno che tutti i Vescovi sono partecipi in gerarchica comunione della sollecitudine della Chiesa universale».[23] Analoga indicazione si trova nel decreto Ad Gentes (numero 30). Questo orientamento comunionale, nel Vaticano II, è arricchito da altri riferimenti. A esempio, nel decreto sull’apostolato dei laici Apostolicam Actuositatem, capitolo V, si trova un invito importante.

«26. Nelle diocesi, per quanto è possibile, vi siano dei consigli che aiutino il lavoro apostolico della Chiesa, sia nel campo dell’evangelizzazione e della santificazione, sia in campo caritativo, sociale, eccetera, nei quali devono convenientemente collaborare clero, religiosi e laici. Questi consigli potranno giovare alla mutua coordinazione delle varie associazioni e iniziative dei laici, nel rispetto dell’indole propria e dell’autonomia di ciascuna (41).

Consigli di tal genere vi siano pure, per quanto è possibile, nell’ambito parrocchiale, interparrocchiale, interdiocesano, nonché a livello nazionale e internazionale».[24]


Le applicazioni del Vaticano II

In applicazione degli orientamenti del Vaticano II, Paolo VI[25], con il «motu proprio» Apostolica sollicitudo[26] (15 settembre 1965) istituì il Sinodo dei Vescovi per tutta la Chiesa. In questo documento il Pontefice sottolineò che «il Sinodo dei Vescovi, per il quale Vescovi scelti nelle varie parti del mondo apportano al supremo pastore della Chiesa un aiuto più efficace, viene costituito in maniera tale che sia: una istituzione ecclesiastica centrale; rappresentante tutto l’Episcopato Cattolico; perpetua per sua natura; quanto alla sua struttura, svolgente i suoi compiti in modo temporaneo ed occasionale».

Unitamente al Sinodo citato, vennero confermati alcuni organismi (esempi: Concistoro cardinalizio, Collegio cardinalizio), e furono anche istituite in tempi successivi ulteriori forme di collegialità (esempio: Consiglio di Cardinali).[27]

Oltre il moto riformatore apicale, si sviluppò anche quello «di base». Vennero quindi ampliati gli spazi assembleari (a più livelli) nelle diocesi e nelle stesse parrocchie. Tale orientamento, confermato dal cammino sinodale voluto da Papa Francesco[28], citato in premessa, risulta significativo per più motivi: per la stesura del Piano pastorale, per la circolazione delle esperienze, per una intesa tra apostolato laicale organizzato e azione singola di fedeli, per l’attività dei consigli economici, per l’esame di situazioni da ponderare attentamente, per l’attenzione da riservare ai fedeli più fragili e deboli (infermi, disabili).


Alcuni mutamenti

Dopo il Vaticano II, i concili plenari e provinciali in Italia non furono più frequenti. Un motivo può essere legato all’istituzione della Conferenza Episcopale Italiana, sorta nel 1954 come Conferenza dei Vescovi Presidenti delle Regioni Conciliari, e trasformata in Conferenza plenaria nel 1964.[29]


I Consigli presbiterale e pastorale

Attualmente, in ogni diocesi, è operante un Consiglio presbiterale (obbligatorio), e uno pastorale (non obbligatorio). Tali organismi sono previsti dal Codice di diritto canonico (CIC; canoni 495-502; 511-514), e dal Codice dei canoni delle Chiese Orientali (CCEO; canoni 264-270; 272-275). Si trovano inoltre elencati tra le istituzioni di ogni Chiesa locale (cioè ogni diocesi). Il consiglio pastorale, in particolare, oltre a quello diocesano[30], può essere anche parrocchiale. Al riguardo, la parrocchia viene definita come comunità di fedeli. Per essere una realtà autentica, deve esprimere degli strumenti di corresponsabilità, che consentano ai fedeli di partecipare in modo effettivo alla sua missione. Per tale motivo è previsto il consiglio pastorale parrocchiale, definito dalle parole del canone 536 del CIC:

«1. Se risulta opportuno a giudizio del Vescovo diocesano, dopo aver sentito il consiglio presbiterale, in ogni parrocchia venga costituito il consiglio pastorale, che è presieduto dal parroco e nel quale i fedeli, insieme con coloro che partecipano alla cura pastorale della parrocchia in forza del proprio ufficio, prestano il loro aiuto nel promuovere l’attività pastorale.

2. Il consiglio pastorale ha solamente voto consultivo ed è retto dalle norme stabilite dal Vescovo diocesano».


Il Consiglio pastorale parrocchiale

Sul piano storico il consiglio pastorale parrocchiale[31] ha il merito di aver evitato (e di evitare) degli estremi che talvolta possono appesantire la vivacità di una comunità locale. Per esplicitare questo concetto, si riportano qui di seguito alcuni esempi.

1) La clericalizzazione della parrocchia. In tale situazione ogni iniziativa viene strettamente decisa dal parroco senza lasciare spazio a iniziative di religiosi e di laici. Tale impostazione (di tipo rigidamente gerarchico) presenta il suo lato debole nel fatto che, in modo progressivo, i laici si abituano a operare solo se ricevono direttive. Lo stesso vale per i membri di istituti religiosi.

2) Il passaggio dall’azione pastorale a una mera amministrazione di uffici da svolgere. Un esempio (indicato da taluni fedeli) riguarda il fatto che a volte si trovano cartelli che indicano l’orario di presenza del parroco («il parroco riceve nei giorni … dalle ore … alle ore …»). Anche l’uso di segreterie non ha facilitato sempre il rapporto con il clero. Inoltre, la stessa cartellonistica (all’esterno e all’interno di una chiesa), e il sito web parrocchiale, dovrebbero essere studiati in modo da facilitare l’interazione con il parroco, con i suoi collaboratori, e con i laici responsabili di gruppi.

3) Il settorialismo pastorale. Tale orientamento si realizza quando il parroco decide di organizzare dei gruppi di servizio ecclesiale (esempi: coro, catechisti, consiglieri economici, ministri straordinari dell’Eucaristia…) senza prevedere delle forme comunitarie di incontro tra le diverse espressioni parrocchiali. Qualcuno, a esempio, ha ricordato il caso di una parrocchia ove esistono di fatto quattro cori che non interagiscono mai tra loro.

4) La disapplicazione del concetto di «consiglio». Tale realtà si verifica ogni volta in cui il parroco convoca dei fedeli per costituire un consiglio, lasciando – però – uno spazio limitato agli interventi dei presenti. In questo caso si assiste più a un ruolo di informazione/orientamento del parroco, e meno a un emergere di consigli che sono definiti tali perché esprimono pareri su temi concreti (resi noti prima dell’incontro).

5) Le opzioni pastorali di tipo parziale. In tale situazione può accadere che il parroco rivolga attenzione a scelte da attivare rapidamente (esempio: preparazione ai sacramenti dell’iniziazione cristiana) lasciando in ombra altre realtà che conservano anch’esse una propria significatività (esempio: formazione permanente degli adulti).

6) La delega ufficiosa a determinati movimenti o associazioni per l’espletamento di più compiti in parrocchia. In tale situazione il parroco opera la scelta di affidare il buon andamento della parrocchia ai membri di uno specifico movimento cattolico (che ha un proprio carisma). Tale orientamento presenta diverse realtà da considerare. Di frequente, infatti, alcuni membri di movimenti insistono per realizzare in parrocchia proprie prassi (esempi: inserimento di «loro» canti, adozione di taluni usi comunitari che si aggiungono alla liturgia…). In alcune situazioni la figura del sacerdote finisce per diventare marginale, e lo stesso ruolo di padre spirituale è talvolta assunto da laici.


Il consiglio pastorale come luogo comunionale

Nel contesto delineato, il consiglio pastorale parrocchiale diventa allora un momento comunionale significativo.[32] Un evento di corresponsabilità.[33] Vi sono presenti le diverse componenti della parrocchia (sacerdoti, religiosi, laici), e si attuano dei processi di trasparenza che favoriscono la conoscenza del cammino ecclesiale. Al di là dei modi con i quali si può convocare un consiglio pastorale (esempi: elezioni, scelta dei collaboratori più diretti, individuazione dei soggetti impegnati comunque in attività ecclesiali anche fuori della parrocchia…), quello che rimane essenziale è la crescita della comunità parrocchiale nella corresponsabilità, nella partecipazione diretta, nell’azione sostenuta dalla preghiera comunitaria. Esistono poi delle aree di azione pastorale che riguardano un esame collegiale. Si riportano qui di seguito alcune.

1) L’annuncio del Risorto.

Evangelizzazione: attualmente non sono infrequenti i casi di non battezzati; avvicinamento a chi ha chiesto di essere cancellato dall’elenco dei battezzati; sostegno alle missioni cattoliche;

catechesi: con particolare attenzione ai minori, agli anziani, ai malati, ai disabili). Un rilievo particolare viene rivolto agli adulti che chiedono di essere cresimati.

2) La liturgia.

Educazione liturgica, comprensione del ciclo liturgico, la celebrazione delle solennità, i sussidi liturgici, il contributo dei cori parrocchiali.

3) Formazione permanente dei fedeli.

Vita in Dio: culto eucaristico, ascesi spirituale, morale, teologia sacramentale, aspetti biblici, storia della Chiesa (con particolare attenzione a quegli eventi che riversano effetti sull’attuale periodo storico), assemblea sinodale, pellegrinaggi, processioni.

4) Vivere e comunicare Dio-Amore nelle realtà che richiedono una particolare carità operaia.

I malati terminali, le persone segnate da disagio economico, i profughi extra comunitari, i soggetti con sofferenza mentale, le persone legate a dipendenze, le famiglie divise, i conflitti familiari, le persone agnostiche.

5) Conoscenza sui diversi carismi.

Istituti religiosi, Fraternità, Comunità laicali, Associazioni, Movimenti, «Ordo Virginum», Diaconi, Seminaristi.

6) Movimento ecumenico.

Contemplare la paternità di Dio, la comprensione dell’Evento Pasquale, l’orazione comune, la conoscenza reciproca ai vari livelli.


La sinodalità oggi

L’orizzonte delineato in precedenza fa comprendere che in un consiglio pastorale non ci possono essere persone che partecipano agli incontri rimanendo solo in una posizione di ascolto. I diversi membri della comunità parrocchiale sono chiamati a fornire indicazioni concrete, a segnalare esperienze pastorali in atto, a suggerire il coinvolgimento di precise persone, a evidenziare possibili situazioni da migliorare. È da tutta questa dinamica che si può comprendere il significato più autentico della «sinodalità». In pratica, si è in presenza di un moto di convergenza che valorizza l’originalità di ogni contributo. Non si tratta di seguire necessariamente le regole di una democrazia che si costruisce in ambito politico. Piuttosto si è in presenza di: 1) una unità già precostituita (intorno all’Eucaristia); 2) un rapporto fraterno segnato dal primato di Dio;[34] 3) una corresponsabilità che spinge a superare le divergenze in considerazione del fatto che il primo interesse da perseguire è la salute delle anime.[35]


Qualche considerazione di sintesi

Nel magistero pontificio esiste continuamente un riferimento ai gesti poveri, semplici, a una relazionalità autentica, alla scelta dei piccoli passi, a un respiro della parrocchia che va oltre i confini segnati da una carta territoriale.[36] Tale indicazione, a ben vedere, non è semplice perché possono esistere fattori che non aiutano. Il chiacchiericcio, a esempio, rimane un elemento frenante. Anche i personalismi non aiutano. E rimangono pure poco utili determinate posizioni soggettive legate a esempio a un certo fideismo. Forse non è sbagliato ricordare un programma dell’Azione Cattolica che si riassumeva in tre parole: «preghiera, azione, sacrificio». Tale indicazione pare attuale anche in quest’oggi di Dio. Pure il termine sacrificio costituisce un elemento base. Questo punto chiave non coincide con l’auto mortificazione ma indica la strada dell’offerta libera e gratuita ove tutta la vita diventa un continuo offertorio per il bene della Chiesa.


Alcune indicazioni bibliografiche

Francesco (Jorge Mario Bergoglio), Camminare insieme. Parole e riflessioni sulla sinodalità, Libreria editrice Vaticana, Città del Vaticano 2022

La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, documento della Commissione teologica internazionale (2 marzo 2018), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2018

S. Madrigal, Che cos’è il cammino sinodale? Il pensiero di Papa Francesco, in: «La Civiltà Cattolica», quaderno 4111, 2.10.2021, volume IV, pagine 17-33

A. Martin, Sinodalità. Il fondamento biblico del camminare insieme, Queriniana, Brescia 2021

C. Militello, Sinodalità. Del popolo di Dio, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2023

C. Militello, Sinodalità e riforma della Chiesa. Lezioni del passato e sfide del presente, San Paolo, Cinisello Balsamo 2023

Paolo VI e il Sinodo dei Vescovi, a cura di L. Sapienza, Viverein, Monopoli (BA) 2015

A. Ruccia, Sinodalità e missione. Per una nuova evangelizzazione, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2022

F. Sportelli, La Cei e la collegialità italiana, in: «Cristiani d’Italia. Chiese, società, stato. 1861-2011», volume II, a cura di A. Melloni, Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, Roma 2011, pagine 839-850

L. Tinebra, Il Sinodo diocesano tra comunione e autorità. Appunti di storia e disciplina giuridica, in: «Ius Ecclesiae», V. 13 Numero 1 (2001).


Note

1 Sinodo è una parola greca «syn-hodos» che significa «riunione», «convegno». Tra le molte pubblicazioni sul Sinodo dei Vescovi confronta anche: AA.VV., Il Sinodo dei vescovi al servizio di una Chiesa sinodale. A cinquant’anni dall’Apostolica sollicitudo, a cura di L. Baldisseri, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2016.

2 Sinodo dei Vescovi (a cura di), Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione, Documento preparatorio, Sinodo 2021-2023, Città del Vaticano 2021.

3 U. Sartorio, Sinodalità. Verso un nuovo stile di Chiesa, Àncora, Milano 2021.

4 Atti degli Apostoli, capitolo 15.

5 D. Ceccarelli Morolli, Alcune riflessioni intorno ad una importante collezione canonica delle origini: «Gli 85 Canoni degli Apostoli», in: «Studi sull’Oriente Cristiano», Accademia Angelico-Costantiniana-Coopacai Phoenix scarl, Roma 2002.

6 Confronta anche: H. Pietras, Concilio di Nicea (325) nel suo contesto, Pontificia Università Gregoriana, Roma 2021.

7 La parola ecumenico deriva dal greco «oikoumene» che significa «tutto il mondo abitato».

8 Per ulteriori approfondimenti confronta anche: G. Jossa, Il Cristianesimo antico. Dalle origini al Concilio di Nicea, Carocci, Roma 1998.

9 Tra i molti studi confronta anche: AA.VV., Storia dei Concili Ecumenici. Attori, canoni, eredità, a cura di O. Bucci-P. Piatti, Città Nuova, Roma 2014. G. Greco, Concili, Sinodi, in: AA.VV., Lemmario Dizionario Storico «La Chiesa in Italia», volume I, Associazione Italiana dei Professori di Storia della Chiesa, Roma (edizione online). J. M. Laboa, Atlante dei concili e dei sinodi nella storia della Chiesa, Città Nuova, Roma 2008.

10 Lex Romana Visigothorum (Breviarium alaricianum): raccolta di leggi. Predisposta dai Visigoti presenti nella Gallia Meridionale (capitale Tolosa). L’iniziativa fu voluta da Alarico II nel 506.

11 Conciliorum oecumenicorum decreta, a cura di G. Alberigo, Istituto per le scienze religiose (Bologna), Bologna 1973, pagine 227-271.

12 Prete rettore di una pieve.

13 Sacerdoti in cura d’anime.

14 Confronta anche: A. Tilatti, Sinodi diocesani e concili provinciali in Italia Nord-Orientale fra Due e Trecento, in: «Mélanges de l’école française de Rome», année 2000, 112-1, pagine 273-304.

15 Concilio di Trento: i lavori si svolsero in tre momenti separati, dal 1545 al 1563. Durante le diverse sessioni, si succedettero a Roma cinque Papi (Paolo III, Giulio III, Marcello II, Paolo IV e Pio IV.

16 Tra i molti studi confronta anche: AA.VV., Dalla Chiesa antica alla Chiesa moderna. Miscellanea per il 50° della Facoltà di storia ecclesiastica della Pontificia Università Gregoriana, a cura di M. Fois, F. Litva, V. Monachino, Gregorian Biblical BookShop, Roma 1983. G. Ruggieri, Chiesa sinodale, Laterza, Bari-Roma 2017.

17 Cardinale Carlo Borromeo (1538-1584).

18 Gli Acta Ecclesiæ Mediolanensis (=Atti giuridici della Chiesa Milanese) furono pubblicati per la prima volta nel 1582. Con tale iniziativa fu raccolta e divulgata la notevole legislazione promossa da San Carlo Borromeo durante la sua attività come Arcivescovo di Milano (i Sinodi Diocesani) e come metropolita della regione ecclesiastica che su Milano gravitava (i Concili Provinciali).

19 Il Sovrano, pur continuando a governare in modo assoluto, realizzava alcune riforme.

20 Gli atti e decreti del concilio furono approvati in questo caso dalla Congregazione Orientale, e non da quella del Concilio.

21 Concilio Ecumenico Vaticano I: l’apertura fu indetta da Pio IX nel giugno del 1868. Le sessioni vennero interrotte due anni dopo, nel luglio 1870, a motivo dell’occupazione di Roma da parte dell’esercito sabaudo.

22 Tra le diverse pubblicazioni confronta anche: P. Chenaux, Il Concilio Vaticano II, Carocci, Roma 2012.

23 Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto sulla missione pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus (28 ottobre 1965). Confronta capitolo I, I Vescovi e la Chiesa universale, numero 5.

24 Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto sull’apostolato dei laici Apostolicam Actuositatem (18 novembre 1965). Confronta il capitolo V, L’ordine da osservare nell’apostolato, numero 26.

25 Paolo VI (Giovanni Battista Montini; 1897-1978; Santo). Il suo Pontificato durò dal 1963 alla morte.

26 Acta Apostolicae Sedis, 57, 1965, pagine 775-780.

27 Confronta anche: Paolo VI e il Sinodo dei Vescovi, a cura di L. Sapienza, Edizioni Vivere in, Monopoli (BA) 2015.

28 In materia di magistero pontificio confronta anche: A. R. Bilégué, Papa Francesco e sinodalità. Un metodo teologico pastorale, NeP Edizioni, Roma 2022.

29 Confronta anche: F. Sportelli, CEI-Conferenza Episcopale Italiana, in: «Le diocesi d’Italia. Dizionario storico», volume I, «Le regioni ecclesiastiche», a cura di E. Guerriero, L. Mezzadri, M. Tagliaferri, San Paolo, Cinisello Balsamo 2007, pagine 278-286. Idem, La Conferenza Episcopale Italiana 1952-1972, Congedo Editore, Galatina 1994.

30 G. Gervasio, Il consiglio pastorale diocesano strumento di comunione nella Chiesa particolare, in «Partecipazione e corresponsabilità nella Chiesa», Milano 2000, pagine 224-249. E. Miragoli E., Il consiglio pastorale parrocchiale fra teoria e prassi, in: «Partecipazione e corresponsabilità nella Chiesa», Milano 2000, pagine 250-270.

31 Confronta anche: Arcidiocesi di Milano, Direttorio per i Consigli parrocchiali e di comunità pastorale, Milano 2015. Diocesi di Tivoli, Vademecum per i consigli pastorali parrocchiali nelle parrocchie della Chiesa tiburtina, Tivoli, 19 marzo 2010. A. Tessarolo, I Consigli Parrocchiali, EDB, Bologna 1969.

32 G. Curciarello-E. Romeo, Viva la parrocchia! La sinodalità vissuta dal basso, AVE, Roma 2022. G. Mancini, Sinodalità. Esercizi per la parrocchia, Effatà, Cantalupa 2022.

33 A. Tessarolo, I consigli parrocchiali. Partecipazione e corresponsabilità, EDB, Bologna 1969.

34 Lettera Enciclica Fratelli tutti del Santo Padre Francesco sulla fraternità e l’amicizia sociale, 3 ottobre 2020.

35 S. Madrigal, Che cos’è il cammino sinodale? Il pensiero di Papa Francesco, in: «La Civiltà Cattolica», quaderno 4.111, 2.10.2021, volume IV, pagine 17-33.

36 Confronta anche: Celebrazione mattutina trasmessa in diretta dalla cappella di Casa Santa Marta, Omelia del Santo Padre Francesco, «La concretezza e la semplicità dei piccoli», mercoledì, 29 aprile 2020.

(settembre 2023)

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