Il mondo sull’orlo della Guerra Fredda 1945-1948
Una minaccia pesante al mondo occidentale libero

Nel conflitto USA-URSS alcuni fattori giocarono a favore di quest’ultima: le zone di tensione erano tutte nel continente eurasiatico in zone di contiguità territoriale con l’Unione Sovietica e i suoi alleati, e pertanto l’esercito russo poteva muovere, come si dice nel gergo militare, «per linee interne» mentre i paesi aderenti alla NATO necessitavano di numerose basi militari disperse in ogni parte del globo per assicurarsi valide strutture logistiche.

Nel febbraio del ’47, con i trattati di pace con i paesi ex satelliti dell’Asse, venne stabilito l’obbligo di sgombero delle truppe di occupazione dall’Europa; tali prescrizioni non ebbero seguito da parte dell’Unione Sovietica e a vario titolo l’esercito di Mosca rimase in Europa, dividendo il continente in rigidi schieramenti contrapposti.

La Conferenza di Yalta del febbraio 1945 era stata salutata come l’inizio di una nuova era. Nelle settimane successive allo storico accordo, ancora vivo Roosevelt, si ebbe tuttavia una serie di gravi violazioni da parte sovietica (in Romania, Bulgaria e Polonia) e la posizione di equidistanza degli Stati Uniti rispetto a Gran Bretagna e Unione Sovietica venne meno con un sensibile riavvicinamento fra le due nazioni anglosassoni. Infine a metà del ’47 con l’enunciazione della dottrina Truman, il rigetto del Piano Marshall da parte sovietica e la nascita del Cominform il dissidio degenerò ulteriormente e si giunse l’anno successivo allo scontro con il cosiddetto Blocco di Berlino.

Subito dopo la fine del conflitto si ebbero gravi iniziative da parte sovietica. La Jugoslavia invase la città di Trieste e uccise alcune migliaia di cittadini italiani (anche antifascisti). In Grecia i comunisti non riconobbero l’esito delle elezioni sotto controllo internazionale e scatenarono una sanguinosa guerra civile. I russi ritardarono notevolmente lo sgombero dell’Iran del nord rispetto a quanto precedentemente concordato, avanzarono pretese sul controllo degli stretti del Mar Nero e su territori armeni assegnati alla Turchia.

Il 1947 fu l’anno più difficile per l’Europa. Il vecchio continente si presentava stremato dalla guerra e sconvolto dalle agitazioni sociali. La Gran Bretagna gravata dal debito estero, fu costretta a rinunciare al suo ruolo internazionale e a una presenza militare più incisiva nel contrastare l’URSS. In Italia e Francia erano attivi due potenti partiti comunisti legati al Kominform, mentre in Grecia con la guerra civile, in Germania, Austria, Turchia, Finlandia e su Trieste si faceva sentire la presenza diretta o indiretta dell’Unione Sovietica. Se gli Stati Uniti non si fossero impegnati nuovamente con il sostegno economico e militare ai paesi europei si avrebbe avuta probabilmente una gravissima situazione per l’intero continente.

Non appena conclusi gli accordi di pace con i paesi satelliti dell’Asse si tenne nel marzo-aprile ’47 la conferenza di Mosca. Il trattato di pace con l’Austria si arenò sulla questione delle riparazioni e delle richieste sovietiche sulla Carinzia meridionale rivendicata dalla Jugoslavia. Sulla Germania i sovietici si opposero alla cessione della Saar (regione carbonifera tedesca) alla Francia e nuovamente i russi presentarono la richiesta di riparazioni dalla Germania per 10 miliardi di dollari, ottenendo un nuovo rifiuto americano. Il governo sovietico si espresse per la creazione di uno stato unitario tedesco fortemente centralizzato e lo scioglimento dei corpi ausiliari tedeschi in quanto considerati unità militari, mentre gli occidentali ritenevano preferibile una repubblica federale. La Francia si allineava sulle posizioni anglo-americane e firmava un accordo con Gran Bretagna e Usa sulla Ruhr. Sulla questione della Renania e i territori a est dell’Oder-Neisse si ebbero veti reciproci e nessun accordo venne raggiunto su libertà d’accesso nella zona orientale e sulla costituzione di un Consiglio Consultivo tedesco. I sovietici contestarono energicamente la fusione delle due zone controllate da britannici e americani, i quali replicarono con la richiesta del numero dei prigionieri tedeschi (diversi milioni) ancora trattenuti in Unione Sovietica. Al termine della Conferenza il segretario di stato americano Marshall lamentava il fatto che «la zona d’occupazione sovietica... ha fatto conoscere pochissimo, o addirittura nulla, su quello che accade dentro i suoi confini». La infelice conclusione della conferenza segnò una grave rottura dei rapporti fra gli occidentali e i sovietici, e spinse il governo di Washington a una profonda revisione della propria politica internazionale.

Il fine ultimo della politica degli Stati Uniti, non più ristretta al continente americano come nel passato, veniva definita dal presidente Truman nel discorso al Congresso del 12 marzo 1947: «Uno degli obiettivi fondamentali della politica estera degli Stati Uniti è la creazione di condizioni in cui noi e le altre potenze possiamo stabilire un modo di vita libero da ogni coercizione. Non raggiungeremo il nostro scopo se non aiuteremo i popoli liberi a mantenere libere istituzioni e l’indipendenza nazionale contro movimenti aggressivi che tentano di imporre loro regimi totalitari... Provvedimenti spietati e il desiderio di estenderli alle nazioni libere che ancora sussistono in Europa, hanno provocato la situazione critica nella quale si dibatte questo continente... per garantire condizioni di libertà a tutte le nazioni gli Stati Uniti hanno assunto un ruolo di primo piano nella creazione delle Nazioni Unite. Ma se noi non realizzeremo i nostri obiettivi, se non sapremo aiutare i popoli liberi a mantenere libere le loro istituzioni e la loro integrità, si finirà a imporre a essi i regimi totalitari. I regimi totalitari imposti ai popoli liberi attraverso aggressioni dirette oppure indirette minacciano la pace e quindi la sicurezza degli Stati Uniti. Molti popoli si sono visti in tempi recenti imporre regimi totalitari contro le loro volontà. Il governo degli Stati Uniti ha più volte protestato energicamente contro le violazioni degli accordi di Yalta commesse in Polonia e Bulgaria... In questo momento della storia del mondo quasi tutte le nazioni devono scegliere fra due forme di vita. Questa scelta troppo spesso non è libera: una forma di vita è basata sulla volontà della maggioranza e si distingue per liberi istituti, governo rappresentativo, elezioni libere, garanzie delle libertà individuali, della libertà di parola e di religione nonché dalla libertà della aggregazione politica. La seconda forma di vita si basa sulla volontà di una minoranza coercitivamente imposta alla maggioranza. Si fonda sul terrore e l’oppressione, su stampa e radio controllate, su elezioni addomesticate e sulla soppressione delle libertà personali. Ritengo che la linea di condotta degli Stati Uniti debba sostenere i popoli liberi che resistono ai tentativi di asservimento da parte di minoranze armate e di pressioni esterne. Ritengo sia nostro dovere aiutare i popoli liberi a forgiarsi i propri destini secondo la loro volontà. Ritengo che il nostro soccorso debba estrinsecarsi anzitutto a mezzo di soccorsi economici e finanziari indispensabili alla stabilità economica e alla vita politica regolare... I liberi popoli del mondo guardano a noi perché noi li assistiamo al mantenimento delle loro libertà. Se noi esitiamo ad assumere tale responsabilità, rischiamo di mettere in pericolo la pace del mondo e metteremo certamente in pericolo il benessere della nostra nazione».

Il discorso che seguiva le dichiarazioni del Primo Ministro inglese di non poter concorrere più al sostegno di Grecia e Turchia, non venne approvato dagli uomini dell’alta finanza come Bernard Baruch e Joseph Kennedy in quanto l’assunzione di responsabilità avrebbe significato costi economici notevoli e protratti nel tempo; anche il presidente della Occidental Oil Corporation Armand Hammer, Nelson Rockfeller e il magnate delle ferrovie Wiliam Harriman, si opposero alla politica di scontro con l’URSS. Secondo un’inchiesta del periodico americano «Fortune», riportata dallo storico russo Geller, gli uomini d’affari americani erano interessati a buone relazioni con l’Unione Sovietica. La «dottrina Truman» e il discorso di Fulton di Winston Churchill sulla «cortina di ferro» sono stati considerati, non ingiustamente, gli atti con cui il mondo intero prese coscienza dell’instaurarsi della guerra fredda.

L’altra grande iniziativa americana di quel periodo costituì una importante novità storica per gli Stati Uniti e il Nuovo Mondo, abituato a un ruolo politico limitato e comunque subordinato a quello delle potenze europee. Attraverso il Piano Marshall concretatosi nel Programma di Ricostruzione Europea (ERP), il vecchio continente poté beneficiare di scorte alimentari, materie prime, ma anche prodotti finiti e strumentali e crediti commerciali per circa 13 miliardi di dollari. Un effetto non secondario del Piano Marshall fu quello di favorire una maggiore liberalizzazione degli scambi commerciali e facilitazioni nelle transazioni internazionali fra Europa e Stati Uniti e all’interno dell’Europa stessa. La risposta delle economie europee al piano di aiuti fu immediata, e già nel 1949 i paesi europei raggiunsero, e in alcuni casi superarono, il livello di produzione industriale degli anni immediatamente precedenti alla guerra. Opposizioni al Piano Marshall vennero oltre che da parte comunista (sebbene in un primo periodo avessero dato il loro consenso) dai sostenitori del nazionalismo economico e politico. L’OECE, l’organizzazione per la cooperazione fra i paesi europei, oltre a sovrintendere la distribuzione degli aiuti divenne un organo finalizzato a favorire l’integrazione europea.

George Marshall, ideatore del piano e premio Nobel per la pace, nel suo discorso all’università di Harward nel giugno 1947 espresse in forma esplicita le finalità del suo piano: «La nostra politica non è rivolta contro un paese o una dottrina, ma contro la fame, la povertà, la disperazione e il caos. Suo obbiettivo deve essere la rinascita di una economia attiva nel mondo, così da permettere il sorgere di condizioni politiche, sociali ed economiche nelle quali le libere istituzioni possano vivere… Ma un governo che cercherà di bloccare la ricostruzione di altri paesi non potrà attendersi aiuto da parte nostra. Inoltre, i governi, i partiti politici, o i gruppi che cercano di perpetuare la miseria umana per profittarne politicamente o in altro modo, incontreranno l’opposizione degli Stati Uniti».

Il piano di aiuti, a cui aderirono 16 paesi europei, non era ristretto ai paesi dell’Europa occidentale, anche all’URSS e ai paesi confluiti nell’orbita sovietica venne accordata la facoltà di aderire al programma. La Polonia e la Cecoslovacchia diedero la propria adesione, che venne successivamente ritirata su richiesta dell’Unione Sovietica. Alla conferenza di Parigi del giugno ’47 Molotov si disse contrario al principio che gli aiuti economici dovessero essere concordati fra America e paesi europei; sostanzialmente riteneva che i governi del vecchio continente avrebbero dovuto semplicemente indicare una lista dei beni di cui necessitavano da presentare agli americani. Per il ministro degli esteri sovietico «i crediti degli Stati Uniti non serviranno a ricostruire l’Europa, bensì a dividerla».

Il programma di aiuti al continente europeo venne completato da un piano di assistenza tecnica ed economica ai paesi in via di sviluppo previsti dal cosiddetto Quarto Punto. Il piano non diede risultati notevoli, tuttavia impedì una maggiore penetrazione del comunismo in quei paesi. La «dottrina» e il «piano» costituivano per espressa affermazione di Truman «le due metà della stessa noce» e costituirono un contributo di grande rilievo alla creazione del nuovo ordine mondiale.

L’estate del ’47 segnò una importante svolta nei rapporti fra Est e Ovest: le elezioni in Ungheria dove il principale partito d’opposizione al comunismo venne ridotto al silenzio, l’esecuzione di Nikola Petkov, esponente di sinistra ed eroe della resistenza antitedesca in Bulgaria, la forte pressione jugoslava su Trieste provocarono un irrigidimento dei due blocchi. Di non minore importanza poi la creazione del Kominform da parte dei partiti comunisti dei paesi del blocco sovietico e di Francia e Italia. La riunione avvenuta nel settembre, e alla quale non vennero invitati i rappresentanti dei partiti comunisti cinese, greco, albanese, e vietnamita ritenuti poco allineati, costituì un importante momento dello scontro ideologico della guerra fredda; vennero denunciati come traditori i sostenitori della socialdemocrazia (fra cui esplicitamente il partito di Saragat) e vennero lanciate gravi accuse ai paesi capitalisti. Altre accuse vennero dirette al Piano Marshall, finalizzato secondo il punto di vista comunista a «stabilire il dominio mondiale dell’imperialismo americano», mentre gli Stati Uniti, leader dello schieramento imperialista, vennero additati come «il nemico principale» del comunismo. L’ambasciata americana a Mosca definì la dichiarazione di Varsavia che istituiva il Kominform «una dichiarazione di guerra politica ed economica contro gli USA»; tuttavia l’organizzazione non ebbe grande vita, i partiti aderenti nutrivano diffidenza verso l’organizzazione che costituiva un mezzo di controllo di Mosca nella vita delle organizzazioni comuniste.

Nello stesso anno gli USA misero a punto il primo piano di emergenza nucleare denominato Half Moon, approvata la costituzione della Central Intelligence Agency meglio nota come CIA e venne creato presso l’Onu il Consiglio di Sicurezza Nazionale. Non molto tempo dopo, nell’aprile ’50 Truman diede la sua approvazione al piano NSC-68 di risposta a un possibile attacco massiccio delle forze sovietiche contro l’Europa, nel quale si affermava espressamente che obiettivo della politica di Mosca era «imporre la sua autorità assoluta sul resto del mondo» e che occorresse «stare all’erta per colpire con tutto il nostro peso appena attaccati e, se possibile, prima che l’attacco sovietico sia realmente lanciato... Nelle fasi iniziali di una guerra atomica, i vantaggi dell’iniziativa e della sorpresa sarebbero enormi». L’allarme per l’Europa era condiviso anche da un illustre giornalista e diplomatico americano, George Kennan: «Fino a quando si riconosceva ufficialmente che esistevano in Russia resti di capitalismo, era possibile attribuire a questi, in quanto elemento interno, parte della colpa per il perpetuarsi di una forma di società dittatoriale. Ma come tali resti vennero poco a poco liquidati, questa giustificazione venne a mancare… e si rese necessario giustificare la continuazione della dittatura proclamando la minaccia del capitalismo estero… Il popolo americano di fronte a questa implacabile sfida, ha fatto sì che tutta la sua sicurezza nazionale dipenda dalla sua capacità di far massa e di accettare le responsabilità di guida politica e morale che la storia ha voluto palesemente affidargli».

Negli anni ’48-’49 molte deposizioni di ex internati e di funzionari sovietici fuggiti all’estero, fra i quali Victor Kravcenko, autore di un libro che destò molto scalpore, parlavano del clima di terrore esistente nel loro paese. La versione ufficiale dei comunisti in tutto il mondo era che si trattasse di propaganda americana per gettare discredito sullo stato sovietico, ma di lì a pochi anni vennero smentiti da Kruscev stesso, oltre che da una serie inconfutabile di prove. In Francia l’esponente russo venne attaccato con violenza dai più autorevoli esponenti comunisti e divenne oggetto di una campagna denigratoria che testimoniava un clima di intolleranza. La sua testimonianza insieme ad altre prove indirette fecero ritenere che in Unione Sovietica e negli altri paesi d’oltre cortina esistessero dei campi di concentramento vasti intere regioni, dove oppositori politici, appartenenti a nazionalità non russe, e altre categorie ritenute non integrate nel regime, erano costrette al lavoro in condizioni disumane. Le prove raccolte dalla Federazione Americana del Lavoro e altri riscontri, fra cui nel ’49 il ritrovamento del Codice di lavoro correttivo della Repubblica Federale Socialista della Russia Sovietica, vennero inviate agli uffici delle Nazioni Unite affinché fossero valutate. L’inchiesta aperta dall’ONU accertò le responsabilità dei sovietici i quali comunque impedirono l’accesso ai delegati delle Nazioni Unite nel paese e respinsero le accuse affermando che i campi di cui si parlava accoglievano solo criminali comuni. Il Consiglio Economico dell’ONU nel 1950 comunque concluse che circa 10 milioni di cittadini erano soggetti al lavoro forzato.

Nel 1948 una grave crisi si ebbe nel nord Europa. La Finlandia che nel ’41 si era associata alla Germania nell’aggressione alla Russia (per i territori perduti nel ’39) nel marzo del ’45 si distaccò dall’Asse e con il ricorso esclusivo alle sue forze si liberò delle truppe tedesche presenti. Ciò le consentì che non si stabilissero truppe dell’Armata Rossa nel proprio territorio; per la Finlandia tradizionalmente legata alla Russia mantenere una politica di indipendenza da Mosca non fu tuttavia facile, Stalin impose durissime riparazioni al paese ritenendo in tal modo di porre in difficoltà la sua economia. Nelle elezioni del 1945 l’estrema sinistra riportò il 25% dei voti circa e nell’aprile del ’48 il governo finnico concluse un patto di reciproca assistenza con l’URSS (diretto soprattutto contro una ripresa della Germania). Un mese dopo si diffusero voci nel paese di un tentativo di complotto che consentì al ministro degli Interni, il comunista Lejno, di adottare alcune gravi contromisure. Il Parlamento espresse un voto di sfiducia all’esponente comunista il quale si appellò ai lavoratori perché fosse indetto uno sciopero di protesta. L’agitazione non ebbe successo, e nelle elezioni di luglio i comunisti risultarono sconfitti. Progressivamente la situazione si normalizzò e la Finlandia si avviò così a una posizione di neutralità con governi democratici non ostili a Mosca ma senza subire ingerenze esterne. Nello stesso anno Stalin propose al governo svedese un piano di difesa comune dell’arcipelago di Spitzberg, che venne respinto energicamente dagli svedesi come tentativo di ingerenza negli affari interni.

L’insuccesso della Conferenza di Londra del 1947 conclusa senza raggiungere un accordo su riparazioni e i confini orientali del nuovo stato tedesco portò alla rottura definitiva dei negoziati sulla Germania. John Foster Dulles, presente alla conferenza, ricorda che le richieste sovietiche erano contraddittorie: «Molotov chiedeva alla Germania somme considerevoli a titolo di riparazioni a favore della Russia e, al tempo stesso, prometteva ai tedeschi di migliorare le loro condizioni economiche». Inoltre il diplomatico americano ricorda che già nel precedente incontro «il Signor Molotov insistette per l’insediamento di un potente governo centrale a Berlino. I capi sovietici erano sicuri che se tutto il potere politico fosse stato concentrato in un solo posto, preferibilmente Berlino, nella Zona Sovietica, essi avrebbero assunto il controllo della Germania una volta che essi avessero assunto il controllo di quel potere centrale». I contrasti fra le potenze occidentali e l’Unione Sovietica si accrebbero ulteriormente quando in un incontro a Londra nel febbraio ’48, francesi, inglesi e americani decisero di unificare la già esistente Bizona con il territorio sotto controllo francese, di riconoscere al governo di Parigi la Saar, e di voler dare vita a una Assemblea Costituente eletta direttamente dai cittadini tedeschi. I sovietici accusarono le altre potenze di voler integrare la Germania nel blocco politico e militare occidentale e di perseguire una politica contraria alla pace.

La tensione, anche fra i diversi contingenti militari presenti in Germania, si accrebbe notevolmente, nel marzo il generale Clay, comandante delle truppe americane in Germania, informò il governo della nuova situazione: «Da qualche settimana sento nell’atteggiamento sovietico una sottile evoluzione, che non posso definire ma che mi dà l’impressione che la guerra potrebbe esplodere con drammatica immediatezza». Nello stesso mese il comandante delle truppe sovietiche, presidente di turno del Consiglio Alleato di Controllo, sospese le riunioni dell’organizzazione; l’organo cessò di esistere e con esso ogni forma di coordinamento permanente fra i quattro. Negli stessi giorni venne deciso da parte sovietica il blocco dei treni militari diretti a Berlino che creò difficoltà al rifornimento delle truppe franco-anglo-americane nella città.

Tre mesi dopo il grave provvedimento sulla circolazione ferroviaria, gli Alleati decisero l’introduzione di una nuova moneta per fronteggiare la gravissima inflazione nel paese. Il nuovo marco venne ben apprezzato dalla cittadinanza tedesca ma per i sovietici rappresentò una grave violazione degli accordi ed essi decisero un inasprimento delle limitazioni al traffico per Berlino. Le ferrovie intorno alla città, le strade, i canali navigabili, vennero completamente chiusi al traffico, mentre venne sospesa l’erogazione di elettricità ai quartieri occidentali; tali misure significarono l’assedio per le forze armate alleate e l’interruzione di ogni forma di approvvigionamento per la popolazione civile. Il Blocco di Berlino fu una iniziativa di eccezionale gravità, di fronte alla quale gli Alleati non avevano altra possibilità che forzare il blocco, rischiando di provocare un gravissimo conflitto o di cedere; gli Stati Uniti trovarono una terza via, che forse i sovietici non avevano previsto, dispendiosa ma pacifica, il ponte aereo fra la ex capitale tedesca e la Germania occidentale, utilizzando l’aeroporto che rientrava nel settore occidentale della città. L’iniziativa americana, che non aveva precedenti nel passato, realizzata attraverso una concentrazione di aeroplani da tutto il mondo, ebbe successo; il ponte aereo per 11 mesi rifornì la città di oltre due milioni di abitanti di quanto necessario (venne trasportata anche pezzo per pezzo una centrale elettrica); l’Occidente diede una grande prova di capacità tecniche e della volontà di resistere ad azioni aggressive.

Nel giugno si ebbero minacciosi spostamenti di truppe da parte dei sovietici ai quali gli americani replicarono con misure militari per garantire i corridoi aerei che erano stati in precedenza violati. L’opinione pubblica mondiale visse un lungo periodo con il fiato sospeso; il generale Clay confermò pubblicamente le intenzioni degli occidentali che «solo la guerra potrebbe obbligarci a lasciare Berlino», Churchill parlò esplicitamente del pericolo di una terza guerra mondiale e riferendosi al fatto che fino a quel momento la bomba atomica era monopolio esclusivo dell’America, disse: «Se fan questo in tempo di vacche grasse, cosa faranno in tempo di vacche magre?»; il Sunday Times infine così commentò gli avvenimenti di quei giorni: «O noi abbandoneremo Berlino, o i russi rinunceranno a cacciarci, o la guerra scoppierà» .

Nello stesso periodo il Consiglio Comunale di Berlino, largamente dominato dai socialisti contrari alla fusione con il partito comunista, venne boicottato da tumulti di piazza che costrinsero l’Assemblea ad abbandonare la sua sede per trasferirsi nella zona occidentale della città. Ciò diede l’opportunità ai comunisti di realizzare un nuovo organismo rappresentativo nella zona est largamente controllato da esponenti filo sovietici.

Venne investito il Consiglio di Sicurezza dell’ONU del problema, ma senza alcun risultato a causa del veto posto dall’URSS. Nella Conferenza di Londra del novembre ’48 l’URSS riconfermava le sue posizioni sulla questione delle riparazioni, e contro la costituzione di un governo federale; l’incontro si concluse pertanto senza risultati. Nell’aprile del ’49 venne deciso un nuovo incontro a quattro per tentare di sbloccare la situazione; non vi furono progressi, comunque vista la fermezza dei paesi occidentali nel maggio il blocco di Berlino venne progressivamente ridotto e la tensione fra le due parti decrebbe.

I gravi avvenimenti non impedirono gli occidentali dal proseguire la loro opera a favore della ricostruzione di uno stato tedesco, si pose fine a ogni tipo di requisizione e si limitarono i propri poteri al controllo sugli atti della nuova amministrazione tedesca, alla gestione della Ruhr, e a materie particolari riguardanti la sicurezza. I Länder della parte occidentale della Germania poterono riunirsi per l’approvazione del nuovo assetto costituzionale, la Legge Fondamentale di Bonn, con la quale diedero vita al nuovo stato tedesco. La Germania venne infine ammessa a beneficiare del piano Marshall, iniziativa che consentì il progressivo miglioramento della situazione economica e il ritorno alla normalità del paese. Nella Germania orientale venne invece costituito un Congresso del Popolo nominato dal SED che costituì l’organo parlamentare del futuro stato tedesco. Non molto tempo dopo nella Germania orientale veniva istituita la DDR, per la Germania iniziava il difficile periodo della separazione in due stati.

La creazione di due stati in Germania creò una serie di problemi per la nazione tedesca e l’Europa; nel 1950 il governo di Pankow sottoscrisse un trattato con la Polonia in base al quale i territori a est dell’Oder-Neisse venivano ceduti al governo di Varsavia, che suscitò la reazione di Bonn. Nel settembre dell’anno successivo il capo del governo della DDR, Grotewohl, propose ai colleghi della Repubblica Federale Tedesca di aprire negoziati per la riunificazione del paese che non ebbero successo. In Austria la situazione era solo relativamente migliore; nel settembre del 1950 venne indetto con l’appoggio delle truppe di occupazione sovietiche uno sciopero generale insurrezionale, che non ebbe esito positivo per la mancata partecipazione dei lavoratori austriaci.

Nel marzo del ’47 venne concluso a Dunkerque un trattato di reciproca assistenza tra Francia e Gran Bretagna in funzione antitedesca, l’accordo venne considerato scarsamente efficace e l’anno successivo si pervenne, su iniziativa del governo laburista inglese, a una estensione del patto (Trattato di Bruxelles) a Belgio, Olanda e Lussemburgo. Il nuovo trattato prevedeva l’assistenza immediata in caso di aggressione contro uno dei paesi firmatari da qualsiasi parte provenisse l’offesa e consultazioni immediate nel caso che l’aggressione avvenisse al di fuori del territorio metropolitano (senza specificare il tipo di aiuto da riceversi). Il governo del Belgio si dimostrò particolarmente sensibile alla questione della sicurezza europea; parlando del governo sovietico, il rappresentante del Belgio presso le Nazioni Unite affermò: «La verità è che la vostra politica estera è oggi più audace e più ambiziosa della politica degli stessi zar». La cooperazione sul piano della difesa venne apprezzata da Truman, il quale ribadì l’appoggio americano ai paesi europei: «Sono sicuro che ci mostreremo tanto risoluti ad aiutare le nazioni libere dell’Europa, quanto queste lo sono nell’assicurare la propria difesa» e ben presto si aprirono trattative per una partecipazione di Stati Uniti e Canada.

Nell’anno successivo vennero invitati a far parte dell’organizzazione i paesi scandinavi, l’Italia e il Portogallo; la Svezia declinò l’invito fedele allo spirito di neutralità pur affermando che una aggressione contro la Finlandia avrebbe prodotto una revisione della sua politica. Si giunse così il 4 marzo 1949 alla firma del North Atlantic Treaty Organization (NATO) che costituì la principale alleanza fra i paesi occidentali. Il trattato non prevedeva l’immediato intervento militare a favore dello stato aggredito ma una serie di consultazioni e di misure a seconda di dove si verificasse l’aggressione. Il campo di azione della NATO era abbastanza circoscritto geograficamente; risultava composto dal continente europeo, quello americano, parte del bacino del Mediterraneo e altre aree geografiche particolari. Il trattato venne rapidamente ratificato dal Senato americano nonostante l’opposizione degli ambienti più conservatori. La costituzione della alleanza suscitò proteste da parte dei sovietici e dei comunisti dei paesi europei, ma non impedì comunque il raggiungimento di un compromesso sulla questione di Berlino.

Il timore di un attacco su vasta scala del continente europeo era in quel tempo molto vivo; secondo il periodico italiano «La Nuova Stampa»: «Non fu esagerazione la frase divenuta comune che l’Occidente europeo rimaneva aperto a una invasione russa, la quale poteva arrivare in pochi giorni all’Atlantico. L’obiezione da parte sovietica o filo comunista, o ingenuamente neutralistica, che l’URSS non pensava e non pensa nulla di simile, è priva di valore. Una sicurezza basata sul buon volere altrui significa, per uno stato qualsiasi, la perdita dell’autonomia».

I timori espressi dagli occidentali furono molto accresciuti quando il 23 settembre 1949 si ebbe l’annuncio del governo americano che i sovietici disponevano di una bomba atomica (aerei in volo ad alta quota avevano segnalato un aumento della radioattività dell’aria prodotto da un esperimento nucleare), la notizia sconvolse l’opinione pubblica che riteneva la sicurezza dell’Occidente minacciata. Vi fu chi pensava a un attacco preventivo contro l’URSS prima che disponesse di un arsenale superiore e della facoltà di colpire obiettivi americani (i bombardieri russi non avevano sufficiente autonomia di volo per raggiungere il continente americano), la reazione di Truman fu invece sostanzialmente moderata, «constatato che nessuno avrebbe potuto mantenere il monopolio» sottolineò la «necessità del controllo internazionale dell’energia atomica» e affermò infine che il risultato sovietico non rendeva più probabile una guerra né che poteva modificare la politica degli Stati Uniti.

Nella riunione del Consiglio del Patto Atlantico a New York del settembre 1950, successiva all’aggressione alla Corea del Sud, gli Stati Uniti si fecero promotori di alcune importanti iniziative: inclusione del territorio tedesco occidentale e di Berlino Ovest nell’area di vitale importanza dell’alleanza, un aumento consistente delle truppe statunitensi sul continente europeo (accogliendo una vecchia richiesta degli europei) e infine l’inserimento della Germania Occidentale nell’alleanza; il riarmo tedesco venne accolto con una certa perplessità dai governi europei e pertanto si studiò una formula per l’impegno di truppe della Repubblica Federale Tedesca sotto un comando unificato non tedesco, che trovò attuazione nella riunione del dicembre 1950 del Consiglio Atlantico a Bruxelles.

Nel 1950, alla vigilia della guerra di Corea, gli USA disponevano complessivamente di non più di 14 divisioni contro le circa 175 dell’URSS. L’esercito sovietico in quegli anni superava i 5 milioni e mezzo di uomini, e risultava dotato di grandi quantità di carri armati e di mezzi con caratteristiche prevalentemente offensive. «Allo stato attuale delle cose» secondo l’opinione del generale Montgomery «si può prevedere che se fossimo attaccati dai russi, l’Europa occidentale sarebbe teatro di scena di una spaventosa e indescrivibile confusione». Nel 1951 gli Stati Uniti realizzarono la prima bomba termonucleare, seguiti dai sovietici due anni dopo, da lì si ebbe la corsa alla costruzione di bombe sempre più terrificanti, numerose volte più potenti di quella di Hiroshima.

Nella riunione del vertice della NATO a Lisbona del 1952 venne stabilito di creare un sistema di difesa dell’Europa mettendo insieme 50 divisioni, ma di fatto tale obiettivo non venne raggiunto e le divisioni disponibili non furono più di una trentina; gli americani si trovarono pertanto nelle condizioni di dover sollecitare un maggiore impegno da parte dei paesi europei e un sistema di difesa comune, il CED.

Nel periodo staliniano i colloqui fra potenze occidentali e comuniste in materia di sicurezza non cessarono del tutto e fra il ’51 e il ’52 si tennero diversi incontri in sede ONU per il disarmo, che comunque non diedero risultati.

Intorno al 1950 operava in diversi paesi dell’Occidente e dell’Oriente un attivo movimento pacifista, i Partigiani della Pace, al quale aderirono diversi esponenti della cultura e dell’arte come Picasso e lo scienziato Joliot-Curie. Il movimento lanciò da Stoccolma un appello per la interdizione delle armi atomiche, promosse diverse manifestazioni nelle principali capitali europee e una gigantesca raccolta di firme che raggiunse la cifra di 273 milioni di adesioni (raccolte in massima parte nei paesi comunisti) contro la guerra. La richiesta di abolizione delle armi atomiche era diretta soprattutto verso gli Stati Uniti e, se accolta, avrebbe messo in difficoltà maggiormente lo schieramento occidentale. L’organizzazione era diretta da comunisti e sulla spontaneità del movimento si nutrivano numerosi dubbi. Diversa era l’azione di alcuni importanti uomini di cultura come Albert Einstein, sostenitori convinti della pace e del cosmopolitismo, favorevoli alla creazione di un governo mondiale che garantisse i diritti dei popoli e dei cittadini.

(settembre 2023)

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