La formazione dei regimi comunisti nei paesi dell’Est
Un processo forzato contro la volontà dei popoli

I paesi dell’Europa orientale non avevano conosciuto un grande sviluppo economico e la base dell’economia rimaneva un’agricoltura arretrata che, anche dove non era presente il latifondismo, non consentiva la diffusione del benessere. Nel periodo fra le due guerre erano sorti partiti socialisti, partiti contadini (centristi), e partiti comunisti ma con scarsi risultati. I partiti di ispirazione marxista avevano una presenza significativa in Cecoslovacchia, in Bulgaria, in Jugoslavia mentre negli altri paesi dell’Europa orientale disponevano di un consenso molto limitato. In Ungheria dopo la rivolta del ’19 i comunisti persero gran parte del loro seguito popolare, mentre in Polonia venivano visti con una certa diffidenza a causa del loro legame con la Russia, tradizionale nemico del paese, in Romania infine i comunisti erano presenti con un’organizzazione di poche migliaia di simpatizzanti.

Gli sviluppi politici nei paesi dell’Est nel periodo del secondo dopoguerra non differiscono di molto, non esistono differenze significative fra paesi ex alleati dell’Asse (Ungheria, Bulgaria, Romania) e paesi che hanno conosciuto l’occupazione nazista (Polonia e Cecoslovacchia) né fra paesi relativamente industrializzati e paesi più poveri. Sostanzialmente il processo di sovietizzazione dei paesi dell’Europa orientale presentava caratteri comuni, anche se la realizzazione della dittatura fu rapida in Romania, Bulgaria e Polonia, mentre in Cecoslovacchia e in Ungheria avvenne in tempi più lunghi e i due paesi poterono sperimentare, anche se per un periodo brevissimo, governi nati da libere elezioni. Nella prima fase sorsero coalizioni fra partiti antifascisti, successivamente i partiti non allineati vennero, attraverso arresti e persecuzioni, soppressi, assorbiti forzatamente dal partito comunista o sottomessi alle direttive del governo. Lo stesso partito comunista venne infine epurato degli elementi comunisti non conformi alle direttive di Mosca.

Lo storico Renè Remond ha messo in luce che una certa rassegnazione dei popoli dell’Europa orientale nei confronti della Russia era dovuta alle inaudite violenze che questi paesi avevano subito da parte della Germania e dal pesantissimo tributo di vite umane (in Polonia più di un quinto della popolazione perse la vita nel corso della guerra) che questi stati avevano subito nel corso della seconda guerra mondiale.

Nei paesi dell’Est non diversamente da quanto successo in Italia e Francia successivamente alla seconda guerra mondiale si affermarono governi di coalizione nazionale, ma in questi paesi gli «eserciti di «liberazione» svolsero un ruolo determinante nelle vicende successive. Nell’Europa orientale i partiti non allineati con Mosca vennero privati progressivamente dei loro capi autentici e sostituiti con personaggi graditi ai comunisti. Poco dopo la Conferenza di Yalta che prevedeva espressamente la libertà dei popoli, in Bulgaria nel marzo del ’45 la sede dell’Unione Agraria venne occupata dai comunisti con l’appoggio dell’esercito sovietico; nella DDR, in Polonia, in Bulgaria, in Romania il partito socialista venne assorbito con la forza nel partito comunista. La «denazificazione» nella Germania Orientale e la persecuzione dei collaborazionisti nel resto dell’Europa orientale da parte dei sovietici fu il pretesto per eliminare gran parte degli oppositori alla comunistizzazione di quegli stati. I servizi segreti controllati dai comunisti, come la spia passata in Occidente Oleg Gordievskij ha rivelato, hanno avuto un ruolo fondamentale in questa operazione e nella realizzazione dello stato comunista.

Romania, Bulgaria e Polonia furono i primi paesi a essere liberati dall’Armata Rossa e i primi dove si impose un governo comunista. Nell’agosto del ’44 quando le truppe sovietiche erano penetrate in Romania, il sovrano d’accordo con le alte gerarchie militari decise l’arresto del Capo di governo, il generale conservatore Antonescu e dei suoi ministri. Nello stesso mese i russi entrarono a Bucarest e successivamente venne costituito un governo di coalizione (liberali, partito contadino, socialisti e comunisti) presieduto dal generale Sanatescu, sostituito successivamente da Radescu. Nel paese si ebbe immediatamente una situazione di tensione con la nascita di reparti operai armati. Nel febbraio dell’anno successivo, nel corso di una manifestazione del Fronte Nazionale Democratico (associazione che comprendeva comunisti, socialisti, e Fronte dei Lavoratori della Terra, una formazione politica di minime dimensioni) si verificarono numerosi morti. L’incidente diede il pretesto ai sovietici per intervenire direttamente, e imporre al re (fortemente in difficoltà per il suo precedente sostegno alla dittatura filo tedesca) la costituzione di un governo a prevalenza comunista presieduto da Petru Groza, capo dei comunisti del Fronte dei Lavoratori della Terra. «In Romania» secondo il Presidente americano Harry Truman «i russi dirigevano la Commissione di controllo alleato, senza consultare i membri inglese e americano. Il Governo era un governo di minoranza, dominato dal partito comunista che, a dire del generale [il comandante americano Schuyler] non rappresentava nemmeno il dieci per cento della popolazione romena. La vasta maggioranza del popolo romeno, egli diceva, non era soddisfatta dal Governo, né di qualsiasi altra forma di comunismo... Dal lato economico, la Romania veniva strettamente legata allo stato russo, tramite pagamenti in conto riparazioni, con il trasferimento di proprietà che i russi dichiaravano essere state dei tedeschi, e con la requisizione delle attrezzature industriali come trofei di guerra. Per di più, la Romania veniva quasi del tutto tagliata fuori dai rapporti commerciali con le altre nazioni, e questo la costringeva a dipendere sempre più dalla Russia». Gli Alleati intervennero per ristabilire la legalità nel paese ma non poterono che ottenere l’inclusione di due membri del partito liberale e del Partito Contadino nel governo. Le elezioni dell’anno successivo, che si svolsero in un clima di pesante intimidazione, diedero 386 seggi alla coalizione filo comunista, 32 al Partito Contadino, e 3 ai liberali.

Nel 1947 i membri dell’opposizione furono accusati di complotto contro lo stato, il Partito Contadino venne sciolto, il suo leader Maniu condannato all’esilio, mentre Bratianu (che negli anni precedenti si era opposto al governo filo tedesco di Antonescu), leader dei liberali, riparò all’estero. Nel dicembre il re venne costretto ad abdicare. Il potere venne concentrato nelle mani del leader comunista Gheorghiu-Dej, che in precedenza era stato membro dell’NKVD, il servizio segreto sovietico. Negli anni successivi numerosi dirigenti comunisti e 192.000 iscritti al partito sospettati di titoismo vennero espulsi, poco più tardi nel ’52 Anna Pauker, attiva dirigente comunista venne allontanata bruscamente dal potere in quanto ebrea. Cattolici, ebrei e uniati (cattolici di rito orientale) subirono restrizioni e persecuzioni. Venne introdotta nel paese la pena di morte anche per reati non gravi e numerosi diplomatici occidentali vennero accusati di spionaggio.

Nel settembre del ’44 la Bulgaria, dove negli anni precedenti il PC aveva raggiunto il 20-25% dei voti, venne invasa dall’Armata Rossa e costretta con un atto politico piuttosto insolito, a dichiarare guerra all’URSS (il governo bulgaro, alleato della Germania, aveva dichiarato guerra a Gran Bretagna e Stati Uniti ma non alla Russia) al fine di consentire una diversa posizione giuridica di Mosca.

Contemporaneamente all’ingresso delle truppe sovietiche un colpo di stato organizzato da una parte dell’esercito e dai gruppi partigiani, dichiarò decaduto il governo filo occidentale di Muraviev, e impose un governo del Fronte Patriottico (Zveno, Unione Agraria, socialdemocratici e comunisti), presieduto dal colonnello Georgiev, un ex leader dell’estrema destra, governo all’interno del quale i comunisti controllavano i maggiori centri di potere. Nei mesi immediatamente successivi la composizione di governo venne più volte modificata, mentre gli oppositori vennero perseguitati. Secondo le fonti ufficiali oltre 2.000 vennero passati per le armi e 10.000 arrestati, ma si ritiene che il numero delle vittime sia stato di molto superiore, e lo stesso Dimitrov, capo del partito contadino, appena rientrato nel paese, dovette fuggire. Come in Romania, l’Unione Sovietica fece sentire il suo peso politico, e di fronte a un tentativo di accordo fra i partiti, vennero imposte delle restrizioni all’ingresso di esponenti anticomunisti nel governo. Le elezioni nel novembre dell’anno successivo, durante le quali furono assassinati 24 esponenti del partito contadino, attribuirono il 78% dei voti (ma i risultati vennero contestati dalle opposizioni) al Fronte Patriottico, dal quale erano già usciti gli esponenti moderati e quelli socialdemocratici. Il Partito Contadino, già perseguitato in precedenza, venne sciolto e il suo leader Petkov, grande figura della resistenza al nazismo, giustiziato, fatto che suscitò le proteste degli anglo-americani.

Nel paese si instaurò progressivamente il regime del terrore; negli anni successivi il Vice Primo Ministro Kostov venne accusato di deviazionismo con altri dieci esponenti e giustiziato. Quasi 100.000 membri del partito, 17 dei 40 membri del Comitato Centrale del partito, secondo fonti dello stesso regime, vennero espulsi e nel ’53 venne emanato un decreto in base al quale i cittadini che tentavano di lasciare il paese senza permesso erano condannati a morte e le loro famiglie internate in campi di concentramento. A seguito di tali violazioni nel febbraio del ’50 gli Stati Uniti ruppero le relazioni diplomatiche con il governo di Sofia.

In Polonia il partito comunista costituiva una ristretta forza politica con scarso seguito nel paese, e negli anni passati molti dirigenti comunisti fuggiti in Russia avevano trovato la morte nel corso delle purghe staliniane. Alla fine della guerra i comunisti pertanto non rappresentavano che una ristretta minoranza nel panorama politico del paese.

Gli accordi di Yalta avevano previsto per la Polonia l’allargamento del Governo di Lublino agli esponenti democratici e lo svolgimento di libere elezioni per la formazione di un nuovo governo. Subito dopo la conclusione delle ostilità sedici capi della maggiore organizzazione della resistenza, l’Esercito Nazionale (Armia Krajova), giunti in Polonia vennero arrestati, condotti a Mosca e nonostante le proteste occidentali condannati. Il governo (in cui erano presenti alcuni esponenti del Partito Contadino, ma in posizione di minoranza) attuò nei mesi successivi un’opera di repressione dell’opposizione, e decise lo svolgimento di un referendum sull’assetto costituzionale del paese, il risultato del medesimo fu largamente contrario alle aspettative dei comunisti, comunque il governo annunciò di aver ottenuto un successo con il 68% dei consensi. La situazione appariva grave, e lo stesso ambasciatore americano a Varsavia, Bliss Lane in un rapporto a Washington commentava: «L’NKVD e l’UB [rispettivamente il servizio segreto sovietico e quello polacco] tenevano le redini del potere così saldamente che nessuna democrazia, nel significato che diamo a questa parola, sarà attuabile in Polonia negli anni a venire».

Nel gennaio del ’47 si tennero le elezioni generali, il Blocco Democratico ottenne 386 seggi, altre liste filo governative 22, il Partito Contadino 28, si trattava di risultati elettorali falsificati in maniera nemmeno troppo nascosta, che suscitarono le proteste di Gran Bretagna e Stati Uniti. Le persecuzioni contro gli esponenti dell’opposizione e la magistratura non cessarono e il leader del Partito Contadino Mikolajczyk, ultimo rappresentante delle forze politiche filo occidentali, fu costretto ad abbandonare il paese.

Nell’anno successivo Wladislaw Gomulka, segretario del partito comunista e già membro della resistenza, che si era rifiutato di associarsi alla condanna di Tito, venne costretto a dimettersi e tre anni dopo incarcerato. I sovietici comunque, non pienamente soddisfatti della situazione venutasi a creare, per rafforzare il controllo sul paese imposero il maresciallo di cittadinanza sovietica Kostantin Rokossovsky come ministro della Difesa e comandante in capo dell’esercito, e numerose altre cariche nelle forze armate vennero affidate a cittadini sovietici.

Anche la Chiesa Cattolica che aveva largo seguito nel paese, e in particolare il suo primate Wyszynski, divenne oggetto di persecuzioni, mentre le relazioni con i governi occidentali si deteriorarono rapidamente e nel 1950, una serie di accuse rivolte a diplomatici e corrispondenti europei e americani, portarono vicino al punto di rottura le relazioni diplomatiche con l’Occidente.

L’Ungheria in quanto ex alleato della Germania fu soggetta alla Commissione Alleata di Controllo, all’interno della quale i sovietici esercitavano di fatto un vasto potere. Nel novembre del ’45 si tennero le elezioni con le quali il Partito dei Piccoli Proprietari (analogo al partito contadino degli altri paesi dell’Est) riportò la maggioranza assoluta con il 57% dei voti (mentre i comunisti non andarono oltre il 17%) e nell’anno successivo venne costituito un governo di coalizione diretto da Ferenc Nagy che per un certo periodo di tempo sembrò reggere e garantire il ritorno del paese alla democrazia. Nel febbraio del ’47 venne annunciata l’esistenza di un complotto, inscenato da agenti dell’AV, la polizia segreta controllata dai sovietici, del quale venne accusato il segretario del partito di maggioranza Bela Kovacs. Di fronte alla resistenza del parlamento ad autorizzare l’arresto intervenne direttamente la polizia militare sovietica che procedette contro l’esponente politico. Questi venne costretto ad accusare Nagy che diede le dimissioni e gli venne impedito di rientrare in patria. Progressivamente numerosi esponenti del partito di maggioranza vennero esautorati e ai ministri non comunisti vennero imposte guardie del corpo del servizio segreto filo sovietico. Il partito socialdemocratico, al quale i comunisti imposero la guida del filo comunista Fierlinger, venne successivamente costretto alla fusione col partito comunista.

Nello stesso anno si tennero nuove elezioni che diedero la vittoria alla coalizione di partiti diretta dai comunisti (ma all’interno della stessa non ottennero più del 22%), il potere venne concentrato nelle mani dello stalinista Rakosi, e il paese si avviò verso una durissima dittatura.

Nel ’49 venne arrestato il cardinale Midszenty e fu iniziata una grande purga nei confronti di esponenti comunisti accusati di deviazionismo che culminò con l’esecuzione del ministro degli Esteri Rajk, accusato di essere un agente al servizio della Jugoslavia e degli Stati Uniti. Una successiva epurazione nel ’53 colpì numerosi esponenti comunisti ebrei; nel ’51-’52 vennero infine eliminati i socialisti che avevano favorito l’ascesa del partito comunista.

Il caso della Cecoslovacchia, paese relativamente più progredito dell’Europa orientale, risultò particolarmente significativo. Per un certo periodo di tempo il paese sembrò costituire un’isola felice fra Occidente e Blocco comunista. Senza alterare la struttura politica del paese venne decisa la riforma agraria, e vaste nazionalizzazioni e infine su espressa richiesta sovietica il ritiro dell’adesione del governo al Piano Marshall. Il tentativo di creare uno stato socialista, ma non anche antidemocratico, fallì nell’arco di breve tempo e con esso ogni possibilità in tutta Europa di costituire «terze vie» fra i due blocchi.

Nel maggio del ’45 dopo la liberazione del paese si ricostituì un governo del paese diretto da Jan Masarik (figlio dell’eroe nazionale Tommaso) e dall’esponente comunista Gottwald Vice Primo Ministro. Nell’anno successivo si tennero le elezioni per l’Assemblea Costituente. Le liste comuniste ottennero un buon risultato riportando il 38%, e si costituì un nuovo governo diretto dal capo comunista; tuttavia nelle elezioni successive che si sarebbero dovute tenere nel ’48, si prevedeva un declino dei comunisti a causa della difficile situazione economica e alimentare del paese, con un risultato non lontano dal 10% ottenuto nelle elezioni del ’35. I comunisti attraverso il controllo delle forze di polizia del ministero degli Interni iniziarono una politica di persecuzioni diretta soprattutto contro il Partito Democratico Slovacco e gli altri gruppi d’opposizione. La nomina di esponenti comunisti negli alti gradi della polizia provocò la reazione degli altri partiti e dodici ministri si dimisero per protesta contro i metodi arbitrari dei comunisti. Nel febbraio del ’48 la situazione precipitò; come in Ungheria nell’anno precedente venne dato l’annuncio di un complotto appoggiato da potenze straniere in cui venne coinvolto direttamente il partito del Presidente della Repubblica Benes. A Praga si tenne una manifestazione organizzata dai comunisti di circa 200.000 operai, venne sospesa l’attività del Parlamento e si procedette a una ondata di arresti contro l’opposizione. Le sedi del partito socialdemocratico (che in precedenza i comunisti avevano già tentato di assorbire), del partito socialista nazionale e di quello cattolico popolare vennero occupate, effettuati arresti di massa, presidiati i ministeri e gli altri centri nevralgici del paese. Il 26 in una nota di protesta Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia dichiararono che i paesi occidentali si sarebbero opposti anche con l’uso della forza ad attacchi alla democrazia, ma senza risultato.

Lo stesso Gottwald diede l’ordine ai Comitati d’Azione (armati dal ministero degli Interni) a occupare le sedi dei dicasteri non presieduti da ministri comunisti. Il 25 febbraio Gottwald impose al Presidente della Repubblica un nuovo governo e nello stesso giorno gli studenti di Praga scesero in piazza per protestare contro la svolta autoritaria, manifestazione che si concluse con numerosi morti. Nello stesso mese Jan Masarik, unico esponente non comunista che era stato incluso nella lista dei ministri venne trovato morto, suicida o forse gettato dalla finestra. Il Presidente della Repubblica Benes diede le dimissioni per non firmare il progetto di costituzione e si ritirò dalla vita politica alcuni mesi dopo.

Nel ’51-’52 si ebbe la purga contro i cosiddetti titoisti che culminò con le esecuzioni di Slansky, ex segretario del partito arrestato su diretta richiesta di Stalin insieme con altri 11 ex dirigenti comunisti in massima parte ebrei. Anche la Chiesa Cattolica e gli ebrei subirono persecuzioni e vennero forzatamente sottoposti al controllo dello stato. Nel luglio del ’51 venne arrestato un corrispondente americano, Wiliam Oatis, accusato di spionaggio, al rifiuto del governo di rilasciarlo, il governo degli Stati Uniti prese misure diplomatiche di ritorsione.

In Finlandia, dove i comunisti nelle elezioni del 1945 avevano riportato una discreta affermazione con il 23% dei voti, nel ’48 si ebbe una grave crisi. Il ministro degli Interni, il comunista Lejno, tentò di inserire come in Cecoslovacchia, uomini di propria fiducia ai vertici degli organi di polizia, ma il tentativo venne respinto dal Parlamento. Nello stesso anno il paese fu costretto a un trattato d’amicizia con l’URSS fortemente limitativo della sua libertà d’azione in politica estera. L’Unione Sovietica evitò comunque di inserire stabilmente la Finlandia nel proprio schieramento perché riteneva attraverso di essa di accedere a determinati prodotti di provenienza occidentale.

Anche dal punto di vista economico i paesi dell’Est conobbero una evoluzione abbastanza simile, riforma agraria gestita in forma autoritaria, nazionalizzazione delle industrie, pianificazione economica; successivamente, soppressione del movimento cooperativo e collettivizzazione forzata della terra furono le tappe del processo di comunistizzazione dello stato. Nello stesso periodo si ebbero una serie di trattati commerciali fortemente sperequati a favore dell’URSS. In base all’accordo russo-polacco del ’45, l’URSS acquistava il carbone dalla Polonia a 2 dollari per tonnellata contro un prezzo di mercato mondiale intorno ai 14 dollari e la Cecoslovacchia acquistava grano dalla Russia a 4 dollari il moggio mentre il prezzo di mercato del cereale negli USA era di 2,5 dollari. Nei paesi dell’Est vennero create società miste con un duplice obiettivo, sfruttamento delle risorse economiche e controllo politico dello stato. Il COMECON istituito nel ’49 non ebbe ampia attuazione in quanto l’URSS preferì impostare i rapporti commerciali fra le repubbliche sulla base di relazioni bilaterali. Con la politica commerciale imposta da Mosca la percentuale di commercio dei paesi dell’Europa orientale con l’Occidente si ridusse dal 74% del 1938, al 40% nel ’48, e quindi al 15 % nel ’53. La riduzione dei rapporti economici e diplomatici con l’Occidente, il rigoroso controllo dell’economia e dei mezzi di informazione, le restrizioni all’espatrio e alla circolazione dei cittadini stranieri, completarono la creazione di quella che Winston Churchill definì la «cortina di ferro».

Sviluppi profondamente diversi si ebbero invece in quei paesi i cui territori non vennero liberati dall’Armata Rossa: Jugoslavia e Albania.

In Jugoslavia il movimento di resistenza si presentava diviso in due formazioni contrapposte: i cetnici filo monarchici di Mihailovic e i comunisti di Tito. La formazione dei cetnici venne accusata di scarso impegno nella lotta di liberazione e in taluni casi di collaborazione col nemico. I contrasti degenerarono in aperti scontri che videro il progressivo prevalere del gruppo titoino. Stalin, che riteneva che la causa di Tito non fosse degna di interesse (già nell’incontro a Mosca del settembre ’44 non erano mancate divergenze fra i due leader comunisti), offrì scarsi aiuti alla resistenza e fece pressioni affinché il leader jugoslavo arrivasse a un accordo con il governo regio; l’accordo trovò il consenso anche degli anglo-americani, che ritenendo Mihailovic eccessivamente in contrasto con le altre nazionalità non serbe, chiesero a re Pietro II di ritirare il proprio sostegno al dirigente nazionalista.

Nel marzo del ’45, liberato il paese, venne costituito un governo di coalizione che ebbe però breve durata. Nelle elezioni di novembre il Fronte di Liberazione Popolare attraverso il ricorso a misure di polizia e del potente servizio segreto OZNA costrinse i partiti non allineati a ritirarsi dalla competizione elettorale; la formazione di ispirazione comunista ottenne pertanto senza incontrare difficoltà il 90% dei voti. Sebbene non esistesse una attiva opposizione nel paese, anche qui non mancarono le persecuzioni; il generale Mihailovic venne giustiziato, l’arcivescovo di Croazia Stepinac condannato ai lavori forzati, Milovan Gilas, esponente di rilievo del movimento comunista, venne allontanato dal potere alcuni anni dopo, in quanto ritenuto eccessivamente moderato.

L’Unione Sovietica, non potendo adoperare i consueti metodi di pressione utilizzati negli altri paesi, ricorse per piegare il paese slavo ad altri mezzi, approfittando della debolezza economica di Belgrado. Vennero create società miste russo-jugoslave per i trasporti, la gestione delle linee aeree e la navigazione del Danubio, che si rivelarono un affare lucroso per i sovietici e una ingerenza nella vita politica della Jugoslavia. I sovietici, che avevano contribuito con il 10% circa del capitale, richiedevano profitti pari al 60%, ed esercitavano un controllo pressoché totale sui servizi affidati. Contrasti di maggior rilievo fra i due stati sorsero a causa dell’infiltrazione di agenti sovietici all’interno della burocrazia statale e sul progetto di federazione fra Jugoslavia e Bulgaria (da estendere successivamente a Romania, Albania, e Grecia una volta liberata).

La Jugoslavia si affermò come un paese molto attivo sulla scena internazionale, si fece promotore di una intensa politica estera all’interno dei paesi dell’Europa orientale e avanzò numerose richieste su Trieste, la Carinzia meridionale austriaca, una parte della Macedonia greca, mentre già esercitava una sua influenza sull’Albania e mirava a stabilire un controllo sulla Bulgaria.

Il 10 febbraio 1948 Stalin convocò i massimi leader della Bulgaria e della Jugoslavia, proponendo che si costituisse una federazione fra i due stati e che l’Albania fosse forzatamente assorbita nell’unione; il dittatore sovietico riteneva che attraverso il governo di Sofia avrebbe potuto esercitare un controllo sulla Jugoslavia, ma la proposta venne respinta dal Comitato Centrale del PC jugoslavo. La replica sovietica non si fece attendere e nel mese successivo l’URSS annunciò, provocando profondo stupore nell’opinione pubblica mondiale, il ritiro dei consiglieri militari ed economici, motivato dalla scarsa libertà d’azione accordata ai propri agenti dalle autorità jugoslave. Il partito e tutta la nazione si dimostrò solidale con il governo e confermò Tito alla guida del paese. La questione venne portata davanti al Comitato Centrale del partito che con l’eccezione del ministro delle Finanze Zujovic, approvò l’operato; il contenuto della risposta all’iniziativa sovietica fu abbastanza moderato: «Malgrado l’affetto che ciascuno di noi può avere per la patria del socialismo, la Russia sovietica, nessuno di noi può, in nessun caso, cessare di amare altrettanto il proprio paese, anch’esso incamminato lungo la via del socialismo».

Venne convocato nel luglio il Kominform al quale gli esponenti jugoslavi non parteciparono per il timore di essere arrestati fuori dal paese. Tutti i partiti comunisti, compresi quelli occidentali, si uniformarono alla condanna di Tito e venne decisa la denuncia di tutti i trattati commerciali con la Jugoslavia. L’economia jugoslava venne messa fortemente in difficoltà dal momento che lo stato era quasi completamente circondato da paesi satelliti sovietici (considerando anche la zona d’occupazione sovietica dell’Austria), tuttavia il governo di Belgrado non ebbe difficoltà ad allacciare nuovi rapporti economici con l’Occidente e la crisi venne superata.

Successivamente alla condanna si verificarono concentramenti di truppe lungo il confine orientale jugoslavo e fra il ’48 e il ’52 si verificarono circa 6.000 incidenti di frontiera e un tentativo di colpo di stato; comunque i sovietici non si sentirono di scatenare una azione militare contro il paese dissidente per le gravi conseguenze che essa avrebbe potuto creare. La Jugoslavia negli anni successivi si avviò verso una «via nazionale al socialismo», venne abbandonata la collettivizzazione forzata delle terre, e la rigida pianificazione economica; decentramento amministrativo e cogestione delle aziende (almeno in linea teorica) divennero i principi del nuovo stato.

La crisi jugoslava rappresentò un avvenimento di notevole importanza e di riflessione per i partiti comunisti europei. Nel ’48 nel mondo comunista non vi erano che due veri leader, Stalin e Tito. La Jugoslavia costituì infatti con la Russia l’unico paese dove il comunismo si era formato in maniera autonoma senza l’intervento di una potenza straniera; per quale ragione Stalin aveva diritto al monopolio sul comunismo mondiale e Tito un ruolo subordinato? I fatti della Jugoslavia, furono la prima delle crisi che portarono al declino comunista, molti militanti nei paesi dell’Est e dell’Ovest compresero che la patria del socialismo richiedeva una obbedienza superiore a ogni aspettativa.

Le vicende politiche dell’Albania furono strettamente collegate a quelle della Jugoslavia. Il generale Hoxha, capo delle formazioni comuniste e alleato di Tito, non incontrò difficoltà nella conquista del potere grazie anche all’atteggiamento del governo britannico non contrario all’accordo con i comunisti. Negli anni successivi la questione dell’ingresso del piccolo stato nella federazione jugoslava divenne causa di rottura all’interno del partito (Koci Dzodze, capo della polizia politica e numero due del regime, favorevole a tale proposta venne arrestato, forzato a dichiarare che Tito altro non era che un agente al servizio dell’imperialismo britannico e quindi giustiziato). Nel ’46 due incidenti navali, che causarono la morte di alcuni marinai inglesi nel Canale di Corfù, aggravarono lo stato di tensione con la Gran Bretagna e anche negli anni successivi le relazioni diplomatiche con i paesi occidentali risultarono pessime. Nel paese venne imposto un autentico regime del terrore contro chiunque manifestasse opinioni difformi a quelle ufficiali; secondo alcune valutazioni, 16.000 persone perirono nelle prigioni di stato in quegli anni.

Durante il periodo staliniano, i paesi dell’Europa orientale conobbero persecuzioni non diverse da quelle portate avanti nello stato sovietico. Negli anni ’49-’54 metà dei membri del Comitato Centrale del partito in Ungheria e 3/5 in Cecoslovacchia scomparvero. Contemporaneamente, al vertice delle organizzazioni politiche vennero posti i burocrati allineati a Mosca disposti a un rapporto di sottomissione verso lo stato sovietico anche contro gli interessi della propria patria, mentre i leader che negli anni precedenti si erano impegnati nella resistenza vennero perseguitati. Con l’eccezione del leader bulgaro Kostov, che non ammise le proprie colpe, Slansky, Rajk, Dzodze e Gomulka vennero costretti a confessioni incredibili e ad autoaccusarsi di fatti che difficilmente potevano aver commesso; Gomulka (l’unico esponente realmente vicino a Tito) fu il solo a sfuggire alla pena capitale. Altri esponenti scomparvero senza che si conoscesse la loro fine, il bulgaro Georgi Dimitrov infine, morì in circostanze misteriose a Mosca.

Dopo la morte di Stalin 30.000 prigionieri vennero liberati in Polonia e per 70.000 venne ridotta la pena, nella Germania dell’Est vennero liberati 12.000 prigionieri politici, in Ungheria 150.000 internati poterono ritornare in libertà. Nel ’68 secondo le stesse fonti governative, in Cecoslovacchia fra uccisi e internati vi erano state 136.000 vittime.

I partiti comunisti dell’Europa occidentale non intervennero a favore dei loro colleghi di partito perseguitati e le iniziative occidentali a favore dei paesi dell’Est realisticamente non furono numerose, tuttavia nel periodo cruciale della guerra fredda gli americani installarono nei paesi occidentali di confine l’emittente radiofonica Voce d’America che per molti anni, nonostante le numerose azioni di disturbo, rappresentò l’unica fonte per i paesi d’oltre cortina di disporre di informazioni non controllate dal regime.

(agosto 2023)

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