Norma Cossetto martire della tragedia istriana
Onori e riflessioni attuali a un secolo dalla nascita e a un ottantennio dall’agghiacciante morte in foiba (1920-1943)

Nel 2020 si è celebrato il centenario dalla nascita di Norma Cossetto, la giovane patriota istriana seviziata e assassinata dai partigiani comunisti di Tito nel torbido autunno del 1943, ormai assurta a simbolo della tragedia di un intero popolo: quello giuliano, istriano e dalmata, che in Italia fu certamente il più colpito dalla guerra e dalle sue conseguenze nel medio e lungo termine, alla luce dei 20.000 Caduti per cause non belliche e dei suoi 350.000 Esuli, un quarto dei quali destinati all’ulteriore diaspora dell’emigrazione, a seguito dell’accoglienza non certo ottimale ricevuta troppo spesso da una patria matrigna.

Norma era nata a Santa Domenica di Visinada, nell’entroterra di Parenzo, e stava preparando la tesi di laurea dedicata alla sua Istria, che avrebbe dovuto discutere a Padova, quando sopravvenne l’armistizio dell’8 settembre 1943 immediatamente seguito dalla caccia agli Italiani, ancor prima del momentaneo e precario ripristino di una sovranità nazionale largamente affievolita dalla pesante presenza militare tedesca. Assieme alla famiglia finì nel mirino dei partigiani, compresi quelli di etnia italiana, che la sequestrarono e le usarono ogni tipo di violenza, prima di infoibarla a Villa Surani (Antignana) nella notte del 5 ottobre assieme a tante altre Vittime innocenti.

Sulla tragedia di Norma sono stati versati autentici fiumi d’inchiostro. Tuttavia, le testimonianze dirette circa il suo drammatico destino sono molto circoscritte, riguardando soprattutto quelle della sorella Licia, che si è spesa per tutta la vita, in specie dopo l’istituzione della Legge 30 marzo 2004 numero 92, istitutiva del Ricordo, per tramandare in tutta Italia una memoria attiva del tremendo destino occorso alla sua famiglia. Infatti, l’olocausto in foiba colpì fra gli altri congiunti, come si dirà meglio in seguito, anche il padre Giuseppe, catturato dai partigiani assieme al cugino mentre era andato alla ricerca di Norma (entrambi, immediatamente infoibati).

Norma fu arrestata il 26 settembre, rilasciata e nuovamente imprigionata dopo due giorni: a questo punto, le efferatezze subite furono tanto più forti perché i barbari carcerieri non accettarono il suo rifiuto alla turpe pretesa di tradire l’Italia e di scegliere un «verbo» perverso: motivo che avrebbe suffragato in tempi largamente successivi (2006) il conferimento della Medaglia d’Oro «ad memoriam» per iniziativa del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, e l’assunzione di un ruolo tragicamente esemplificativo nella storia del confine orientale, all’insegna dell’eroismo.

La storia di Norma, che oltre a preparare la tesi aveva ottenuto alcune supplenze, fra cui quella annuale di lettere nella Scuola media di Parenzo, dove avrebbe lasciato ricordi indelebili della sua cordiale e affettuosa disponibilità, è testimoniata da alcuni allievi tuttora in vita. Norma alternava questi impegni alla frequenza universitaria nell’Ateneo patavino assieme all’amica del cuore, Andreina Bresciani, che era stata sua compagna di studi sin dalla scuola media nei sette anni trascorsi al Collegio cattolico di Gorizia, dal 1932 al 1939, anno della maturità e dell’iscrizione universitaria. Naturalmente, sognava un futuro felice nella sua Istria dalla «terra rossa» cui avrebbe dedicato il tema della tesi in geografia, alla luce del tipico colore riveniente dalla composizione geologica della zona (si era orientata per questa scelta con l’ausilio di un illustre docente della materia, e insigne patriota, quale il Professor Carlo d’Ambrosi).

Ottavio Sicconi

Fotografia di Ottavio Sicconi, ex studente di Norma Cossetto, residente a Latina

Luigi Usco

Fotografia di Luigi Usco, ex studente di Norma Cossetto, residente a Trieste

Bruno Apollonio

Fotografia di Bruno Apollonio, ex studente di Norma Cossetto, residente a Trieste

A prescindere dai tanti dettagli circa la nobiltà dei suoi pensieri e dei suoi atteggiamenti, opportunamente memorizzati dagli storici, il suo dramma resta quello di una donna travolta da una vicenda iniqua, e dal disegno di pulizia etnica e politica programmata con metodo sicuro dai pretoriani di Tito, non senza l’aggravamento di crudeli varianti proprie, tra cui annegamento, impiccagione, lapidazione, e via dicendo. Per quanto riguarda il calvario di Norma, basti aggiungere che fu costretta a subire l’oltraggiosa e ripetuta violenza di ben 17 aguzzini.

In sintesi, si tratta di una storia breve ma terribilmente tragica e di un contributo alla verità dei fatti che non ha bisogno di soverchi commenti. Non a caso, il nome di Norma è stato affidato al ricordo dei posteri con una lunga serie di monumenti eretti in suo onore, senza dire delle numerose intitolazioni toponomastiche di luoghi pubblici (ormai un centinaio) non escluse quelle di aule scolastiche, biblioteche, sale comunali e via dicendo, e senza citare un altro migliaio d’intitolazioni a Martiri e Vittime delle foibe o di altri massacri titoisti. Evidentemente, la storia di Norma, conclusa da una fine orribile a causa della «malefica stella vermiglia» citata nell’iscrizione del Sacrario triestino di Basovizza, ha colpito l’inconscio collettivo lasciando una traccia indelebile nelle menti e nei cuori di tanti Italiani, e promuovendo un ventaglio d’iniziative idoneo a porre in evidenza la perenne attualità dei valori «non negoziabili».

Il terzo millennio dell’era cristiana è iniziato con un’ondata di sterile individualismo se non anche di nichilismo, sempre più preoccupanti. Eppure, quella del Cinque Ottobre di Norma è diventata una ricorrenza che non è fuori luogo definire sacra, in cui rimangono una «pietas» non solo rituale per la giovane Vittima dell’odio altrui che lei aveva ricambiato con l’entusiasmo del suo atteggiamento di solare cordialità, ma prima ancora, la condivisione dei suoi alti ideali e del suo impegno patriottico. Tutto questo si manifestava non già a parole, ma nell’ambito della famiglia, dello studio e della professione, dove Norma dava il meglio di sé, come emerge dalle coinvolgenti testimonianze di cui in precedenza – quella vivida e commovente di Ottavio Sicconi Esule a Latina e quelle di Bruno Apollonio e Luigi Usco Esuli a Trieste, tutti ex allievi della Professoressa Cossetto – hanno lasciato a futura memoria. Il suo esempio fu idoneo a trascendere il tempo e lo spazio, in guisa da potersi ergere a modello di una vita semplice, e peraltro improntata a una forte volontà nell’opposizione a ogni tipo di violenza fisica e morale.

Il centenario della nascita ha consentito a tanti Comuni italiani, in aggiunta a quanti si erano espressi in tal senso durante il «secolo breve», di ricordare nuovamente Norma assieme al suo forte esempio; e con lei, la tragedia del suo popolo, alla luce del vecchio auspicio che «indocti discant et ament meminisse periti» («chi non conosce apprenda e chi sa, ami ricordare»). Nell’impossibilità di rammentare tutti è congruo porre in evidenza che dalle Alpi alla Sicilia le iniziative hanno sempre onorato la Martire istriana con un minimo comune denominatore: quello di non dimenticare i valori di una vita stroncata nel fiore degli anni per motivi abietti e quello dell’assoluta inesistenza di una giustificazione seppure perversa nel comportamento dei suoi assassini.

Proprio per questo, sono inaccettabili le contestazioni partigiane avvenute in alcune città nel segno di un assurdo antagonismo su cui è congruo stendere un sommesso velo di silenzio per carità di patria. Quello perpetrato in Venezia Giulia e Dalmazia è stato un delitto contro l’umanità, come da lucida interpretazione del Professor Italo Gabrielli che rende velleitario qualsiasi tentativo riduzionista.

La citata Legge 30 marzo 2004 numero 92, con cui fu istituito il Ricordo di Esodo e Foibe e delle «complesse vicende del confine orientale», ha dato luogo a un impegno di grande impatto celebrativo, affidando al linguaggio eterno della pietra, e se del caso a quello commosso di un fiore, la memoria degli Esuli e delle Vittime infoibate o diversamente massacrate dai comunisti di Tito. Ebbene, il rispettoso omaggio al loro sacrificio è stato un modo certamente commendevole per onorare Norma Cossetto e per trasmettere il messaggio scaturito dalla sua odissea e dal suo olocausto alla riflessione della «volontà generale» e quindi, a conclusioni non effimere.

In proposito, tornano sempre alla memoria, come si diceva, i contributi alla storia di Norma offerti dalla sorella Licia che scomparve proprio nel settantesimo anniversario della strage partigiana di Villa Surani (5 ottobre 2013) mentre si stava recando a Trieste per la cerimonia del Ricordo. Oltre al resto, non è da trascurare la sua dolorosa condanna del tradimento perpetrato da assassini che lei conosceva personalmente perché Italiani del luogo, ancorché irretiti dalla propaganda slava. Si tratta di un dettaglio non dappoco nella triste storia degli infoibamenti, con particolare riguardo a quelli della cosiddetta «prima ondata»: i soli che dopo il ritorno in forze della Wehrmacht senza un’apprezzabile opposizione militare partigiana consentirono il recupero di un migliaio di Spoglie mortali dagli abissi di alcune foibe, e l’onorata sepoltura in terra consacrata. Molte storie personali della tragedia collettiva avvenuta in Istria come in Venezia Giulia e Dalmazia sono contrassegnate da dettagli allucinanti, e il caso Cossetto non fa eccezione, avendo trovato illustrazione adeguata nella memorialistica e nella bibliografia.

Nel caso di Norma, la Nemesi cantata da Giosuè Carducci fu senza dubbio solerte. Infatti, a distanza di pochi giorni dall’infoibamento, al ritorno militare tedesco in Istria Occidentale guidato dalla Divisione «Prinz Eugen», fece seguito il ripristino dell’amministrazione civile italiana, con il recupero degli infoibati di Villa Surani per opera della squadra di Vigili del Fuoco comandata dal Maresciallo Arnaldo Harzarich, che non senza forte rischio riuscì a estrarre dall’abisso parecchie Vittime, ivi compresa Norma, ricomposta nella camera ardente prima dell’inumazione nel Cimitero locale mentre gli assassini – nel frattempo catturati – furono condannati a vegliarla durante la notte prima della fucilazione: tre di costoro uscirono di senno.

Conviene aggiungere che Norma non fu la sola Vittima della famiglia: a breve distanza, il medesimo infausto destino fu riservato al padre Giuseppe, che rientrando da Trieste si era recato a cercarla e che, imbattutosi in una squadra partigiana, fu passato per le armi seduta stante e subito dopo infoibato. Eppure, non aveva mancato di prestare ogni possibile assistenza ai suoi collaboratori, acquistando fama di autentico benefattore ma portando un altro contributo angoscioso alla storia di Norma: era il federale fascista del piccolo centro istriano, dove risiedeva con la famiglia, e proprio per questo le sue benemerenze, testimoniate a posteriori dalla figlia Licia, non valsero a risparmiargli l’iniquo destino. Anzi, è verosimile che la coltellata mortale inflittagli prima dell’infoibamento gli sia stata vibrata proprio da un collaboratore che aveva fruito in modo particolare della sua assistenza.

Oggi, lungi da ogni intento meramente formale o celebrativo ancorché meritorio, è commendevole che sia stato proposto a livello nazionale l’obbligo di non dimenticare, alla stregua di un adeguato senso civico e di una meditazione propositiva: come avrebbe detto David Ben Gurion, «un popolo senza ricordo è un popolo senza futuro».

Norma Cossetto ha pagato con la vita il suo impegno per l’Italia, e quello per la giustizia e per la libertà, come sta scritto in memoria dell’Eroina patriota proprio sulle pietre «ad memoriam» che l’Università patavina ha dedicato alla sua Martire unitamente alla laurea «honoris causa» conferita nel 1949 per iniziativa del Professor Concetto Marchesi, il celebre latinista di convinta fede marxiana, ma pur sempre obiettivo. Al riguardo, giova rammentare che a suo tempo non mancarono dispute oggettivamente nominalistiche, dovute al fatto che il nome di Norma era stato inserito, proprio per iniziativa di Marchesi, fra quelli dei tanti studenti «Caduti per la libertà» nelle file della Resistenza, cosa molto sgradita nell’ambito di una certa sinistra, tanto da rendere necessaria, parecchi anni più tardi, la scopertura di un nuovo cartiglio maggiormente esplicativo nel cortile del Rettorato.

Quel grande sacrificio, comunque sia, non è stato moralmente vano perché ha consentito di approfondire le motivazioni e la nobiltà della scelta con cui Norma fu capace di escludere l’ipotesi di ogni compromesso e di ripudiare «le vie dell’iniquità» di cui alla preghiera di Monsignor Antonio Santin, Vescovo di Trieste e Capodistria in quella stagione disumana. Ciò, affrontando una morte non sempre immediata come quella in foiba, sul cui indicibile strazio non sono mancate testimonianze agghiaccianti: basti ascoltare quelle di chi udiva per giorni le urla disperate provenienti dagli anfratti del terreno.

Il convincimento etico-politico di Norma fu certamente di alta consapevolezza umana, civile e patriottica, nonostante l’età molto giovane: ciò emerge chiaramente dalle testimonianze, in primo luogo della sorella Licia e dell’amica Andreina, ma senza escludere quelle degli ex allievi e del mondo accademico. Diversamente, non sarebbe facile spiegare il duplice arresto che nel giro di brevissimi giorni avrebbe determinato le sevizie cui fu costretta, la sua condanna alla foiba, e soprattutto la Medaglia d’Oro al Valore, che il Presidente della Repubblica non conferisce mai senza un’adeguata istruttoria e senza congrue attestazioni probanti. In questo senso, Norma resta un esempio che per l’eroico atteggiamento assunto davanti agli aguzzini trascende quelli, generalmente e tragicamente rassegnati, propri di tante Vittime, anche se si udirono le grida di «Viva l’Italia» davanti alla morte, alla stregua di quanto era accaduto per gli Eroi del Risorgimento e della Grande Guerra, e come accadde nel caso non meno simbolico di Roberto Picchiani, direttore tecnico nella miniera di Arsa.

La bibliografia disponibile è conforme a legittime valutazioni pluralistiche, sia pure con qualche palese concessione negazionista francamente di troppo, come nel caso di Eric Gobetti, ma nello stesso tempo, con qualche utile integrazione circa il calvario di Norma: ad esempio, nella ricostruzione del suo martirio da parte dello storico slavista Joze Pirjevec, nella cui ricerca si adombra che la giovane laureanda sia stata «crocifissa a una porta e impalata» da parte dei suoi assassini, non ancora contenti delle altre sevizie perpetrate nei suoi confronti. Tutto questo, senza dire degli apporti di fantasia devianti dalla realtà effettiva, come quelli di Giuseppina Mellace, che giovano al verbo romanzesco ma non certo ai canoni di una corretta storiografia; al pari d’interpretazioni come quella di Gianni Oliva, secondo cui la sola «imputazione» ascrivibile alla Cossetto sarebbe stata quella, obiettivamente iniqua, di essere figlia del podestà fascista di Santa Domenica.

Peraltro, sta di fatto che l’ampio ricordo in onore di Norma è testimoniato da tante altre opere documentate, se non altro nei limiti relativamente circoscritti proposti dalle fonti, e da saggi inseriti in più ampie raccolte storiografiche, come quelli della Professoressa Chiara Mezzalira, docente dell’Ateneo patavino, e della giovane Ornella De Angeli, espressione dell’ISSES.

Considerazioni analoghe valgono per una memorialistica dall’ottimo valore indicativo in senso patriottico che si aggiunge alla toponomastica: è il caso, ad esempio, di opere importanti dedicate alla memoria visiva di Norma, come la Sala comunale di Calalzo, l’Anfiteatro di Civitavecchia, la Biblioteca di Limena e via dicendo. In effetti, si tratta di dediche da cui emerge una commendevole e diffusa volontà, per l’appunto etica e politica, presente nel popolo italiano per il tramite di tanti Comuni.

In definitiva, il male è sempre in agguato, ma l’esempio dei Martiri che non vollero piegarsi alla violenza istituzionale, alle torture più nefande, alla pulizia etnica e all’ateismo di Stato è destinato a promuovere frutti copiosi: soprattutto se le riflessioni che continuano a scaturirne sapranno indurre un impegno idoneo a spostare in avanti l’ardua frontiera del possibile.


Bibliografia essenziale

Autori Vari, Norma Cossetto: Rosa d’Italia, a cura del Comitato Dieci Febbraio, Eclettica Edizioni, Massa 2021, 294 pagine

Autori Vari, Italia, confine orientale e foibe, Solfanelli, Chieti 2012, 148 pagine

De Angeli Ornella, Norma Cossetto, in «Foibe: la storia in cammino verso la verità», Edizione ISSES (Istituto di Studi Storici Economici e Sociali), Napoli 2001, 144 pagine

Ciacci Fabiano, Foibe: La questione del confine nord-orientale, Extempora Editore, Siena 2021, 256 pagine

Corbanese Guerrino Gerolamo – Mansutti Aldo, Ancora sulle foibe: gli scomparsi in Venezia Giulia, in Istria e in Dalmazia, Aviani & Aviani, Udine 2010, 182 pagine

Gabrielli Italo, Istria Fiume Dalmazia: Diritti negati – Genocidio programmato, seconda edizione, Luglio, Trieste 2018, 168 pagine

Gobetti Eric, E allora le foibe?, Editori Laterza, Bari-Roma 2020, 116 pagine

La Perna Gaetano, Pola Istria Fiume (1943-1945): l’agonia di un lembo d’Italia e la tragedia delle foibe, Edizioni Mursia, Milano 1993, 480 pagine

Mellace Giuseppina, Il quadro di Norma: storia di una ragazza travolta dagli eventi della Seconda Guerra Mondiale e dalla crudeltà degli uomini, Edicusano, Roma 2020, 340 pagine

Mellace Giuseppina, Una grande tragedia dimenticata: la vera storia delle foibe, Newton Compton Editori, Roma 2018, 330 pagine

Menia Roberto, Dieci febbraio: dalle foibe all’esodo, I libri del «Borghese», Roma 2020, 248 pagine

Mezzalira Chiara, La colpa fatale di essere donna, in «Raccontami di lei: ritratti di donne che a Padova hanno lasciato il segno», University Press, Padova 2020, 264 pagine

Mondoni Rossana – Garibaldi Luciano, Dopo la guerra c’è solo la pace: il coraggio e la forza di Norma Cossetto, Solfanelli, Chieti 2020, 154 pagine

Montani Carlo, Venezia Giulia Istria Dalmazia: pensiero e vita morale – Tremila anni di storia, Aviani & Aviani, Udine 2021, 408 pagine

Oliva Gianni, Foibe: le stragi negate degli Italiani della Venezia Giulia e dell’Istria, Mondadori Editore, Milano 2002, 206 pagine

Papo de Montona Luigi, Albo d’Oro: la Venezia Giulia e la Dalmazia nell’ultimo conflitto mondiale, Unione degli Istriani, Trieste 1989, 756 pagine

Pirjevec Joze, Foibe: una storia d’Italia (con appendice di Darko Dukovski, Nevenka Troha, Orazio Bajc e Guido Franzinetti), Edizioni Einaudi, Torino 2009, 376 pagine

Pupo Raoul – Spazzali Roberto, Foibe, Edizioni Bruno Mondadori, Milano 2003, 256 pagine

Rocchi Padre Flaminio, L’esodo dei 350.000 Giuliani Fiumani e Dalmati, quarta edizione, Difesa Adriatica, Roma 1999, 718 pagine

Rumici Guido, Infoibati (1943-1945): i nomi, i luoghi, i testimoni, i documenti, Edizioni Mursia, Milano 2002, 498 pagine (con verbali delle esumazioni da parte della squadra Harzarich)

Sessi Frediano, Foibe Rosse: Vita di Norma Cossetto uccisa in Istria nel 1943, Marsilio Editore, Collana «Gli Specchi», Venezia 2007, 156 pagine.

(marzo 2022)

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