Slavi contro Italiani
Omaggio del Sindaco di Trieste ai terroristi slavi nel 90° anniversario della condanna

La storia giuliana e dalmata, al pari di quella generale, è fatta di tante contraddizioni, ma in qualche caso la loro rilevanza assume aspetti sesquipedali. Viene da pensarlo, dopo l’allocuzione pronunciata da Roberto Di Piazza, attuale Sindaco di Trieste eletto coi voti della destra, in occasione del 90° anniversario dei «quattro di Basovizza» fucilati il 6 settembre 1930 dopo un regolare processo tenuto alla presenza di qualificati osservatori internazionali, secondo cui quella sentenza sarebbe stata pronunciata, in condizioni analoghe, anche dalle Corti di talune democrazie occidentali.

Suscitando gli applausi degli Sloveni presenti, Di Piazza ha affermato, fra l’altro, che costoro «non erano terroristi ma figli di mamma e papà» e ha aggiunto che Guglielmo Oberdan e Nazario Sauro furono eroi nell’interpretazione italiana, mentre per gli Austriaci avevano un marchio d’infamia: quello di «disertori».

Conviene rammentare che i «figli di famiglia» in questione erano rei confessi degli atti di terrorismo compiuti nello scorcio degli anni Venti a pervicace iniziativa delle Associazioni irredentiste slave, quali TIGR e Orjuna, che propugnavano l’affrancamento della Venezia Giulia e dell’Istria dalla sovranità italiana, in favore della nuova Jugoslavia. Al riguardo, è parimenti utile ricordare che quegli atti avevano comportato Vittime umane e gravi danni materiali.

In tale ottica, la sortita del primo cittadino di Trieste ha suscitato sconcerto diffuso, tanto che il massimo referente di «Fratelli d’Italia» in Consiglio Comunale, Claudio Giacomelli, ha potuto parlare senza mezzi termini di un Sindaco che, fra tutti quelli avuti dalla città di San Giusto dal dopoguerra in poi, è stato quello che ha dato il massimo contributo a «riaprire le ferite del passato».

Intendiamoci: dopo il 13 luglio, con le visite del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e del suo omologo sloveno Borut Pahor alla foiba di Basovizza e al cippo in memoria dei quattro condannati del 1930, Roberto Di Piazza ha l’attenuante di averne seguito l’esempio, ma si tratta di un’attenuante molto relativa. Infatti, quella dei due Presidenti era stata un’iniziativa di Stato a suggello di un percorso politico opinabile, ma caratterizzata dal pensoso e silenzioso raccoglimento davanti al Monumento degli Infoibati, e poi davanti al cippo sloveno. Sia pure con qualche forzatura, un gesto di «pietas» che nel caso del Sindaco ha assunto caratteri ben diversi, tanto più che ha coinciso con l’auspicio di una riabilitazione dei quattro anche dal punto di vista giuridico, con conseguente riconsiderazione delle conclusioni processuali.

Oggi è inutile aggiungere che i fucilati del poligono carsico hanno naturale diritto alla pietà cristiana, tanto più che nella nostra epoca la pena capitale è stata rimossa dalla legislazione di un numero maggioritario di Paesi, sulle orme del benemerito Granducato di Toscana che era stato il precursore dell’abolizione sin dal secolo dei lumi. Ciò non significa che il loro irredentismo fosse diventato del tutto accettabile, se non altro perché aveva abbracciato senza remore la scelta terrorista.

In poche parole, non basta essere «figli di mamma e papà» per avere diritto alla riabilitazione, anche se ogni terrorista ha logicamente avuto una madre e un padre. Quanto al riferimento ai Martiri Italiani che avevano pagato col nobile sacrificio della propria vita il fatto di avere «disertato» a danno dell’Austria, appare oggettivamente degno di miglior causa, perché quella diserzione non intendeva contestare un Paese libero e sovrano, ma un’accozzaglia di almeno 12 nazionalità diverse, tenute assieme dall’unico collante dell’assolutismo asburgico e dalle forche dell’impiccatore. Parliamoci chiaro: oggi, un accostamento del genere è tale da far rivoltare nelle proprie tombe Oberdan, Battisti, Sauro e tutti gli altri patrioti che in altissimo numero avevano onorato col proprio sangue, dal Risorgimento in poi, il sacro valore della Patria.

Roberto Di Piazza è una persona aperta e generalmente cordiale, tipica espressione di una «triestinità» cosmopolitica ma non aliena dal tenere in ovvia considerazione il fatto che, già dal XV secolo, il 96% degli abitanti parlava italiano. Ciò posto è auspicabile che il Sindaco si renda conto di avere sbagliato e voglia chiedere scusa, se non altro ai troppi Martiri di una lunga e dolorosa storia: salvo che abbia consapevolmente derogato ai sacri canoni della verità e della giustizia, non già per una superiore ragione di Stato ma per una più prosaica ragione municipale.

(ottobre 2020)

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