Carlo Cesare Montani: «Venezia Giulia – Istria – Dalmazia» (Aviani & Aviani Editori, Udine 2021, 408 pagine)
Pensiero e vita morale

Libro di Carlo Cesare Montani

Compertina del libro di Carlo Cesare Montani Venezia Giulia, Istria, Dalmazia - Pensiero e Vita Morale

La storia è opera di necessario approfondimento e di possibile revisionismo, perché deve essere fedele ai fondamenti irrinunciabili di oggettività e documentazione che furono quelli di Tacito, ma che non sempre sono accolti dagli storici contemporanei, nonostante il frequente impegno teorico in tal senso. Questo volume, che aspira a costituire uno strumento di consultazione, e una sintesi di valori «non negoziabili» appartenenti a tanti protagonisti di una storia lunga e complessa, corrisponde all’assunto, e quindi esprime un equilibrio tanto più commendevole nel dichiarato intento di promuovere la riflessione: non a caso, non si chiude col tradizionale epilogo ma con un preludio in cui sono adombrati scenari futuri difformi da quelli delle vulgate prevalenti, pur essendo inquadrati nella logica della cooperazione internazionale, e ancora prima, di un beninteso spirito cristiano.

Le riflessioni scaturiscono incessantemente da ciascuna delle tre parti: la prima, in cui trova spazio una sintesi di quasi tremila anni di storia dall’evo antico a quello contemporaneo; la seconda, che ospita una trentina di saggi selezionati da una vastissima produzione storiografica; la terza, dove i riferimenti cronologici si risolvono in un’ulteriore antologia e diventano storia nel senso autentico della parola. In ogni caso, lasciando al lettore valutazioni e confronti, ivi compresi quelli mutuati da esperienze e ricerche personali.

Nel titolo, il riferimento geografico alla regione giuliana, istriana e dalmata si completa con quello a pensiero e vita morale, che definisce in maniera sintetica ma imprescindibile i contenuti etici dell’opera, o per meglio dire, il suo perenne inquadramento nella diuturna lotta del mondo dei Valori con le forze sataniche della peggiore iniquità, di cui alle celebri allocuzioni del grande Vescovo di Trieste, Monsignor Antonio Santin.

Del resto, basta scorrere gli indici, con particolare riguardo a quello dei nomi propri, per comprendere che questa storia deve essere interpretata, in primo luogo, alla luce dell’ethos, e purtroppo, a quella delle sue negazioni. Appartengono al pensiero e alla vita morale, fra i tanti protagonisti di primo piano, San Francesco e Dante Alighieri; Gian Rinaldo Carli e Nicolò Tommaseo; Gabriele d’Annunzio e Maria Pasquinelli; Don Luigi Stefani e Spartaco Schergat. Sul versante opposto, attirano attenzioni prioritarie i ricorrenti invasori orientali dei primi secoli cristiani, le negazioni del principio di nazionalità da parte dei sistemi assolutisti dell’Ottocento, e naturalmente, i nefasti effetti del cosiddetto secolo breve, culminati nel Diktat, nel dramma del grande Esodo e nella tragedia delle foibe, comprensiva degli altri massacri.

Le vicende più recenti, come quelle del secolo scorso e del primo ventennio del nuovo, sono oggetto di approfondimenti naturalmente maggiori: in effetti, non sfugge la serie infinita di cause e di effetti a cui l’Autore dedica alcune riflessioni di particolare interesse anche in termini attuali, senza dire che una conoscenza scevra da pregiudizi e possibilmente analitica degli ultimi eventi, tra cui quelli surreali di Osimo e di un altrettanto imprevedibile inchino italiano al «fazzoletto di terra» dei quattro Slavi fucilati nel 1930 come responsabili di riconosciuti atti di terrorismo, corrisponde alla necessità di un’informazione oggettiva, su cui fondare le opzioni future di un’Italia ancor oggi subordinata alla triste sindrome dell’8 settembre.

L’Autore non si richiama soltanto a Tacito. Sono di tutta evidenza anche i riferimenti a Giambattista Vico, che con la sua teoria dei corsi e ricorsi storici sembra adombrare la possibilità se non anche la certezza di nuove convergenze tra verità e realtà effettuale; quelli a Benedetto Croce, a Giovanni Gentile e alla filosofia di una Libertà intesa come categoria dello Spirito e non certo come esaltazione dell’individualismo; infine, quelli conformi alle migliori esperienze cattoliche, come nel caso dello stesso Monsignor Luigi Stefani, Esule da Zara e vessillifero di un irredentismo davvero moderno, in cui l’impegno delle menti e dei cuori non fosse finalizzato al mero riscatto delle terre, peraltro alacremente vagheggiato, quanto a quello degli uomini o meglio delle anime, e quindi dell’azione suffragata dalla volontà.

Fra le centinaia di citazioni che si ritrovano nel volume, una frequenza superiore alla media è quella che riguarda il grande patriota istriano Italo Gabrielli, Esule da Pirano, indimenticabile leader della contestazione al trattato di Osimo durante il quinquennio del suo incarico presidenziale all’Unione degli Istriani. In qualche misura si tratta di un atto dovuto, perché Gabrielli si spese con indomito coraggio per difendere la giustizia nei confronti dei troppi «osimanti» e non senza interventi accorati e calibrati presso il Quirinale, l’intero Governo e buona parte dei parlamentari. Ebbene, il professor Gabrielli non ebbe alcuna risposta! Anzi, quando una delegazione triestina fu ricevuta dal Presidente della Repubblica per far udire il «grido di dolore» degli Esuli e della Città di San Giusto, Giovanni Leone promise che non avrebbe mancato di ascoltarlo rinviando in Parlamento la legge di ratifica, che invece era stata controfirmata da qualche ora.

Un saggio di particolare valenza etica e politica, fra tutti i contributi contenuti nella parte di competenza, è quello dedicato alla Carta del Carnaro di Gabriele d’Annunzio e di Alceste De Ambris, se non altro per il carattere straordinariamente avanzato della Costituzione fiumana del 1920, anticipatrice di vari istituti che sarebbero diventati realtà alcuni decenni più tardi. Correttamente, l’Autore ne ha illuminato gli aspetti senza dubbio più moderni, in specie dal punto di vista sociale, come quello relativo all’affievolimento del diritto di proprietà davanti al prevalente interesse pubblico. Eppure, tra i soloni dell’epoca vi furono coloro che si compiacquero di assimilare l’esperienza dannunziana a quella di un gruppo di «mattoidi».

Tutto si potrà dire di questo libro, ma non certo che non faccia pensare. Diversamente da una diffusa memorialistica orientata soprattutto al semplice ricordo, ai pur comprensibili rimpianti, e ai giusti onori da tributare a tutti coloro che fecero Olocausto della vita in ossequio al dovere e alla «madre benigna e pia» espressa dalla Patria, il libro di Carlo Montani apre una finestra sul futuro, che potrà evolvere in modi diversi, e in qualche misura imprevedibili, in funzione degli auspici che si potranno e si vorranno trarre dalle urne dei Caduti: non ultima, quella marmorea già attribuita al Senatore Riccardo Gigante, ultimo Podestà di Fiume Italiana, che dopo tanti decenni di attesa ha potuto finalmente accogliere le Spoglie mortali del Patriota nell’eremo del Vittoriale, davanti al Mausoleo del Comandante, non senza rammentarne le virtù umane e civili manifestate nel disprezzo del pericolo e della turpe ideologia di cui, al pari di tanti altri – non solo Italiani – fu Vittima sacrificale.

Questo volume non è alieno dall’avere espresso motivati consensi, ma nello stesso tempo non ha remore nel promuovere condanne, sia pure consapevoli, meditate, e come recita l’acronimo della seconda parte, «sine ira». Tra i giudizi di maggiore impatto etico e politico si deve certamente annoverare quello nei confronti del comunismo, che nel caso della cosiddetta «via jugoslava» non avrebbe esitato a ricorrere al doppio gioco, con una callidità politica degna del basso Rinascimento ma facendo strame di ogni valore, compreso quello puramente formale di una pur opinabile coerenza. Ancora una volta, torna alla memoria l’assunto del Vico, secondo cui, prima di giungere a «riflettere con mente pura» a fronte di un percorso lungo e laborioso, o di «avvertire con animo perturbato», gli uomini non sono altro che «bestioni tutta ferocia».

Ancora oggi, i «vigliacchi d’Italia» di carducciana memoria che continuano ad allignare nelle «piaghe mortali» tipiche dell’età contemporanea, non saranno facilmente convertibili, ma ciò non vuol dire che la «buona battaglia» non abbia diritto di cittadinanza. Al contrario, non si possono e non si devono abbassare i vessilli della fede, e soprattutto di un’indomita speranza tuttora presente e viva nel cuore degli Italiani migliori, e con essi, degli uomini di buona volontà. I nostri Morti, secondo la pertinente visione del grande poeta gradese Biagio Marin, sanno sempre aspettare!

(marzo 2022)

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