Le donne delle foibe
Latina rende omaggio alle vittime femminili e alla Medaglia d’Oro Norma Cossetto con la memoria storica del Comune e la nobile allocuzione del Senatore Roberto Menia

La tragedia delle foibe, colpevolmente dimenticata per almeno mezzo secolo dalla classe politica italiana, e quindi da un popolo senza colpa ma del tutto ignaro, con le sole eccezioni marginali del mondo esule e di una storiografia peraltro minoritaria, è stata oggetto di dovuta e crescente attenzione collettiva per merito della Legge 30 marzo 2004 numero 92. Il provvedimento – per iniziativa precipua del primo firmatario Onorevole Roberto Menia – ha consentito, infatti, un’adeguata conoscenza della plumbea stagione (1943-1947) che vide l’estremo sacrificio di almeno 20.000 Italiani, vittime innocenti della barbarie comunista e dell’odio etnico, assieme a tutti quelli che caddero nel segno del dovere, per la difesa della Patria.

Una parte ragguardevole di quelle vittime fu espressa dalle donne, che hanno trovato un simbolo particolarmente rappresentativo nella Medaglia d’Oro Norma Cossetto, insignita di tale massima onorificenza della Repubblica (oltre alla laurea «honoris causa») a 60 anni dai fatti per meritoria iniziativa del Presidente Carlo Azeglio Ciampi, in riconoscimento dell’eroico comportamento assunto dalla martire davanti al nemico, nella fedeltà ai propri Valori di patriota italiana. In tale ottica, è cosa buona e giusta che, in occasione della Giornata della Donna, a quelle donne sia stato dedicato anche a Latina un riconoscimento «avvertito – come da definizione di Gianbattista Vico – con animo perturbato e commosso».

La tragedia delle foibe e delle altre uccisioni indiscriminate che i partigiani di Tito perpetrarono a danno degli Italiani (e non solo) ha dato luogo a un convinto omaggio alle donne di ogni età e di ogni condizione sociale che scomparvero senza pietà, nella maggior parte dei casi dopo inenarrabili torture, e che oggi vivono nel comune ricordo, e nella convinzione di dover trovare gli auspici di un mondo migliore anche in quella tragedia, per i Valori che proprio loro seppero onorare.

L’iniziativa, davanti a un folto uditorio molto attento e consapevole, si è aperta con la prolusione e con i saluti istituzionali del Senatore Nicola Calandrini, è proseguita con gli interventi dello storico Marco Cimmino, dei Consiglieri comunali Valentina Colonna, Serena Baccini, Simona Mulé, e del Capo Gruppo di Fratelli d’Italia Cesare Bruni, mentre le conclusioni sono state tratte nell’allocuzione del Senatore Roberto Menia.

Le uccisioni indiscriminate furono il «detonatore dell’esodo» che coinvolse una larghissima maggioranza del popolo giuliano, istriano e dalmata, costituirono una tragica esclusiva regionale, e tradussero in pratica gli effetti peggiori del confronto etnico italo-slavo, esasperato dal «comunismo nazionalista» di Tito e tradotto in particolari efferatezze proprio a carico delle donne, quali soggetti più deboli (Cimmino). Il sacrificio delle donne fu particolarmente iniquo e doloroso perché ebbe il tristissimo corollario dell’umiliazione, su cui conviene continuare a riflettere quale «argomento del cuore» (Colonna). La storia è stata silenziata troppo a lungo, e talvolta continua a esserlo, come nel caso dell’affondamento della motocisterna Lina Campanella col suo carico dolente di Italiani prigionieri (Baccini). Le foibe sono state un atto di particolare crudeltà, compiuta a carico di donne e di uomini ancora vivi, e nello stesso tempo, di una cancellazione programmata della storia, che continua anche nella nostra epoca: quindi, bisogna restituire la dignità a quelle vittime, per un atto di giustizia sia pure postuma (Mulè).

Premesso che nessuno pensa ad antistoriche rivincite, nello spirito innovativo della casa comune europea, Cesare Bruni, a chiusura degli interventi locali, ha ricordato che la storia delle foibe, oltre a essere un «unicum» nel suo genere, mette in luce specifiche responsabilità nel disegno di snazionalizzazione del territorio. Del resto, ciò era stato anticipato sin dall’epoca di Francesco Giuseppe, con ovvie intensificazioni dopo l’8 settembre 1943, quando i vari Motika e Piskulic fecero scuola e disposero per uccidere gli Italiani in quanto tali, senza dire che alcuni di questi furono loro complici; e con l’avvento del nazionalismo slavo, l’obiettivo non furono soltanto i fascisti, ma anche gli esponenti dell’autonomismo. Quanto all’oggi, ci dobbiamo confrontare col negazionismo, e prima ancora con il giustificazionismo, che peraltro non hanno motivazioni valide: i comunisti uccidevano a prescindere, come a Basovizza e altrove. Ebbene, urge riflettere sul fatto che, proprio in occasione del 10 febbraio, la minoranza pontina non abbia aderito all’ordine del giorno della maggioranza, sebbene il suo intento fosse soltanto quello di onorare chi, come il popolo giuliano e dalmata, fu costretto a pagare il prezzo più alto.

Roberto Menia, dopo aver affermato che il momento non è quello delle conclusioni, ma di un’approfondita riflessione nel segno della memoria, ha invitato a guardarsi dalle suggestioni della banalità, tornando alle radici della storia nel rispetto del loro carattere autentico, che ha da essere quello della solidarietà, fatta di sintonie naturali, umane, civili, e di valori comuni destinati a permanere nonostante il tempo che passa. Innanzi tutto, sulle orme del grande Papa Giovanni Paolo II, dobbiamo osservare il Quarto Comandamento, che ordina di onorare il padre e la madre, e quindi le origini, con i valori di specifica, indissolubile appartenenza. La storia procede, ma non è lecito prescindere dal passato e dalle sue motivazioni, come nel caso dell’esodo, di cui all’esempio probante di Pola, che vide la scelta plebiscitaria di oltre nove decimi della popolazione, compiuta nel breve tempo dopo le anticipazioni del trattato di pace che avrebbe sacrificato, dopo Fiume e Zara, anche il capoluogo istriano. Eppure, la storia antica e prossima parlava e parla italiano: basti pensare a quelle ineccepibilmente venete di Zara e di Sebenico, a quella di Spalato patria di Diocleziano, ai fasti di Ragusa – non certo Dubrovnik – per finire a quelli di Perasto, ultimo baluardo della gloriosa Repubblica Veneta. Quanto alle vicende più recenti, basti rammentare l’infausto trattato di Osimo del 1975, che fu un altro regalo italiano agli infoibatori, col sacrificio della Zona B del Territorio Libero di Trieste, paradossalmente allargata ad alcune frazioni dell’entroterra di Muggia.

Abbiamo tutto il diritto di coltivare questi pensieri e questi sentimenti – ha proseguito Menia – senza indulgere ai compromessi che hanno caratterizzato il lungo periodo post-bellico, fino alle origini del nuovo millennio, nell’ambito di un «ethos» conforme a giustizia: non è forse vero che il Sacrario di Basovizza è diventato monumento nazionale dopo oltre mezzo secolo di attesa? Non mancano pietre tombali tuttora da rimuovere, se non altro per un ricordo più diffuso e consapevole, idoneo a memorizzare nelle menti e nei cuori degli Italiani una realtà di tante esperienze dolorose ma prescrittive. A esempio, come dimenticare che Piemonte d’Istria, al pari di altri villaggi abbandonati, è rimasto «un nome vano senza soggetto»? Come scordare che il grande esodo giuliano, istriano e dalmata fu anche quello dei morti che furono imbarcati sugli ultimi viaggi del piroscafo Toscana per evitarne l’abbandono alla mercé del nuovo padrone? Come non menzionare la partenza per l’esilio del Vescovo Monsignor Raffaele Radossi, mentre i profughi intonavano le note del Va’ pensiero verdiano con la morte nel cuore? Si usa dire che il tempo lenisce i dolori, ma se l’assunto può essere vero per qualche individuo, non lo sarà mai per le comunità: il tempo, caso mai, uccide!

Ciò posto, è cosa certamente giusta, con un obbligo morale inderogabile, ricordare Norma Cossetto, con il valore sovrano del suo sacrificio, tanto più importante perché riconosciuto dall’Italia ufficiale in tempi troppo lunghi per poter essere davvero accettabili, anche in riferimento alla cosiddetta «realtà effettuale». Assieme a lei, ricordiamo la sorella Licia Cossetto Tarantola che ne aveva sempre diffuso la memoria storica, in specie tra i giovani, e che scomparve proprio nel 70° anniversario dell’olocausto di Norma, vale a dire il 5 ottobre 2013, mentre si stava recando a Trieste per partecipare alle cerimonie di rito e di commemorazione[1]. Solo una coincidenza?

Fra le tante donne che hanno ben meritato durante l’esilio si deve menzionare, a titolo esemplificativo, Nidia Cernecca, figlia del martire Giuseppe, che fu costretto a subire una delle morti più tragiche, in quanto lapidato e decapitato, onde consentire ai suoi aguzzini una sorta di criminale gioco del pallone con la testa dello sventurato, oggetto di onori postumi per tutta la vita, proprio per opera di Nidia. Che dire poi dei tanti sacerdoti e delle suore, vittime dell’odio slavo «in odium fidei»?

Un ultimo accenno, volto a riassumere un esempio ormai classico del martirio femminile dovuto alle «vicende del confine orientale» è quello di Maria Pasquinelli, la giovane patriota che, per esprimere la protesta di un intero popolo nei confronti di Alleati «ciechi e sordi» davanti al suo immenso «grido di dolore», rivolse la propria rivoltella contro il Generale Robert De Winton, Comandante militare della piazzaforte di Pola, uccidendolo all’istante proprio il 10 febbraio, mentre a Parigi si stava firmando l’iniquo trattato di pace con l’Italia: le donne di Trieste furono subito concordi nell’affermare che «da quel pantano» era nato un fiore. Il resto è noto: Maria fu condannata a morte da una Corte Inglese, ma dopo un’attesa non breve la pena fu commutata in quella dell’ergastolo, scontato per circa un ventennio prima della grazia e di un lungo cammino di fede e di riservatezza fino al ritorno alla Casa del Padre, sopravvenuto quando la protagonista della vicenda, perdonata anche dalla moglie e dal sacerdote fratello del Generale De Winton, era ormai centenaria[2].

Il «tempo di piangersi addosso», ha detto Roberto Menia a chiusura della propria vibrante allocuzione, è finito da un pezzo. Al contrario, è quello di ricordare attivamente: l’Italia è un bellissimo mosaico in cui non manca un ampio spazio per la memoria intesa come strumento per consentire alla fiamma di risorgere e di splendere perennemente.


Note

1 Nell’ambito delle iniziative in parola, è congruo rammentare quelle tenutesi il 5 ottobre 2023, ricorrendo l’80° anniversario dalla scomparsa di Norma, e il 10° della sorella Licia, avvenuto nel medesimo giorno e mese del 2013. In detta ricorrenza dell’ottantennio, i tre allievi ancora in vita che nel giugno del 1943 salutarono nell’istriana città di Parenzo la loro insegnante Norma Cossetto al termine dell’anno scolastico, e che non l’avrebbero più riveduta alla ripresa autunnale, si riunirono idealmente nel commosso ricordo della loro professoressa. Si trattava di Bruno Apollonio e di Luigi Usco, esuli a Trieste, e per l’appunto, di Ottavio Sicconi esule proprio a Latina, accomunati nella struggente memoria della martire, e dei Valori «non negoziabili» che avevano potuto apprendere dalla sua lezione di vita, e che più tardi avrebbero approfondito nel suo intemerato e generoso patriottismo: non a caso, alla conferenza tenuta nel capoluogo pontino sono intervenuti il fratello Mario Sicconi e il figlio Matteo, che hanno voluto onorare il ricordo di Norma con la loro commossa presenza.

2 Una sintesi della storia di Maria, e della vita di questa giovane patriota fiorentina, è presente nell’opera di Carlo Cesare Montani, Venezia Giulia – Istria – Dalmazia: Pensiero e vita morale / Maria Pasquinelli – Un percorso di dolore e di speranza cristiana, Aviani & Aviani Editori, Udine 2021, parte seconda, pagine 187-198 (con esaustiva bibliografia). Ecco una conferma dell’assunto proposto da Dionigi di Alicarnasso, il pensatore ellenico noto per avere intuito, nell’ultimo secolo precristiano, che «la storia è filosofia tratta dagli esempi»: in effetti, quello di Maria fu altissimo esempio, non già per avere «spento» un simbolo di tante sventure italiane, quanto per la lunghissima esperienza di espiazione cristiana, umana e civile.

(aprile 2024)

Tag: Carlo Cesare Montani, Norma Cossetto, Roberto Menia, Carlo Azeglio Ciampi, Giambattista Vico, Nicola Calandrini, Marco Cimmino, Valentina Colonna, Serena Baccini, Simona Mulè, Cesare Bruni, Francesco Giuseppe, Ivan Motika, Oskar Piskulic, Giovanni Paolo II, Diocleziano, Monsignor Raffaele Mario Radossi, Licia Cossetto Tarantola, Nidia Cernecca, Giuseppe Cernecca, Maria Pasquinelli, Robert De Winton, Bruno Apollonio, Luigi Usco, Mario Sicconi, Matteo Sicconi, Ottavio Sicconi, Dionigi di Alicarnasso, Basovizza, Pola, Fiume, Zara, Sebenico, Ragusa, Dubrovnik, Perasto, Repubblica Veneta, Osimo, Trieste, Territorio Libero di Trieste, Muggia, Piemonte d’Istria, Parigi, Latina, Italia, Giornata della Donna, motocisterna Lina Campanella, Fratelli d’Italia, Quarto Comandamento, piroscafo Toscana, in odium fidei, Corte di Giustizia Inglese.