Mayerling dopo 130 anni
Spunti di riflessione sul complesso dramma di Rodolfo d’Asburgo

Esistono fatti storici che, pur essendo riferiti a vicende personali dei protagonisti, hanno assunto rilevanza significativa anche in quelle politiche, non soltanto dell’epoca in cui avvennero: quasi a testimoniare che il collegamento tra individualità e universalità è più frequente e più stretto di quanto comunemente si pensi. Quello di Mayerling, che risale all’ormai lontano 30 gennaio 1889, fu uno di questi fatti: la tragica scomparsa di Rodolfo d’Asburgo, unico erede diretto al trono di Francesco Giuseppe, ultima proiezione sia pure simbolica del Sacro Romano Impero, fu avvertita come evento straordinariamente traumatico non soltanto a Vienna e nei territori della Duplice Monarchia, ma anche nel più vasto contesto europeo.

Parve di capire che da quel giorno nulla sarebbe più stato come prima; e la storia successiva lo avrebbe confermato in maniera icastica, andando a concludersi, appena vent’anni più tardi, con la scomparsa di una realtà statuale che, nel bene e nel male, aveva «fatto» la storia del Vecchio Continente per parecchi secoli. Quanto era accaduto in quel triste e freddo inverno, al di là degli aspetti politici, divenne motivo di attenzioni da parte della fantasia popolare e dello stesso inconscio collettivo che sarebbero durate a lungo, anche per l’alone di mistero sui dettagli della drammatica fine di Rodolfo e della contessina Maria Vetsera, giovanissima amica del principe ereditario: basti ricordare che la tragedia, molti anni più tardi, avrebbe suscitato un interesse letterario persino da parte di Benito Mussolini, nell’ottica ormai inattuale del romanzo storico.

Non mancarono supposizioni alternative in base alle quali si tendeva a escludere che il discusso figlio di Francesco Giuseppe e di Elisabetta si fosse realmente suicidato, come da versione ufficiale della Corte, e che fosse stato vittima di un complotto per eliminarlo, alla luce delle posizioni che aveva assunto in materia di politica sia interna che estera, e alla stregua di talune frequentazioni poco ortodosse; ma quelle ipotesi non furono suffragate da elementi oggettivi, e in tale ottica è congruo accennarvi soltanto per memoria. In ogni caso, resta il fatto che Rodolfo venne inumato nella Cripta dei Cappuccini, al pari degli altri Asburgo: cosa che sarebbe stata impossibile per un suicida ma che venne superata grazie alla pronunzia ecclesiastica circa la forte «alterazione mentale» del principe.

Oggi, Mayerling rimane testimonianza di un’epoca in cui la crisi del vecchio regime aveva assunto caratteri sostanzialmente irreversibili, contraddistinta dalla mera cristallizzazione formale degli antichi valori che si era creduto di poter eternare nella Santa Alleanza del 1815, come se il progresso delle nuove idealità, in primo luogo etiche, potesse essere fermato per decreto. Non a caso, dello stesso Rodolfo erano note, non soltanto a Corte, talune simpatie per i nascenti movimenti popolari, e sul piano istituzionale, per i conati autonomisti ungheresi, che d’altro canto potevano contare sulla manifesta e ripetuta comprensione della stessa Imperatrice, la cui vicinanza ai patrioti magiari, e in modo particolare al conte Andràssy, era parimenti conosciuta.

Qualcuno, come Giosuè Carducci, il cantore laico della nuova Italia, aveva interpretato una tragedia per molti aspetti parecchio più grande come quella del «puro, forte e bello» Massimiliano – vittima del suo sogno messicano ma nello stesso tempo della ragione di Stato asburgica e del tradimento di Napoleone III – alla stregua di un intervento della Nemesi, che fu facile estendere al dramma di Rodolfo, e più tardi a quelli di Elisabetta e di Francesco Ferdinando, uccisi in attentati analoghi a opera rispettiva di Luigi Lucheni e di Gavrilo Prinzip (a conferma che talune pagine significative della storia possono essere scritte da comprimari in precedenza sconosciuti). È una tentazione suggestiva sul piano della psicologia sociale, ma non certo su quello della storia, in cui abbondano gli esempi di teste coronate e delle stesse presidenze repubblicane travolte da simili destini: fra i tanti, basti pensare agli esempi emblematici di Luigi XVI e Maria Antonietta (un’altra Asburgo) o di Abramo Lincoln.

Rodolfo fu vittima di una realtà per tanti aspetti anacronistica, stretto nelle contraddizioni fra il ruolo istituzionale e le aperture sociali che in un’anima ipersensibile come la sua, non dissimile da quella materna, avrebbero finito per condizionarlo, e in qualche misura per paralizzarlo, senza dire che il mondo dorato in cui si era trovato a vivere aveva tutte le carte in regola per assimilarne le «magnifiche sorti e progressive» a quelle che alcuni decenni prima avevano condotto l’infelice figlio di Napoleone e di Maria Luisa d’Asburgo a una fine immatura e tristissima. In fondo, la Nemesi non esiste se non come ipotesi intellettualistica formulata dalla coscienza laica di chi avrebbe voluto sostituire un giudizio immanente, non privo di sottintesi nietzschiani, a quello del «Dio che atterra e suscita, che affanna e che consola» di cui agli immortali versi manzoniani dedicati alla scomparsa di Bonaparte.

Dopo oltre 130 anni, Mayerling suscita, anzi tutto, il sentimento di «pietas» che si deve a ogni vittima, pur non potendosi né dovendosi dimenticare il ruolo che la Casa d’Austria ebbe per un intero secolo, dal 1815 alla Grande Guerra, nel fagocitare quelle che, con felice sintesi, un grande patriota come Cesare Balbo avrebbe definito «Speranze d’Italia» (senza dire di quelle appartenenti alle altre nazionalità oppresse da Vienna). Oggi non mancano i nostalgici di un’irripetibile stagione imperiale e della cosiddetta correttezza amministrativa di stampo austriaco, in contrasto col pressappochismo e l’approssimazione che dominano nell’Italia odierna (e non solo), ma questo non è certo un buon motivo per dimenticare le troppe forche del Maresciallo Radetzky e quelle successive su cui vennero stroncate le vite di Guglielmo Oberdan, Nazario Sauro, Cesare Battisti, e di tutti gli Irredenti che ebbero la sola colpa di essere fedeli alla propria nazionalità: ciò, dissociandosi dal coacervo asburgico che propugnava un centralismo autocratico lungi da ogni possibilità di cooperazione e che, nella sua multiforme e contraddittoria composizione, ne aggregava addirittura 12.

Caso mai, chi volesse insistere sull’idea della Nemesi, sia pure nella citata ottica laicamente fideistica, dovrebbe riconoscere a Carlo – l’ultimo Imperatore travolto da una sconfitta militare senza appello come quella di Vittorio Veneto e successivamente scomparso in una temperie di alta fede cristiana condivisa con l’Imperatrice Zita nell’amarezza dell’esilio – un’apprezzabile funzione di significativo riscatto morale, sebbene irrimediabilmente tardiva.

Quello del 30 gennaio 1889 fu una sorta di preludio, cui avrebbe fatto seguito, in un effettivo crepuscolo degli dèi di wagneriana memoria, la progressiva accelerazione verso la fine, ancora più tragica della poetica saga nibelungica, se non altro per i milioni di caduti dell’immane conflitto mondiale. E la storia, nel suo ruolo – sempre manzoniano – di «guerra illustre contro il tempo» avente lo scopo prioritario di ricordare, deve indurre riflessioni non effimere sul terribile dramma personale che avrebbe anticipato quelli collettivi, e con essi la catarsi di una lunga epoca.

Il tempo trascorso dalla tragedia di Mayerling, quasi inspiegabile nella sensibilità socio-politica del nuovo millennio, sembra incommensurabilmente più lungo di quello effettivo, anche se non mancano le ricorrenze in cui la tentazione dell’oblio viene rimossa, o quanto meno rinviata. Nondimeno, al di là degli aspetti tardo-romantici della vicenda, resta il fatto che i grandi drammi del secolo successivo hanno fatto decisamente impallidire quello di Rodolfo, di Maria Vetsera e della stessa Casa Asburgica, rammentando quanto siano pertinenti – ancora una volta – le parole di Thomas Gray, secondo cui «i sentieri della gloria conducono solo alla tomba».

(febbraio 2020)

Tag: Carlo Cesare Montani, tragedia di Mayerling, Rodolfo d’Asburgo, Francesco Giuseppe, Maria Vetsera, Benito Mussolini, Elisabetta Wittgenstein, Gyula Andràssy, Giosuè Carducci, Massimiliano d’Asburgo, Napoleone III, Francesco Ferdinando, Luigi Lucheni, Gavrilo Prinzip, Luigi XVI, Maria Antonietta, Abramo Lincoln, Maria Luisa d’Asburgo, Napoleone Bonaparte, Cesare Balbo, Josef Graf Radetzky, Guglielmo Oberdan, Santa Alleanza del 1815, Nazario Sauro, Cesare Battisti, Carlo d’Asburgo, Zita d’Asburgo, Thomas Gray.