Idi Amin Dada Oumee
Un buffone sanguinario

Nella storia africana, sono tantissimi i dittatori che hanno fatto parlare male di sé e che hanno lasciato un pessimo ricordo nella storia, a causa del loro comportamento inumano, ma uno dei più feroci, spietati, sanguinari si ritiene sia stato Idi Amin Dada Oumee.

Il personaggio è stato un politico che divenne Presidente dell’Uganda, comportandosi da dittatore, e che è diventato famoso per le persecuzioni razziali attuate verso diverse etnie e comunità religiose: in particolar modo si accanì contro Cristiani e Induisti.

Egli nacque a Koboko, in Uganda, secondo qualcuno il 17 maggio 1925, secondo altri in altra data e forse in altro anno. I genitori, Andreas Nyabire e Assa Aatte, erborista e indovina, che curò anche appartenenti alla famiglia reale del Buganda, erano della piccola tribù Katwa, una minoranza nel Paese.

La sua vita iniziò fra le difficoltà, dopo che il padre se ne andò per conto suo, per cui rimase con la famiglia della madre. Allora l’Uganda era una colonia della Gran Bretagna. Della sua vita da giovane non si sa molto, giacché se da una parte non scrisse mai un’autobiografia, dall’altra non consentì nemmeno ad altri di scrivere qualcosa su di lui.

Pertanto, è un periodo pieno di dubbi. Per esempio, secondo certe fonti nel 1941 fu iscritto a una scuola islamica di Bombo, facendosi onore nella lettura del Corano, mentre, secondo altre, entrò in una scuola di missionari dove non ebbe nessun successo, tanto da restare pressoché analfabeta o giù di lì. Però, come si legge in alcuni scritti di altri, era stato inizialmente Cattolico, per convertirsi poi all’Islamismo, e nella scuola islamica in cui si iscrisse, non si fece per niente onore.

Dopo aver lasciato la scuola e aver fatto lavori occasionali, all’età di 21 anni entrò, come aiuto cuoco e assistente di lavanderia, a far parte del reggimento dei King’s African Rifles – KAR (letteralmente, «Fucili Africani del Re»), che era formato esclusivamente da gente di colore comandata da ufficiali inglesi.

Combattè in Birmania nella Seconda Guerra Mondiale, poi contro i ribelli Shifta in Somalia e in Kenia contro coloro che aborrivano la presenza degli Inglesi in casa propria. In quegli anni si adoperò per reprimere i Mau Mau in Kenia.

E proprio durante le operazioni militari in Kenia, si trovò addosso il nomignolo «Dada». Il tutto nacque a causa del suo insaziabile appetito sessuale, tanto da essere continuamente attorniato da un nugolo di belle e disponibili donzelle. E per non avere dei rimproveri dai superiori inglesi, si giustificava che si trattava sempre della sorella Dada, per l’appunto. Da qui il nome aggiunto a quello di Idi Amin.

Impressionanti erano la sua statura, 1,93 metri, e il peso, sui 120 chilogrammi. Sicuramente era un individuo da prendere con le molle, per la forza fisica di cui poteva fare sfoggio. Del resto, egli la sfruttò adeguatamente, entrando nella squadra di pugilato dell’esercito e diventando campione nazionale dei massimi dal 1951 al 1960.

Nell’esercito, si fece onore: sicché, dopo essere stato nominato caporale nel 1952, divenne sergente, indi sergente maggiore, finché nel 1961 ebbe il grado di ufficiale (tenente, per la precisione) insieme con un collega; fu un fatto eccezionale, perché si trattò dei primi militari negri a ottenere tale grado.

Finalmente, nel 1961 l’Uganda ottenne l’indipendenza; nelle prime elezioni del 1962, nonostante il suo non alto grado (del resto gli Inglesi non erano larghi nel promuovere gente negra, per cui in quel momento Amin era uno di quelli di grado più elevato), egli collaborò con Apollo Milton Obote, capo del Congresso del Popolo Ugandese (UPC), nominato Primo Ministro in quell’occasione. Il Paese aveva come regnante Mutesa II, Presidente dell’Uganda e Re dei Baganda, una importante tribù ugandese. Grato per l’aiuto prestato, Obote lo convinse a studiare in Inghilterra e poi in Israele, quest’ultimo Paese legato economicamente con l’Uganda.

Al suo ritorno in patria, fu nominato Vicecomandante dell’esercito. Allora, iniziò ad agire un po’ a suo piacimento e si diede alla reclutazione di nuove leve di fedelissimi, specialmente dalle zone della sua provenienza, che ammiravano la sua persona e che condividevano il suo atteggiamento da arrampicatore sociale.

Il suo «modus operandi», però, creò molte perplessità, quando, nel 1965, si appurò che si era attirato addosso la qualifica di corruttore e che aveva intascato fondi dell’esercito. Per di più, lui e Obote si trovarono implicati in contrabbando di oro, caffè e avorio in cambio di armi in quello Stato oggi denominato Repubblica Democratica del Congo.

Il Presidente Mutesa fece avviare indagini a questo proposito, senza mai avere risposte sicure, attirandosi addosso le ire di Obote che, nominato Amin Generale e Comandante dell’esercito, nel 1966 organizzò un colpo di Stato, assaltando il palazzo del Presidente, facendo arrestare cinque Ministri e i parlamentari che avevano rese pubbliche le loro accuse, sospese la Costituzione nata nel 1962, si autoproclamò Presidente, costringendo Mutesa a rifugiarsi all’estero, in Gran Betagna per l’esattezza, dove morì nel 1969. Poiché molti Ugandesi erano fedeli a Mutesa, Amin avviò una feroce repressione, specialmente in Buganda, che fu conclusa con l’uccisione in massa di centinaia di persone (un vero e proprio bagno di sangue).

Politicamente, Obote si era avvicinato all’Unione Sovietica e, inoltre, sembrava deciso a nazionalizzare i possedimenti stranieri in Uganda.

All’inizio degli anni Settanta, i rapporti fra i due si irrigidirono, quando Obote si rese conto di quanto potesse essere pericoloso quel gigante malato di megalomania. Amin, avuto sentore del pericolo che il Presidente Milton Obote intendesse rendersi ragione delle chiacchiere che erano in giro contro i suoi interessi personali, lo prese d’anticipo e il 25 gennaio 1971 organizzò un colpo di Stato, approfittando della sua assenza, essendo impegnato in una conferenza a Singapore: da qui la sua deposizione e l’esilio in Tanzania.

Amin si autonominò Presidente della Repubblica Socialista Ugandese (RSU), carica durata fino al 1979. Si dice che abbia dichiarato di essere «Sua Eccellenza Presidente per la Vita, Feldmaresciallo Al Hadji, Dottor Idi Amin, Signore di tutte le Bestie della Terra e i Pesci del Mare»; dopo la rottura dei rapporti diplomatici con il Regno Unito, aggiunse pure che fu «Conquistatore dell’Impero Britannico in Africa in Generale e in Uganda in Particolare». Ad accrescere la sua grottesca megalomania, si appendeva sulla giacca dell’uniforme, copiata da quelle dell’esercito inglese, medaglie sicuramente patocche, di nessun valore in tutti i sensi e, fra le sue dichiarazioni, appariva l’assurdità di essere dotato di poteri soprannaturali.

Diventava giorno per giorno sempre più paranoico. Il Nile Mansions Hotel di Kampala era diventato il centro in cui si interrogavano e si torturavano gli oppositori del regime o coloro che erano ritenuti tali. Spostava continuamente le sue sedi per timore di essere assassinato, dando nel contempo libertà d’azione alle sue squadracce di energumeni, arruolati come appartenenti alla sicurezza pubblica, che non esitavano a macchiarsi delle imprese più criminali quali i rapimenti, la tortura, gli assassinii. Si trattava soprattutto di elementi appartenenti alla sua tribù, che furono accusati di aver procurato la scomparsa di decine di migliaia di persone contrarie ad Amin o per derubarle dei loro beni o semplicemente perché appartenevano a tribù che egli riteneva ostili. Molte furono le vittime direttamente designate dal dittatore, in particolare politici, giudici, parlamentari, avvocati.

Durante quegli otto anni di terrore, imprigionò o fece uccidere non meno di 300.000 oppositori.

Fra le pieghe della sua attività dittatoriale comparve anche una brutta storia: Amin fu accusato di essersi cibato delle carni di uomini da lui fatti uccidere, ma non ci sono state prove in proposito. Ai giornalisti che gli chiedevano se la notizia fosse vera, rispondeva con macabro umorismo che la carne umana non gli piaceva, essendo troppo salata, ancora più salata di quella del leopardo. Certo che le sue dichiarazioni, vere e proprie battute di spirito, lasciarono perplessi coloro che le udirono pronunciare. Sempre a proposito di cannibalismo, ebbe a dire che, se in guerra sei di fianco a un fratello ferito, tanto vale ucciderlo per averne a disposizione la carne per tirare avanti. Altra chicca ha riguardato Hitler che, secondo lui, aveva fatto bene a fare guerra all’Europa, essendo il solo mezzo per unificarla; però il suo torto è derivato dall’averla persa. Una frase che ha fatto rabbrividire è stata la seguente: «Li ho mangiati prima che essi potessero mangiare me». Era da accettare come battuta di spirito, oppure c’era un fondo di verità, considerato che molti cadaveri di nemici uccisi furono rinvenuti senza labbra, occhi, nasi o testicoli?

Il colpo di Stato fu accolto positivamente al di fuori dell’Uganda, sia perché era avvenuto quasi senza spargimenti di sangue, sia perché Amin annunciò che il suo Governo avrebbe avuto solamente la durata del tempo che mancava alle elezioni, da indire in tempi rapidi. Non solo, ma liberò tutti coloro che erano stati imprigionati durante il dominio di Obote e, poco più tardi, acconsentì alla concessione di un funerale di Stato all’ex Presidente Mutesa, defunto nel frattempo. Per tutto ciò, il Paese si ritenne soddisfatto e si concesse notevoli festeggiamenti.

Durante il suo dominio, Amin era ritenuto un Sovrano con simpatie verso i Governi Occidentali, sostenuto da quelli israeliano («in primis»), libico, sovietico, tedesco dell’Est, zairese, che avevano interessi economici in comune. Nel 1975 fu nominato Presidente dell’OUA (Organizzazione dell’Unità Africana), con lo scopo di promuovere amicizia e collaborazione fra gli Stati del Continente Nero. Tale nomina non fu bene accettata dal Presidente della Tanzania, Julius Kambarage Nyerere, e dal Presidente del Botswana, Seretse Khama, che tentarono di farla fallire. Inoltre, l’Uganda fu pure un membro delle Nazioni Unite per i diritti umani dal 1977 al 1979.

Comunque, o non si sapeva nulla di ciò che succedeva in Uganda oppure si faceva buon viso a cattivo gioco – come si dice – per l’esigenza di buoni rapporti fra gli Stati. E anche l’Italia si comportò in tal modo, come dimostra la visita fatta da Amin nel nostro Paese nel 1975, dove fu ricevuto con tutti gli onori dal Presidente della Repubblica Giovanni Leone e invitato a un pranzo a Castelporziano, al quale parteciparono, con altri ospiti, le rispettive consorti.

Degno di essere ricordato è l’episodio che avvenne nel 1976 e che sorprese il mondo intero. Un gruppo di terroristi palestinesi aveva dirottato un aereo della El Al verso l’aeroporto di Entebbe, avendo consentito Amin l’atterraggio, e un gruppo di teste di cuoio israeliane era riuscito a liberare, con un’azione lampo, gli ostaggi israeliani. Un’azione che fece scalpore per come fu ideata e portata a termine e che fu raccontata in film di successo. Durante l’incursione si ebbero 45 morti fra i soldati ugandesi, 3 fra gli ostaggi e uno fra gli incursori israeliani. Purtroppo, una signora di 73 anni, che non si era potuta spostare essendo ammalata, fu barbaramente uccisa da Amin per squallida vendetta. Prima di lasciare l’aeroporto di Entebbe, gli Israeliani distrussero alcune decine di aerei ivi parcheggiati, tarpando le ali all’aviazione nazionale.

Ma il suo comportamento cambiò radicalmente nel giro di poco tempo e dimostrò la sua vera indole: infatti, fece un repulisti etnico sia nell’esercito sia nell’amministrazione dello Stato, facendo eliminare, dagli appartenenti alla sua tribù, i soldati fedeli a Obote e molte persone di tribù che gli erano contrarie.

Intanto, l’economia del Paese andava di male in peggio e la banca centrale era costretta a stampare moneta, soprattutto per finanziare l’esercito, che doveva essere pronto per dichiarare guerra allo Stato della Tanzania, perché aveva avuto il torto di accogliere, quali esuli, Obote e molti altri Ugandesi oppositori al suo regime. Per il riarmo si era rivolto a Israele, chiedendo aerei e altro materiale bellico. Avendo Israele risposto picche, Amin cambiò le sue tendenze politiche. Andò in Libia da Muhammar Gheddafi, dal quale ottenne gli aiuti militari richiesti e, per vendicarsi, espulse dall’Uganda circa 500 Israeliani, incamerando i loro averi.

Continuando l’economia ad andare male, però, se la prese con i discendenti di immigrati asiatici, entrati durante il colonialismo inglese, soprattutto di origine indiana, che a onore del vero erano un po’ il fiore all’occhiello dell’economia nazionale. Così, nel 1977, cacciò dal Paese tutti i cittadini ugandesi di origine asiatica, dando loro il tempo di tre mesi per andarsene praticamente con solo ciò che avevano addosso o poco più; inoltre, furono cacciati anche molti Inglesi: complessivamente, si parla di 80 o 90.000 persone. Indi, dopo aver rotto i rapporti diplomatici con il Regno Unito, completò l’opera nazionalizzando 85 imprese inglesi. In quell’occasione, Amin ebbe la sfacciataggine di dichiarare che aveva sconfitto gli Inglesi e ai suoi numerosi titoli aggiunse quello di Conquistatore dell’Impero Britannico (CBE).

La notizia fece clamore soprattutto nel mondo occidentale e ci fu chi iniziò a chiedersi se nel dittatore ugandese ci fosse qualche problema di carattere psichico. Approfittando della situazione tesa e ingarbugliata, Obote, insieme con altri esuli, tentò di rientrare nella sua patria, ma fu respinto senza difficoltà, e Amin ne approfittò per fare un’epurazione ulteriore.

La situazione era veramente grave. Amin si comportava in modo tale che non si comprendeva quanto il suo modo di governare fosse contrario a ogni parvenza di normalità, anche se i suoi ex sudditi, esiliati, ne criticavano l’atteggiamento. Erano dell’avviso che i Paesi Occidentali non si rendessero conto di quanto egli fosse despota e sanguinario, tratti in inganno dal suo comportamento scherzoso e beffardo, con il quale si comportava con i diplomatici esteri. A questo proposito, si riporta che parlando a distanza con Capi di Stato, non indulgesse nel trattarli come amici, scherzando e sfottendoli in modo confidenziale e spesso irriverente. È rimasto famoso il telegramma inviato al Segretario di Stato degli USA, Henry Kissinger, in cui era scritto: «Non sei intelligente, giacché non vieni mai a trovarmi quando hai bisogno di un consiglio». E nemmeno la Regina Elisabetta II d’Inghilterra fu risparmiata dalle sue insolenti e irrisorie scempiaggini, come si evince dal seguente scritto: «Ho saputo che l’Inghilterra ha problemi economici. Sto inviando una nave piena di banane per ringraziarvi dei bei giorni dell’amministrazione coloniale». Era evidente l’astio che egli provava per il Regno Unito, dopo la rottura dei rapporti diplomatici.

Tutto sommato, insomma, sembrava che il suo comportamento fosse accettabile, come se si trattasse di avere a che fare con un allegro e simpatico burlone, ma le notizie che faticosamente uscivano dall’Uganda furono tali da mettere in apprensione tutto il mondo occidentale.

Nel 1978, Amin tentò di invadere la Tanzania, iniziando dalla sua provincia settentrionale Kagera al confine con l’Uganda, ma l’anno successivo le truppe del Presidente della Tanzania Nyereere, unite a Obote e ai ribelli ugandesi, riuscirono a raggiungere e a occupare la capitale ugandese Kampala, costringendo Amin a fuggire e a rifugiarsi presso l’amica Arabia Saudita; così si avviò una nuova organizzazione del Paese.

A questo punto, l’avventura dittatoriale di Amin, definito dagli Ugandesi Kijambiya («Macellaio»), era finalmente e definitivamente conclusa.

Egli trascorse gli ultimi dieci anni della sua vita nel lusso più sfrenato in una villa concessagli a Jeddah dall’Arabia Saudita, insieme con quattro mogli e una trentina di figli. Quando morì nel 2003, fu sepolto in quella città.

Che Amin Dada abbia lasciato un segno indelebile nella storia contemporanea lo dimostrano i tanti libri, i documentari e i film drammatici che ne hanno raccontato le gesta, tutti impostati sulla sua enorme figura di spiritoso mattacchione, malato di manie di grandezza, e capace di una ferocia inaudita.

Si è tentato di fare il computo delle vittime della sua crudeltà, ma la cifra esatta non è mai stata quantificata. L’International Commission of Jurist ritiene che la cifra possa essere fra le 80 e le 300.000 vittime, ipotesi che più vaga di così non potrebbe essere. Molti storici sono dell’avviso che esse possano essere sulle 100.000. Amnesty International propende addirittura per 500.000. Certo è che la cifra ha un suo significato, ma quando si opera con crudeltà verso il prossimo, anche una sola vittima è sufficiente a far comprendere che cosa si agita nella mente non del tutto a piombo di un individuo.

Ciò che, in ogni modo, lascia l’amaro in bocca, è che gli è andata bene, giacché non è mai stato arrestato, processato, condannato com’è capitato, per esempio, ai feroci nazisti, che hanno dovuto subire l’onta e il disprezzo derivati dal tribunale di Norimberga, pagando con la prigione o la vita il loro disprezzo per la vita degli altri.

(marzo 2022)

Tag: Mario Zaniboni, Idi Amin Dada Oumee, storia africana, dittatori africani, Uganda, Koboko, Katwa, Gran Bretagna, Bombo, King’s African Rifles, KAR, Fucili Africani del Re, Mau Mau, Kenia, Dada, storia dell’Uganda, Apollo Milton Obote, Mutesa II, Baganda, Repubblica Socialista Ugandese, Kampala, dittatori cannibali, OUA, Organizzazione dell’Unità Africana, Tanzania, Julius Kambarage Nyereere, Botswana, Seretse Khama, Giovanni Leone, Muhammar Gheddafi, Henry Kissinger, Elisabetta II d’Inghilterra.