Fondazione dello Stato d’Israele
I primi passi della nuova Nazione Ebraica

I passi che hanno portato alla nascita dello Stato di Israele si devono al fondatore del Movimento sionista, Teodoro Herzl (1860-1904), definito il «padre del sionismo».

Il sionismo, fautore della creazione di una sede nazionale ebraica, non fu guidato da fanatici.

Trionfò, soprattutto, perché i suoi seguaci seppero lavorare abilmente nei campi più svariati.

Alcuni erano diplomatici non ufficiali nelle capitali europee, altri erano instancabili pubblicisti e procacciatori di fondi. Migliaia di essi si trasferirono in Palestina, a lavorare la loro terra. Quando nacque Israele, questo idealismo pratico gli diede l’energia per sopravvivere.

Il 14 maggio 1948, venne proclamato lo Stato di Israele da David Ben Gurion.

«Lo Stato di Israele sarà aperto all’immigrazione degli Ebrei da tutti i Paesi della loro Diaspora». Queste furono le parole del proclama di indipendenza, lette da Ben Gurion, che spalancavano le porte di Israele.

Due anni più tardi, lo Knesset approvò la Legge del Ritorno, per la quale si stabiliva che il ritorno degli esiliati non sarebbe stato ostacolato da alcuna barriera legale. Ogni Ebreo sarebbe potuto entrare in Israele in base alla semplice dichiarazione d’esser tale.

Israele non faceva domande circa la convinzione politica, l’educazione o le condizioni finanziarie degli immigrati. Per la Legge del Ritorno era, ed è, possibile ad un anarchico incapace di scrivere il proprio nome, senza mestiere o professione e senza neppure i soldi per comprarsi un pacchetto di sigarette, ottenere di essere ammesso in Israele.

Per duemila anni, la «vera» storia di Israele si riferisce ad un popolo che non era in Israele.

È la storia della Diaspora, ossia di quel lungo periodo in cui la grande maggioranza degli Ebrei dovette vivere in Nazioni straniere. Oggi, l’antica vita della Diaspora è, più che altro, un ricordo. Ma, prima che scomparisse, un Americano di origine russa, Roman Vishniac, fissò le immagini delle comunità dei ghetti dell’Europa Orientale come essi erano nel 1939.

Fin dal 1880 piccoli gruppi di Ebrei, in maggioranza convinti sionisti dell’Europa Orientale, erano immigrati in Palestina. Ma dalla fondazione dello Stato di Israele in poi, il movimento si è fatto massiccio. Il primo gruppo di immigrati è venuto da ogni parte del mondo, ma soprattutto dall’Europa del dopoguerra.

Nel 1939, Londra pubblicò un Libro Bianco, tecnicamente chiamato Command 6019, nel quale si stabiliva che soltanto 15.000 immigranti ebrei sarebbero stati ammessi annualmente in Palestina per un periodo di cinque anni, dopodiché nessun Ebreo sarebbe potuto entrare in Palestina senza l’approvazione degli Arabi. Il che avrebbe fatto sì che gli Ebrei restassero per sempre una minoranza. Inoltre, essi non avrebbero più potuto acquistare terra se non in certe zone determinate. Il Governo Britannico si impegnava a fare quanto era in suo potere per favorire la creazione di uno Stato Arabo Palestinese indipendente. Anziché assistere gli Ebrei nella colonizzazione della Palestina secondo il mandato della Società delle Nazioni, l’Inghilterra avrebbe loro impedito di porvi piede. Gli Ebrei furono comprensibilmente amareggiati. Ben Gurion (ora capo dell’Agenzia Ebraica) dichiarò: «Combatteremo il Libro Bianco come se non ci fosse la guerra, e faremo la guerra come se non ci fosse il Libro Bianco».

Cosicché, mentre alcuni Ebrei Palestinesi venivano addestrati dagli Inglesi per essere lanciati col paracadute nei Paesi Europei occupati dai Tedeschi, altri tentavano di eludere il blocco britannico e di introdurre, clandestinamente, Ebrei in Palestina.

La guerriglia anti britannica era condotta da tre organizzazioni. La prima era la Haganah (difesa), fondata negli anni Venti dalla comunità ebraica palestinese per scopi difensivi. I membri della Haganah avevano il compito di far entrare armi in Palestina o di acquistarle sottomano dai soldati inglesi. L’addestramento militare aveva luogo nelle scuole e negli ospedali; un sistema di allarme segnalava l’avvicinarsi degli Inglesi.

Meno numerosa della Haganah, ma assai attiva, era l’Irgun (Irgun Zvai Leumi o Organizzazione Militare Nazionale), un gruppo dichiaratamente terroristico formato da diverse migliaia di combattenti e simpatizzanti che fornivano i fondi necessari e ponevano le loro case a disposizione degli attivisti come luogo di rifugio. L’Irgun era una derivazione del partito revisionista, fautore di uno Stato Ebraico comprendente la Transgiordania.

La terza organizzazione, quella dei «Combattenti per la libertà d’Israele», più nota come Banda Stern, era formata dall’ala estremista dell’Irgun, distaccatasi da questa organizzazione nel 1941. Guidata da Avraham Stern, questa piccola banda si specializzò nell’assassinio politico. Il suo capo fu catturato dagli Inglesi e fucilato, ma il gruppo continuò la sua attività.

Finita la guerra in Europa, tutti gli elementi dello scacchiere politico palestinese si diedero da fare per consolidare le loro posizioni in vista di quella che sarebbe stata la battaglia finale.

Gli Stati Arabi erano divenuti alleati delle potenze occidentali e, con i buoni uffici degli Inglesi, avevano formato la Lega Araba, che esortava i suoi aderenti a rifiutare qualsiasi compromesso circa l’immigrazione ebraica. Nel settembre del 1945, gli Stati Uniti cominciarono ad intervenire direttamente nella situazione ed il Presidente Truman richiese agli Inglesi di ammettere 100.000 profughi in Palestina, ma ciò fu rifiutato prima che salisse al potere il nuovo Governo Laburista, filo-ebraico. Con tanti rifugiati che languivano nei campi sparsi per l’Europa, gli Ebrei di Palestina si risentirono fortemente della decisione e intensificarono l’attività terroristica. Nel giugno del 1946 le forze della Haganah attaccarono le vie di comunicazione britanniche e fecero saltare numerosi ponti con la dinamite. Gli Inglesi reagirono operando arresti in massa, prelevando dalle loro case e mettendo in carcere perfino alcuni esponenti dell’Agenzia Ebraica. Il comandante britannico emanò un’ordinanza proibendo ogni forma di fraternizzazione con gli Ebrei al fine di «punirli nel modo che gli appartenenti a questa razza risentono più di ogni altro, ossia colpendoli nella borsa e mostrando disprezzo per essi». A questo punto, freddezza e buon senso erano ormai persi di vista.

Su richiesta della Gran Bretagna, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite si riunì in sessione speciale nella primavera del 1947. Fu nominato un Comitato Speciale di undici membri, che fu il diciannovesimo comitato a visitare la Palestina dopo l’istituzione del Mandato.

La relazione di maggioranza del Comitato raccomandò la divisione della Palestina in uno Stato Arabo e in uno Stato Ebraico, mentre Gerusalemme avrebbe dovuto essere amministrata internazionalmente, e le tre parti del territorio dovevano essere legate da un’unica economia.

Gli Inglesi, ancora dalla parte degli Arabi, per proteggere i loro interessi, si opposero energicamente alla spartizione, ma le Nazioni Unite votarono per la relazione di maggioranza e la proposta di spartizione fu approvata la sera del 29 novembre 1947, con 33 voti contro 13. Dieci Paesi, compreso il Regno Unito, si astennero dal voto. L’Assemblea chiese alla Gran Bretagna di abbandonare la Palestina entro otto mesi.

Gli Ebrei di Palestina esultarono all’annuncio: finalmente il loro Stato avrebbe avuto vita.

L’attesa era stata lunga e dolorosa. Soltanto adesso il mondo esterno cominciava ad apprendere gli orridi particolari relativi allo sterminio di sei milioni di Ebrei durante la guerra. Le camere a gas e i forni crematori dei nazisti non c’erano più.

Ma vi erano ancora campi profughi pieni di Ebrei che non avevano luogo ove andare. Una volta che la risoluzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite avesse avuto attuazione, anch’essi avrebbero trovato una patria. Per molti Arabi, però, la decisione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite fu il segnale per dare inizio al peggior periodo di illegalità che la Palestina moderna avesse mai conosciuto. I pochi mesi che seguirono furono chiamati «un esperimento di anarchia». Spesso gli Inglesi che avrebbero potuto ristabilire l’ordine, si limitarono a guardare, mentre bande di Arabi correvano il Paese assassinando, depredando e appiccando incendi. Gli uomini dell’Haganah trovati in possesso di armi erano arrestati dagli Inglesi, mentre gli Arabi potevano ricevere, attraverso le frontiere non vigilate, tutte le armi che volevano.

Per tutto questo periodo, la Direzione dell’Agenzia Ebraica era stata in realtà un Governo clandestino, pronto ad assumere i poteri, sotto la guida di Ben Gurion, all’atto della proclamazione dello Stato. Ben Gurion aveva supposto che gli Inglesi gli avrebbero trasmesso qualche scheletro di organizzazione amministrativa che avevano costruito durante 30 anni in Palestina, ma ora era evidente che non gli avrebbero lasciato neppure un calendario a muro.

Finalmente Israele si accinse al compito immane di costruire la Nazione. Alle prime elezioni, destinate a colmare i 120 seggi di un Parlamento unicamerale, o Knesset, presero parte 21 formazioni politiche. Il partito di Ben Gurion, il Mapai, ottenne 46 seggi, il triplo di quanti ne ottenne l’Heru, erede politico dell’Irgun. Il primo Knesset comprendeva tre Arabi e undici donne.

Chaim Weizmann, che aveva combattuto all’estero per tutta la vita le battaglie del sionismo, giunse trionfalmente in Israele e fu eletto primo Presidente della Repubblica. A formare il Governo chiamò Ben Gurion.

I primi tempi del nuovo Stato furono difficili. Non vi era abbastanza da mangiare e l’intera Nazione viveva, per così dire, dalla nave alla bocca. Non vi erano abbastanza case per gli immigrati che affluivano senza posa. I Paesi Arabi avevano decretato il boicottaggio contro il nuovo Stato. Israele poteva vivere soltanto se la generosità degli Ebrei del resto del mondo non fosse venuta meno. Per fortuna l’Ebraismo mondiale rispose con entusiasmo all’appello e, in circa 14 anni, oltre un miliardo e mezzo di dollari sono affluiti in Israele.

Ben Gurion firmò un accordo con la Germania e presto giunsero in Israele macchinari, navi, materie prime e materiale rotabile per un valore di 822 milioni di dollari. Alcuni Israeliani non hanno mai perdonato a Ben Gurion quell’accordo e verso la fine del 1953 egli diede le dimissioni e si trasferì con la moglie in una colonia nel deserto, nel cuore del Negeb.

Dopo oltre un anno riprese l’attività politica e nel 1955 era di nuovo Primo Ministro. La nuova crisi esterna giunse nel 1956. L’Egitto era diventato una vera minaccia per l’avvenire di Israele. L’ascesa di Nasser al potere aveva avuto per conseguenza un rapido potenziamento delle forze armate. Verso la fine di ottobre del 1956, Egitto, Giordania e Siria firmarono un trattato con il quale posero i loro tre eserciti sotto il comando di Nasser. Il 29 dello stesso mese, un lunedì, Israele iniziò un’operazione aerea, navale e terrestre contro l’Egitto. Dopo otto giorni i comandanti militari israeliani annunciarono che la guarnigione egiziana di Sharm el Sheik si era arresa e che l’occupazione di tutta la penisola del Sinai era un fatto compiuto. Mille Egiziani erano stati uccisi, quasi seimila fatti prigionieri; le perdite di Israele assommavano a 181 morti e un prigioniero. Soltanto nel marzo successivo, dopo che l’Organizzazione delle Nazioni Unite aveva votato sei risoluzioni che chiedevano ad Israele di ritirarsi da tutti i territori occupati, e il Presidente Eisenhower aveva inviato a Ben Gurion cinque energici messaggi, gli ultimi soldati israeliani fecero ritorno alle loro basi di partenza. All’estero Ben Gurion fu criticato ed Israele accusata di aver sfidato la legge e l’ordine internazionali.

(marzo 2016)

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