Riflessioni sulla massima opera di Piero della Francesca: la Resurrezione
Attualità pasquali

Piero della Francesca, Resurrezione

Piero della Francesca, Resurrezione, 1463-1465, Museo Civico di Sansepolcro (Italia)

Il grande quadro di Piero della Francesca (1416-1492) realizzato durante la piena maturità dell’artista e collocato nella Sala dei Conservatori del Popolo di Sansepolcro è stato definito «il più bello del mondo» da parte di un grande contemporaneo come Giorgio Vasari, e in tempi più recenti (1921) da Aldous Huley, tanto che la città dell’Alta Valle Tiberina sarebbe stata risparmiata dall’artiglieria anglo-americana, durante la Seconda Guerra Mondiale, proprio per salvaguardare il celebre dipinto.

Affermare che si tratta di un capolavoro sarebbe iterativo e quasi banale. Piuttosto, conviene soffermarsi sui suoi contenuti religiosi e simbolici, tanto più importanti in un’opera del Rinascimento, ovvero di una stagione etica e civile in cui la centralità dell’uomo aveva sostituito l’afflato mistico del Medioevo in termini apparentemente irreversibili.

La figura del Cristo trionfante grazie al «potente anelito della seconda Vita» di manzoniana memoria domina tutta la composizione, non senza spunti ieratici, in una perfetta sintesi di plastica e colore, e soprattutto di significati volti a suscitare riflessioni non effimere. Il vessillo innalzato dal Signore è quello della Croce, mentre l’asta, che muove dalla figura dormiente in cui sembra doversi riconoscere l’autoritratto di Piero nello stabilire un contatto diretto col Cielo, assume una prioritaria valenza spirituale non disgiunta da qualche risvolto politico, giacché l’artista aveva ricoperto diversi ruoli pubblici.

Nel quadro esiste una dialettica degli opposti parimenti destinata alla meditazione: lo sfondo, riservato all’ambiente naturale secondo la tradizione del Rinascimento, si divide tra l’inverno di sinistra, simbolo di morte, e la primavera di destra, simbolo di vita e, quindi, di Resurrezione. Allo stesso modo, l’abbattimento delle figure sottostanti in una sorta di catarsi nel sonno reso difficile dalla paura si pone in contrasto icastico con quella del Cristo emerso dal Sepolcro in tutta la certezza della propria Eternità. Da questo punto di vista, è sicuramente da condividere l’analisi critica secondo cui le figure protagoniste del quadro sono tutte «immutabili»: la prima, nella certezza di una Vita che trascende il tempo e lo spazio, e le altre in quella di una sconfitta definitiva nel loro incarico di guardia, ma legate a una possibile salvezza nel segno della rivelazione, e quindi della fede.

È congruo attirare l’attenzione sull’immagine di Gesù che si leva sul Sepolcro in una posa forte, maestosa e serena. Come è stato rilevato dalla critica, quello di Cristo non sembra «un ritorno sulla terra» ma un vero e proprio «trionfo sulla morte e sul peccato» nell’ambito di una regalità trascendente sottolineata dal simbolismo della tunica rosa. In qualche misura, sembra che la riflessione indotta dall’opera d’arte debba sublimarsi nella consapevolezza della caducità terrena e, quindi, nell’adorazione e nella preghiera.

Non mancano altri simboli importanti, come quello della pietra che si scorge in basso a destra, e in cui si ravvisa un riferimento «filosofale» da ricondurre al movimento di rivalutazione del grande pensiero greco, dai presocratici in poi: un pensiero in cui non mancano certamente spunti di ricerca della Verità e della Giustizia, nell’ambito di una concezione della vita umana come ricerca del Bene comune, non priva di spunti che avrebbero trionfato con la Rivoluzione cristiana.

L’opera di Piero della Francesca è stata oggetto di diversi restauri, l’ultimo dei quali si è concluso nel 2016 a cura dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, onde salvaguardare il capolavoro dai rischi del tempo, tanto più considerevoli alla luce della sua stesura su muro, e alle possibili compromissioni dovute agli eventi sismici, compresi quelli inavvertibili dall’uomo ma puntualmente registrati dagli strumenti. Nell’occasione, sono riprese vecchie discussioni tra gli esperti sull’eventualità che la pittura sia stata effettuata direttamente sulla struttura, o in alternativa, sull’ipotesi secondo cui sarebbe avvenuta altrove per essere trasportata nell’attuale collocazione con tutto il massello portante. Alla fine, sembra che la prima tesi abbia prevalso, ma tutto sommato non è questo il punto principale: al contrario, ciò che massimamente importa è la consapevolezza di non dover trascurare alcun intervento mirato a salvaguardare un autentico patrimonio dell’umanità, assicurando la perenne disponibilità di un’opera d’arte veramente «iconica» e capace di proporsi alla mente e al cuore nella sua originale sintesi unitaria di valori trascendenti e immanenti.

È inutile aggiungere che queste riflessioni diventano particolarmente attuali in concomitanza con il tempo pasquale, perché invitano a confrontarsi col mistero della Resurrezione senz’altra guida, all’infuori del trionfo di Cristo e dello «smarrimento» maieutico degli uomini, al pari di quanto accadde a coloro che erano stati posti a custodia del Sepolcro, non ancora consapevoli di quanto – al contrario – aveva ben compreso il centurione romano affermando di non essere degno che il «Dominus» entrasse nella sua casa, ma che sarebbe stata sufficiente una parola del Signore per essere salvato.

(maggio 2019)

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