Enea Silvio Piccolomini, il Papa umanista
Un uomo colto e amante della vita semplice incarnò gli ideali di un’intera epoca

Nel luglio del 1431 il Papa Eugenio IV apre a Basilea il XVII Concilio Ecumenico; nel dicembre dello stesso anno lo scioglie, convocandone un altro a Bologna per il 1433. Ma i Padri conciliari di Basilea rifiutano di separarsi; essi affermano che il Concilio è superiore al Papa. Depongono come indegno Eugenio IV e creano come antipapa il duca Amedeo VIII di Savoia, che prende il nome di Felice V: sarà l’ultimo antipapa.

Solo allora si distacca dai basileesi Enea Silvio Piccolomini, nato nel 1405 nella cittadina di Corsignano in Val d’Orcia, presso Siena, da una famiglia nobile e decaduta. In gioventù ha viaggiato al seguito di prelati e Cardinali, è stato segretario del duca di Savoia e persino dell’Imperatore, e finalmente la fortuna gli è arrivata col Cardinal Capranica che, a 27 anni, lo ha preso al suo servizio.

Il mestiere di segretario è il più ambito per gli umanisti: si tratta di andare al seguito di qualche personaggio importante e di scrivergli le lettere in un bel latino: in compenso il segretario ha di che vivere e può dedicarsi tranquillamente ai propri studi. Enea Piccolomini ha fatto per anni questo mestiere, un mestiere faticoso, che gli ha dato un po’ di rinomanza, ma pochi soldi. È raffinato, brillante e ambizioso, con doti non comuni di negoziatore. La sua cultura è di prima qualità: conosce Ovidio, Virgilio, Platone, Catullo, Cicerone (il suo preferito), è un linguista apprezzato e un autore prolifico, vivace, elegante e piacevole; scrive poesie, epigrammi, dialoghi, romanzi, memoriali, note di viaggio, una commedia, saggi, quasi tutti in latino; ma si diletta di comporre pure versi scurrili e racconti boccacceschi, oltre ad un romanzo pornografico (De duobus amantibus historia). La sua conversazione è deliziosa e scintillante, i salotti alla moda se lo contendono, lui spende tutto quello che guadagna e divide imparzialmente il suo tempo fra biblioteche, osterie e bordelli, evita le donne a caccia di marito e mette al mondo una moltitudine di figli da uno stuolo di concubine (figli che saranno affidati al di lui padre).

Ha girato mezza Europa, è giunto perfino in Inghilterra, alle Orcadi, e di tutto ha fatto relazioni accurate, tutto ha osservato e annotato; le sue note di viaggio sono le migliori del genere nella letteratura rinascimentale, ricche di descrizioni di città e zone rurali, di industrie, prodotti, condizioni politiche, leggi, modi e maniere, costumi morali. «Leggeva e dettava fino a mezzanotte stando a letto» dice il Platina, suo contemporaneo, «e non dormiva più di cinque o sei ore». La sua vita rappresenta l’ideale del perfetto umanista: conoscere Enea Piccolomini, è come gettare uno sguardo negli ideali dell’epoca – egli può rappresentarne bene il simbolo.

A Roma, con l’aiuto dell’Imperatore Federico III d’Asburgo, Enea riconcilia il clero tedesco con quello romano e si adopera a far riconoscere Eugenio IV come unico Papa legittimo; nel 1458 gli succede egli stesso come Papa, dopo Niccolò V (1447-1455) e Callisto III (1455-1458).

Incoronazione di Papa Pio II

Pinturicchio, Incoronazione di Papa Pio II, 1503-1508, Cattedrale di Siena (Italia)

Così, un umanista è divenuto Papa: la nuova cultura è penetrata dovunque, e anche la Corte di Roma non si sottrae al suo fascino, anzi, la Città Eterna ne diverrà il maggior centro propulsore. Enea Silvio Piccolomini prende il nome di Pio II: è un uomo di bassa statura, pallido e smunto, con gli occhi infossati, pieno di rughe e di acciacchi, che dimostra molto più dei suoi 53 anni. Soffre di gotta, di calcoli renali e di tosse contro cui poco servono le diete, i salassi e le cure dei medici. «A volte» ha scritto il Platina, «se non avesse parlato, nessuno avrebbe potuto dire che era vivo».

Rigettando le sue idee conciliariste, nel 1463 Pio II pubblica la bolla In minoribus agentes, che culmina nell’esclamazione: «Aeneam reicite, Pium recipite!» («Allontanate Enea, ricevete Pio!»). Per eliminare gli abusi della Corte Pontificia crea una commissione diretta da un amico, il Cardinale Nicola Cusano, che elabora un progetto di riforma; inventa nuove cariche per sistemare tutti i suoi parenti, e trasforma il Vaticano in una colonia di Piccolomini. Ma si dimostra anche un buon Papa! Dal Re di Francia Luigi XI, cui in riconoscenza concede il titolo di «Re Cristianissimo», ottiene nel 1461 l’abolizione della Prammatica Sanzione di Bourges.

Da Papa, più che ad occuparsi delle faccende della Chiesa, Pio II continua ad interessarsi di cultura. Ama, da buon umanista, la vita semplice e tranquilla. Si alza la mattina molto presto, pranza con un po’ d’insalata e una minestra. La cosa che più gli piace è la campagna: appena può va a Tuscolo, sui Colli Albani, o a Tivoli, e non da solo, ma si fa accompagnare da qualche studioso, o da qualche poeta col quale possa conversare. Si siede sull’erba, lungo le rive di un ruscello, nell’ombrosa quiete di un boschetto o in mezzo ad un uliveto, mangia un po’ di cacio e un pezzo di pane, e spesso riceve in questo atteggiamento gli ambasciatori. Soprattutto, in campagna, Pio II legge.

La sua curiosità abbraccia ogni argomento: si interessa, sì, di letteratura, di poesia, di filosofia, ma anche delle miniere di allume che sono state scoperte a Tolfa. Quando può, pronuncia discorsi impeccabili, elegantissimi, o invia lunghe lettere; una, l’Epistola ad Mahometem, è indirizzata a Maometto II per convertirlo: «Se tu dovessi farti Cristiano, nessun principe ti supererebbe in gloria o ti eguaglierebbe in potenza. Noi ti riconosceremmo Imperatore dei Greci e dell’Oriente, e ciò che hai ottenuto con la violenza e conservi con l’ingiustizia diventerebbe tuo legittimo possesso... Oh, che pienezza di pace sarebbe! Ritornerebbe l’epoca d’oro di Augusto, cantata dai poeti. Se tu ti unissi a noi, tutto l’Oriente si convertirebbe a Cristo e una volontà sola – la tua – darebbe pace al mondo intero». Nell’ideale di Pio II è possibile scorgere l’ideale di una società colta: una vita serena, confortata da buone amicizie, da molte letture, da quieti studi. Un ideale che ha avuto il suo precursore in Francesco Petrarca.

Il suo spirito bonario trapela dal motto con cui suole zittire coloro che lo perseguitano con richieste inopportune, prendendo pretesto della loro amicizia o della loro parentela: «Quando mi chiamavo Enea / nessun mi conoscea; / or che mi chiamo Pio / tutti mi chiaman zio».

Due scopi politici si prefigge Pio II: l’unione delle Potenze Europee e la guerra contro i Turchi, che avanzano irresistibilmente nei Balcani (proprio nell’anno della sua elezione si sono insediati ad Atene). Ma a Mantova, nel 1459-1460, intervengono soltanto pochi delegati. Venezia sarà l’unica a mandare una piccola flotta. Il Papa decide allora di mettersi lui stesso alla testa della spedizione marittima contro i Turchi, nonostante le precarie condizioni di salute, con la flotta pontificia; Pio II morirà ad Ancona il 14 agosto 1464, mentre si fanno gli ultimi preparativi per salpare e la flotta veneta e quella pontificia, unite, sono in vista. Con la sua morte, Venezia richiamerà le sue navi e svanirà l’utopistico sogno crociato.

Pio II è il primo Papa ad aver scritto la storia del proprio Pontificato: lo ha fatto nell’autobiografia Commentarii rerum memorabilium quae temporibus suis contigerunt, in 12 libri, che giunge fino al 1463, e che è considerata la sua opera in prosa di maggior pregio. Si è impegnato inoltre nel combattere la schiavitù e la tratta dei neri, che, sia pure in proporzioni modeste, già comincia ai suoi tempi; ha difeso gli Ebrei e ne ha migliorato le condizioni nello Stato della Chiesa. In qualità di mecenate, ha fatto ampiamente restaurare la natìa Corsignano, che ha poi mutato il suo nome in Pienza, per farne una città ideale. Fra gli artisti che vi hanno lavorato, Bernardo Gambarelli detto Rossellino, ideatore della piazza, una delle più belle fra quelle costruite nel Rinascimento.

(maggio 2015)

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