Le origini e i primi anni di Lutero
L’infanzia di un uomo dalla personalità controversa e poliedrica

«Da ragazzo una volta incappò in una Bibbia e per caso vi lesse la storia della madre di Samuele nei libri dei Re; il libro gli piacque straordinariamente e lui pensò che sarebbe stato felice se avesse mai potuto possedere un tal libro»[1].

Iniziamo la trattazione sulla vita di Lutero con un riferimento a quella che fu la sua passione per tutta la sua vita e a cui dedicò ingenti sforzi: la Sacra Scrittura; una passione che gli sarà riconosciuta facilmente al di là delle barriere confessionali. Ma chi era Lutero? Diamo qui inizio a una serie di articoli sulla sua biografia, trattandone in maniera mirata gli aspetti più diversi, fin dall’infanzia. Una personalità così controversa, ma anche poliedrica, va compresa in tutte le sue sfaccettature e il primo soggetto da approfondire è sicuramente quello delle sue origini.


Il paesaggio del Nord

Quale fu l’ambiente di Lutero? Egli è nato e, per buona parte della sua esistenza, è vissuto nella Sassonia elettorale, cioè nello Stato che apparteneva al Principe elettore di Sassonia (uno dei sette grandi elettori dell’Imperatore). Siamo nella parte Centro-Nord della Germania: Wittemberg, la città dove fu professore universitario per decenni, si trova a 100 chilometri precisi a Sud-Ovest di Berlino, Eisleben a un’ottantina di chilometri a Nord-Ovest di Lipsia. Sono i territori attraversati dall’Elba e in cui si dispiegava la foresta di Turingia, ben diversa, come sostiene Adriano Prosperi, dal «pettinato e vago giardino all’italiana abitato da divinità pagane» del Rinascimento Italiano[2]; ad anni luce dalla sontuosa atmosfera delle nostre Corti che, proprio negli anni della giovinezza del Riformatore, si popolavano di raffinati mecenati, principi e artisti. È bene ricordarlo: per quanto l’Umanesimo si stesse facendo strada anche in Germania (ma di solito più a Sud, in città come Augusta, Norimberga o Basilea), a Nord la cultura era ancora imbevuta di tendenze «medievali». È la cultura di Lutero, che non fu mai un vero e proprio umanista, anche se degli strumenti dell’Umanesimo seppe servirsi; d’altronde egli non conosceva le popolose e opulente città mediterranee, ma visse per tutta la sua esistenza in villaggi e cittadine decisamente più ridotti, circondati da campi e, soprattutto, da foreste.

Quando, nel 1536, un gruppo di 12 riformatori della Germania del Sud guidati da Bucero raggiunse Wittenberg, «si trovò in territorio inconsueto. La terra di Lutero non assomigliava affatto alla loro. Venivano dal mondo di Melantone, l’ambiente più densamente popolato del Baden, della Svevia e della Renania. In maggio le distese ondeggianti della Turingia Centrale facevano bella mostra di fiori selvatici e campi di cereali maturi. Ma man mano che ci si avvicinava a Wittenberg il paesaggio diveniva sempre più piatto e cupo e i nomi dei villaggi sempre più strani. Le città erano primitive in confronto a quelle del Sud»[3].

Il paesaggio del Nord era dominato spesso dalla foresta: per gli uomini del Medioevo e anche dell’età moderna, essa era una vicina impressionante, piena di animali pericolosi, come orsi e lupi, di briganti o personaggi poco raccomandabili, ma, soprattutto, di streghe, spiriti e demoni. A mezzanotte, nelle foreste, girava il diavolo, trasformazione delle antiche divinità cacciatrici celtiche e germaniche, pronto a cacciare anime e a uccidere gli esseri umani nella famigerata caccia infernale.

Il collasso del mondo urbanizzato dell’antico Impero Romano d’Occidente e le invasioni barbariche avevano provocato innanzitutto l’abbandono delle infrastrutture, specie delle strade; con il decremento demografico anche le coltivazioni si erano ristrette e boschi e foreste avevano, poco per volta, guadagnato terreno e inghiottito coltivazioni, invaso pascoli, lambito le città, divenute sempre più piccole. Ma se le zone del Mediterraneo, l’Italia e la Catalogna, ad esempio, conservavano comunque una vita cittadina variegata, accresciutasi poi con le varie ondate della ripresa economica tardo-medievale, in Germania, specie a Nord, la situazione era molto diversa. Qui c’erano le oscure foreste delle fiabe, quelle narrate in seguito sul versante francese del Reno da Charles Perrault, e in Germania, ma in maniera decisamente più truce, dai Fratelli Grimm[4]. Tutti temevano le foreste in quei secoli: tanto che non stupisce per niente che Dante abbia iniziato il suo poema smarrendosi nella celeberrima «selva oscura». Numerosi erano i canti tedeschi che i viandanti intonavano per rincuorarsi durante i loro viaggi a piedi: e forse anche per questo Lutero amò per tutta la vita la musica.

In ogni caso, il mondo di Lutero possedeva qualcosa di più cupo, di meno «classico» della cultura italiana coeva: Prosperi suggerisce un paragone tra i maestosi Cristi scolpiti da Michelangelo e il «Cristo tedesco… tutto pelle ossa, sanguinante e lacerato dalle ferite»[5].

I crocifissi nordici trovano il loro acme nella Crocifissione dell’Altare di Issenheim a Colmar, opera di Matthias Grünewald (1512-1515): ben diverso dai tratti pacificati dei crocifissi italiani di Giotto e Cimabue, questo dipinto, destinato alla chiesa del convento degli Antoniani e ai malati di ergotismo del vicino ospedale, ritrae forse per la prima volta nella storia dell’arte tutto l’orrore reale della Crocefissione. La scena, memore non del coevo Rinascimento Italiano, bensì del gotico, è il risultato di una visione espressionistica, frutto di un disegno tormentato, di un violento chiaroscuro, di colori allucinati, di membra e pose contorte. Il corpo del Cristo è livido, fuori proporzione, in preda alla tortura, quasi in procinto di staccarsi dalle braccia, ritorte fino allo spasimo[6]. Lutero sicuramente non conosceva questa pala, ma l’avrebbe approvata e si sarebbe detto che questo Cristo aveva sofferto per lui e per tutti gli esseri umani.


Lo status sociale dei genitori

Lutero, che veniva da una zona di campagna, ha regolarmente ripetuto di essere figlio di contadini, anche se, sarebbe giusto aggiungere, di contadini giunti a una certa agiatezza. Eppure, sul filo degli anni mantenne un comportamento molto ambivalente nei confronti di questo ceto, molto duro e intransigente a partire dalla grande rivolta del 1525, ma non privo di ambiguità anche prima: egli offre spesso un’immagine idealizzata della vita paesana nei Tischreden, i Discorsi a tavola trascritti con solerzia dai suoi allievi e discepoli, ma rivela non di rado distanziamento e, addirittura, malcelato disprezzo nei confronti della vita delle campagne così com’è[7]. Così, se da un lato ritiene che i semplici comprendano il Vangelo meglio degli alti ecclesiastici, poi, alla prova dei fatti, li accusa di ingratitudine verso Dio. In generale, sia lui che gli altri teologi di Wittenberg ebbero un rapporto difficile col cosiddetto «uomo comune», quello che Lutero definiva «signor Omnes», nonostante la popolarità della loro predicazione: essi condividevano infatti il pregiudizio corrente che voleva i contadini rozzi e ignoranti[8]. In fin dei conti, erano docenti universitari e teologi che, nel chiuso dei loro studioli, avevano dimenticato la vita delle campagne o dei ceti medio-bassi da cui provenivano. La svolta che vide Lutero affidarsi sempre di più ai Principi territoriali per la direzione e la propagazione della Riforma andrebbe riesaminata anche alla luce di questa sfiducia sotterranea nei confronti del ceto che costituiva la maggioranza della popolazione.

In Sassonia, i contadini non erano servi della gleba, come altrove in Germania, bensì piccoli proprietari terrieri, che si amministravano da soli nei loro villaggi. La fattoria veniva ereditata in genere dal figlio minore, mentre i maggiori dovevano partire per far fortuna[9]: anche il padre Hans Luder (o Ludher), primogenito nella sua famiglia di origine, dovette fare lo stesso, lasciare la natia Möhra per Eisleben (e quando Martin ebbe un anno circa, Eisleben per Mansfeld[10]) e decise di darsi all’imprenditoria, appaltando lo sfruttamento di una delle miniere di rame che arricchivano la regione. Pagava un affitto allo scopo e poi vendeva il prodotto grazie a intermediari più facoltosi di lui. In un’epoca in cui la liquidità scarseggiava perennemente, è probabile che abbia affrontato i primi investimenti della sua nuova attività col sostegno e la garanzia forniti dalla famiglia di sua moglie, Margarethe Ziegler, che apparteneva probabilmente a un clan piuttosto benestante, i Lindemann di Eisenach[11]. I Lindemann erano borghesi: tra loro si contavano dei giuristi e se a Eisleben abitava il fratello maggiore di Margarethe, a Eisenach viveva una pletora di parenti del lato materno[12]. Lutero deve avere mantenuto numerosi rapporti con loro per buona parte della sua esistenza.

Possiamo quindi affermare che la famiglia apparteneva al ceto, abbastanza benestante, dei piccoli proprietari e imprenditori, anche se dovevano lavorare duro per mantenersi e nulla era garantito; osserva Silvana Nitti: «I Luder erano contadini, avevano mucche, pecore e maiali, ma nemmeno un cavallo e tanto meno servitori»[13].

Il cavallo era, all’epoca, lo «status symbol» dell’aristocrazia, anche di quella dei ranghi inferiori. Sicuramente, però, Hans Luder aveva i suoi progetti e si impegnava duramente per la sua ascesa sociale: non differenti erano le sue ambizioni quando, anni dopo, acquistava libri pregiati per il figlio maggiore, inviato a studiare Diritto a Erfurt. Da che mondo è mondo e un po’ in tutta Europa, Legge è la facoltà che permette di essere irregimentati tra i funzionari statali e, quindi, di salire socialmente; e non è un caso, come spesso ripeto scherzando ai miei studenti, che la Letteratura Italiana sia un cimitero di giuristi mancati, da Petrarca a Tasso, da Ariosto a Marino, fino a Goldoni e Verga e anche oltre. Sicuramente, Hans Luder ha alimentato grandi progetti, forse anche per elevarsi fino al ceto, un poco più prospero, della moglie, o a quello dei mediatori con cui aveva continuamente a che fare.


Una discussa data di nascita e l’oroscopo di Lutero

Lutero nacque a Eisleben, in Turingia, una cittadina di circa 4.000 abitanti. Quando? Di sicuro un 10 novembre, perché fu battezzato il giorno dopo col nome del Santo del giorno, appunto, Martino; l’anno è invece più discusso. Difatti, come sottolinea giustamente Adriano Prosperi, Lutero nacque in un ambiente contadino, impregnato della cultura orale[14]: nessuno registrò il suo battesimo o la sua data di nascita, nessuno festeggiava i compleanni, non esisteva un’anagrafe, né i genitori ci badavano più di tanto, con tutti i figli che avevano.

La nostra fonte principale è una lettera a Spalatino, in cui il riformatore contesta la calunnia secondo cui sarebbe nato in Boemia come gli eretici Hussiti; invece, nacque a Eisleben (il 10 novembre 1483) e fu battezzato il giorno dopo nella chiesa di San Pietro: «Per il resto, sono nato a Eisleben e ivi sono stato battezzato presso la chiesa di San Pietro. Non lo ricordo, ma credo ai miei genitori e alle persone della mia città natale. I miei genitori sono emigrati qui da Eisenach. Eisenach ospita anche quasi tutta la mia parentela»[15].

Nella lettera, egli contesta così le calunnie che provengono dall’Università di Lipsia (senza dubbio da oppositori come Johannes Eck) e invoca addirittura la testimonianza dei conti di Mansfeld.

Altri documenti registrano però delle variazioni: la tomba di Lutero nella chiesa del castello di Wittenberg gli attribuisce la data di nascita del dicembre 1482, laddove gli annali dell’Università preferiscono il 1483. Melantone sostenne invece dapprincipio che Lutero fosse nato l’anno dopo, nel 1484, a Mansfeld, ma aveva ragioni sue per affermarlo (cambiò idea in seguito e tornò alla data del 1483)[16].

Infatti, l’astrologo italiano Luca Gaurico ricostruì la data di nascita di Lutero con la procedura astrologica della «rectificatio», cioè sulla base degli eventi noti della sua esistenza, quindi segnò la genitura di Lutero (cioè la collocazione degli astri al momento della sua nascita) in contemporanea con la congiunzione funesta di Saturno, pianeta che già di per sé porta jella, con Giove nel segno dello Scorpione; ed essa si era verificata proprio nel novembre 1484. Questa congiunzione fu molto chiacchierata verso la fine del Quattrocento. Siamo in un’epoca in cui astronomia e astrologia non erano ancora distinte e tutti, ma proprio tutti, credevano al potere delle stelle; tutt’al più, fin dall’antichità, sia Cristiani, che Ebrei ritenevano che Dio potesse proteggere i suoi fedeli dagli influssi degli astri, controllati invece dai demoni[17]; altrimenti, gli astri potevano divenire «segno» della volontà divina.

Nel caso specifico delle congiunzioni, fin dal IX secolo e dall’astronomo arabo Abu Ma’shar era nota la teoria secondo cui le grandi congiunzioni astrali (di solito tra Giove e Saturno, i pianeti più voluminosi e lenti) segnalavano l’arrivo di catastrofi e grandi sconvolgimenti sociali. La costellazione dello Scorpione, invece, era creduta portare rivoluzioni (ma anche epidemie e altri disastri), per cui si riteneva che, assieme a una congiunzione astrale, avrebbe accompagnato l’avvento di un personaggio ribelle, capace di sovvertire la società e la religione tradita. Quanto alla congiunzione del 1484, si diceva sulla base del De magnis coniunctionibus di Abu Ma’shar, essa avrebbe portato un «piccolo profeta» portatore di una nuova dottrina e sovvertitore della situazione esistente. L’astrologo che si diffuse maggiormente sui dettagli relativi a questo presunto profeta fu l’Olandese Paolo di Middleburg, docente di matematica a Padova, nel 1484; il suo «pamphlet» fu ripreso qualche anno dopo dall’astrologo renano Johann di Lichtenberger, che situò queste predizioni entro uno scenario apocalittico[18].

La Pronosticatio di Johannes Lichtenberger interpretò questa congiunzione astrale così: sarebbe nato un monaco «rappresentato con un diavolo sulla spalla e portatore di grandi novità»[19]. Se Luca Gaurico vi vedeva una disgrazia, Melantone, appassionato di astrologia e prodigi (a differenza del diretto interessato, che la riteneva una fola), rovesciò il segno del pronostico leggendovi una profezia della nascita di Lutero stesso e spostandola così al 1484; allo scopo, intervistò persino Margarethe, la madre del Riformatore, secondo cui il bambino era nato verso la mezzanotte, ma non nella data prevista dagli astrologi, il 22 ottobre, bensì il 10 novembre. In ogni caso, la coincidenza del 1484 parve troppo bella, sia a sostenitori, che a oppositori, per cui la congiunzione del 1484 fu inesorabilmente collegata alla nascita di Martin Lutero. Anzi, anche lui, che considerava l’astrologia dall’alto in basso come un cumulo di fole, fu colpito dalla Pronosticatio di Lichtenberger, tanto che se ne appropriò e la fece ristampare e diffondere; e quel sinistro «diavolo sulla spalla» fu da lui interpretato con le vessazioni demoniache di cui si sentiva perennemente l’oggetto.


I primi anni e le difficoltà in famiglia

La famiglia Luder comprendeva nove figli, di cui ne sopravvissero cinque, Martin compreso[20]. Già poco tempo dopo la sua nascita, la famiglia si trasferì per motivi economici da Eisleben alla vicina Mansfeld, un poco più piccola (circa 2.000 abitanti), ma più promettente, poiché si trovava al centro del distretto minerario dello Harz. Luder padre ottenne dai conti di Mansfeld la concessione di una miniera di rame e di una fornace; questioni relative al rinnovo della concessione mineraria al fratello Jakob sottostanno anche all’ultimo viaggio che Lutero fece a Eisleben poco prima della morte, nel febbraio 1546. Hans, quindi, non era affatto un minatore: dirigeva, per così dire, la miniera e, così facendo, riuscì a raggiungere una certa agiatezza e ad assurgere a una posizione rispettabile nella comunità, entrando persino nel Consiglio cittadino. Dovette però fronteggiare non di rado il rischio dei debiti e la vita era comunque ardua[21].

Fu a Mansfeld che Lutero completò la scuola, per così dire, elementare. Anzi, paradossalmente, Lutero non considerò mai come sua patria Eisleben, in Turingia, bensì Mansfeld, in Sassonia. In seguito, avrebbe vissuto a Magdeburg e a Eisenach, prima di trasferirsi definitivamente nel 1501 all’Università di Erfurt, sede di una delle comunità accademiche più prestigiose di Germania.

L’ambiente in cui viveva partecipava delle superstizioni della sua epoca. Margarethe era convinta di essere stata vittima di fatture, come si evince dal brano seguente: «Il dottor Martino parlava molto di incantesimi, dolore al cuore ed elfi e diceva come sua madre fosse stata molto colpita da una vicina, un’incantatrice, e che la doveva trattare in maniera molto amichevole e speciale per conciliarsela. Lei le colpiva i bambini cosicché gridassero a morte. E un predicatore la punì in una comunità e lei lo stregò a morte: non lo si poteva aiutare con alcuna medicina. Lei aveva preso la terra su cui lui era passato e l’aveva gettata in acqua e con quella terra lo aveva stregato; senza quella terra lui non avrebbe potuto tornare sano»[22].

Siamo ben lungi dalle frequentazioni demoniache che poi certi oppositori del figlio avrebbero attribuito a Margarethe, facendo di Lutero addirittura un figlio del demonio; tuttavia, credenze del genere erano abbastanza lontane dal tipo di fede cui sarebbe arrivato il figlio in seguito. Esse, del resto, erano diffuse un po’ ovunque nell’Europa rurale dell’epoca, e anche secoli dopo. Di certo, Martin ha assorbito una religiosità cupa, in cui il diavolo era onnipresente e Dio assumeva tratti ben poco misericordiosi e paterni, ma duri, quasi crudeli: un carico pesante, che sarebbe riemerso numerose volte nel corso della sua vita.

I ritratti dei genitori di Lutero, dipinti dal fedelissimo Lucas Cranach, che sicuramente li riprese dal vivo, ci riportano due volti che, a essere sinceri, non suscitano una simpatia eccessiva: il padre, Hans, mostra tratti duri, volitivi, quasi arcigni; la madre ha fattezze rigide, severe, che culminano in labbra contratte; è vero che i ritratti dell’epoca non lasciano spesso spazio a sorrisi e sguardi ridenti, perché giudicati sconvenienti nella ritrattistica, però i genitori di Lutero, se dobbiamo essere sinceri, non sembrano neanche davvero capaci di sorridere. Secondo Oberman, assomigliano al figlio[23]. Perciò, c’è da credere a Martin, quando, anni dopo, nei famosi Tischreden, afferma: «Non si devono battere i figli troppo duramente, perché una volta mio padre mi batté così tanto che io gli sfuggivo e avevo paura, finché egli non mi conquistò nuovamente»[24].

Gli studiosi sottolineano spesso che abbiamo troppo pochi dati e fonti sui genitori di Lutero[25], ma è ricorrente la sensazione che la figura paterna sia stata dura con lui. Si è pure suggerito che il rapporto di Lutero con la madre, per quanto improntato al rispetto, lasciasse ben poco spazio all’affetto[26]. Dato che il Riformatore parla di se stesso abbastanza spesso per permettere alcune illazioni, come dice la Nitti: «Questo parlare della sua infanzia andrebbe interrogato. Se ne può ricavare, insomma, un’altra considerazione, meno determinata da una diagnosi clinica, e più prudentemente vincolata alle fonti: e cioè che Lutero, pur avendo avuta un’infanzia sostanzialmente nella norma, aveva forse un’innata sensibilità un po’ al di sopra, diciamo, della media».

Secondo la Nitti, quindi, lui visse in modo diverso qualcosa che era abituale all’epoca, un’educazione rigida, e che deve essere rimasto «dolorosamente impresso nella memoria»[27].

Sicuramente l’educazione di allora era rigida, finanche dura: ma di certo, non per tutti. Inoltre, anche se fosse stata universalmente applicata, avrebbe comunque traumatizzato la maggior parte dei bambini e non solo Martin, perché più sensibile della media; bisogna ricordare che Lutero reagì in seguito a forme di religiosità troppo severe e angoscianti e che proprio per questo divenne estremamente popolare in Germania, segno che il rigetto di una certa temperie spirituale, emotiva e, di conseguenza, educativa era nell’aria. Come vedremo, l’austerità si respirava ovunque, specie nella Germania dell’epoca. Nei Tischreden, i celebri Discorsi a tavola, raccolti anni dopo dai discepoli a partire dalle vivaci conversazioni che si intrecciavano alla tavola della famiglia Lutero, sono riportati alcuni episodi piuttosto noti e aspri. Per esempio, come principio pedagogico il Riformatore consiglia di non eccedere nelle punizioni e di non trattare i ragazzi, se si appropriano di mele o frutta, come se avessero rubato denaro: perciò ricorda che era diventato molto timido proprio per il duro trattamento che riceveva dai suoi. Sua madre, una volta, lo picchiò a sangue perché lui aveva preso una noce; ammette che lei avesse le migliori intenzioni, ma il passo afferma anche che proprio questa educazione rigida spinse Martin verso il convento[28]. Il ricordo sembra del tutto genuino.

Oberman, per quanto richiami la necessità di non psicologizzare i personaggi del passato secondo i nostri parametri, arriva tuttavia ad affermare: «La Riforma rappresenterebbe un atto di legittima difesa, una protesta contro padri spietati, si chiamino essi Hans, Papa o Dio»[29].

«Le esperienze di colpa, punizione e responsabilità che ebbero un peso così centrale anche per il Riformatore hanno acuito, anzi forse plasmato, la coscienza del giovane Martino. È l’educazione paterna ad averlo condotto alla porta del monastero, anche se, a posteriori, Martin Lutero giudicò questa educazione severa, ma non crudele»[30].

Che Lutero sia rimasto abbastanza privo di affetto paterno, che abbia avuto problemi con l’autorità, paterna innanzitutto e, via via, con quelle analoghe che incontrava, fino al Papa, è stato del resto ripetuto spesso, di norma su basi psicanalitiche[31]. La questione richiede di essere approfondita più oltre, ma basti ora osservare quanto segue: sicuramente, i genitori di Lutero erano brave persone, abituate a lavorare duro, che appunto con il duro lavoro avevano raggiunto una certa tranquillità economica e auspicavano il meglio per i loro figli; ma non dovevano avere molto tempo a disposizione per la tenerezza. Per secoli, nelle campagne europee per essa non ci fu molto spazio.


I primi passi a scuola

A scuola, del resto, non andava meglio. Il sapere convogliato nelle scuole tedesche dell’epoca era principalmente mnemonico, per non dire meccanico, e le lezioni si incentravano sul latino: più tardi, Lutero, riflettendoci, avrebbe preferito aggiungere musica e matematica. I maestri ricorrevano facilmente al bastone e alle punizioni corporali: secondo Oberman, Martin poteva essere battuto anche 15 volte a mattina! Lutero, in seguito, biasimò giustamente che il maestro non sapesse distinguere tra pigrizia e difficoltà scolastiche. Alle punizioni corporali dobbiamo aggiungere le umiliazioni cui chi sbagliava veniva sottoposto davanti a tutta la classe. Uno degli scolari più vecchi doveva tenere il «libro del lupus», cioè la registrazione delle infrazioni di tutti, quelle almeno che non erano state punite subito (appartenevano a questa categoria anche gli errori di latino). Tutti attendevano con angoscia il giorno della punizione, il fine-settimana, che si trasformava così in una tortura. Lutero (che fu in seguito un ottimo insegnante) non rifiutava di per sé le punizioni, bensì «le punizioni e le percosse come puro mezzo coercitivo; esse paralizzano i ragazzi e rovinano il piacere dello studio»[32].

Preferiva una pedagogia fondata sull’interesse e sul divertimento. Per forza di cose, pare che a Mansfeld non abbia imparato un granché.

Così possiamo immaginarci Lutero da ragazzo: non propriamente triste di carattere, ma molto sensibile, forse anche timido, sicuramente partecipe della vita in tutte le sue sfaccettature (anche dei divertimenti dei suoi coetanei, come sarebbe poi successo all’Università), ma segnato da un’educazione dura, ricevuta in famiglia, a scuola, in un ambiente severo e freddo, circondato dalle buie foreste del Nord. Tutto ciò avrebbe lasciato su di lui delle tracce durature.


Note

1 Confronta WAT, 1, 44, 16-18. Le citazioni dell’opera di Lutero seguono la Weimarer Ausgabe (=WA; WAT per i Tischreden), l’edizione di riferimento dell’«opera omnia» del Riformatore, pubblicata online all’indirizzo http://www.lutherdansk.dk/WA/D.%20Martin%20Luthers%20Werke,%20Weimarer%20Ausgabe%20-%20WA.htm; le traduzioni, sia dal latino che dal tedesco, sono mie. Opere di riferimento: Adriano Prosperi, Lutero. Gli anni della fede e della libertà, Milano, A. Mondadori, 2017 (edizione online, la cui numerazione è del tutto differente dalle pagine); Silvana Nitti, Lutero, Roma, Salerno Editrice, 2017; Scott H. Hendrix, Lutero. Un riformatore visionario (traduzione italiana), Milano, Hoepli, 2017 (anch’essa citata in versione digitale); Heiko A. Oberman, Martin Lutero. Un uomo tra Dio e il diavolo (traduzione italiana), Roma-Bari, Laterza, 1987; Alberto Melloni editore, Lutero. Un Cristiano e la sua eredità. 1517-2017, (volume 1), Bologna, Il mulino, 2017.

2 Confronta Adriano Prosperi, Lutero. Gli anni della fede e della libertà, Milano, A. Mondadori, 2017, capitolo 1.

3 Confronta Scott Hendrix, Lutero. Un riformatore visionario, Milano, Hoepli, 2017, citazioni 5.860-5.864.

4 Prosperi, che dedica alcune pagine interessanti alle foreste nordiche (Adriano Prosperi, Lutero. Gli anni della fede e della libertà, Milano, A. Mondadori, 2017, capitolo 1), considera queste fiabe meno truci, ma nutro dei dubbi: ad esempio, le sorellastre di Cenerentola, nella versione tedesca dei fratelli Grimm, si tagliano i piedi per calzare la famosa scarpetta e Cenerentola ottiene i begli abiti e le scarpe che indossa quando va a invocare l’aiuto della madre sulla sua tomba. Si veda il testo in tedesco in Jakob und Wilhelm Grimm, Aschenputtel, http://literaturnetz.org/1749 (consultato il 24 ottobre 2020).

5 Confronta Adriano Prosperi, Lutero. Gli anni della fede e della libertà, Milano, A. Mondadori, 2017, capitolo 1.

6 Confronta Gérard Denizeau, La Bibbia attraverso la pittura (traduzione italiana), Cinisello Balsamo, Edizioni Paoline, 2016, pagine 180-183; Giuseppe Nifosi, La Crocifissione di Grünewald, 19 aprile 2019, https://www.artesvelata.it/crocifissione-grunewald/ (visitato il 24 ottobre 2020).

7 Confronta Andreas Wien, Lutero fra i contadini e i principi, in Alberto Melloni editore, Lutero. Un Cristiano e la sua eredità. 1517-2017, (volume 1), Bologna, Il mulino, 2017, pagine 267-284.

8 Confronta Andreas Wien, Lutero fra i contadini e i principi, in Alberto Melloni editore, Lutero. Un Cristiano e la sua eredità. 1517-2017, (volume 1), Bologna, Il mulino, 2017.

9 A differenza di quanto afferma Prosperi, sbagliando, che Hans dovette lasciare l’eredità al fratello maggiore: confronta Heiko A. Oberman, Martin Lutero. Un uomo tra Dio e il diavolo, Roma-Bari, Laterza, 1987, pagina 75.

10 Confronta Silvana Nitti, Lutero, Roma, Salerno Editrice, 2017, pagine 13-14.

11 Confronta Heiko A. Oberman, Martin Lutero. Un uomo tra Dio e il diavolo, Roma-Bari, Laterza, 1987, pagina 79.

12 Confronta Heiko A. Oberman, Martin Lutero. Un uomo tra Dio e il diavolo, Roma-Bari, Laterza, 1987, pagina 80; si veda la testimonianza riportata sotto, nella lettera a G. Spalatino, 14 gennaio 1520, WAB 1, pagina 390.

13 Confronta Silvana Nitti, Lutero, Roma, Salerno Editrice, 2017, citazione a pagina 13.

14 Si veda qui Adriano Prosperi, Lutero. Gli anni della fede e della libertà, Milano, A. Mondadori, 2017, capitolo 1.

15 Confronta Lettera a G. Spalatino, 14 gennaio 1520, WAB 1, pagina 390.

16 Confronta Adriano Prosperi, Lutero. Gli anni della fede e della libertà, Milano, A. Mondadori, 2017, capitolo 1.

17 Il principio attraversa le pagine di tutto il ponderoso volume di Kocku von Stuckrad, Das Ringen um die Astrologie: Jüdische und christliche Beiträge zum antiken Zeitverständnis, Berlin-New York, De Gruyter, 2000.

18 Confronta Gustav Arthur Schoener, The Coming of a «Little Prophet»: Astrological Pamphlets and the Reformation, http://esoteric.msu.edu/VolumeVI/Schoener.htm (consultato il 24 ottobre 2020).

19 Confronta Adriano Prosperi, Lutero. Gli anni della fede e della libertà, Milano, A. Mondadori, 2017.

20 Confronta Heiko A. Oberman, Martin Lutero. Un uomo tra Dio e il diavolo, Roma-Bari, Laterza, 1987, pagina 76.

21 Confronta Heiko A. Oberman, Martin Lutero. Un uomo tra Dio e il diavolo, Roma-Bari, Laterza, 1987, pagine 74-76.

22 Confronta WAT 3, 2.982b, pagina 131, 20-26.

23 Confronta Heiko A. Oberman, Martin Lutero. Un uomo tra Dio e il diavolo, Roma-Bari, Laterza, 1987, pagina 77.

24 Confronta WAT 2, 134, 5-7.

25 Confronta Silvana Nitti, Lutero, Roma, Salerno Editrice, 2017, pagina 17; Heiko A. Oberman, Martin Lutero. Un uomo tra Dio e il diavolo, Roma-Bari, Laterza, 1987, pagina 99.

26 Confronta Kirsi Stjerna, Lutero e le donne. Considerazioni sulla presenza femminile nella vita e nelle riflessioni bibliche di Lutero, in Alberto Melloni editore, Lutero. Un Cristiano e la sua eredità. 1517-2017, (volume 1), Bologna, Il mulino, 2017, pagine 521-537; sulla madre di Lutero, pagine 23-24.

27 Confronta Silvana Nitti, Lutero, Roma, Salerno Editrice, 2017, citazione a pagina 17.

28 Confronta WAT 3, 3.566b, pagina 416.

29 Confronta Heiko A. Oberman, Martin Lutero. Un uomo tra Dio e il diavolo, Roma-Bari, Laterza, 1987, citazione a pagina 78.

30 Confronta Heiko A. Oberman, Martin Lutero. Un uomo tra Dio e il diavolo, Roma-Bari, Laterza, 1987, citazione a pagina 82.

31 Confronta Heiko A. Oberman, Martin Lutero. Un uomo tra Dio e il diavolo, Roma-Bari, Laterza, 1987, pagina 91; Erik H. Erikson, Young Man Luther. A Study in Psychoanalysis and History, New York-London, W. W. Norton & Company, 1962.

32 Confronta Heiko A. Oberman, Martin Lutero. Un uomo tra Dio e il diavolo, Roma-Bari, Laterza, 1987, citazione alle pagine 83-84.

(dicembre 2020)

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