Lucrezia Borgia, Duchessa di Ferrara
«Femme fatale» o vittima delle circostanze?

Lucrezia Borgia nacque il 14 aprile 1480 a Subiaco dal Cardinale Rodrigo Borgia, poi Papa Alessandro VI, e dall’amante Vannozza Cattanei. Ebbe una buona educazione, ma all’età di 13 anni, quando le ragazze sono ancora adolescenti, per ragioni di Stato fu obbligata a convolare a nozze con il cugino di Ludovico il Moro, Giovanni Sforza di Pesaro, rimasto vedovo della prima moglie. Il matrimonio faceva comodo a entrambi, al Papa per questioni politiche, allo Sforza per esigenze economiche. Lucrezia visse pochissimo a Pesaro, perché le mancava la presenza dell’amato padre e ritornò, spesso senza il marito, nella sua amata abitazione romana.

Intanto, erano cambiati i rapporti politici con altri Stati, per cui Giovanni divenne un ostacolo per la realizzazione dei piani strategici e del Papa e di Cesare, per cui si decise di eliminarlo procedendo all’annullamento del matrimonio, con l’accusa che questo non era stato consumato. La visita fu tutta una farsa, giacché il rigonfiamento del ventre della ragazza era evidente, come lo dimostra la nascita di un bambino dopo non più di tre mesi, ma il responso fu «virgo intonsa». Quel poveretto andò su tutte le furie e dichiarò che era disposto a provare pubblicamente la sua virilità. Ascoltò gli amici e parenti, prima di sbraitare più di tanto, che lo consigliarono di lasciar correre, perché, essendo i Borgia affidabili come i serpenti, i rischi erano troppo grossi.

Nel frattempo, Lucrezia fu mandata al convento di San Sisto, in un forzato ritiro spirituale. Qui, seguì le regole delle religiose, che prevedevano lunghe ore di preghiera, orari fissi per tutto, una vita tranquilla e regolare, sicuramente molto monotona. Quando, però, Lucrezia presso le suore incontrò il bel giovane spagnolo Pedro Calderon, detto Perotto, che era il messaggero del padre, scattò una scintilla e fra i due giovani nacque un rapporto sentimentale che essi riuscirono per un certo tempo a nascondere; ma quando Lucrezia rimase incinta, non fu più possibile mantenere il segreto e la verità venne a galla.

In quell’occasione, Lucrezia poté rendersi conto di quanto poco valessero la sua volontà, di come i suoi desideri, le sue aspirazioni, i suoi sentimenti fossero in contrasto con il volere e il cinismo del padre e del fratello. Non è dato sapere come il povero Perotto finì nel Tevere, dove fu trovato con Pentesilea, la dama di compagnia di Lucrezia che, pur essendo a conoscenza del rapporto fra i due, aveva tenuto il segreto per sé e, per questo, fu punita giacché «ruffiana»; e pure in questo caso pare che il fratello Cesare non fosse stato del tutto estraneo al fatto.

Insomma, dopo cinque anni, il matrimonio fu annullato, perché mai consumato, come disse il risultato della visita. Ma ancora una volta la giovane fu costretta, sempre per ragioni di Stato, a una nuova unione matrimoniale con Alfonso d’Aragona, Duca di Bisceglie che, due anni più tardi, prima fu ferito e poi ucciso da un sicario prezzolato per ordine del di lei fratello Cesare.

Con la ragazza libera da vincoli matrimoniali, si potevano fare nuovi progetti di alleanze con altri Stati. Il Papa e Cesare, dopo lunghe ed estenuanti discussioni, determinarono che l’apparentamento con gli Estensi di Ferrara poteva essere una buona mossa, pertanto iniziarono i contatti. Alla Corte Estense la proposta creava molte perplessità, perché Lucrezia era diventata famosa, e non di certo in bene. In ogni modo, arricciando il naso, poiché le casse del Ducato di Ferrara, che aveva avuto tantissime spese fra cui la famosa «addizione Erculea», come si dice, piangevano, gli Estensi «obtorto collo» ritennero possibile il matrimonio con il primogenito di Ercole I, Alfonso. Le trattative riguardarono la dote di Lucrezia (lei presente), che doveva essere ben pingue. In effetti, fu un vero salasso quello che Ercole I riuscì a fare al Papa. La dote di Lucrezia fu altissima: Ercole I d’Este riuscì a spuntare 100.000 ducati, gioielli di grande valore e preziosi per 75.000 ducati, opere d’arte, riduzione del canone annuale da versare allo Stato della Chiesa da 4.000 a 100 ducati, le città di Cento e di Pieve di Cento e l’investitura diretta dei futuri discendenti maschi di Lucrezia e Alfonso nel feudo; non c’è che dire, una signora dote. D’altra parte, se Alessandro VI accettò, significa che gli conveniva. Giunti alla chiusura delle discussioni, il matrimonio con Alfonso, il primogenito di Ercole I, che era rimasto vedovo, fu stabilito per mezzo di un contratto steso in Vaticano e firmato il 1° settembre 1501 nella «delizia» di Belfiore di Ferrara. Purtroppo quella magnifica costruzione non esiste più; era stata costruita alla metà del XIV secolo da Alberto d’Este e poi arricchita da Leonello, ma fu molto danneggiata dai Veneziani nel 1483 e alla fine distrutta da un incendio nel 1632. Comunque, per il bene della famiglia, Alfonso accettò di buon grado, e il 31 dicembre 1501 il matrimonio fu celebrato per procura.

Il faticoso viaggio di Lucrezia per Ferrara iniziò il 6 gennaio 1502. Sempre accolta con rispetto dappertutto, attraversò mezza Italia (Lazio, Umbria, Marche, Romagna). A Urbino, in Umbria, fu raggiunta dalla sorella del Marchese di Mantova Elisabetta Gonzaga, che la accompagnò nella lettiga dorata, dono del Papa, e fece un ingresso trionfale nella città. Il 31 gennaio, nel Bolognese, fu ospite della famiglia Bentivoglio nella «Domus Jocunditatis» a Ponte Poledrano, dove per la prima volta incontrò il marito. L’incontro, avvenuto senza il controllo della rigida etichetta della Corte Ferrarese, fu cordiale e festoso.

Quando il corteo giunse a Malalbergo, confine fra Ducato e Papato, il 2 febbraio, incontrò il suocero Ercole, che desiderò che l’ultima parte del viaggio si terminasse per via fluviale. Pertanto, essa fu fatta salire sul dorato bucintoro ducale che, percorrendo il canale Navile, la portò a Ferrara. Il canale, a partire dal XIII secolo e per la durata di alcuni secoli, fu la via delle merci e in particolare della seta, cioè la via d’acqua percorsa dalle barche per commerciare i prodotti di tale materiale delle attività manifatturiere di Bologna, che allora era uno dei maggiori centri tessili d’Italia, verso Ferrara e il Nord Italia. Dopo aver trascorso la notte nel palazzo di Alberto d’Este situato lungo il canale, finalmente Lucrezia giunse a Ferrara con il suo enorme seguito; stando al Sanudo, cronista dell’epoca, questo era costituito di personalità di diversa estrazione, dame di compagnia, paggi, servitori, cavalieri; erano tutti Spagnoli (per un totale di 753 persone); in più il corteo era completato da 426 cavalli, 254 muli, oltre che da tanti Ferraresi soprattutto appartenenti alla famiglia d’Este (si parla di ben 500 persone). Lungo le sponde del canale, Lucrezia fu accolta dalle grida festose della folla che le dava il benvenuto, ma anche incuriosita e desiderosa di vedere dal vero la ragazza che per fama era nota a tutti.

Giunta a Borgo San Luca, dopo un breve riposo, salì su uno stupendo cavallo (secondo alcuni bianco, secondo altri leardo, cioè bianco e nero), ricoperto da un drappo d’oro fino a terra, con briglie e sella dorate, ed entrò in città attraverso il Castel Tedaldo (ora non esiste più), dopo aver superato il Po di Ferrara. Fu accolta con festeggiamenti (d’altra parte, il suo arrivo coincideva con il periodo del carnevale) e con scoppi di fuochi artificiali, che fecero imbizzarrire il cavallo, disarcionandola; ma lei, con un balzo felino, riuscì a restare in piedi, fra gli applausi della gente e il compiacimento degli Estensi. Dopodiché, salita su una mula con ricchi finimenti, seguì il corteo, pare guidato dal marito Alfonso, seguendo un itinerario molto più lungo e contorto del necessario: sicuramente, da un lato si trattava di consentire ai Ferraresi assiepati lungo le vie di ammirare la loro nuova Duchessa, ma forse dall’altro era perché si cercava di far comparire la città molto più grande e importante di quanto non fosse in realtà. Al Palazzo Ducale, fu accolta dalla cognata Isabella d’Este, sposa del Marchese Francesco II Gonzaga di Mantova dal 1490, che la accompagnò all’interno, per essere più tardi condotta nelle camere fatte predisporre dal marito, dove trascorse la prima notte di nozze.

Isabella era contrariata dalla presenza di Lucrezia, perché le contrastava la sua posizione di primadonna alla Corte Estense: fra le due comparvero antipatie e contrasti, ma per questioni di casato dovette fare buon viso a cattivo gioco. Sicuramente, dietro la maschera di sorrisi dei membri della famiglia d’Este si nascondeva la contrarietà per avere come futura Duchessa una donna dal passato tanto turbolento, artefice di atrocità, lussuriosa, corrotta, perversa, satanica, avvelenatrice, accusata di rapporti incestuosi con il padre e il fratello, per alcuni, infelice ragazza vittima di famigliari i cui interessi prevalevano sui legami di sangue, secondo altri.

Inizialmente, le relazioni di Lucrezia Borgia con il suocero furono contrassegnate da alcune divergenze, soprattutto a causa delle spese da sostenere per il mantenimento del numeroso seguito romano. Come prima mossa, infatti, egli mise subito i puntini sulle «i», congedando il seguito romano, per cui i primi rapporti con il suocero non furono dei più idilliaci. Però, piano piano, i contrasti si addolcirono, con il riconoscimento da parte di Ercole che la nuora, dopo l’esperienza di governo a Foligno e Spoleto, era diventata un’ottima politica e i suoi consigli erano validi. E intanto, Alfonso era un po’ intimidito dalla complessa personalità della consorte.

Comunque, quando Ercole I morì nel 1505, Lucrezia era già riuscita a farsi un posto di rilievo, tutto suo, all’interno della Corte Estense. Fra l’altro, essendo una persona intelligente e colta, si era fatta una cerchia tutta sua ed era attorniata da scienziati, artisti, umanisti, letterati, fra i quali si possono ricordare Ludovico Ariosto, Pietro Bembo, Ercole e Tito Vespasiano Strozzi, Niccolò da Correggio, Celio Calcagnini, Antonio Tebaldi, Gian Giorgio Trissino.

Di lei si disse di tutto e di più, essendo stata una figura affascinante e interessante sia nel bene sia nel male, avvolta da luci e ombre, e fiumi d’inchiostro furono versati da estimatori per magnificarla e da detrattori per diffamarla. In effetti, da un lato erano coloro che la ritenevano la «nobildonna in nero», fredda, calcolatrice, avvelenatrice, attenta e decisa a far emergere il suo potere, mentre dall’altro, dopo che si fu insediata a Ferrara come Duchessa, si trovarono quelli che la riconoscevano come moglie fedele e madre esemplare, nuora rispettosa del suocero Ercole I, brava e intelligente nel servire il Ducato e nel soddisfarne le esigenze, particolarmente in occasione delle lunghe assenze del consorte, impegnato prima negli accordi e poi nella fornitura di armi in genere e specialmente di cannoni a chi ne facesse richiesta.

Il passaggio dall’inferno degli scandali e dei fallimenti matrimoniali alla vita principesca, onorata e rispettata, quale Signora della Corte Estense, rappresentò un passo di notevole rilevanza, forse insperato per Lucrezia Borgia. Era ancora tanto giovane, pur avendo vissuto una serie di esperienze non certo consone alla sua giovane età, e sicuramente la aspettava una vita più serena e migliore.

Fu una perfetta castellana che, come qualcuno ha detto, illuminava con la sua presenza la città di bellezza, cultura e profonda conoscenza della politica. A proposito delle sue doti nel governare che ne facevano notare la freddezza e, se si vuole, il cinismo (doti necessarie a un buon politico), Lucrezia trovò un estimatore nientemeno che in Nicolò Machiavelli, il quale era dell’avviso che le sue capacità di brava statista fossero il frutto degli insegnamenti derivanti dagli intrighi di Corte del padre Alessandro VI prima e dalle manovre del fratello Cesare successivamente e le approvava apertamente.

Insomma, diventa lecito pensare che Lucrezia, a Ferrara, trovasse finalmente un luogo di pace, al di fuori di tutte le beghe, gli imbrogli, i compromessi dei familiari, riuscendo a evitarne il continuo e pressante controllo, in contrapposizione alla vita da adolescente che avrebbe potuto vivere, se si fosse trattata di una ragazza normale, e che non ha potuto fare per quelle esigenze di Stato, che l’hanno fatta crescere prima del tempo che la natura riserva alle donne.

Gli sposi si erano sistemati nel Castello Estense, quel castello che era stato costruito da Bartolino Ploti da Novara nel 1385, per il Marchese Nicolò II, quale baluardo di difesa nei confronti delle rabbie della popolazione ferrarese per l’esagerata richiesta del pagamento di tasse e di balzelli vari, e per averla condannata a una nuova carestia, grazie a restrizioni di vario tipo; tale situazione aveva portato all’uccisione di colui che si riteneva come unico colpevole, cioè l’esattore delle tasse Tommaso da Cortona; e con la sua morte, per fortuna sua, la calma tornò sovrana.

Per buona sorte, quindi, l’uso del castello come struttura di difesa non si rese più necessario, tanto che, migliorando i rapporti con la gente da parte del successore Ercole I, non solo il maniero non fu mai utilizzato come rocca difensiva, ma anzi fu arricchito soprattutto dal punto di vista decorativo sia nell’aspetto esterno, sia negli ambienti interni di vita. D’altra parte, che Ercole I fosse una persona lungimirante lo dimostra la realizzazione della cosiddetta «addizione erculea», portata a termine dall’architetto di Corte Biagio Rossetti, che rese Ferrara la prima città moderna europea, nella quale il castello, nato sulle mura di cinta settentrionali, si è venuto a trovare al centro della città. In seguito, con il 1533, grazie ad Alfonso I, il castello fu trasformato da Gerolamo da Carpi in una vera e propria dimora principesca, degna della Corte Estense.

La giornata della Duchessa era intensa, con i suoi impegni di Stato quand’era necessario, con il suo allevamento di bufale e con il suo desiderio di attorniarsi di cultura, che sfociò nell’accoglimento nella sua cerchia di alcuni dei maggiori intellettuali dell’epoca, come ricordato più sopra. Nei 17 anni vissuti a Ferrara, Lucrezia si comportò come una buona e brava moglie, rispettosa del marito (che forse non la amava, ma la rispettava, nonostante le sue scappatelle). Secondo diversi studiosi, Lucrezia ebbe due storie d’amore, mai dimostrate. La prima è attribuita a Pietro Bembo, ritenuto uno dei maggiori letterati dell’epoca, che ebbe con lei un rapporto speciale, mentre la seconda riguarda il rapporto che nacque con il Marchese di Mantova Francesco II Gonzaga, il marito della cognata Isabella d’Este, che ebbe una grande passione per lei; ma quest’ultima, vigilando attentamente sui due, forse riuscì a evitare che succedesse il peggio.

Alfonso, fiducioso delle sue capacità, le affidava impegni in cui dovevano figurare equilibrio e saggezza, e lei spesso lo sostituiva nei problemi del Ducato, quando il marito doveva assentarsi per i suoi impegni soprattutto legati alle sue artiglierie. Aiutò anche economicamente poveri, malati, bambini abbandonati, a molti dei quali era data accoglienza nell’ospedale di San Cristoforo dei Bastardini, nel centro della città. Fece bonificare alcuni terreni, che adibì a pascolo o a colture varie, e con le sue bufale diede un incremento alla produzione di prodotti caseari, in particolare di ricotta e mozzarella, così come aveva fatto la suocera Eleonora d’Aragona. In tal modo poteva rendersi parzialmente indipendente dal suo stato.

Nel 1512 ci furono diverse sventure che colpirono la Casa Ferrarese, fra cui il ferimento del marito nella difesa di Cento e Pieve di Cento e la Battaglia di Ravenna. Da allora, la Duchessa incominciò a indossare il cilicio e aderì al Terz’Ordine Francescano. Passò lunghi periodi in convento per chiedere perdono per «li peccati de questa nostra etade».

Fu una madre molto prolifica. Ebbe due figli romani, uno legittimo e uno no; a Ferrara la sua prole fu di cinque maschi e due femmine; fra questi ci fu Ercole II, che succedette al di lei marito. Morì nella Delizia di Belriguardo a Voghiera, nel dare alla luce una bambina. Le cronache riportano che tutta la città la pianse, così come Alfonso, distrutto dal dolore. La Duchessa, prima di morire, si confessò e comunicò e le sue ultime parole furono: «Sono di Dio per sempre».

Era il 24 giugno 1519: Lucrezia si spegneva all’età di 39 anni.

(dicembre 2020)

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