Licantropo o lupo mannaro?
Tra squilibri psicologici e processi pilotati, una macabra vicenda in cui si intrecciano superstizioni, paure popolari, invidie e gelosie

Sin da tempi molto remoti, sono noti casi di licantropia, cioè di quella formazione di turbamento isterico, che spinge la persona che ne è affetta a comportarsi come un lupo o come un’altra bestia feroce.

Questa figura ebbe la sua massima notorietà nel Medioevo, quando la vita era molto dura e povera e le uniche forme di sostentamento derivavano dal bestiame di allevamento che, purtroppo, era spesso decimato da animali selvatici che se ne nutrivano; e questo fenomeno, associato all’esistenza di tanti individui malvagi e criminali, ha fatto sì che con estrema facilità si pensò a uomini che si trasformavano in lupi. L’uomo lupo era un essere che da sempre ha conquistato la fantasia popolare sia per la paura che incuteva alla gente normale sia perché le sue imprese appassionavano gli amanti dell’orrore, circostanze che ancora oggi hanno i loro estimatori. Da notare, che dietro questa figura ci sono due possibili interpretazioni, in merito alla sua natura: infatti, si parla di licantropo e di lupo mannaro. Il licantropo è un persona umana normale, che purtroppo per lei è soggetta a un vero e proprio squilibrio psicologico, che la induce a sentirsi un animale (nella fattispecie un lupo) e che, come tale, le fa compiere misfatti spietati quali l’omicidio e addirittura il cannibalismo; chiaramente, perciò, si tratta di un perverso stato d’animo, che con l’animale ha a che fare solamente per il comportamento. A sostanziale differenza, il lupo mannaro ha addosso una tremenda maledizione per la quale, quando c’è il plenilunio, da uomo si trasforma per metà in lupo, che si sfama mangiando carne e bevendo sangue umano (perché è così che deve essere). Perciò, quando si parla di licantropo, ci si riferisce a un essere umano con gravi problemi psichici, mentre quando il riferimento è al lupo mannaro, dalla realtà si sfocia nella fantasia e si finisce nella leggenda; in effetti, il connubio è fra animali feroci e uomini che erano tali solamente di nome, ma non di fatto.

Però, vale la pena di soffermarsi su un particolare, che in un certo senso può avvalorare l’idea dell’uomo lupo: ci sono certi individui, per fortuna pochi, che sono affetti da ipertricosi, cioè da quella rarissima malattia genetica che fa ricoprire l’intera figura, con l’esclusione delle labbra, delle palme delle mani e delle piante dei piedi, da lunghi peli. Sono senz’altro persone normali e, purtroppo per loro, infelici perché discriminate, per cui con complessi psicologici di notevole conto. E il vederle può con facilità far pensare all’uomo lupo. Un esempio si trova in una tela dipinta dalla pittrice bolognese Lavinia Fontana, attiva fra il XVI e il XVII secolo: è il ritratto di una ragazzina, Antonietta Gonzales, figlia di Pedro, un indigeno delle Isole Canarie, affetta come il padre da una rarissima forma ereditaria d’ipertricosi.

Comunque, nel Medioevo e ancora nel Rinascimento era in atto una vera e propria fobia nei confronti di queste «bestie». Era un incubo che assillava la gente di quei tempi, una vera e propria ossessione al pensiero che di notte uomini, sotto le sembianze di lupi, si aggirassero per le strade e per le campagne con lo scopo di uccidere e divorare il bestiame o le persone che incontravano oppure si rimpinzavano di carne di cadavere. E i processi ai presunti lupi mannari solitamente erano sommari e quasi tutti finivano con la condanna a morte mediante il supplizio del rogo, o di altre «raffinatezze» giacché nessuno resisteva alle torture e confessava qualsiasi misfatto, pur di vedere cessare, in quel momento almeno, le sofferenze fisiche.

Fra i tantissimi casi di denunce fatte e condanne portate a termine nei confronti d’individui accusati di essere lupi mannari, una ha un particolare rilievo, avvenuta nel 1589 nell’Elettorato di Colonia in Germania. Si deve tener presente che già in precedenza erano stati denunciati assalti feroci da parte d’animali, soprattutto lupi, molto numerosi in quel periodo nei boschi, a pastorelli guardiani di greggi; e anche contadini intenti a lavori nelle foreste erano stati divorati da bestie. La fantasia umana, guidata dal terrore per l’ignoto e l’incomprensibile e con le reminiscenze che provenivano da un oscuro passato, non ebbe difficoltà a collegare le tristi vicende a un essere semi umano, cioè a un lupo mannaro che abitava nei boschi del contado.

Si tratta delle vicissitudini di un cittadino tedesco, certo Abal Griswold, della città di Bedburg situata non lontana da Colonia. Le cronache riportano suoi diversi soprannomi, ma forse il più azzeccato era Peter Stumpp, molto simile a Stumpf, che in tedesco significa «monco», e veramente lui era privo di una mano, perduta in un incidente mentre spaccava la legna. Era un agiato agricoltore cinquantenne che forse destava invidia nei meno abbienti in un periodo nel quale la povertà e l’indigenza la facevano da padrone. Si riporta che per la durata di 25 anni abbia ucciso centinaia di persone e mangiato la loro carne senza fare distinzione: uomini, donne, bambini, compreso un suo figlio. Tutto questo compare in un fascicolo scritto nel 1590 dall’Inglese George Bores, che affermava di avere assistito al processo e che, secondo lui, Stumpp era uno stregone malvagio.

Come si giunse all’infamante accusa e al conseguente arresto? La gente era, più che preoccupata, terrorizzata giacché il villaggio era continuamente in apprensione non diminuendo il numero degli assassinii, per cui si decise di fare una corale battuta alla caccia della belva (o del branco di belve), secondo questa colpevole delle morti. La vigilanza continuò per un certo tempo, finché nella foresta fu individuato un lupo che, finito in un «cul-de-sac», non poté eclissarsi. Ma, quando si avvicinarono per finirlo, ebbero la sorpresa non di trovare un lupo, bensì Stumpp. L’accusa era che si trasformava, assumendo le sembianze di un lupo, a seguito di un patto con il diavolo – come si ritiene abbia confessato – che gli donò una cintura magica che, indossata, gli dava la facoltà di trasformarsi in una creatura orribile, somigliante a un lupo, forte, vigorosa, con un grande corpo, denti lunghi e affilati, occhi brillanti e robuste zampe. Stumpp, sotto quella forma, assassinava chi incontrava, senza fare distinzione, perciò anche bambini e donne incinte, allo scopo di divorarne il cervello. Su volantini scritti in tedesco, e tradotti anche in danese, inglese, olandese, si parlava di un campagnolo che, grazie alla cintura avuta dal diavolo, poteva trasformarsi in lupo per la durata di sette ore.

È interessante notare che il poveretto fu reo confesso, ma dopo o durante una micidiale tortura; si trattava della tortura detta dell’aculeo o del cavalletto, che consisteva in una struttura in legno nella quale il condannato era posto disteso con la schiena appoggiata su un bordo tagliente e con le mani e i piedi bloccati; bastava il peso del corpo per provocare le pene dell’inferno. D’altra parte chi, se non chi è votato al martirio come ideale delle sue aspirazioni, riesce a resistere alle sofferenze che gli fanno sopportare? Così – che fosse vero o non lo fosse – confessò tutti i suoi crimini, e il tribunale di Bedburg, in data 18 ottobre 1589, gli inflisse la pena capitale, a quelle condizioni, meritata.

Questa fu eseguita il 31 dello stesso mese secondo diverse fasi. Così, dopo la confessione, si applicò la procedura prevista per coloro che si erano macchiati di omicidio e cannibalismo. Come primo atto, si scuoiò con tenaglie arroventate e poi si sottopose alla tortura della ruota, supplizio antichissimo, che consisteva nel legare il condannato a una ruota facendola girare in orizzontale attorno a un palo; così egli era crudelmente ferito da lame fissate al disotto della ruota. Nello stesso tempo, il boia gli rompeva tutte le ossa con la parte piatta di una scure per scaramanzia, perché così non poteva tornare dall’aldilà allo scopo di vendicarsi.

È stato riportato che in Francia questo fosse uno spettacolo particolarmente gradito dal popolo, tanto che ha continuato a essere messo in scena fino al XVIII secolo, quando un medico francese, Monsieur Guillotin, inventò una macchina per eliminare rapidamente i condannati a morte (la famosa ghigliottina), che spopolò durante la Rivoluzione Francese del 1789, togliendogli il piacevole divertimento. Alla fine, quello che era rimasto del suo corpo fu bruciato in un rogo, mentre la testa, infilata su un palo, fu esposta sulla ruota del supplizio nel centro della città.

In sua compagnia furono giustiziate altre due persone: una contadina vicina di casa, Catharina Trumpen e la figlia di Stumpp, Sybil. Da documenti dell’epoca, risulta che Catharina fosse, come Stumpp, una delle persone più ricche della zona. Siccome le autorità ebbero delle testimonianze da parte di popolani, ci si può chiedere il perché il dito fosse stato puntato su Stumpp e sulla signora. Entrambi erano vedovi e ricchi e l’invidia, cattiva consigliera, impediva che fosse accettata una loro possibile unione (qualcuno parlava di convivenza in atto) che li avrebbe resi ancora più favolosamente ricchi. Una circostanza abbastanza importante per il processo, fu la denuncia da parte di testimoni di alcuni assassinii, che dichiararono di aver visto il lupo mannaro zoppicare con la zampa anteriore sinistra; l’associazione al fatto che Stumpp fosse monco alla mano sinistra fu decisiva. Eliminati così i due, tutti i beni sarebbero potuti entrare a far parte del patrimonio dei signori locali, che se li sarebbero potuti spartire.

Ma è corretto ricordare che le disgrazie di Stumpp capitarono in un particolare periodo della storia dell’Elettorato di Colonia. Andiamo con ordine. Nel 1577 divenne Arcivescovo della città sul Reno il Cattolico Gebhard Truchsess von Waldburg, che quasi subito si convertì al protestantesimo di Martin Lutero e, in contrasto con il celibato previsto per le autorità cattoliche, sposò una giovane già di credo protestante. La Chiesa non ci pensò due volte a farlo decadere e a sostituirlo con un nuovo Arcivescovo Cattolico nella persona di Ernesto di Baviera. Questi avviò quella che fu dagli storici definita la Guerra di Colonia (1583-1588) e la città di Bedburg si trovò simultaneamente immersa nello scontro e nel caso Stumpp. Il nuovo Arcivescovo si accanì ferocemente contro il signore del luogo Adolf von Neuehar, che si era dimostrato favorevole alla scelta del precedente. Le soldataglie invasero i campi e attaccarono i villaggi, uccidendo spietatamente contadini e pastori allo scopo di impossessarsi delle greggi, che erano una ricchezza. Un nuovo signore cattolico, Werner von Salm-Reifferscheid-Dyck, s’insediò a Bedburg e si trovò in contrasto con la popolazione che, per la quasi totalità, si era convertita al protestantesimo. Visto il malcontento che permeava la gente, decise di dare un esempio di ciò che sarebbe potuto accaderle, se avesse continuato a manifestare apertamente le sue ostilità e prese in esame il caso Stumpp: fu solo una lezione, un modo per mettere sul chi vive i protestanti della zona.

Che Stumpp abbia fatto le malefatte di cui è stato accusato resta sempre il dubbio, perché non ci sono state prove conclusive, se non le testimonianze di testi che, fra l’altro, insistevano nel ritenere il poveretto un lupo mannaro, mentre resta molto più convincente l’ipotesi che si sia trattato di un complotto, sia per dimostrare la propria superiorità, sia per avere il tornaconto di beni materiali di notevole entità.

Se così fosse, non resterebbe altro che commentare tristemente: «Nihil novi sub sole!»

(novembre 2020)

Tag: Mario Zaniboni, licantropo, lupo mannaro, uomo lupo, licantropia, turbamento isterico, Medioevo, ipertricosi, Lavinia Fontana, Antonietta Gonzales, Isole Canarie, Rinascimento, 1589, Elettorato di Colonia, Germania, Abal Griswold, Bedburg, Peter Stumpp, Stumpf, George Bores, processo di Stumpp, tortura della ruota, Monsieur Guillotin, ghigliottina, Rivoluzione Francese, Catharina Trumpen, Sybil, Gebhard Truchsess von Waldburg, Ernesto di Baviera, Guerra di Colonia, Adolf von Neuehar, Werner von Salm-Reifferscheid-Dyck.