L’Europa nel Cinquecento
Linee di sviluppo in un fondamentale momento storico

Pochi anni nello scorrere della storia umana sono stati così decisivi come il 1492: in quell’anno, infatti, all’Europa si dischiuse la via che conduceva alle Indie d’Occidente, ossia al continente americano, con le sue terre e le sue immense ricchezze. Dopo secoli, il Mediterraneo cessava di essere il centro del mondo: il fulcro d’interesse veniva spostato più ad Ovest, sulle coste dell’Atlantico, anche se a colonizzare le nuove terre sarebbero state comunque le Nazioni Europee – l’Europa continuava a rimanere il continente egemone in un orizzonte che si andava sempre più allargando. Per questo, dal 1492 si fa convenzionalmente iniziare l’Età Moderna.

Nel 1494 il Trattato di Tordesillas precisa la «raya» già fissata da Alessandro VI nel 1493, che divide i possessi portoghesi da quelli spagnoli nell’America Meridionale; nel frattempo Giovanni Caboto, navigando per conto dell’Inghilterra, nel 1498 scopre il continente nord-americano, esplorato poco dopo per conto della Francia da Giovanni da Verrazzano e da Cartier.

I Portoghesi gettano le basi del loro Impero. La «Casa da India et da Guiné» dirige il traffico commerciale dell’Estado da India, il cui Viceré risiede a Goa e che si è formato con le conquiste di Francesco de Almeida e di Alfonso Albuquerque. Nel 1500 Pedro Alvarez de Cabral raggiunge il Brasile.

Gli Spagnoli partono alla conquista dell’America. Già nel 1519 il Portoghese – a servizio della Spagna – Ferdinando Magellano compie la prima circumnavigazione della Terra, di cui ci ha lasciato un’interessante relazione il Vicentino Antonio Pigafetta. In pochi anni, il Paese Iberico passa di successo in successo: nel 1519-1521 Hernan Cortés abbatte l’Impero Azteco nel Messico; pochi anni dopo, tra il 1531 e il 1534, Francesco Pizarro si impadronisce dell’Impero degli Inca in Perù e nel 1535 fonda Lima; negli stessi anni (1535-1538) Quesada conquista la Colombia. In Europa giungono prodotti agricoli prima sconosciuti come la patata, il mais e il tabacco, ma soprattutto oro, oro, una quantità d’oro tale, da provocare un forte rialzo dei prezzi. Dal 1503 al 1560 la Spagna importa dai suoi possedimenti americani 180 tonnellate d’oro e 17.000 tonnellate d’argento: le quantità di questo diventano ancora più sbalorditive con lo sfruttamento intensivo, attraverso il nuovo sistema dell’amalgama col mercurio, delle miniere peruviane del Potosì, scoperte nel 1543; nel 1596-1600 c’è un’importazione di metalli preziosi per 34.428.500,5 pesos, pari a 6.885,700 chilogrammi di argento puro.

Molti di questi tesori non giungono mai a destinazione, perché Inglesi, Olandesi e Francesi, che non hanno ancora costituito un Impero coloniale, si dedicano al brigantaggio ed alla pirateria assaltando le navi spagnole e portoghesi e depredandole dei loro tesori: famosi rimangono i corsari John Hawkins (1532-1595), suo cugino Francis Drake (1541-1595), Martin Frobisher (1535-1594) e Thomas Cavendish (1555-1592).

A tutta questa ondata di vitalità che investe l’Europa, l’Italia rimane estranea. Dalla Pace di Lodi del 1454, i più potenti Stati Italiani si sono consumati nella ricerca di uno sterile equilibrio: mentre la Spagna si presenta ormai come un forte Stato unitario, mentre la Francia e l’Inghilterra lo stanno diventando, l’Italia resta divisa, partecipando delle vicende dell’una e dell’altra parte.

L’anno cruciale per l’Italia è il 1494. Sul trono di Francia siede Carlo VIII: sia perché è erede degli Angioini di Napoli, sia perché è attorniato da molti nobili scalpitanti, desiderosi di terre, decide di scendere in Italia. Per avere le spalle coperte, manda allo sfascio il Paese faticosamente unificato dai suoi predecessori restituendo all’Impero l’Artois e la Franca Contea, cedendo alla Spagna il Rossiglione e la Cerdagna, sborsando all’Inghilterra 750.000 ducati.

Nella Penisola, il Sovrano non incontra resistenza: trova o alleati, come Ludovico il Moro, o città impaurite disposte a pagargli molte migliaia di ducati; il 22 febbraio 1495 fa il suo ingresso trionfale in Napoli senza colpo ferire. A questo punto, gli Stati Italiani sono come presi da un fremito di riscossa, armano un esercito, si muovono contro Carlo VIII: lo scontro avviene a Fornovo, ed è senza vinti né vincitori.

Morto dopo pochi mesi il Re Francese, l’invasione dell’Italia è proseguita dal suo successore Luigi XII, che s’impossessa di Milano. Spagnoli e Francesi si mettono presto d’accordo: ai primi Napoli, ai secondi Milano. La spartizione d’Italia ha avuto inizio!


La lunga guerra tra Francia e Spagna

Trasferiamoci a Francoforte: è il 1519, e i principi elettori vi si sono dati convegno per eleggere il successore dell’Imperatore Massimiliano d’Asburgo, che è morto da poco. L’elezione, in base alla Bolla d’oro emanata da Carlo IV di Lussemburgo nel 1356, è di competenza di sette grandi feudatari tedeschi, tre ecclesiastici (i Vescovi di Colonia, Treviri e Magonza) e quattro laici (il Re di Boemia, il duca di Sassonia, il marchese di Brandeburgo e il conte del Palatinato). Il 28 giugno le campane della città suonano a distesa, tutta Francoforte è in festa: l’Imperatore è stato eletto – si tratta di Carlo (Carlo V), il nipote del defunto Massimiliano, un giovane di 19 anni. L’unico voto contrario è stato quello del Vescovo di Treviri e l’unica astensione è stata quella di Federico di Sassonia, per protesta contro la venalità degli altri elettori.

I diplomatici che hanno osservato Carlo nella sua adolescenza non ce ne hanno tracciato un ritratto cordiale: l’hanno definito un po’ tardo di mente, uno sciocco; in ogni caso, un testardo. Ha un carattere ombroso, solitario, un po’ astratto, religiosissimo. Rimasto orfano dei genitori, Filippo il Bello d’Austria e Giovanna di Spagna (che era figlia di Ferdinando e Isabella), è stato educato dalla zia, una donna intelligente e ferma, Margherita d’Austria.

Carlo ha anche l’appoggio di Jakob Fugger, l’uomo più ricco del mondo: viene da una famiglia povera (suo nonno era un tessitore), ma in due generazioni è divenuto miliardario. Possiede miniere di rame ed argento nel Tirolo e in Ungheria, ha l’appalto delle tasse pontificie in molti Paesi, controlla la Borsa di Anversa, presta denaro ad alti interessi soprattutto ai Re: se Carlo è stato eletto, sborsando migliaia e migliaia di ducati, lo deve a lui; e se potrà fare guerre per quarant’anni lo dovrà sempre a lui, a Jakob Fugger.

Divenuto Imperatore, Carlo V ha sotto di sé un territorio enorme, un Impero «sul quale il sole non tramonta mai»: eredita infatti l’Austria, la Germania e la Borgogna da parte di padre; la Spagna, Napoli e le colonie americane da parte di madre. Si propone da un lato di ridar pace all’Europa Cristiana sconvolta dalle guerre, e dall’altro di estendere i propri domini.

Impero di Carlo V

L'Impero di Carlo V

A sbarrargli la strada, c’è un altro giovane: si tratta del Re di Francia, Francesco (Francesco I). Anche lui è stato educato unicamente da una donna: dalla madre, Luisa di Savoia (figlia di Filippo II duca di Savoia), che ha sposato nel 1488 Carlo di Orléans-Angoulême[1]. Quando Francesco nasce nel 1494, nessuno pensa che domani sarà Re: vi sono altri pretendenti al trono. Cresce perciò tranquillo, in campagna, lontano dalle beghe della Corte; vigila per lui la madre Luisa, che segue attentamente gli avvenimenti politici.

Poiché Luigi XII non ha avuto figli dalla prima moglie, e solo una bambina dalla seconda, comincia a profilarsi, lontana, la candidatura di Francesco. Nonostante un terzo matrimonio, il Sovrano si spegne senza avere figli maschi. Luisa di Savoia esulta: «Ho un figlio Re, ho un figlio Re».

Quando cinge la Corona nel 1515, Francesco I ha 21 anni: è il contrario del rivale Carlo V – allegro, brillante, ottimo conversatore, galante e di compagnia. Lo stesso anno in cui è salito al trono, alla testa di un esercito varca le Alpi, ottiene una splendida vittoria a Marignano ed espugna Milano[2], sprofondando l’Europa in una nuova guerra.

Dal 1519 al 1559 è tutto un susseguirsi di lotte, di battaglie, di scontri sanguinosi; Carlo V e Francesco I si affrontano per il dominio europeo logorandosi senza ottenere un successo decisivo – la guerra si accende improvvisa, cessa, ristagna, è affiancata da guerre più piccole che divampano in altri Paesi. Si arriva a strane complicazioni diplomatiche, per le quali ad un certo punto si alleano con il Sultano Turco Solimano contro l’Imperatore Carlo V non solo Francesco I (formalmente dal 1536), ma persino il Papa Clemente VII.

Vediamo velocemente gli eventi principali. Carlo V conquista Milano togliendola ai Francesi. Francesco I firma la pace di Madrid nel 1526, rinunciando ai territori italiani.

Nel frattempo, il Papa Clemente VII ha formato un’alleanza anti spagnola: oltre al Pontefice, Francesco I, Milano, Genova e Firenze si uniscono nella Lega Santa di Cognac (22 maggio 1526). Carlo di Borbone, al servizio dell’Imperatore Carlo V, scende in Italia: scarsa resistenza offrono sul Mincio le truppe guidate da Francesco Maria Della Rovere e a nulla serve l’eroico valore di Giovanni delle Bande Nere. Mentre il Papa è chiuso a Castel Sant’Angelo, Roma è invasa dai 12.000 Lanzichenecchi del luterano Giorgio Frundsberg: sono mesi che i soldati non ricevono paga, e perciò viene loro concessa piena libertà di bottino – la Città Eterna è devastata, le chiese distrutte, ogni casa svaligiata, i soldati ubriachi irrompono nelle case uccidendo e saccheggiando. Dal 6 al 14 maggio del 1527 si compie il «sacco di Roma»!

Tre anni dopo Firenze, che ha cacciato i Medici facendosi Repubblica, viene assediata e deve arrendersi quando Francesco Ferrucci non riesce a far penetrare nella città affamata un convoglio di vettovaglie. Tutta l’Italia è così sottomessa alla Spagna.

Nel 1555, a Bruxelles, Carlo V depone la Corona e si ritira nel silenzio di Yuste: il dilagare del Protestantesimo, l’impossibilità di piegare la Francia, una serie di gravi problemi finanziari lo hanno logorato; Ferdinando II diventa Imperatore di Germania, Filippo II[3] Re di Spagna. Quattro anni dopo giunge la tanto attesa pace: a Cateau-Cambrésis viene firmato un solenne accordo che sancisce in maniera definitiva il dominio spagnolo sull’Italia – la Spagna governerà la Sicilia, la Sardegna, il Napoletano, lo Stato dei Presidi sulle coste toscane e il Milanese.

Il destino dell’Italia s’è ormai compiuto; tutto ciò che non è direttamente sottoposto al dominio spagnolo ne subisce l’influenza. La Penisola esce stremata da quarant’anni di guerre: i prezzi sono altissimi, la carestia dilaga, vi si è aggiunta la peste che ha dimezzato la popolazione di molte città. L’epidemia è partita dalla Sicilia nel 1576 ed è risalita fino al Milanese; i morti sono stati migliaia, 28.000 a Genova, 16.000 a Pavia, 17.000 a Milano, 47.000 a Venezia.

Nel 1563, Filippo II costituisce un «Supremo Consiglio d’Italia» al quale partecipano anche alcuni Italiani; ma il vero potere resta ai Viceré di Napoli, della Sicilia e della Sardegna, e al Governatore di Milano.

L’Italia, nel Cinquecento, è il Paese che ha più abitanti per chilometro quadrato di tutta l’Europa: 45. Ha anche il maggior numero di città popolose: solo Parigi e Costantinopoli, fuori d’Italia, hanno più di 100.000 abitanti; Napoli, Venezia e Milano sono sulla stessa cifra. Un secolo dopo, due sole città supereranno i 200.000 abitanti: Parigi e Napoli.


Il Regno d’Inghilterra

La storia inglese del Cinquecento viene diretta dalla famiglia Tudor. Enrico Tudor, conte di Richmond, discende in linea femminile dalla Casa dei Lancaster e sposa Elisabetta, unica superstite degli York: in tal modo unisce le due fazioni e pone termine alla Guerra delle Due Rose. Salito al trono col nome di Enrico VII nel 1485, dà nuovo prestigio alla Monarchia, sviluppa le industrie tessili, favorisce le esportazioni, rende più potente la flotta, istituisce molte scuole e migliora la giustizia; comincia a stabilire contatti e rapporti amichevoli con l’Irlanda e la Scozia, ponendo le basi per una unificazione del Paese.

Suo figlio Enrico VIII, nato nel 1481, gli succede nel 1509. Non è un genio: sta in disparte, mangia, beve, va a caccia, tiene una Corte sfarzosa. I cortigiani sussurrano tra di loro che a fare politica sia la moglie, Caterina d’Aragona (figlia di Ferdinando ed Isabella), una donna brutta ma intelligente. Quando l’influenza della moglie declina si fa avanti il Ministro del Re Thomas Wolsey, che in poco tempo si guadagna la fama di più abile diplomatico europeo.

Con l’Atto di supremazia, emanato dal Parlamento Inglese il 3 novembre 1534, Enrico VIII diventa capo della Chiesa Scismatica Inglese, la Chiesa Anglicana: è in questo modo che intende sottrarsi al giudizio del Papa Clemente VII, che ha dichiarato valido il primo matrimonio tra Enrico e Caterina d’Aragona, e impossibile perciò un nuovo matrimonio con Anna Bolena. Lo scisma viene imposto con violente persecuzioni di cui sono vittime anche il Vescovo di Rochester, il Cardinale John Fisher, e l’ex Cancelliere del Regno, Tommaso Moro (1535).

Il matrimonio con Anna Bolena dà al Sovrano una figlia, Elisabetta. Ella sale sul trono venticinquenne, nel 1558, e regna per 45 anni. Sotto la sua guida l’Inghilterra inizia il proprio dominio coloniale nell’America del Nord. Grandi marinai e audacissimi corsari inglesi assalgono le flotte e compiono colpi di mano sulle ricche colonie portoghesi e spagnole; è l’epoca degli Hawkins e dei Drake che la Regina pubblicamente disapprova, ma che in segreto incoraggia e sostiene. Donna colta e intelligente, favorisce non solo gli studi e la cultura, ma anche il progresso in ogni campo dell’attività umana; si occupa anche dei poveri e dei disoccupati, facendo approvare leggi in loro favore. Alla sua morte, nel 1603, l’Inghilterra si è ormai avviata al destino di grande Potenza e Londra è già una delle più importanti città commerciali del mondo.


L’Impero Ottomano

Il Cinquecento è il secolo che vede l’apogeo dell’Impero Ottomano. Le cause del suo successo sono molteplici. Innanzitutto, i Sultani dispongono di un esercito potente formato da timari (feudatari che ricevono introiti fiscali) e da giannizzeri (fanti stipendiati, reclutati fra i giovani cristiani convertiti all’Islam); questo tipo di arruolamento fa sì che anche uomini di umili origini, ma dotati, possano accedere a cariche importanti come quella di Gran Vizir. Un altro asso nella manica è rappresentato dall’abilità di sfruttare i dissidi interni dei Paesi vicini: chiamati da una delle parti in causa, gli stessi Sultani finiscono per impadronirsi del potere tanto conteso – come accade ad esempio all’Ungheria, presa dopo la morte del suo Re Luigi II (1526). Lo Stato viene così ben presto a comprendere una moltitudine di etnie: l’unico denominatore comune resta il servizio militare dovuto alla dinastia regnante. Una volta conquistato un Paese e istituitavi un’amministrazione militare e giudiziaria, vengono lasciati in vigore, per quanto possibile, costumi e leggi preesistenti. Queste diversità comunque sono all’origine dei primi problemi: Maometto II (il conquistatore di Costantinopoli), alla ricerca di nuove risorse dopo una serie di campagne dispendiose, si accorge che non può prendere provvedimenti se ignora gli ordinamenti che reggono il proprio Impero – a lui si deve perciò il primo «codice di leggi» –; tenta anche una riforma fondiaria, suscitando però il malcontento generale, in particolare in Anatolia tra i dervisci e i timari, percettori di rendite a titolo ereditario.

Nel XVI secolo, la conquista dell’Egitto da parte di Selim I e la sottomissione degli sceriffi della Mecca mettono in evidenza un altro elemento unificatore: invece di elaborare una legislazione secolare unificata, si esalta quale arbitro supremo la legge divina («shari’ha»), che conferisce a colui che ha l’incarico di applicarla una legittimità accresciuta dal fatto di unire il prestigio religioso a quello militare. Il Regno di Solimano il Magnifico, detto «il Legislatore» (1494-1566) rappresenta l’apogeo di questa evoluzione, con i suoi celebri giureconsulti, come Kemalpasazade e Abu Su’ud.

Dappertutto si tenta di imitare Costantinopoli e la sua Corte: sul modello della capitale, i centri delle province si arricchiscono di moschee, scuole, biblioteche, ospedali, mense popolari, bagni pubblici e fontane; un importante ruolo di protezione sociale viene svolto dalle fondazioni di beneficenza. In campo letterario, si cerca la raffinatezza e si impreziosisce la lingua turca con elementi persiani ed arabi (i poeti Baqi e Fuzuli).

Solimano non è solo un grande condottiero, ma anche un politico che conosce bene la situazione europea: dalle divisioni fra gli Stati Cattolici cercherà di trarre tutti i vantaggi. Approfitta delle lotte fra Carlo V e Francesco I che insanguinano l’Europa per mettere in atto un piano ambizioso: assalire l’Occidente da tre direzioni, verso il Danubio, il Mediterraneo e l’Africa Settentrionale.

Comincia a risalire la Penisola Balcanica alla testa di un esercito disciplinato e fanatico. Nel 1521 cinge d’assedio Belgrado e dopo un’aspra lotta la conquista.

L’anno seguente sposta la guerra nell’isola di Rodi: i Cavalieri di San Giovanni la difendono con valore, ma sono vinti; migliaia di soldati cadono sulle fortezze, l’isola si riempie di cadaveri.

Solimano riprende l’offensiva nei Balcani, e nel 1526 ottiene una strepitosa vittoria a Mohacs, sul Danubio. Cinge d’assedio Buda, in Ungheria, e la conquista.

Ormai le armate turche avanzano a grandi passi verso il cuore dell’Europa: nel 1529 è la volta di Vienna, che rischia di cadere, ma riesce a resistere, ed è proprio sotto le sue mura che si spezzerà l’offensiva turca.

L’Occidente passa alla controffensiva: nel giugno 1535, approfittando di una tregua nella guerra con Francesco I, Carlo V compie una fortunata impresa contro Kaireddin Barbarossa. È questi un pirata musulmano di origine greca che infesta il Mediterraneo Occidentale, nel 1534 giunge persino nelle acque di Napoli, lancia una scorreria fino a Fondi, e si insedia poi a Tunisi. Carlo V occupa la città africana e libera 20.000 schiavi cristiani.

Nel 1565 Solimano tenta di conquistare Malta «per trasformare il Mediterraneo in un grande lago turco», come scrive Fernand Braudel. Nell’isola gialla e polverosa, con le sue fortificazioni e le sue chiese difese dai cannoni, si svolge uno degli assedi più duri del secolo, caratterizzato da un uso massiccio dell’artiglieria. Accanto ai Cavalieri Gerosolimitani guidati dal Gran Maestro Jean Parisot de la Valette combattono tanti abitanti dell’isola portando dispacci, tendendo trappole, avvelenando pozzi, guidando i soccorsi. L’arrivo di una (modesta) flotta italo-spagnola guidata da don Garcìa de Toledo costringe i Turchi alla fuga, lasciando sul terreno cadaveri insepolti, preziose scimitarre di Damasco, moschetti di Fez, bracciali argentati o dorati, e costringendo il Sultano a sospirare: «La mia spada è invincibile solo quando sono io a impugnarla».

Solimano muore l’anno successivo, guerreggiando in Ungheria. Suo figlio Selim II si distingue per essere chiamato «l’ubriacone» e per essere un entusiasta giardiniere che ama perdutamente i tulipani, tanto da spedire al Califfo di Aziz, fiorente cittadina siriana, un messaggio in cui gli chiede 50.000 bulbi per i giardini imperiali: «Ti ordino di non ritardare in alcun modo. Ogni cosa deve essere fatta bene e in fretta sì da non essere causa di disappunto».

L’euforia delle conquiste turche ostacola una rigorosa gestione delle ricchezze acquisite. Ai dignitari vengono assegnati congrui introiti fiscali. La svalutazione costante della moneta diminuisce il potere d’acquisto e si ripercuote sull’equipaggiamento dell’esercito; inoltre i giovani principi, confinati nell’harem, non apprendono più l’arte di governare nelle capitali delle province. I Sultani si rinchiudono nel serraglio e cadono sotto l’influenza della Sultana Madre e delle favorite. Si fa strada la corruzione e persino Vizir dotati di talento come i Köprülü, nel XVII secolo, riescono ad arginare solo parzialmente il declino. I successi folgoranti degli Ottomani obbligano infine l’Occidente a coordinare la difesa: si succedono in tal modo la vittoria di Lepanto nel 1571 (la battaglia che segna il definitivo tramonto della supremazia turca nel Mediterraneo ha avuto nel Papa San Pio V uno degli artefici principali), la battaglia di San Gottardo nel 1664 in Ungheria, la sconfitta del Gran Vizir Qara Mustafa Pascià a Kahlenberg nei pressi di Vienna nel 1683, la vittoria di Eugenio di Savoia a Zenta nel 1697. Le guerre contro la Russia, intensificatesi a partire dalla fine del XVII secolo, affretteranno la decadenza.


Note

1 Le donne giocheranno un ruolo non secondario nelle vicende a seguire. Luisa di Savoia con la zia di Carlo V, Margherita d’Austria, negozierà nel 1529 la pace di Cambrai, che viene chiamata «la pace delle due dame». A lei, dopo la battaglia di Pavia del 24 febbraio 1525, Francesco I scrive le famose parole: «Tout est perdu hors l’honneur» («Tutto è perduto fuorché l’onore»).

2 Apparentemente il rapporto di forze fra Carlo V e Francesco I è a favore dell’Imperatore, che ha territori più vasti e molti più sudditi: la Francia, con i suoi 16 milioni di abitanti, è un Paese popolatissimo nei confronti della Spagna che ha 7 milioni di abitanti e dell’Inghilterra che ne ha 4; ma da Carlo V dipendono anche i 4 milioni di Italiani, i 3 milioni di Borgognoni e gli oltre 20 milioni di Tedeschi. Ma le distanze sono un ostacolo pressoché insormontabile, i viaggi lunghi e difficoltosi: la notizia della vittoria di Lepanto, avvenuta il 7 ottobre 1571, giunge a Venezia il 18, a Napoli il 24 e a Madrid solo il 31!

3 Con Filippo II, la Spagna giunge al suo apogeo. All’interno il potere viene accentrato in modo assolutistico nelle mani del Sovrano, che stronca la ribellione delle città aragonesi. Dall’Escoriale, la sontuosa dimora cui hanno lavorato i migliori architetti, scultori e pittori del tempo, Filippo II dirige la politica del vasto dominio spagnolo. In politica estera, il Sovrano raccoglie due grandi successi – la vittoria di Lepanto nel 1571 e l’annessione del Portogallo nel 1580 – e due grandi insuccessi – la ribellione delle Fiandre con l’indipendenza dell’Olanda nel 1581 e la distruzione dell’«Invencible Armada» nel 1588 –.

(maggio 2016)

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