Viaggi in mari sconosciuti
Dai fratelli Vivaldi a Cristoforo Colombo: la ricerca di una «via per le Indie» che solcasse i flutti del mare

Il Rinascimento non è solo l’epoca degli artisti, degli scultori, dei pittori, degli architetti. È anche l’epoca delle grandi scoperte geografiche, conseguenza della grande spinta mercantilistica già iniziata nel Medioevo.

Dal Duecento, infatti, i viaggiatori per terra non mancano: molti si spingono nell’Asia sconosciuta valicando monti, attraversando pianure alla ricerca di vie commerciali, di scambi di prodotti. Marco Polo è il più famoso: parte da Venezia nel 1271 che ha solo 17 anni, col padre e uno zio, e per vari anni si trattiene alla Corte del Gran Khan dei Mongoli a Cambaluc (Pechino), dove gli vengono affidate anche mansioni amministrative. Rientrato a Venezia nel 1295, nel 1298, prigioniero dei Genovesi, detterà a Rustichello da Pisa il Livre des merveilles du monde, il Milione, nel quale descriverà i luoghi visitati, con i loro popoli e le diverse usanze. Morirà a Venezia nel 1324.

Con i mercanti veneziani, i maggiori viaggiatori verso terre sconosciute sono i frati. Il Francescano Giovanni di Pian del Carpine, nel 1245, giunge presso il Gran Khan per portargli un messaggio del Papa Innocenzo IV: nella sua Historia Mongolorum dice di avere ricevuto un’ottima accoglienza. Guglielmo di Rubruk, un Francescano Fiammingo, ha descritto nell’Itinerarium il viaggio compiuto nel 1253 per portare allo stesso Gran Khan la risposta di San Luigi IX di Francia. Un’importante Relazione ha scritto Odorico da Pordenone, anche lui un Francescano, dei 16 anni (1314-1330) trascorsi in Persia, India e Cina.

Tra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento i mercanti (soprattutto italiani) stabiliscono contatti continui con l’Oriente. Attraverso le grandi vie carovaniere, i prodotti cinesi e indiani (canfora, cannella, noce moscata, caffè...) arrivano fino all’Europa: per una cucina che fa grande uso di spezie, e specialmente di pepe, si tratta di un commercio assai redditizio – un carico di spezie rende più di un carico di qualsiasi altra merce. Ma sono viaggi lunghi, pericolosi, e costosi: i prodotti orientali giungono per mare sino in Egitto, sulle coste del Mar Rosso; qui vengono gravati di forti dazi, imposti dai Turchi che nel 1291 hanno consolidato il loro dominio nel Levante e spingono lo sguardo famelico verso l’Europa; poi, a dorso di cammello, vengono trasportati nei più importanti porti del Mediterraneo, da dove i mercanti europei li acquistano per poi rivenderli su tutti i mercati dell’Occidente. Si pensa perciò, soprattutto nei grossi centri mercantili come Genova e Venezia, di raggiungere direttamente l’India (acquistando così i prodotti più a buon mercato) via mare costeggiando l’Africa, fino alla sua punta estrema, e poi puntando verso Oriente: ad alcuni l’impresa non sembra difficile, perché suppongono che il continente africano non sia vasto com’è nella realtà e che in poco tempo possa giungersi alla sua estremità. Per altri, il tentativo sarebbe del tutto pazzesco ed irrealizzabile.

Due fratelli genovesi, Ugolino e Vadino (o Guido) Vivaldi, commercianti e navigatori, progettano un’impresa incredibilmente ardita: dato che le inesatte carte geografiche dell’epoca riportano, sul Continente Africano, alcuni grossi fiumi che lo attraversano quasi completamente da Est ad Ovest, sfociando nell’Atlantico, il loro proposito è di imboccare uno di questi fiumi e risalirlo verso Est, attraversando il Continente Africano fino in prossimità dell’Oceano Indiano; di lì si potrebbe proseguire o trasportando le navi, o affittandone altre, o imbarcandosi su qualche nave indigena. Nel maggio del 1291 due navi da carico, l’Allegranza e la Sant’Antonio, lasciano il porto di Genova per recarsi (come racconta il cronista del tempo Jacopo Doria) «attraverso lo Oceano nelle Indie, onde portare di là merci utili». Le due navi fanno tappa nei porti di Barcellona, Valenza, Almerìa, oltrepassano lo Stretto di Gibilterra; sostano ancora a Cadice, poi costeggiano le coste africane fino al capo Yubi, per raggiungere le Isole Canarie (già scoperte qualche anno prima dai Genovesi) e di lì spingersi verso Sud. Esse sono scorte per l’ultima volta al largo di Gozora, all’altezza del capo Yubi... poi, più niente. Il viaggio dei Vivaldi entra per sempre nel mistero. Qualcuno ha ipotizzato che le navi siano state distrutte da una tempesta nei pressi del capo Yubi; altri (ipotesi più probabile, accettata dai contemporanei) che esse siano state catturate dai Berberi, anche per il fatto che il Marocco è in guerra con Genova, e gli equipaggi siano stati condotti all’interno. Il figlio di Ugolino, Sorleone, qualche anno dopo sbarca a Magador, nel Marocco, in cerca del padre; ma di lui non troverà traccia. Altri Genovesi, più fortunati, approdano all’inizio del XIV secolo a Madera ed alle Azzorre.

È col Quattrocento che comincia a nascere una marina moderna: Enrico il Navigatore (1394-1460), erede al trono del Portogallo, fonda la prima scuola navale e progetta l’esplorazione delle coste occidentali dell’Africa. Il suo scopo è triplice: combattere l’Islam, nello spirito della «Reconquista»; riprendere il possesso della Terra Santa con l’aiuto del leggendario Regno Cristiano del Prete Gianni in Abissinia; stabilire scambi diretti con i mercanti d’oro e di schiavi dell’Africa Orientale. Le sue flotte si avventurano per l’Oceano, raggiungono Capo Verde (doppiato nel 1445 dal Veneziano Alvise di Ca’ da Mosto e dal Genovese Antoniotto Usodimare), scoprono le foci del Senegal, oltrepassano l’Equatore. Con la morte di Enrico, i viaggi non cessano. Bartolomeo Diaz, dopo una navigazione tempestosa, sbattuto da onde altissime, nel 1487 tocca la punta meridionale dell’Africa, il «Capo delle Tempeste» che il Re del Portogallo ribattezza «Capo di Buona Speranza». Nel 1498, con tre navi e 150 uomini, Vasco da Gama apre la via marittima per le Indie.

Le esplorazioni geografiche

Mentre il Portogallo va gettando le basi del suo futuro Impero Coloniale, in Italia fervono le discussioni geografiche e matematiche. A Firenze, il centro della cultura del tempo, nel convento dei Domenicani, si riuniscono molti scienziati ed eruditi: Giorgio Antonio Vespucci, Zenobio Acciaiuoli, Paolo dal Pozzo Toscanelli sono fra i principali. Nel circolo c’è anche il nipote di Giorgio Antonio Vespucci, un ragazzo vispo e intelligente: si chiama Amerigo Vespucci, e il suo nome, nel giro di alcuni anni, sarà destinato a correre (non del tutto meritatamente) per il mondo.

Prima di proseguire, bisogna fare una precisazione: su molti testi si legge ancor oggi che, prima della scoperta dell’America, i geografi del Medioevo facevano le più strane ipotesi sulla forma della Terra, e la maggior parte di essi le attribuiva la forma di un disco piatto tutto circondato dall’immenso Oceano, oltre il quale si stendeva lo spazio infinito. Nulla di più errato: già i due più grandi geografi dell’antichità, Eratostene (III secolo avanti Cristo) e Tolomeo (II secolo avanti Cristo) avevano dimostrato chiaramente, nelle loro opere, di essere convinti della sfericità del nostro pianeta, calcolandone anche la superficie con incredibile precisione. È vero che con le invasioni germaniche del V secolo dell’Era Volgare molti testi degli antichi vennero distrutti, mentre altri rimasero confinati per anni ed anni nelle biblioteche dei monasteri; vi fu probabilmente qualche «mistico» che cercò di propagandare l’idea di un mondo piatto circondato dall’acqua, secondo le antiche credenze ebraiche; ma il sentire comune era ben diverso. Basta leggere la Divina Commedia di Dante, vera «summa» del sapere duecentesco, per accorgersene: nel suo poema, il Poeta scende nell’Inferno partendo dalla selva oscura presso Gerusalemme; arrivato al centro della Terra insieme a Virgilio, i due si voltano con fatica e risalgono dalla parte opposta fino a «riveder le stelle» ai piedi del monte Purgatorio. Un tale percorso è possibile solo se si concepisce la Terra come sferica.

Il matematico fiorentino Paolo dal Pozzo Toscanelli (1397-1482), anche lui fermamente convinto della sfericità della Terra, dopo aver meditato a lungo soprattutto sulle opere di Tolomeo, pensa che sia possibile realizzare un’impresa mai tentata da alcuno: raggiungere le terre dell’Oriente (ossia le coste del Giappone e della Cina) navigando sempre verso Occidente sulle acque dell’Oceano Atlantico. E visto che nessuno si avventurerebbe in quell’immensa e ignota distesa di mare senza sapere con precisione quanti chilometri lo separino dalla méta, Toscanelli si dà da fare per calcolare l’ampiezza del globo terrestre e l’estensione dell’Europa e dell’Asia: poiché ignora l’esistenza di altre terre oltre all’Europa, all’Asia e all’Africa, una volta conosciuta la grandezza della Terra e di quei tre continenti, un calcolo non difficile permetterebbe di scoprire l’estensione dell’Oceano Atlantico.

Dopo molti studi, Paolo Toscanelli crede di poter dare finalmente dei dati precisi: dai suoi calcoli risulta che la distanza tra Lisbona e Quinsay, in Cina, è di circa 10.000 chilometri – un percorso molto più breve di quello richiesto con la circumnavigazione dell’Africa. Nel 1474, Toscanelli disegna una carta geografica nella quale indica con precisione l’itinerario del viaggio; nello stesso anno, invia la sua carta geografica al canonico Fernão Martines di Lisbona, perché la faccia conoscere al Re del Portogallo Alfonso V. Nella lettera che accompagna la carta, Paolo Toscanelli mette in risalto i vantaggi del nuovo tragitto, scrivendo che «vi dò la dimostrazione materiale di una navigazione più breve di quella che voi fate per la Guinea. Nella mia carta sono disegnati i vostri lidi, dai quali dovrete incominciare a navigare sempre verso Occidente, e i luoghi ai quali dovreste pervenire; e quante miglia dovreste percorrere per giungere dalla città di Lisbona fino alla nobilissima e grandissima città di Quinsay». Ma Alfonso V ritiene troppo rischioso un simile viaggio e non prende in considerazione la carta e la lettera del geografo fiorentino.

Vent’anni dopo, le idee e la lettera di Toscanelli giungono all’orecchio anche di un oscuro marinaio: si chiama Cristoforo Colombo ed è nato a Genova nel 1451 da una povera famiglia di tessitori. Ha al suo attivo molti viaggi nel Mediterraneo; suo fratello Bartolomeo è cartografo in Portogallo. Cristoforo è un uomo taciturno, scontroso, privo di amicizie, tutto preso dalla sua idea: giungere alle Indie non attraverso il periplo dell’Africa, ma con una navigazione verso Ovest, come proposto da Toscanelli. (In realtà, i calcoli di Toscanelli non erano esatti: la reale distanza in linea d’aria da Lisbona a Quinsay è di oltre 19.000 chilometri! L’errore stava nel fatto che il geografo fiorentino aveva considerato maggiore del reale l’estensione longitudinale dell’Asia, e quindi veniva a diminuire la distanza oceanica tra le coste iberiche e quelle asiatiche. Possiamo pensare che se Cristoforo Colombo fosse venuto a conoscenza della reale distanza tra Lisbona e la Cina, ignorando l’esistenza di un continente intermedio, avrebbe dubitato dell’opportunità di avventurarsi in una navigazione che per le navi di quei tempi doveva apparire addirittura assurda. Si deve quindi all’errore di Toscanelli se gli Europei posero piede nel Continente Americano!). Così, se fino alla metà del XV secolo l’attività commerciale e culturale dell’Europa è incentrata sul Mediterraneo, il «mare nostrum» degli antichi Romani, ora acquista importanza l’Atlantico, su cui s’affacciano Portogallo e Spagna: ma saranno Italiani come Cristoforo Colombo e i Pessagno di Genova (che hanno titolo ed ufficio di Almirante Maggiore in Portogallo) a dar loro il dominio sull’Oceano.

(marzo 2016)

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