Quei dodici sacchi di riso
L’inizio della coltivazione del riso nella provincia di Ferrara: un «regalo» di cui i benefici, a secoli di distanza, continuano a proseguire

Le civiltà dell’Asia Sud-Orientale conobbero e coltivarono il riso fin dal terzo millennio avanti Cristo, tanto che furono definite le «civiltà del riso», appunto, che risolse una buona parte del problema della fame. Con Alessandro Magno il riso raggiunse le coste del Mediterraneo e in Egitto ebbe un grande sviluppo; più tardi si estese alla Sicilia e alla Spagna. Nel XIV e nel XV secolo dopo Cristo entrò come ingrediente nei ricettari europei, però sempre come alimento destinato a sfamare i poveri. Infatti, era ritenuto una spezia adatta a certe cure terapeutiche e usata solamente dagli speziali, cioè da coloro che, nelle loro botteghe, preparavano medicine e vendevano spezie e piante medicinali. Notizie sul riso in Italia si trovano in documenti della fine del XIV secolo. Si sa che la prima risaia fu avviata nel 1468, però bisogna attendere il 1475 per avere la certezza che le risaie erano in produzione.

Che nella provincia di Ferrara si coltivi riso, anche se la località è meno nota di altre, non è una novità. Infatti, quel cereale fece la sua comparsa nella Bassa Padana già nel XV secolo, con una produzione di eccellente qualità. È abbastanza frequente la piccola scorta di riso locale che ne fanno i vacanzieri quando, una volta finite le vacanze, tornano ai loro lidi. Ma, andando con ordine, si ritorna a quel secolo, precisamente al giorno 27 settembre del 1475. Si racconta che nelle vicinanze di Porta Ticinese, a Milano, si videro passare dei carri che trasportavano sacchi di riso, accompagnati lungo il loro percorso da una folla di curiosi, probabilmente affamati. Quel riso, suddiviso in dodici sacchi, era un regalo di Galeazzo Maria Sforza al Duca di Ferrara Ercole I d’Este, al quale aveva inviato una lettera nella quale preannunziava l’arrivo di quella merce speciale, perché costituita da una semenza del tutto particolare della quale declamava una grande virtù in tavola. Il riso fu trasportato via terra, giacché le vie d’acqua erano ritenute molto pericolose, anche se le altre non garantivano un tragitto sicuro. Infatti, la scorta fu nutrita. Si deve ricordare che a quei tempi la quantità di dodici sacchi di riso di qualità poteva rappresentare una piccola fortuna. Il produttore del riso, Giuliano Guascono, si privò a malincuore di quel tesoro solamente per accontentare il suo Signore; del resto non poteva fare diversamente giacché, come si dice, «ubi maior» con quel che segue ed egli non poteva assolutamente fargli un torto, anche perché aveva ricevuto l’ordine per iscritto.

La coltivazione del riso avviata in Lombardia fu un importante aiuto alla popolazione sofferente per una denutrizione cronica. È vitale, quindi, l’impulso che diede Ludovico il Moro alla coltivazione di questo cereale, nel 1489, allargando le aree adibite alla sua coltura. Era una decisione non condivisa da tutti, giacché, a differenza di come lo coltivavano gli Arabi, si dovevano allagare i campi, contribuendo alla formazione di acquitrini, con giustificate riserve sull’igienicità dell’operazione. E invero chi era contrario alla coltivazione del riso non aveva tutti i torti, perché i casi di malaria si moltiplicarono; ma considerando che i guadagni dal riso erano molto più alti di quelli degli altri cereali noti e coltivati in quell’epoca, tutto sommato forse il danno era inferiore ai benefici che ne potevano derivare, sia perché la crisi alimentare in cui si dibatteva la gente in tutto il Mediterraneo, dove l’accaparramento di viveri era veramente precario, era radicata, sia perché la malaria non era sola, per il fatto che a lei si accompagnavano malattie varie e la peste. Insomma, i contrari alle risaie furono zittiti, giacché egoisticamente si poteva ritenere che esse fossero quel «medicamento balsamico» atto a dare un aiuto sostanziale alla gente malata di fame e denutrizione. Da quanto si intende, sentite le notizie favorevoli che provenivano dalla Lombardia, era nell’animo del Duca Ercole continuare l’opera del predecessore Borso, che aveva avviata la bonifica del territorio ferrarese. In concreto, intendeva dare un contributo attivo a combattere la fame che, purtroppo, circolava anche fra la sua gente e, nello stesso tempo, di dare un aspetto migliore al suo scassato e malridotto territorio, a causa soprattutto delle guerre e delle pestilenze; da non scordare che nella Pianura Padana Orientale non si trattava di creare risaie, perché bastava adeguare le lagune esistenti per ottenerle e, con la loro presenza, la malaria regnava sovrana. In quel periodo, si è nel XV secolo, la preziosa semenza era ancora importata, e pagata profumatamente, dall’Africa e dalla Spagna.

Come si è detto, i dodici sacchi di riso sono pervenuti da Milano a Ferrara nel 1475; ebbene, nel 1495, vent’anni dopo, il Direttore della Biblioteca di Modena del Duca Rinaldo I d’Este, Ludovico Muratori, ebbe a dire che a Ferrara si vendeva il riso del Polesine «soltanto» a quattro quattrini alla libbra, il che significa che la produzione era talmente elevata e che gli affari andavano tanto bene da fare crollare le quotazioni. Lo stesso accadde anche in altre zone della Pianura Padana, ma ciò che conta, oltre al successo agronomico e quello economico conseguente, è che è avvenuta una vera e propria simbiosi di carattere ambientale.

Il Delta del Po è un territorio di origine recente, «terra giovane» si dice, dove le inondazioni sono all’ordine del giorno. Per fortuna, dopo i danni provocati dall’alluvione del 1951, non si sono verificati eventi nefasti. Ed è proprio per ovviare agli stessi che l’uomo previene la natura da un lato badando a disciplinare i suoi corsi d’acqua fornendoli di solidi argini e dall’altro a provocare le inondazioni con la sommersione periodica dei suoi campi, equilibrando gli effetti negativi delle opere di bonifica. Nel territorio ferrarese è abbondante la presenza della torba, dovuta alla mineralizzazione dei vegetali, più che altro erbe di palude, avvenuta nel corso dei millenni. È un carbone in fase di formazione che, a cielo aperto, si ossida e si disidrata, riducendo notevolmente il suo volume. Quindi, in ambiente asciutto lo sgonfiamento della torba associato alla subsidenza geologica del suolo ferrarese ne comportano un notevole abbassamento. Insomma, con l’allagamento preziosissimo delle risaie si riesce ad avere alcuni vantaggi di tutto rilievo, giacché si blocca il costipamento del suolo, compensandolo, si frena l’ossidazione, si tende ad azzerare l’acidità del terreno e, da non sottovalutare, si blocca la risalita del cuneo salino, che tende a penetrare profondamente provenendo dal vicino Mare Adriatico, spingendosi sotto la falda freatica. In definitiva, i Duchi Estensi si trovarono a disposizione un mezzo di tutto respiro, che consente di aiutare a combattere la fame del loro popolo da un lato e di equilibrare pedologicamente i propri terreni tanto da poter completare le bonifiche in atto, dando loro un assetto duraturo nel tempo.

Adesso, sono circa 9.000 gli ettari coltivati a riso nel Delta del Po.

Per terminare, forse non è male riportare la definizione data dalla FAO al cereale di cui si sta trattando: «Il riso è vita!», chiarendo che circa un terzo della popolazione mondiale dipende dalla produzione di riso che, d’altra parte, si trova in una posizione di grande interesse anche in tutto il Mediterraneo, il nostro Paese compreso.

(aprile 2020)

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