Cosimo Medici e Firenze rinascimentale
Un uomo sobrio, non particolarmente colto, ma mecenate: un vero «Padre della Patria»

Quando si parla di Rinascimento, un nome s’impone alla mente: quello di Firenze, o Fiorenza, la città dei fiori. Fra il Trecento e il Cinquecento, essa darà vita ad una civiltà raffinatissima, impregnata di genio, uno dei momenti più alti dello spirito umano.

Nessuno ha mai saputo spiegare in modo del tutto convincente i motivi di questo primato. Firenze non gode di nessun vantaggio naturale, è una città piccola (ci vuole meno di un’ora a percorrere tutta la cerchia delle sue mura) al centro di un contado non particolarmente ricco: il territorio della Signoria comprende Prato, Pistoia, Pisa, Volterra, Cortona, Arezzo, e giunge fino a Sarzana; i contadini sono piccoli proprietari o affittuari che vivono in casupole di sassi e malta. Non ha materie prime. Non ha una posizione geografica privilegiata. Non ha nemmeno un grande fiume navigabile, poiché l’Arno è in secca per buona parte dell’anno.

Eppure, a Firenze già nel Medioevo nasce la grande poesia con Dante, la grande narrativa con Boccaccio, la grande erudizione con Petrarca, la grande pittura con Cimabue e Giotto, la grande architettura con Arnolfo. Se Firenze primeggia, lo si deve in gran parte al vile denaro, che permette di pagare gli intellettuali e le loro opere: la città è un centro commerciale, industriale e finanziario di primaria importanza. È a Firenze che è nata la prima industria di esportazione, quella della lana lavorata e dei panni, che giungono in tutta Europa: nel 1407 un vestito di lana passa attraverso trenta procedimenti e ciascuno di essi è eseguito da un operaio specializzato in tale lavoro. Ed è pure a Firenze che è nata l’amministrazione bancaria: dalle lettere di credito, alle cambiali, agli assegni, alle assicurazioni ed alla partita doppia. I banchieri fiorentini prestano denari a principi, a Re, perfino al Papa, ed hanno rappresentanze ed agenzie dappertutto. Questa piccola città che nel 1343 conta una popolazione di 91.500 abitanti ha, da sola, un reddito superiore a quello di tutta l’Inghilterra ai tempi della grande Elisabetta; dal XIII al XV secolo Firenze è la capitale finanziaria d’Europa ed è lì che, a poco a poco, vengono fissati i tassi di cambio delle varie valute. Gli Strozzi, i Rucellai, i Bardi, i Peruzzi, gli Albizzi, i Pitti, i Ricci, i Ridolfi, i Valori, i Capponi, i Soderini sono famiglie di origini borghesi e mercantili, ricchissime ed intente ad aumentare di giorno in giorno il loro capitale. Ognuna di esse tenta di influire sugli organi governativi della città a proprio vantaggio e a svantaggio delle altre: le cariche pubbliche durano pochissimo tempo e i continui mutamenti di persone al Governo, e quindi di tendenze politiche, obbligano le varie famiglie ad una vigile e studiata politica di alleanze e di contrasti.

L’esperienza comunale ha garantito tutto, fuorché l’ordine e la pace: Firenze è stata insanguinata dalle lotte intestine prima fra guelfi e ghibellini, e poi fra Bianchi e Neri, lotte che hanno fatto anche vittime illustri come Dante. Sono naufragate anche le esperienze di una Signoria soltanto politica – come il duca di Atene, Gualtieri di Brienne, nominato Signore a vita nel 1342 e cacciato l’anno successivo! – e della democrazia più popolare: il tumulto dei Ciompi (che nel 1378 sotto la guida di Michele di Lando esigono di partecipare al governo) provoca soltanto alcune settimane di anarchia. Poi ritornano al governo le «Arti» sotto la preminenza di poche famiglie.

In questo variegato ambiente, sarà una famiglia a primeggiare e a portare Firenze al suo massimo splendore: quella dei Medici. Anzi, scrive il Durant che «nel patronato della cultura nessun’altra famiglia al mondo ha mai eguagliato i Medici».

Le origini di questa storica famiglia sono oscure: pare che un ramo dei Medici, originari del Mugello, si sia inurbato nel XIII secolo a Firenze, dove alcuni di loro assumono le cariche di gonfalonieri e di priori delle arti – già nel 1201, Chiarissimo de’ Medici fa parte del Consiglio Comunale. Anche l’origine del cognome è un mistero: forse hanno appartenuto alla corporazione dei medici; nemmeno sappiamo il significato del loro stemma, sei palle rosse in campo d’oro (questo numero, ridotto a tre, diverrà poi l’insegna di chi presta denaro contro pegno). Nella seconda metà del XIV secolo, i Medici parteggiano con il popolo minuto contro l’oligarchia aristocratica. Averardo de’ Medici, con un commercio azzardato e un’ottima amministrazione, forma la sostanza della famiglia, ma le vere fortune dei Medici cominciano con Giovanni di Bicci de’ Medici (appartenente al ramo di Cafaggiolo, destinato a diventare signorile), estraneo alla politica e dedito unicamente al commercio, fondatore della banca medicea. Alla sua morte, nel 1429, lascia il suo patrimonio, ammontante a 179.000 fiorini d’oro (un fiorino pesa 3,53 grammi d’oro) al figlio primogenito Cosimo, oltre a numerose aziende industriali e commerciali in Italia e all’estero, che lo rendono il principale banchiere di Firenze.

Cosimo nasce a Firenze nel 1389. Ben poco sappiamo della sua vita nel tempo della giovinezza: viaggia spesso col padre, e più avanti da solo, per visitare le varie filiali e case commerciali. Si sposa con una contessina Bardi che gli dà due figli, Piero e Giovanni; avrà un figlio illegittimo da una schiava, ma poi condurrà una vita familiare tranquilla e normale.

Morto il padre, Cosimo, già quarantenne, si trova a capo di una grande casa commerciale che tratta affari ovunque. Si dimostra perfettamente all’altezza della situazione, anzi aumenta il giro d’affari, impianta nuove case e filiali all’estero. Sotto la sua direzione lavorano manifatture di lana e seta, uffici appositi provvedono ad importare dall’Oriente merci che vengono vendute in molti Paesi Europei: si tratta di merci di poco volume ma di grande pregio come spezie, mandorle e zucchero. Commercia dalla Russia alla Spagna, dalla Scozia alla Siria, dall’Islam alla Cristianità: stringe accordi e scambia ricchi doni persino con i Sovrani Turchi. Non solo fa entrare in città molto denaro, ma si permette persino di pagare le guerre di tasca propria, come quella contro Lucca, che vince senza appesantire il bilancio dello Stato.

Mentre dirige tutte queste attività, Cosimo trova anche il tempo di dedicarsi alla politica.

Ma la sua popolarità suscita l’invidia di molti importanti personaggi e, nel 1433, Rinaldo degli Albizzi lo accusa di volersi eleggere dittatore e lo fa arrestare. Dopo venti giorni di prigionia, non riuscendo a farlo condannare a morte, lo costringe ad un esilio di dieci anni.

Cosimo se ne va in silenzio dalla città e si ritira a Venezia, dove viene accolto con tutti gli onori dalle autorità veneziane e può vivere da gran signore. Si è già premunito contro il pericolo di una rovina finanziaria: non solo i suoi affari vanno a gonfie vele, ma nella città lagunare acquista amici preziosi.

L’anno seguente, il 1434, a Firenze viene eletta una Signoria favorevole ai Medici e Cosimo – sotto le pressioni veneziane – viene richiamato. Rinaldo è bandito dalla città e Cosimo viene accolto dal popolo acclamante.

Malgrado le ricchezze, è sobrio: si alza presto la mattina, va a dormire presto la sera, veste con semplicità, mangia e beve con moderazione, ama la vita di campagna e si ritira spesso nella sua villa, pota gli alberi e cura le vigne; per se stesso non desidera mettersi troppo in vista, né tanto meno esibirsi all’ammirazione del prossimo. Ma come invito alla cortesia ed alla pace imbandisce festini sontuosi ai dignitari stranieri. Botticelli, Pontormo e Benozzo Gozzoli lo raffigurano come un uomo di media statura, dal volto olivastro e marcato, i capelli grigi buttati all’indietro, gli occhi fondi e penetranti, e un naso in rilievo e a tutto sbalzo; l’aspetto grave e piacevole tradisce l’accortezza del saggio e la calma del forte. Si mostra come un uomo mite, tollerante, tranquillo, riservato e tuttavia noto per il suo spirito mordace; è generoso verso i poveri, paga le tasse degli amici in difficoltà finanziarie e nasconde le sue elargizioni sotto l’anonimato. In parte questo suo atteggiamento è dovuto anche a calcolo: sa che i suoi concittadini comincerebbero ad invidiarlo e poi ad osteggiarlo se ostentasse potenza e ricchezza.

Cosimo Medici

Benozzo Gozzoli, Cosimo il Vecchio sulla mula bruna (dettaglio), Cappella dei Magi, Palazzo Medici Riccardi, Firenze (Italia)

Per trent’anni Cosimo, pur senza ricoprire alcuna carica pubblica (è Gonfaloniere, cioè capo rappresentativo del Governo all’estero, per due bimestri soltanto), esercita la sua influenza decisiva sulla politica interna ed estera di Firenze. Specialmente la politica estera è guidata dal suo cervello e dal suo denaro: non vi è uomo meglio informato di lui delle attività e delle condizioni dei vari Stati, grazie alle sue agenzie e filiali sparse per il mondo (ha banche non solo nelle principali città italiane, ma anche a Lione, a Londra, ad Anversa, perfino a Lubecca sul Mare del Nord).

Per poter dirigere i suoi affari liberamente e governare altrettanto liberamente, pur tenendo per sé solo cariche secondarie, Cosimo si fa anzitutto amico della grande massa del popolo al quale elargisce spesso donazioni e fra il quale sceglie coloro che devono occupare i pubblici impieghi. Riesce inoltre a liberarsi dei ricchi più in vista. Tutti i membri del Governo, tutti coloro che occupano posti chiave sono suoi amici e basta un suo consiglio, o meglio ordine, perché applichino delle tasse ingenti sui patrimoni di questi ricchi per poterli rovinare o comunque rendere innocui. Non sono certo metodi democratici ma la politica, egli sostiene, non si può fare col sentimento («Gli Stati non si governano coi paternostri»). Del resto Cosimo agisce per il bene della sua patria e – beninteso! – per la sicurezza della sua borsa. Apparentemente, la Repubblica è ancora indipendente: in realtà, la forza del denaro dei Medici la regge in pugno.

È anche un abile diplomatico: sa che la guerra, in atto o imminente, inceppa il progresso del commercio e capisce che il destino dell’Italia è condizionato dall’equilibrio fra le quattro grandi potenze della Penisola (Milano, Venezia, Firenze e Napoli). Cerca quindi con ogni mezzo di rafforzarlo: questa sarà la politica dei Medici fino alla fine del Quattrocento.

Cosimo, a differenza di altri Signori, non ama le guerre, ma le lettere, lo studio dei classici, la filosofia e l’arte. Pur non essendo particolarmente colto, sa bene il latino e ha qualche nozione di greco, di ebraico e di arabo. Comincia con lui la tradizione mecenatesca dei Medici, che nel Rinascimento farà di Firenze l’Atene d’Italia: concede denaro a monasteri, chiese, conventi, fa costruire monumenti grandiosi che abbelliscono e arricchiscono la città; ospita nel suo palazzo di Via Larga artisti, poeti e filosofi, li mantiene col suo denaro – Brunelleschi, Donatello, il Beato Angelico, pittori e scultori potranno lavorare senza preoccupazioni. Istituisce l’Accademia Platonica, apre gratuitamente ad insegnanti e studenti le biblioteche (compresa la sua personale) e quando il più grande bibliofilo del tempo, Niccolò de’ Niccoli, si rovina completamente per acquistare manoscritti greci, Cosimo gli apre un credito illimitato presso la sua banca; alla morte del Niccoli, rileva per 6.000 fiorini gli 800 testi che il bibliofilo ha raccolto, per regalarli quasi tutti alla biblioteca del convento di San Marco. Spende gran parte delle sue ricchezze nella raccolta di testi antichi, cosicché i carichi più costosi delle sue navi consistono in casse di manoscritti provenienti dalla Grecia e da Alessandria, e ingaggia 45 copisti per trascrivere tutti quei manoscritti che non possono essere comperati. Per soli lavori pubblici ed opere di carità, Cosimo sborserà 400.000 fiorini, quasi il doppio della somma che lascerà ai suoi eredi.

Nel 1439 si trasferisce a Firenze il concilio iniziato a Ferrara, che riunisce, sia pur per breve tempo, la Chiesa d’Oriente alla Chiesa Latina: vi prendono parte circa 700 Greci, sotto la guida dell’Imperatore Giovanni VII Paleologo, il Patriarca di Costantinopoli Giuseppe e il Metropolita di Nicea Bessarione. Sono alloggiati come ospiti graditi, e l’élite fiorentina si reca in folla ad ascoltare le loro conferenze. Quando Costantinopoli cadrà nelle mani dei Turchi, molti Greci troveranno rifugio nella città che li aveva così ben accolti quattordici anni prima: porteranno con sé i manoscritti di testi antichi e discuteranno della lingua greca, della poesia e della filosofia elleniche. Anche per questo il Rinascimento prende consistenza a Firenze.

Negli ultimi anni di vita, Cosimo soffre spesso di gotta; ciononostante, fino all’ultimo dirige con abilità straordinaria le sue innumerevoli attività private e pubbliche. Quando muore, nel 1464, tutta la città lo piange, e lo piange sinceramente. La Signoria, conscia della grandezza di quest’uomo e di quanto egli abbia fatto per Firenze, fa incidere sulla sua tomba il titolo di «Padre della Patria». Un titolo che Cosimo s’è meritato. In pieno!

(febbraio 2015)

Tag: Simone Valtorta, Italia, Rinascimento, Firenze, Cosimo Medici, Quattrocento, Arno, Toscana, mecenatismo, famiglia Medici, amministrazione bancaria, Strozzi, Rucellai, Bardi, Peruzzi, Albizzi, Pitti, Ricci, Ridolfi, Valori, Capponi, Soderini, Gualtieri di Brienne, tumulto dei Ciompi, Chiarissimo de’ Medici, Averardo de’ Medici, Giovanni di Bicci de’ Medici, Rinaldo degli Albizzi, Benozzo Gozzoli, Accademia Platonica, Niccolò de’ Niccoli, Giovanni VII Paleologo, Concilio di Ferrara, Chiesa Latina, Chiesa d'Oriente, Padre della Patria.