La Cappella del Pontano e le sue riggiole
Un′arte «calpestabile», nata nel Rinascimento, che a Napoli è fiorita producendo capolavori

Gironzolando per la suggestiva Via dei Tribunali, antico decumano maggiore, mi sono imbattuta nella Cappella del Pontano finalmente riaperta al pubblico dopo un bel restauro, che ha interessato anche la chiesa di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta, non potevo farmi scappare l’occasione di visitare questo piccolo gioiello rinascimentale che custodisce un prezioso pavimento maiolicato. Andiamo insieme a scoprirlo.


La Cappella del Pontano e il suo meraviglioso pavimento maiolicato

La Cappella del Pontano, come accennato, si trova annessa alla chiesa di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta, ha però un ingresso autonomo, è una cappella privata voluta da Giovanni Pontano nel 1492 per ospitare la memoria della moglie Adriana Sansone morta nel 1490.

A chi si affidò Giovanni Pontano per realizzare questo elegante esempio di architettura rinascimentale non si sa, vengono solitamente fatti i nomi di due personalità molto attive presso la Corte Aragonese e sono il Senese Francesco di Giorgio Martini e il monaco Fra’ Giovanni Giocondo da Verona, maggiori informazioni si hanno solo sul committente.

Giovanni Pontano era un alto dignitario della Corte Aragonese, insigne letterario e grande conoscitore della cultura classica tanto che si ispirò proprio alla cultura pagana per realizzare questo piccolo tempio funerario, in apparenza, pagano.

Egli rivestì le pareti e il pavimento interni di epigrafi sia antiche sia dettate dal committente stesso e realizzate «alla maniera antica»; la cultura classica riecheggia anche lungo le pareti esterne che sono state ripartite da lesene su cui si aprono delle piccole finestre con ornie in marmo, lastre di marmo con iscrizioni latine decorano gli spazi tra le lesene. Iscrizioni dedicate alla moglie e gli stemmi delle due famiglie sono poste sopra le due porte d’ingresso.

Alla ricchezza di iscrizioni si contrappone una semplicità interna, la cappella è a pianta rettangolare e coperta da volte a botte, dedicata, oltre alla moglie, alla Madonna con San Giovanni Battista e Giovanni Evangelista raffigurati nell’unico affresco presente nella cappella e che è stato attribuito a Francesco Cicino da Caiazzo (1492), presenta influssi di natura umbro-romana.

Nel 1759, per volere di Carlo di Borbone, la cappella fu restaurata da Giacomo Martorelli il quale decise di rimuovere dal pavimento tutte le iscrizioni e le ricompose nelle pareti. Ricostruì l’altare in tarsie marmoree realizzate secondo il gusto del tempo.

Di questa piccola cappella, personalmente, trovo bellissimo il pavimento maiolicato realizzato nel 1492 dalle attivissime officine napoletane.

Lo stile di questo prezioso pavimento risente dell’influenza sia della cultura islamico-bizantina che di quella valenziana. Il pavimento è una bellissima distesa di ottagoni dove in ogni formella troviamo motivi decorativi diversi, nel tozzetto centrale è disegnato sia lo stemma della famiglia del Pontano – ponte con due arcate – alternato a quello della moglie – Ercole che abbatte un leone –, mentre nelle formelle esagonali laterali troviamo motivi geometrici, vegetali, profili virili, cartigli e animali.


La riggiola napoletana: altro che arte minore

Il pavimento maiolicato della Cappella del Pontano mi offre l’occasione di parlare di questa «arte minore» e funzionale presente a Napoli e nel Sud Italia – qui mi limito a una rapida sintesi rimanendo saldamente ancorata ai vicoli napoletani –.

Non vi nascondo che amo ricercare le riggiole negli angoli più nascosti dei pavimenti restaurati e fotografarle. Sono piccole e colorate testimoni di un’arte perduta a metà perché grazie a tenaci maestri sopravvive nell’arte vietrese e amalfitana, a Massa Lubrense, Capri, Ischia, nella Penisola Sorrentina, solo per elencare i centri di produzione campana ma centri di produzione si trovano anche nel resto del Meridione.

Alfonso V d’Aragona fu l’artefice della venuta a Napoli, e nel Meridione, di questa particolare tecnica per smaltare e decorare la terracotta.

Una volta insediatosi come nuovo Re cercò di riprodurre a Napoli la bellezza dei palazzi di corte nobiliari spagnoli, chiamò quindi i maestri spagnoli per istituire anche in città delle fabbriche di «rajoletes pintadas».

Come accennato, per il pavimento maiolicato della Cappella del Pontano, i primi esempi di quest’arte calpestabile risentono dell’influenza arabo-bizantina perché sono stati i Mori conquistatori della Spagna a riportare in Occidente tale perduta arte. È grazie a loro che furono aperte le prime fabbriche di tegole smaltate chiamate dagli Spagnoli «zulejos», «tegola verniciata», caratterizzate dal tipico colore blu cobalto «azul». Come si sia trasformata in «riggiola» non è del tutto chiaro, sicuramente tale termine è stato usato nel 1450, anno in cui Alfonso d’Aragona diede inizio alla produzione napoletana di questa particolare ceramica smaltata spagnola.

Sin da subito, quindi, il termine riggiola indicò la piastrella artigianale in terracotta maiolicata e decorata a mano e con il termine riggiolario l’artefice della messa in posa di questi pavimenti particolari.

Per un breve periodo la produzione napoletana e quella d’importazione spagnola condivisero lo stesso mercato ma nel giro di pochissimo tempo la riggiola napoletana si impose subito per la forte personalizzazione dei decori e per la particolare tecnica di produzione.

L’uso però di piastrellare gli interni degli edifici non è spagnola bensì legata alla cultura islamica la cui influenza determinò anche la diffusione di un determinato repertorio ornamentale ispirato alle forme geometriche e vegetali, si riproducevano così i preziosi tappeti orientali.

Dal XV al XX secolo tale arte pavimentale si diffuse grazie alle chiese, ai monasteri, ai chiostri, alle case nobiliari e alle residenze di Corte che furono i principali committenti e i principali artefici del progressivo cambiamento iconografico.

Infatti pavimenti realizzati tra il XV e il XVI secolo erano ancora influenzati dal tradizionale repertorio ispano-moresco caratterizzato da stemmi gentilizi, simboli araldici, ritratti di profilo dipinti nei tozzetti centrali della mattonella, mentre temi vegetali, zoomorfi e geometrici incorniciavano il motivo centrale, come testimonia benissimo il rinascimentale pavimento della Cappella del Pontano.

Con il tempo la scultura e l’arte esercitarono la loro influenza sui committenti i quali imposero ai riggiolari la realizzazione di scene figurative sempre più articolate tanto da arrivare, tra il XVIII e il XIX secolo, alla realizzazione di pavimenti monumentali su cui sono raffigurate scene complesse e fortemente simboliche come ad esempio il bellissimo pavimento del Museo di Paleontologia o il chiostro di Santa Chiara, il «top» raggiunto da quest’arte calpestabile.

Per realizzare tali capolavori gli artisti, gli architetti e i riggiolari iniziarono a collaborare e per soddisfare le domande sempre crescenti nacquero nuove fabbriche che si raggrupparono nella zona, per far capire anche al non Napoletano, tra il Corso Umberto e Via Marina partendo dal Forte del Carmine, zona scelta per la presenza del Sebeto, incanalato, si usava la sua acqua per produrre e smaltare la terracotta, e il porto, per poterli poi trasportare altrove.

Le riggiole, disposte a spina di pesce, furono usate anche per ricoprire le numerosissime cupole delle chiese napoletane il cui smalto lucido, resistente alle intemperie, riverberava al sole creando suggestivi giochi di luce, ma a causa dei bombardamenti del ’43 ne sono sopravvissute pochissime, vi invito a scoprirle e a fotografarle.

L’Ottocento fu un secolo di grandi cambiamenti; influenzate particolarmente dall’ascesa della borghesia, le riggiole uscirono dai luoghi sacri per ornare soprattutto le residenze private e per fronteggiare il nuovo mercato, grazie alla rivoluzione industriale, la produzione fu parzialmente meccanizzata; risale al 1825 il Real Decreto di Francesco I di Borbone che introdusse l’obbligo del marchio di fabbrica sui prodotti del Regno per favorire le esportazioni anche oltreoceano.

Dopo l’Unità d’Italia e dopo un ulteriore cambiamento nella produzione industriale sempre più meccanizzata, la produzione artigianale delle riggiole napoletane non riuscì a tenere il passo, iniziò il suo declino ma, come accennato all’inizio, fortunatamente sopravvivono ancora alcuni centri di produzione artigianale dove non si producono più solo riggiole ma tanti piccoli e preziosi capolavori in ceramica smaltata.

Articolo in media partnership con polveredilapislazzuli.blogspot.it
(settembre 2019)

Tag: Annalaura Uccella, Cappella del Pontano, Napoli, arte del Rinascimento, chiesa di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta, Giovanni Pontano, Adriana Sansone, Francesco di Giorgio Martini, Fra’ Giovanni Giocondo da Verona, Francesco Cicino da Caiazzo, Carlo di Borbone, Giacomo Martorelli, pavimento maiolicato, riggiole napoletane, Alfonso V d’Aragona, Francesco I di Borbone, arte rinascimentale, ceramica smaltata.