Storia del Giappone moderno
Un Paese superficialmente occidentalizzato come gli altri Paesi Asiatici, per un lungo periodo si diede istituzioni scarsamente liberali

Per molti secoli il Giappone è stato un Paese influenzato culturalmente dalla Cina e dalle idee confuciane, la rigida divisione in classi sociali, la responsabilità collettiva per reati commessi da singoli, il senso della sottomissione verso le autorità e un sistema di punizioni durissimo costituivano aspetti fondamentali della società. Era presente il Buddismo rivolto fortemente alla vita ultraterrena e lo Shintoismo più portato alla valorizzazione del mondo reale e al rafforzamento delle istituzioni. L’Imperatore era considerato un essere divino ma di fatto vedeva i suoi poteri ridotti a quelli cerimoniali, il potere effettivo veniva esercitato dallo Shogun, il capo militare, mentre a livello locale governavano i daimyo simili ai nostri feudatari che in alcuni periodi divennero indipendenti. Il Paese era estremamente chiuso ai contatti con l’esterno, tuttavia a metà dell’Ottocento gli Americani e successivamente le altre potenze europee ottennero il diritto a stabilire delle basi commerciali. Tale innovazione provocò dei gravi contrasti nella società, una parte dei samurai (guerrieri legati ai daimyo) diedero vita al movimento del sonno-joi («venerare l’Imperatore, respingere i barbari») accusando il regime shogunale di aver stipulato dei trattati commerciali nel 1858 che ponevano il Paese in una condizione di subordinazione alle potenze occidentali, fomentando attentati contro gli stranieri e le stesse ambasciate. Una breve guerra civile condotta da milizie popolari portò nel 1869 alla sconfitta definitiva dello Shogun Tokugawa e all’affermazione del potere imperiale.

Negli anni immediatamente successivi il potere dei daimyo venne fortemente ridimensionato, divennero governatori locali con poteri pubblici per un breve periodo, successivamente vennero istituite prefetture sul modello occidentale. Nello stesso periodo vennero aboliti i ceti ereditari di epoca feudale e abolita, per lo meno sul piano legale, la discriminazione del ceto emarginato degli Eta (gli uomini che lavoravano con animali o esseri umani morti). L’occidentalizzazione della società procedeva veloce, l’economia progrediva notevolmente in maniera abbastanza simile a quella dei Paesi Occidentali, anche se sul piano politico come negli altri Paesi Asiatici indipendenti (Turchia, Iran, Cina) i cittadini disponevano di un peso politico molto limitato. Questa tendenza ad assimilare i costumi occidentali fu comunque molto limitata sul piano politico, nel 1875 si ebbe una legge per limitare il diritto di espressione e cinque anni più tardi restrizioni alle riunioni e manifestazioni pubbliche. Nel 1877 si ebbe la rivolta dei samurai che vedevano il loro ruolo nella società fortemente ridimensionato, ma alla fine dovettero adeguarsi divenendo burocrati o capi di importanti aziende pubbliche o formalmente private (le zaibastu, attive nel settore dell’industria pesante con scarso beneficio per la popolazione). Anche all’interno delle aziende, nonostante la presenza di tecnici occidentali, si mantenne uno spirito di disciplina e obbedienza simile ai codici di comportamento samurai. Si creò fra le classi superiori un potente partito liberale che in contrasto con l’oligarchia militare intendeva realizzare uno stato sul modello britannico, mentre i contadini si davano alle rivolte soprattutto contro la coscrizione e il pesante carico fiscale, nacque un partito socialista (1882) che promosse manifestazioni violente e gruppi anarchici terroristi, ma il potere dei nuovi militari originari anche da famiglie non nobili prese il sopravvento, «fukoku kyohei» («Paese ricco ed esercito forte») fu lo slogan usato nell’era Meiji (1868-1912). Nel 1889 venne promulgata la Costituzione che confermava la sacralità della figura dell’Imperatore, prevedeva come in Austria e Germania la non responsabilità del Governo verso il Parlamento ed inoltre rese l’esercito un potere non soggetto ad alcun vincolo se non a quello dell’Imperatore. «Spirito Giapponese e Sapere Occidentale» fu il suo elemento caratteristico. Nell’anno successivo venne emanato il Rescritto Imperiale sull’Educazione che prevedeva «obbedienza filiale» verso le istituzioni, profondo rispetto per la famiglia, il sacrificio del singolo nell’interesse della Nazione. Nelle elezioni del 1892 si ebbero intimidazioni da parte degli uomini di governo e la morte di venticinque persone, mentre gli attentati politici (soprattutto contro esponenti liberali) divennero un fenomeno comune della vita politica del Paese. I primi capi politici del Paese dopo la caduta dello Shogunato (Ito Hirobumi, Kuroda Kiyotaka, Matsukata Masayoshi) provenivano dagli ambienti samurai inizialmente contrari agli Occidentali, ed erano nobili militari o comunque fortemente legati al mondo militare, contrari ai trattati ineguali stipulati in precedenza con le potenze occidentali e favorevoli alla politica espansionistica verso la Cina e la Corea, anche perché ritenevano che questi Paesi fossero in procinto di divenire soggetti all’influenza russa. Nel 1895 il Giappone sconfisse la Cina, prese il sopravvento sulla Corea ed iniziò la sua politica imperiale nel Pacifico che comportava una spesa pubblica incredibile (superiore al 50%) per le forze armate. Nel 1904 il Giappone sconfisse addirittura la Russia allargando ulteriormente i suoi domini in Manciuria, Taiwan e sull’isola di Sakhalin ma non molto tempo dopo si ebbero manifestazioni di protesta (da parte di chi riteneva i trattati di armistizio sostanzialmente rinunciatari) in cui furono uccisi un gran numero di dimostranti. Già nel 1900 il Governo promulgò la prima legge di polizia sulla sicurezza pubblica che proibiva molte attività pubbliche comprese quelle sindacali, mentre la censura proibì la traduzione in giapponese di autori occidentali ritenuti pericolosi per i costumi tradizionali. Nel 1906 si ebbero manifestazioni socialiste duramente represse, ma anche un primo governo liberale presieduto dal principe Saionji, mentre quattro anni più tardi fu costituita a livello di villaggio l’«Associazione Imperiale dei Riservisti», allo scopo di tenere la popolazione costantemente preparata alla guerra e fedele alle direttive dello stato, preservando l’ordine sociale e nel 1911 fu stabilita la «Polizia del Pensiero» incaricata di reprimere anche con la violenza gli estremisti antigovernativi per i soli reati di opinione.

Kawakami Hajime, scrittore di tendenze comuniste a sfondo religioso, pubblicò nel 1911 il Nihon dokutoku no kokkashugi (Il nazionalismo peculiare del Giappone) dove rappresentava efficacemente la società di allora: «I Giapponesi, pur disposti ad annullare se stessi nello stato, sono incapaci di farlo per qualcosa di più alto dello stato. Come risultato, gli studiosi sacrificano i loro princìpi allo stato e i monaci la loro fede. Questa è la ragione per cui noi Giapponesi manchiamo di grandi pensatori e di grandi religiosi. Lo stato è il nostro Dio, e l’Imperatore rappresenta il divino kokutai (sistema nazionale). Il nostro Sovrano incarna ciò che denominiamo la divinità astratta dello stato».

Con il nuovo Imperatore, Yoshihito, si ebbe la cosiddetta era Taisho («Grande Rettitudine»), e con essa il primo atto popolare contro l’oligarchia militare, nel 1913 i dimostranti circondarono il Parlamento e ottennero le dimissioni del Primo Ministro Katsura Taro, alto ufficiale come i suoi precedenti e contrario al potere parlamentare. La situazione politica migliorò, per quasi venti anni lo stato giapponese si resse sulle istituzioni parlamentari, si ebbe il primo Governo diretto da un non militare, il capo del partito conservatore, Hara Takashi, sotto il quale si ebbero i violenti tumulti per il riso, il politico venne ucciso nel 1921 da un nazionalista. Due anni dopo si ebbe un terremoto che distrusse Tokyo e produsse incendi disastrosi dei quali furono considerati responsabili i Coreani residenti che vennero massacrati a migliaia. Nel 1924 venne messo fuori legge il partito comunista di ispirazione sovietica. Nel 1925 si ebbero due leggi con finalità opposte, che prevedevano il suffragio universale da una parte e nuove restrizioni sulle manifestazioni del pensiero dall’altra.

Nel 1926 divenne Imperatore Hirohito che aveva manifestato la tendenza a considerarsi un Monarca Costituzionale rispettoso dei diritti del Parlamento, anche se in molti casi preferì non prendere posizione su fatti politici gravi. La sua epoca fu chiamata era Showa («Pace Illuminata») che fu tale solo di nome e coincise con un deciso peggioramento della vita politica interna e di una politica estera pesantemente aggressiva, oltre a una grave crisi finanziaria nel 1927. I Governi successivi alla morte di Hara, sebbene sostenuti da maggioranze parlamentari, furono deboli e nel 1928 l’ex Generale Tanaka Giichi, capo del partito conservatore moderato, prese alcune iniziative contro i gruppi estremisti di Sinistra e riprese sotto la pressione dei militari la politica aggressiva verso la Cina.

Nello stesso anno si ebbe un attentato promosso da militari e poco dopo l’uccisione del Primo Ministro Hamaguchi di tendenze liberali da parte di un fanatico di Destra ed infine nel 1932 l’uccisione del Primo Ministro conservatore Inukai Tsuyoshi e di altri politici nel corso di un colpo di stato ordito da giovani ufficiali e da una società segreta, «Fiore di Ciliegio», di tendenze nazionaliste socialiste. Il Primo Ministro ucciso tentava di arginare il potere dei militari che nell’anno precedente avevano occupato la Manciuria senza autorizzazione del Governo. Inukay fu l’ultimo capo di un governo civile, dopo di lui tornarono al potere gli alti ufficiali in un contesto politico diverso da quello degli anni precedenti. La crisi economica del ’29 come in altri Paesi aveva creato un clima di sfiducia verso la democrazia, gli alti ufficiali riacquisirono la loro piena indipendenza, tuttavia si presentavano divisi, il gruppo Kodoha (fazione della via imperiale) favorevole ai tradizionali valori spirituali e contrario ai grandi gruppi economici e il gruppo Toseiha (fazione di controllo), militaristi in sesso stretto favorevoli alle guerre di conquista.

Nel 1936 un gruppo di giovani ufficiali appartenenti alla Kodoha, ma comprendente anche esponenti di un gruppo politico che in qualche modo si avvicinava al fascismo, tentò un colpo di stato, ma venne fermato dalla forte reazione dell’Imperatore. Nel 1919 si era infatti formato un partito politico ad opera dello scrittore Kita Ikki vicino al fascismo, nazionalista e fortemente socialista. Tale partito si prefiggeva l’abolizione totale delle istituzioni democratiche, l’espropriazione delle terre e delle ricchezze della borghesia, oltre ad una politica di conquista coloniale, la rivalutazione delle comunità rurali e l’avversione per le idee occidentali. Nel 1937 il Governo a prevalenza militare emanò un nuovo corso di indottrinamento scolastico incentrato sull’annullamento della persona e sull’esaltazione dell’obbedienza filiale verso l’Imperatore. Nello stesso anno le truppe giapponesi occuparono una vasta parte della Cina compiendo quello che è passato alla storia come il «Massacro di Nanchino» con decine (o centinaia) di migliaia di morti, nonché stupri e torture di massa.

L’aggressione alla Cina di Chang Kay Shek provocò tensione tra Tokyo e Washington e l’avvicinamento giapponese alla Germania nazista. Negli anni successivi si alternarono Governi militari aggressivi a Governi che cercavano di conciliare politici e militari. Venne emanata una legge di mobilitazione generale che restringeva fortemente gli spazi di libertà, ampliati notevolmente i poteri della polizia e vennero sciolti i partiti, sostituiti da un’«Associazione per il sostegno al Governo Imperiale». Una certa opposizione sulla politica estera fortemente aggressiva si ebbe dai gruppi industriali favorevoli al commercio internazionale, ma senza risultati. In particolare Koki Hirota, capo di Governo non appartenente alle forze armate, tentò nel 1938 di porre fine all’aggressione alla Cina ma venne costretto alle dimissioni dai militari.

L’Imperatore cercò di favorire gli elementi relativamente moderati, l’Ammiraglio Mitsumasa Yonai e il principe Konoe Funimaro che tentarono all’ultimo momento di evitare la guerra con i Paesi Occidentali negoziando un ritiro dalla Cina e dall’Indocina, ma alla fine Hirohito cedette agli estremisti capeggiati dal Generale Tojo. Il nuovo capo del Governo immediatamente aggredì gli Stati Uniti, ma nel ’44 visto il cattivo andamento della guerra dovette dare le dimissioni, sostituito da elementi meno estremisti.

Negli anni successivi alla guerra, gli Americani per motivi politici dichiararono che l’Imperatore non era responsabile del conflitto, ma molti storici hanno, diversamente, ritenuto Hirohito pienamente responsabile di tutti i principali atti politici di quel periodo.


Bibliografia

R. Caroli, Storia del Giappone, Bari, 2004

G. F. Hudson, L’Estremo Oriente, Londra, 1967

W. G. Beasley, Il Giappone, Londra, 1967

G. Kenneth, Storia del Giappone, Terraneo, 2005.

(giugno 2017)

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