Tappe fondamentali della storia dell’aviazione
Da Icaro al convertiplano

Cominciamo con un mito. Non una favola, non una leggenda. I miti sono una cosa più seria: sono racconti che spiegano delle verità; ci sono miti che descrivono la psicologia umana meglio di Freud.

Cominciano, quindi, con un mito. Questo parla di un uomo, chiamato Dedalo, e di suo figlio Icaro. Erano stati rinchiusi nel Labirinto di Cnosso, a Creta, dal Re Minosse. Per fuggire, Dedalo fabbricò delle ali attaccando con della cera penne di uccelli alle braccia. Ma Icaro non badò alle raccomandazioni del padre di volare basso: si innalzò sempre più, avvicinandosi troppo al sole: il calore del sole fuse la cera, le penne si staccarono e Icaro precipitò nel mare, dove trovò la morte.

Questo il mito, che mostra come fin dall’antichità gli uomini abbiano sempre desiderato potersi librare nel cielo come gli uccelli. Ci sono antichi racconti e incisioni che mostrano uomini che volano grazie a macchine volanti o magici calzari; parimenti, affreschi medievali e testimonianze dell’epoca parlano di uomini all’interno di mezzi meccanici in volo. Non abbiamo però nessun motivo di credere che si tratti di ricordi di una civiltà superiore piuttosto che di «voli»... della fantasia!

In realtà, come afferma Michel Piquemal nel suo testo Fiabe mitologiche di eroi e di mostri, «Icaro è il padre dell’aviazione. […] I primi aviatori hanno iniziato a volare proprio come lui, applicando delle ali all’estremità delle braccia e lanciandosi dall’alto delle scogliere. […] Lo stesso desiderio che aveva mosso Icaro spinse […] nel XX secolo, Roald Amundsen a esplorare i poli e Albert Einstein a inventare la fissione nucleare. […] Lo scrittore latino Plinio il Vecchio (23-70 dopo Cristo) non è forse morto per aver voluto osservare troppo da vicino l’eruzione del Vesuvio?». Il volo potrebbe essere stato ispirato da questo amore dell’uomo per la scienza, per il superamento dei limiti impostigli dalla natura, per scoprire fin dove poteva spingersi. Ma il volo è anche, per eccellenza, emblema della libertà: quella libertà pura, primordiale, di poter andare dove si vuole, da cui derivano tutte le altre libertà – come non si può impedire la circolazione delle persone, così non si può impedire la circolazione delle idee, delle scoperte, delle innovazioni, del progresso umano e civile. Una libertà anche individuale, sintetizzata in modo mirabile da Miyazaky, il maggior regista di «anime» (film di animazione giapponesi; tra i più famosi, Nausicaa della Valle del Vento e Laputa – Il Castello nel Cielo): in Porco Rosso, all’invito dell’ufficiale fascista Ferrarin di rientrare nell’aeronautica militare («Noi voliamo ora per concetti quali “popolo” e “nazione”»), Mario – il protagonista – risponde: «Io volo solo per me stesso», ribadendo l’assoluta libertà di chi può librarsi nel cielo.

Ma ora torniamo alla Storia. Per secoli, si è detto, gli uomini volarono – o, meglio, non volarono – buttandosi giù da torri o scogliere con apparecchi muniti di ali, ovviamente schiantandosi al suolo. Il primo che si applicò al problema del volo con studi matematici fu Leonardo da Vinci, nel primo scorcio del Cinquecento: per anni si interessò del volo degli uccelli, e andò tracciando sulla carta vari tipi di apparecchi ispirati alla struttura delle ali degli uccelli; studiò nei minimi particolari il movimento delle ali e della coda, e il modo in cui si innalzavano, planavano, volteggiavano e discendevano. Leonardo inventò l’aliante, che avrebbe sfruttato per il volo la forza delle correnti d’aria, l’ornitottero prono, la «vite aerea» – che utilizzava il principio sul quale si basano i moderni elicotteri –, persino il paracadute. (Molti modelli delle invenzioni di Leonardo, perfettamente funzionanti, si possono ammirare alla galleria a lui intitolata nel Museo della Scienza e della Tecnica, a Milano, nonché al Museo delle «Macchine di Leonardo da Vinci», nella chiesa di San Cristoforo a Lucca). Purtroppo, a Leonardo mancava qualsiasi possibilità materiale per realizzare i suoi progetti: i suoi «tentativi di volo», che tanta presa hanno nella nostra immaginazione, non sono provati in modo certo da alcun documento, e appartengono quindi al campo della leggenda.

Dopo Leonardo passarono quasi tre secoli, nei quali non si fece alcun progresso. Fu solo nel 1783 che un essere umano riuscì a salire in aria con una macchina volante, un pallone inventato da due fratelli francesi, i Montgolfier: da qui il nome di «mongolfiera» dato alla nuova invenzione. La mongolfiera costruita da loro era semplicemente una grossa sacca con un foro in basso. I Montgolfier accesero un fuoco sotto il foro, in modo che la sacca si riempisse di aria calda: l’aria calda, più leggera, spinse il pallone che si innalzò così nel cielo. Al pallone, i Montgolfier avevano attaccato un cesto in cui poteva prendere posto un uomo: fu così che l’uomo cominciò a volare!

Subito dopo l’impresa dei fratelli Montgolfier, si tentò ogni genere di strana macchina volante. Alcuni pensavano che le macchine dovessero avere eliche azionate da motori, ma nessuno era in grado di costruire un motore abbastanza leggero: così si costruirono alianti, che venivano lanciati dalle alture, proprio come i deltaplani di oggi. Un famoso pilota di alianti fu il principe tedesco Otto Lilienthal, che compì oltre 2.000 voli prima di andare a sfracellarsi col suo apparecchio veleggiatore biplano.

Uno dei primi alianti

Uno dei primi alianti, Museo della Scienza e della Tecnica, Milano (Italia); fotografia di Simone Valtorta, 2005

Giungiamo agli inizi del Novecento e dall’altra parte dell’Oceano. Due fratelli, Orville e Wilbur Wright, avevano un negozio di biciclette a Dayton, nell’Ohio (Stati Uniti). Quando non riparavano le biciclette, costruivano degli alianti, grazie ai quali impararono tutto quello che si sapeva allora sul volo. Poi costruirono un motore a benzina e delle eliche, li collegarono al loro ultimo aliante – un trabiccolo di canne e tela – e portarono la nuova macchina volante a Kitty Hawk nella Carolina del Nord. Il 17 dicembre 1903, su una spiaggia solitaria, Orville Wright si mise bocconi ai comandi del Flyer (questo il nome che avevano dato all’apparecchio); mentre Wilbur gli correva a fianco a terra, il Flyer sobbalzò prima di alzarsi lentamente nell’aria. Quel giorno volò per soli 37 metri, ma per la prima volta l’ostacolo maggiore, cioè quello di potersi sollevare con un mezzo più pesante dell’aria, era stato superato. Da allora cominciò la storia vera e propria dell’aeroplano.

I progressi si susseguirono con rapidità incredibile, e con le macchine volanti più curiose. Nel 1906, ad appena tre ami dal primo volo dei fratelli Wright, si sollevò il primo aeroplano a motore anche in Europa, il 14 bis di Santos Dumont, che vinse la coppa Archdeacon percorrendo «senza scalo» (cioè senza toccar terra) 25 metri, a tre metri dal suolo. Nel 1908 i fratelli Wright battevano il primo record di altezza alzandosi a 110 metri dal suolo. Il 25 luglio 1909 il famoso aviatore francese Louis Blériot prese il volo da Calais nel Nord della Francia e 27 minuti più tardi atterrò vicino al castello di Dover, nel Sud dell’Inghilterra: Blériot fu il primo a volare sul Canale della Manica e per questo vinse il premio di 1.000 sterline ch’era stato messo in palio da un giornale inglese, il «Daily Mail». Il 27 settembre 1910 il Peruviano Chavez superò le Alpi, ma morì nell’atterraggio presso Domodossola.

Uno dei primi aerei

Uno dei primi aerei, Museo della Scienza e della Tecnica, Milano (Italia); fotografia di Simone Valtorta, 2005

L’aeroplano trovò una delle sue prime applicazioni in campo militare: durante la guerra di Libia, nel 1911, l’Italia usò l’aereo per osservare e mitragliare dall’alto le postazioni e le colonne nemiche.

In capo a due o tre anni si cominciarono a costruire aerei con più motori, mentre si tenevano i primi lunghi voli senza scalo. Nel 1919 John Alcock e Arthur Whitten Brown sorvolarono l’Oceano Atlantico dal Canada all’Irlanda su un vecchio bombardiere della Prima Guerra Mondiale; furono i primi a sorvolare l’Oceano senza tappe intermedie. Nel 1927 l’Americano Charles Lindberg traversò per la prima volta l’Atlantico in una sola tappa e da solo, da New York a Parigi: quando atterrò nella capitale francese, lo attendeva una folla di 100.000 persone per acclamarlo. Nel luglio del 1933, Italo Balbo organizzò un’impresa ancora più ardita: la doppia trasvolata dell’Oceano Atlantico, da Orbetello a Chicago, in più tappe ma questa volta effettuata non da un aereo isolato, bensì da una formazione di 25 aerei; al suo rientro trionfale in Italia, Balbo fu incoronato Maresciallo dell’Aria, grado coniato proprio per lui.

A questi primi pionieri dei cieli, Ernest K. Gann ha dedicato il romanzo di avventura Il grande aviatore, storia di un pilota di biplano che sul finire degli anni Venti si schianta col suo aereo postale tra le montagne dell’Oregon (Stati Uniti): qui, quasi senza alcuna speranza di ricevere soccorsi, dovrà misurarsi con i rigori del clima, con una natura selvaggia e ostile, ma troverà la forza di affrontare ogni avversità grazie al sentimento che comincerà a legarlo a una ragazzina, unica passeggera che condividerà con lui le ore più difficili della sua vita.

Aereo militare a elica

Aereo militare a elica degli anni Venti/Trenta, Museo della Scienza e della Tecnica, Milano (Italia); fotografia di Simone Valtorta, 2005

I primi aerei di linea per passeggeri erano bombardieri della Prima Guerra Mondiale adattati con sedili aggiuntivi; non avevano radio e il pilota si orientava con il terreno; i passeggeri dovevano spesso stare seduti allo scoperto. Nel corso degli anni Venti e Trenta, l’aeroplano diveniva sempre più potente, più veloce, più sicuro. Gli aerei di linea ora erano comodi, i passeggeri sedevano in cabine speciali e per i lunghi viaggi si potevano usare idrovolanti a scafo centrale che potevano sia atterrare sia ammarare. Grossi apparecchi a più motori collegavano fra loro da un continente all’altro le principali città della Terra, trasportando migliaia di passeggeri. Fino alla Seconda Guerra Mondiale, tutti gli aerei di linea erano a elica; verso il 1940 il motore a scoppio aveva però raggiunto il massimo delle sue possibilità e si cominciò a pensare a un motore più veloce e anche più pratico: il motore a reazione. Il primo lungo volo con un aereo a reazione fu compiuto in Italia, su un apparecchio Caproni progettato dall’ingegner Campini.

Il motore che muove un’elica è sostanzialmente identico al motore di un’automobile, con l’unica differenza che fa girare l’elica anziché le ruote. Un motore a reazione è del tutto diverso: l’aria viene risucchiata dal davanti, mescolata con paraffina e portata ad alta pressione. La miscela di aria e paraffina brucia velocemente e produce un flusso di gas caldo che esce ad alta velocità dalla parte posteriore del motore e spinge in avanti il velivolo. Un po’ come succederebbe gonfiando un palloncino, poi lasciandolo andare senza chiuderlo: il palloncino scatterebbe via; i gas caldi che fuoriescono dalla parte posteriore dei motori a reazione fanno lo stesso.

Aereo militare a reazione

Aereo militare a reazione, Museo della Scienza e della Tecnica, Milano (Italia); fotografia di Simone Valtorta, 2005

Usato inizialmente su aerei militari, dopo la Seconda Guerra Mondiale il motore a reazione venne impiegato su grossi velivoli da passeggeri. Alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso, i quadrireattori attraversavano l’Oceano Atlantico in 7 ore e mezzo alla velocità media di quasi 1.000 chilometri all’ora. I grandi jumbo-jet dell’inizio degli anni Ottanta, trasportavano 400 passeggeri sopra l’Atlantico a una velocità di 980 chilometri all’ora: portavano tanto carburante quanto ne sarebbe bastato per far compiere il giro del mondo a 40 autovetture. Nonostante i problemi che il volo necessariamente comporta (turbolenze, guasti tecnici...) e una scia di incidenti fino ai giorni nostri, l’aereo è di gran lunga uno dei mezzi di trasporto più sicuri (il più sicuro, dopo l’ascensore).

Dobbiamo ora parlare dell’elicottero, anche per le ragioni che saranno chiare più avanti. Il primo «pioniere» che fece volare un ingegnoso modello di elicottero con motore a vapore fu Forlanini nel 1877, ma il primo volo libero di un elicottero con un uomo a bordo fu compiuto da Cornu il 13 novembre 1907: il governo della macchina era ottenuto per mezzo di superfici mobili poste nel flusso d’aria dei rotori, ma non era molto soddisfacente. Anche a causa della scarsa governabilità, che provocò gravi incidenti, l’interesse per l’elicottero diminuì nel periodo fra le due guerre mondiali: l’aeroplano si stava sempre più affermando, attraversava gli oceani e i continenti, raggiungeva velocità elevate e alte quote; in più era stabile e governabile, mentre l’elicottero faceva dei brevi balzi e lasciava molto a desiderare come stabilità e governabilità. L’unico veicolo aereo ad ala rotante che si affermò negli anni Venti fu un aeroplano col rotore, l’autogiro inventato dallo Spagnolo De la Cierva Codorniu: il rotore girava a folle, costretto a rotare dal vento della corsa, e girando forniva la portanza alle pale, che erano fatte di legno di malacca. Ma la «palma» di inventore dell’elicottero va a un geniale italiano, Corradino D’Ascanio: questi utilizzò come motore un normale Fian da 85 HP e nel 1930 il suo fu il primo elicottero a conquistare i primati mondiali d’altezza, durata e distanza (quest’ultimo record avrebbe potuto essere migliore, ma ci si dovette arrestare quando si raggiunsero i limiti del campo); l’apparecchio eseguì anche numerose evoluzioni all’interno di un hangar per dirigibili, dimostrando sempre una grande stabilità e un’assoluta docilità ai comandi. Il D’Ascanio perfezionò in seguito la sua invenzione, con scarso successo perché lo Stato Italiano non era sensibile alle possibilità offerte dagli elicotteri, a differenza della Germania, dell’Unione Sovietica e degli Stati Uniti. Così, divenne famoso per aver progettato nel 1946 la Vespa, la «due ruote» italiana – diventata un mito in tutto il mondo – della quale sono stati prodotti 17 milioni di esemplari (dati del 2012); il nome dell’insetto fa riferimento non solo alla tipica forma della carrozzeria dello scooter, ma anche al ronzio del suo motore; ebbe un successo insperato grazie al basso prezzo di vendita e al basso consumo, oltre che alla comodità di guida e alla notevole manovrabilità. Nel 1948, al Congresso Mondiale per l’Elicottero di Filadelfia, il D’Ascanio ebbe il giusto riconoscimento, festeggiato come un vero pioniere, tanto che al suo ritorno in Italia si dedicò alla progettazione di nuovi elicotteri: si stavano rivelando dei mezzi preziosi per il soccorso ai piloti caduti oltre le linee nemiche, e per l’intervento attivo nel combattimento terrestre. Ma avrebbero dovuto passare molti anni perché l’Italia divenisse uno dei primi produttori di elicotteri del mondo, anche di progettazione propria.

Dall’unione tra l’elicottero e l’aeroplano, è nato il convertiplano, che combina la capacità di portanza verticale dell’elicottero con la velocità e l’autonomia di un convenzionale velivolo ad ala fissa. Mi spiego: quando decolla o deve volare in verticale, le eliche sono ruotate in orizzontale, come in un elicottero, ma in volo – nel giro di un minuto – le eliche sono progressivamente inclinate in avanti, fino a diventare verticali, come in un aeroplano a elica. Questo fornisce ai convertiplani una velocità maggiore degli elicotteri, oltre a poter andare all’indietro senza alcun problema. L’idea di costruire un simile velivolo risale al 1930, ma solo di recente un progetto italo-americano è stato tradotto in realtà. Il convertiplano ha nove posti (compresi i due dei piloti) e una grande autonomia e velocità; potrebbe essere utilizzato per missioni di soccorso, per esempio per portare medicinali in zone isolate a causa di un terremoto o di una guerra. Naturalmente non c’è nulla che non possa essere migliorato, e si sta già pensando a un convertiplano civile di nuova generazione con 22 posti per passeggeri, una velocità di oltre 600 chilometri orari e un’autonomia di 926 chilometri (per dare un’idea, in linea d’aria la distanza tra Roma e Milano è di 478 chilometri, tra Roma e Londra è di 1.436 chilometri, tra Roma e New York è di 6.900 chilometri). Qualcuno ha persino ipotizzato un futuro, non troppo lontano, in cui i convertiplani solcheranno i cieli con servizio di taxi o autobus, così da risolvere, forse una volta per tutte, il problema del traffico urbano e sulle tangenziali. Ma qui siamo già nel campo della fantascienza!

(giugno 2020)

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