Streghe e fantasmi di Scozia
Come le leggende possono raccontare il carattere di un popolo

È interessante notare come le fiabe, le leggende, le storie più o meno incredibili che appartengono al repertorio popolare di una Nazione possano raccontarci non solo molte cose sulla società che le ha create, ma anche illustrarci i caratteri che quella popolazione ha tenuto nella sua eredità: il passato non è mai un capitolo chiuso, un compartimento stagno, ma ha forgiato – e, in alcuni casi, continua a forgiare – la visione che un popolo ha della realtà e i valori che lo sorreggono.

Questo è vero anche, e soprattutto, per la Scozia. Per gli Scozzesi, generalmente espansivi e di buona compagnia (a differenza degli Inglesi, più contenuti e circospetti), il passato vive ancora, non è commemorazione ma uso quotidiano: i vecchi odi dei clan rivali, la parlata gaelica, l’uso del kilt (il gonnellino tradizionale) anche al di fuori delle occasioni ufficiali. E, naturalmente, il proliferare di leggende: una delle quali, quella dell’esistenza di un rettile antidiluviano in uno specchio d’acqua freddo, gelido e notoriamente povero di pesce come il Loch Ness, inventata di sana pianta negli anni Trenta del secolo scorso, continua ad attirare turisti e curiosi anche quando ormai è stato provato che in quel lago non c’è e non c’è mai stato nulla di particolare.

Le più interessanti leggende sono però quelle che affondano le radici nel passato remoto: la tradizione druidica ha lasciato una traccia sensibile tra i monti, il Medioevo e il Romanticismo l’hanno arricchita e ancora oggi, nei pressi dei castelli carichi di memorie e vicino alle antiche chiese un buon Scozzese non si sente mai di escludere che possa vagarvi qualche fantasma di illustre tradizione. E non ha certo moti di spavento o angosce nevrotiche, anzi, è ben contento di avere qualcosa da sfruttare... turisticamente!

Partiamo da Glamis. Ai profani può non dir nulla. Qualche storico ricorderà che è stato teatro di un lieto evento, la nascita della principessa Margaret. Ma Glamis è anche il castello di Macbeth, che – racconta Shakespeare – uccise il proprio Re per prenderne il posto. Né è l’unico fatto degno di nota. Pare che un tempo uno dei conti di Strathmore stesse giocando a carte con alcuni famigli la sera del sabato, lì a Glamis, e avesse gridato ad alta voce che preferiva essere dannato piuttosto che smettere allo scoccare della mezzanotte, che segnava l’inizio del riposo domenicale (sono tuttora proibiti, di domenica, i divertimenti frivoli e inutili, il gioco delle bocce, il cinema e il teatro, a meno che non si tratti di uno spettacolo di carità); da quel giorno, l’infelice e i suoi compagni furono condannati a giocare eternamente a carte in una stanza del castello, e guardando le mura è visibile dall’esterno una finestra a cui, a detta dei bene informati, non corrisponde all’interno alcuna stanza o corridoio... come non collegarla alla leggenda?

Certo, la vita a Glamis non dev’essere facile. Quando il figlio primogenito degli Stathmore di Glamis raggiunge i vent’anni, il padre gli confida l’orribile segreto che grava sulla stirpe: un mostro abita nel castello, e una volta all’anno ha diritto di uscire. In quell’occasione viene dato un grande banchetto, ma a mezzanotte precisa gli ospiti abbassano gli occhi sul proprio piatto senza guardarsi intorno, la porta della sala si apre, si ode un rumor di catene, un respiro di grande animale, e il mostro entra nella sala uscendo da un’altra porta.

Rimaniamo nei pressi di Glamis. All’inizio del Macbeth troviamo tre streghe intente ai loro malefizi e alle loro divinazioni. La Scozia è terra di streghe dal Medioevo, come lo era la Tessaglia nell’antichità, e molte superstizioni sono rimaste: le leggende locali sono molto prodighe di ragguagli. Per esempio, pare che queste donne votate al male fossero abilissime nel far levare il vento, immergendo un cencio nell’acqua, sbattendolo tre volte sopra una pietra e dicendo: «Io sbatto questo straccio su uno scoglio / per fare il vento in nome del demonio / e non si cheterà s’io non lo voglio». Nel 1590 una strega scozzese di nome Agnese Sampson fu condannata in tribunale per avere guarito un uomo da una malattia con un sistema diabolico: prese essa stessa la malattia, poi cercò di trasmetterla a un gatto per mezzo di malefici tanto complicati quanto rumorosi; ma la bestiola riuscì a scappare e la malattia andò a colpire un certo Alessandro Douglas di Dalkeith, che morì in un batter d’occhio.

Per certi versi, affini alle streghe sono gli elfi: negli Highlands si credeva che essi potessero essere tenuti lontani solo mediante oggetti di ferro, come le streghe nella tradizione brianzola, mentre quando si entrava in una dimora di fate era ritenuto buona norma ficcare nel legno della porta un pezzo di acciaio, un coltello, un ago e un amo da pesca, cosicché gli elfi non potessero chiudere la porta finché il visitatore non fosse uscito sano e salvo.

Parlando di streghe, ovviamente non si può tacer del diavolo, che in Scozia è di casa. Ancor oggi, a Peterhead si racconta di una scimmia che era sbarcata un giorno su una spiaggia, aggrappata al relitto di un naufragio, e che era visibilmente un’incarnazione del diavolo; parlare del diavolo a Paterhead è considerata una cosa di cattivo gusto, e negli anni Sessanta del secolo scorso questo paese di sole 200 persone possedeva ben otto tra chiese e sale di riunioni religiose. Anche la cattedrale di San Magnus, a Kirkwall, sarebbe abitata da spiriti. Mentre nella capitale, Edimburgo (detta l’«Atene del Nord»), abituale luogo delle anime dei trapassati sono i «closes», labirinti sotterranei dove vissero e morirono centinaia di persone nella Edimburgo del XVII e XIX secolo: poveri uomini, donne e bambini, famiglie intere che hanno da raccontare vite disperate, straziate dalla fame, dal freddo, dall’indigenza, dalla peste; la zona, rimasta chiusa per decenni, gode ora di visite guidate che accompagnano i turisti alla scoperta della vita che si trascinava nei vicoli misteriosi e bui della vecchia città, tra i rifiuti e la spazzatura che, come consuetudine dell’epoca, venivano rovesciati nelle strade.

Certo, ci sono leggende anche meno tenebrose, come quella intorno al castello di Dunvegan, nell’isola di Skye, dove il clan dei Mac Leod conserva uno stendardo magico che ha già protetto i suoi possessori fra grandi pericoli, aiutandoli a sconfiggere i clan nemici. O come la «Stone of Destiny» («Pietra del Destino»), sulla quale i Re Scozzesi poggiavano i piedi durante l’incoronazione, oggi custodita al castello di Edimburgo. A riprova, questo, di come miti e leggende non siano staccati dalla Storia ma si intersechino in essa, deformandola o arricchendola (a seconda dei punti di vista), comunque contribuendo a forgiare il carattere di un popolo, di una gente, di una Nazione. Perché gli Scozzesi non sono gli Inglesi, come fanno rimarcare essi stessi, pur rimanendo – perlomeno fino ad ora – fedeli sudditi del Regno Unito.

(novembre 2019)

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