Storia della Chiesa e ricordi personali
Quelle poesie nei cassetti...

Le grandi vicende che hanno segnato nei secoli la storia della Chiesa, hanno talvolta posto in ombra delle umili storie, di modeste dimensioni, che rimangono tuttavia significative. Esistono infatti espressioni di fede che emergono anche attraverso dei segni sinceri, spontanei, immediati. Ripercorrendo con la memoria taluni ricordi, aprendo cassetti, è possibile ritrovare anche delle brevi composizioni poetiche che attestano dei riferimenti religiosi precisi, non generici. Tali testi esprimono pertanto dei vissuti che partecipano al respiro della Chiesa, e quindi alla sua storia.


Tra Ottocento e Novecento. La poesia ricordata dalla Tomei

Di un noto personaggio, Trilussa (Carlo Alberto Salustri; 1871-1950)[1], storico esponente della poesia dialettale romanesca, si riteneva di possedere ormai una completa conoscenza delle sue opere poetiche. Tutte le composizioni, infatti, erano state pubblicate. Eppure, dopo la morte, si verificò un fatto imprevisto. La sua collaboratrice, Rosaria (chiamata familiarmente Rosa) Tomei, fece conoscere un breve testo di cui s’ignorava l’esistenza. Ma chi era la Tomei? Era nata a Cori (provincia di Latina) nel 1915. Con il trascorrere del tempo ebbe la possibilità di andare a lavorare presso l’appartamento-studio di Trilussa, con possibilità di alloggio.

Trilussa nella sua casa-studio

Trilussa nella sua casa-studio di Via Maria Adelaide 7 a Roma (Italia)

Il poeta la considerò sempre in modo positivo. E l’intesa tra i due divenne rapidamente più marcata. Trilussa arrivò a presentarla all’amico Ettore Petrolini[2], famoso attore, con l’idea di inserirla poco alla volta nel mondo del teatro, con ruoli da caratterista. Il disegno comunque non si realizzò perché alla fine Rosa preferì rimanere a lavorare in casa Trilussa. Dopo il decesso di quest’ultimo, lasciò alla fine l’appartamento (al termine di cinque anni di dispute giudiziarie[3]) il 12 febbraio del 1955. Morì a 50 anni per un ictus (1965). In questo studio si vuole ricordare la Tomei perché fu lei a rendere nota una poesia mariana. La sapeva a memoria. Trilussa l’aveva scritta in segreto in ricordo della madre. Al riguardo, è utile ricordare che il poeta, dopo gli studi classici, non partecipò alla vita ecclesiale del tempo, né a quella sacramentale. Solo una volta il Gesuita Domenico Mondrone[4] riuscì ad avere un colloquio con lui.[5] La madre di Trilussa, al contrario, fu molto religiosa. Finché le fu possibile partecipò alle Messe celebrate nella parrocchia di San Giacomo in Augusta (Via del Corso, 499).[6] Il figlio amava profondamente questa donna. Lo dimostra il fatto che nel giorno del suo funerale accusò perfino un malore. Inoltre, nelle sue volontà testamentarie, chiese di essere sepolto accanto a lei. Si riporta qui di seguito il testo della poesia di Trilussa sulla Madonna.

«Quann’ero regazzino, mamma mia
me diceva: “Ricordate, fijolo,
quanno te senti veramente solo
tu prova a recità ‘n’Ave Maria!
L’anima tua da sola spicca er volo
e se solleva come pe’ maggìa”.
… … …
Ormai so’ vecchio, er tempo m’è volato,
da un pezzo s’è addormita la vecchietta,
ma quer consijo nun l’ho mai scordato.
Come me sento veramente solo
io prego la Madonna benedetta
e l’anima da sola pija er volo».[7]


Qualche sottolineatura

Questo sonetto potrebbe essere definito una «poesia nel cassetto». Trilussa infatti non volle farlo conoscere in giro.[8] Egli, in ambito pubblico, continuava a rimanere noto per altri componimenti. I suoi testi ironizzavano sulla vita del tempo (per esempio, L’eroe ar caffè), sui comportamenti falsi e arroganti di persone in vista (per esempio, Er testamento de Meo del Cacchio), su intrighi amorosi, sulle povertà umane criticate pure da animali «parlanti» (per esempio, L’omo e la scimmia). Malgrado una certa nomea di «viveur»[9], si trovano – però – tra i lavori di Carlo Alberto Salustri anche dei testi a sfondo religioso. Probabilmente questi sonetti furono legati a richieste dei direttori dei periodici sui quali scriveva Trilussa.[10] Egli, infatti, doveva commentare con sonetti in romanesco anche i diversi fatti dell’anno (incluse le festività). Ed è proprio in tale contesto che si trova una poesia dal titolo La Fede. Il testo è noto. Venne pure recitato dal Papa Giovanni Paolo I[11], in un’udienza generale (13 settembre 1978). Confrontando comunque le due poesie, quella mariana e quella sulla fede, la prima (dedicata alla madre) appare più immediata, meno «costruita». Comunque, si riporta qui di seguito anche il secondo sonetto (La Fede).

«Quela vecchietta cèca che incontrai
la notte che me sperzi in mezzo ar bosco,
me disse: “Se la strada nun la sai
te ciaccompagno io, ché la conosco.

Se ciài la forza de venimme appresso
de tanto in tanto te darò ‘na voce
fino là in fonno, ‘ndò ce sta un cipresso,
fino là in cima, ‘ndò ce sta ‘na Croce”.

Io j’arisposi: “Sì, ma trovo strano
che me possa guidà chi nun ce vede”.
La cèca, allora, me pijò pe’ mano
e sospirò: “Cammina”. Era la Fede».

Questo sonetto rimane significativo perché attesta un fatto: in Trilussa non si erano comunque assopiti taluni insegnamenti religiosi (ricevuti dalla madre e dai docenti dell’Istituto San Giuseppe a Piazza di Spagna). Può essere utile annotare solo un punto. La fede del credente è una realtà che non si inoltra nel buio ma che conserva un riferimento saldo: la Parola di Dio.[12]


Anni Cinquanta. La poesia di una clarissa francescana

Madre Chiara Letizia Marvaldi osc (1919-1989) è nota nella storia delle Monache Clarisse dell’Ordine di Santa Chiara per una serie di vicende significative. Ella favorì il rinnovamento del suo Ordine, e la riorganizzazione. Fu maestra di molte novizie. Segnalò al Padre Giovanni Boccali ofm due antichi manoscritti francescani custoditi nel monastero di Novaglie (Verona).[13] Divenne inoltre la prima Madre Presidente della Federazione delle Clarisse di Umbria e Sardegna. Raggiunse pure il Rwanda quando un piccolo nucleo di sue ex allieve costituì a Kigali una comunità di Clarisse. La sua storia è attraversata da un impegno universitario (filosofia), da una crisi religiosa che la segnò per più anni, da una conversione, da una diretta conoscenza con l’allora Padre Ferdinando Antonelli ofm[14] (divenuto in seguito Cardinale). Quest’ultimo, la mise in contatto con nostra madre. Mamma fu accanto a Suor Chiara Letizia in più momenti: dalla sua entrata nel Protomonastero Santa Chiara di Assisi fino ai due giorni che precedettero il decesso.

In occasione della mia nascita (13 dicembre 1951), Suor Chiara Letizia spedì ai miei genitori, vicini alla Famiglia Francescana, un piccolo ricordo a forma di rombo (costruito con carta, plastica e filo azzurro). Il motivo dell’iniziativa era semplice. Tre anni prima era nato mio fratello. Fu battezzato con il nome di Francesco. In tal modo aveva come Santo protettore il fondatore del Francescanesimo. A questo punto, se arrivava una femminuccia era pronto il nome di Chiara. Ma arrivai io. Fui battezzato con due nomi (Pietro e Luigi) non legati alla storia francescana. Allora Suor Chiara Letizia, per «garantire» la presenza di Santa Chiara d’Assisi nella nostra famiglia, inviò un piccolo rombo. Su un verso si vede l’immagine di Santa Chiara.[15] Nel retro si trova una breve poesia scritta a mano. Il dono fu messo sopra la mia culla. Così, oltre a San Francesco, c’era pure in casa un riferimento a Santa Chiara. Si riporta il testo.

«Su Pier Luigi che quivi riposa
spargi, o Chiara, ogni grazia più eletta:
fa che cresca qual gioia preziosa
per il Babbo e la Mamma diletta.
Da Assisi 21.6.’52».

Nel periodo in cui cominciò a delinearsi la fase terminale della sua vita (Madre Letizia ne era consapevole) ebbi la possibilità di accompagnarla con la mia macchina dal monastero delle Clarisse di Foligno a quello di Montevarchi. Al momento dei saluti, questa religiosa prese dalla grande e povera borsa due oggetti. Mi donò una copia del Crocifisso di San Damiano, e una piantina grassa. Poi spiegò: quando a questa sarebbero cadute le foglie, occorreva riprenderle e inserirle nella terra. Avrebbero dato altra linfa. Altre foglie. Il messaggio, in realtà, alludeva alla sua vita. Oggi la sua salma è sepolta nel piccolo cimitero di Assisi. In quell’ultimo incontro Madre Letizia consegnò anche un dolcetto per la nostra piccola (allora) primogenita, Emmanuela. E adesso, di lei, più che un ricordo vago, rimane una voce decisa. Che ripete la frase che a Foligno concludeva i nostri colloqui: «Coraggio, figlio!».[16]

Madre Chiara Letizia a Kigali

Madre Chiara Letizia (terza da sinistra, in piedi) nel 1987 a Kigali (Rwanda)

Anni Sessanta. Quell’atto di carità di Pietro De Vico

Può sembrare strano, ma in tanti articoli di storia della Chiesa, anche in scritti che riguardano in dettaglio la vita di Chiese locali, non si trovano riferimenti (o sono scarsi) ad alcune iniziative di pastorale sanitaria. Eppure, da una lunga fase temporale, specie in occasione di festività (civili o religiose), si usa ancora organizzare dei momenti di allegria nei singoli reparti ospedalieri[17] o in vasti ambienti di qualche nosocomio.[18] Le cronache sono ricche di episodi simpatici. Basti pensare alle visite: dell’attore Gino Cervi[19] a residenze per anziani (Roma), di squadre di calcio presso reparti con bambini ricoverati[20], fino ad arrivare al dono della propria maglia da calciatore (per esempio, Sergio Aguero, attaccante del Manchester City e della nazionale argentina) a malati di cancro.[21] Anche chi scrive poté per qualche anno animare dei semplici momenti musicali al Centro Tumori della Feliciuzza (Ospedale Civico, Palermo), con l’aiuto dei Salesiani del «Ranchibile Don Bosco».[22] In tale contesto, si colloca pure un piccolo episodio che rimane oggi ricordato solo da una «poesia nel cassetto».

Presso l’allora Ospedale San Giacomo in Augusta (denominato un tempo: «degli Incurabili»; oggi chiuso), i Padri Camilliani erano soliti organizzare periodicamente per i degenti alcuni simpatici momenti di fraternità. In tali occasioni non mancava la presenza di Padre Carlo Colafranceschi M.I.[23] con la sua fisarmonica, e quella di personaggi dello spettacolo. Uno di questi era Pietro De Vico.[24] La sua figura era molto nota ai bambini. Egli interpretava in televisione (dal 1961 al 1966) la figura di un marinaio, balbuziente e pauroso, agli ordini di «Giovanna la nonna del Corsaro Nero».[25]

Questa nonna-sprint, più forte di un bicchiere di gin (Anna Campori), comandava una ciurma di bizzarri personaggi. Tra questi, c’era il compìto e fedele maggiordomo Battista (Giulio Marchetti) e il nostromo Nicolino (Pietro De Vico). Il gruppo aveva pure un antagonista. Si trattava del comandante degli Spagnoli, il capitano Squacqueras (Mario Bardella). Quest’ultimo, era destinato ad andare incontro a continue ingloriose sconfitte.

Un giorno avvenne un fatto. In un ambiente del San Giacomo (anni Sessanta) era stato organizzato un momento di festa per i ricoverati. In quella occasione fu presente anche Pietro De Vico che recitava in una delle sue solite «macchiette». Lo venne a sapere una bambina che era stata operata da poco. Accanto a lei era seduto il padre poliziotto. La piccola conosceva molto bene il «nostromo Nicolino».

Così chiese al medico del reparto di vederlo. Fu avvisato De Vico. E l’attore accettò subito di raggiungere il letto della piccola. Davanti a lei continuò a recitare la parte del «nostromo». Quel momento fu talmente bello che il padre della malata lo volle ricordare con una poesia. Il testo, che qui si riporta (lo ricordo a memoria), rimane semplice ma vivace.

Scena di un episodio di Giovanna la nonna del corsaro nero

Scena di un episodio di Giovanna la nonna del corsaro nero. Pietro De Vico è il primo da sinistra

«Dentro a una tenda a ossigeno[26] operata
‘na bella pupa in croce sul lettino
disse ar dottore tutta entusiasmata:
“Dottore su! Me chiami Nicolino!”,
‘n ordine, la voce mette l’ale,
e Nicolino córe pe’ le scale.

Quanto ho ammirato er gesto tuo De Vico,
hai lasciato la scena artificiosa,
co’ quattro sarti in men che nun te dico
hai rimesso i colori s’una rosa
che stava lì appassita,
nel giardino crudele della vita.

Senti De Vico, dije alla tivvù
che dentro casa granni e regazzini
volemo che ce stai sortanto tu,
perché sortanto tu te ci avvicini,
e sai co’ quella tua sensibilità
trasmette un pochettino de bontà».

In questo testo è interessante sottolineare un punto. La figlia del poliziotto non chiede di De Vico ma di Nicolino. Ciò dimostra quanto piaceva ai bambini il nostromo balbuziente di Giovanna, la nonna del Corsaro Nero. Lo sceneggiato musicale, girato in diretta a Torino, si articolò in 23 puntate. Scritto da Vittorio Metz, ebbe per regista Ada Grimaldi.


Anni Ottanta. Dentro il mio cassetto

Dentro i cassetti si può trovare di tutto. Anche una poesia che scrissi per ricordare le preghiere di quelle persone che in modo silenzioso sostano davanti al Crocifisso della propria chiesa. Ancora oggi, specie nelle ore meno frequentate, si trovano fedeli di ogni età che presentano al Signore in croce le loro criticità. Nel 1981 questo componimento (Bontà di Cristo), fu inserito in terza di copertina in un mio libro dal titolo: Sulla Tua Parola.[27] Lo scopo fu di ricordare ai lettori che esistono tanti modi di pregare. Ciò che rimane importante è la sincerità del cuore. È l’incontro diretto con Colui che salva. Si riporta qui di seguito il testo.

«Du’ moccoletti siti tra li santi[28]
eran co’ Cristo sotto ad una Croce,
e stavan lì mezzo tremolanti
dinanzi a quer Gesù fatto de noce.

“Ma come! – fa quello co’ più fôco –
arriva uno, offre un po’ de cera[29],
poi già riparte, e lassa er vòto[30],
mezzo saluto… e bbona sera!”.

“Che religione! Che confidènza!
Guardeno appena ‘sto Crocifisso,
quello se ferma solo alla credènza,
ma Tu nun lassi, e resti fisso”.[31]

“No – dice Cristo – abbàssete la voce,
quello è sortito ma porta dietro pena,
tu vorresti ‘na frase un po’ più doce,
lui piagne dentro. E nun fa cena.

E s’è fermato in cerca del mio tetto,
in un colloquio privo de parole.
Co’ queste piaghe io l’ho benedetto,
co’ ‘ste ferite sanerò quer core”».

Il testo di questa poesia, dopo il 1981, non venne più utilizzato. E anche altre composizioni, preparate a sostegno di nuovi lavori[32], cessarono poco alla volta di essere utilizzate. Ormai nelle parrocchie erano subentrate altre dinamiche ricreative. Un’indicazione, però, rimane ancora attuale. I giudizi affrettati e poco lusinghieri sui comportamenti di persone in luoghi di culto possono sovente risultare inopportuni e negativamente invasivi. Ogni preghiera, infatti, manifesta un vissuto, una storia, un dolore nascosto. Nasce da qui l’esigenza di mantenere una linea di rispetto.


Qualche considerazione di sintesi

Le «poesie nel cassetto» possono essere momenti di sincerità. Espressioni di fede. Attimi di filialità mariana. In genere, nelle iniziative moderne, sono poco diffuse. Esistono infatti altre forme di comunicazione che non utilizzano più teatrini, scenette comiche (per esempio, La classe degli asini), giochi spiritosi, canti più o meno improvvisati. Nell’attuale periodo non c’è più a Roma, ad esempio, il teatrino delle Maestre Pie Venerini (Via G. Belli, 31) ove Suor Alina mi fece cantare Il dolce Re Pastore. Ed è inutile cercare anche il teatrino della parrocchia del Sacro Cuore in Prati. Inoltre, le nuove generazioni non possono certo conoscere delle dinamiche ove la «pubblicità» era legata a versi in rima baciata. Penso, ad esempio, alla presentazione del giornalino «Il Vittorioso» («La pagina scientifica ci servirà per dire: / Signore, tu sei buono, noi ti vogliam servire!»).

Ma la storia della Chiesa è passata anche per palcoscenici polverosi. Vengono in mente, ad esempio, le iniziative promosse dai Salesiani, e quelle del Don Guanella[33], del Don Orione, dell’Opera Regina Apostolorum (Roma)… Tale dinamica conduce verso una riflessione. I momenti di festa, le commedie, i canti popolari, i cori, le danze… fluiscono in un processo di comunicazione. Tale dinamica, più è corale, più aiuta a vivere in quella grande famiglia che è la Chiesa.


Bibliografia

Autori vari, L’umanizzazione dell’ospedale. Riflessione ed esperienze, a cura di A. Delle Fave e di S. Marsicano, Franco Angeli Editore, Milano 2004

P. L. Guiducci, La letizia per carisma, in: «Maria Ausiliatrice», numero 6, giugno 1990

P. L. Guiducci, La Madonna e la fede in Trilussa, in: P. L. Guiducci, Camminare con Lei, Elledici, Leumann (TO) 1988, pagine 119-124

P. L. Guiducci, Sulla Tua Parola. Spunti ed idee per riscoprire la vitalità del Simbolo di Fede, prefazione del Cardinale Ferdinando Antonelli ofm, La Parola, Roma 1981

S. Marafini, Trilussa, Rosa Tomei e Lo Studio, Gangemi Editore, Roma 2018

Redazione, Natale al Gemelli, 19 dicembre 2017, in: https://www.policlinicogemelli.it. (rif. Veronica Maja, Roberto Ciufoli, Banda musicale della Polizia di Stato)

B. Scaramucci-S. Nespolesi, Un doppio hurrà per Nonna Sprint. «Giovanna la nonna del Corsaro Nero» e la Tv dei ragazzi degli anni ’60, RAI ERI, Roma 2015.


Note

1 Carlo Alberto Salustri fu il secondogenito di due figli. Nacque a Roma il 26 ottobre 1871 da Vincenzo, cameriere, e da Carlotta Poldi, sarta. Divenne poeta, scrittore e giornalista.

2 Ettore Pasquale Antonio Petrolini (1884-1936). Fu anche scrittore, compositore, cantante, sceneggiatore.

3 La Tomei tentò di evitare la dispersione del materiale che Trilussa aveva raccolto nel corso degli anni. Oggi, quanto è stato recuperato si trova presso il Museo di Trastevere.

4 P. Domenico Mondrone SJ (1897-1985).

5 D. Mondrone, Trilussa da vicino, in: «La Civiltà Cattolica», 26 aprile 1940.

6 Si sedeva nei banchi posti a destra, guardando l’altare maggiore. In tal modo era vicina alla cappella della Madonna dei Miracoli. In questa chiesa venne battezzato Trilussa.

7 Trilussa, Pensanno a la Madonna, 1941 circa. Il sonetto è incompleto. I trattini si riferiscono, probabilmente, agli anni giovanili.

8 La «Strenna dei Romanisti» lo pubblicò il 21 aprile del 1984 con un articolo di Giulio Cesare Nerilli (1919-1989).

9 Tra le mondane d’alto bordo che frequentava ci fu anche Cornelia Tanzi. Quest’ultima ebbe «incontri amorosi» pure con Benito Mussolini che ne parlò con Claretta Petacci (confronta Mussolini segreto, diari di Claretta Petacci, a cura di M. Suttora, Rizzoli, Milano 2010).

10 «Capitan Fracassa», «Il Messaggero», «Travaso delle idee», «Don Chisciotte».

11 Giovanni Paolo I fu eletto Pontefice il 26 agosto 1978. Morì dopo 33 giorni.

12 P. L. Guiducci, Trilussa e la Madonna, in: «Maria Ausiliatrice», numero 8, settembre 1990.

13 La Leggenda perugina (capitolo 45: FF 1594) e lo Specchio di perfezione (capitolo 90: FF 1788) narrano che, appena composta la strofa del «perdono» del Cantico di Frate Sole, San Francesco malato, quasi cieco e tormentato dal dolore, dettò in volgare alcune parole con melodia per Chiara e le sorelle, soprattutto perché le sapeva molto contristate per la sua infermità. Amava esprimersi nello stile dei giullari, cantando cose semplici. Non era un modo superficiale di divertirsi, ma una maniera per esprimere cordialmente la fede. Francesco cantò quindi per Chiara e le sorelle (Leggenda perugina 45: FF 1594). Nel 1976 il Padre Giovanni Boccali ofm scoprì due antichi manoscritti con il testo delle canzoni. Il fatto avvenne mentre si stava preparando la commemorazione del 750° della morte di San Francesco. Al Padre Boccali, impegnato a preparare una nuova edizione delle Fonti Francescane, Suor Chiara Letizia Marvaldi e Suor Chiara Augusta Lainati avevano riferito sull’esistenza dei due antichi manoscritti (custoditi nel monastero di Novaglie, Verona).

14 Cardinale Ferdinando Antonelli (1896-1993). Per diversi anni confessò presso la basilica di Sant’Antonio a Roma (Via Merulana).

15 Chiara di Assisi (1194-1253). Stretta seguace e intelligente collaboratrice di San Francesco di Assisi (1181 o 1182-1226). Fondatrice dell’Ordine delle Clarisse Francescane.

16 P. L. Guiducci, La letizia per carisma, in: «Maria Ausiliatrice», numero 6, giugno 1990.

17 Esempio: reparti di oncologia pediatrica.

18 Esempio: Policlinico «Agostino Gemelli» di Roma.

19 Gino Cervi (1901-1974).

20 Confronta ad esempio: J. Aliprandi, La squadra azzurra ha incontrato i bambini ricoverati nell’Ospedale pediatrico di Roma, in: «Corriere dello Sport», 10 ottobre 2019.

21 Redazione, Aguero invita a casa un baby tifoso malato di cancro e gli regala maglia e scarpe, in: «Il Messaggero», rubrica sport, 25 agosto 2018.

22 E una volta anche con la presenza di un bersagliere in congedo che suonò il «Silenzio» fuori ordinanza per esaudire il desiderio di un infermo.

23 Padre Carlo Colafranceschi nacque a Roma nel 1934. Deceduto il 21 novembre del 2010. Chi scrive lo ha conosciuto quando era superiore dei cappellani del San Giacomo.

24 Pietro De Vico nacque a Napoli il 21 febbraio 1911 e morì a Roma il 10 dicembre 1999. Fu un attore di teatro e cinema. Comico, macchiettista e caratterista. Lavorò anche con Totò.

25 B. Scaramucci-S. Nespolesi, Un doppio hurrà per Nonna Sprint. «Giovanna la nonna del Corsaro Nero» e la Tv dei ragazzi degli anni ’60, RAI ERI, Roma 2015.

26 Tenda di plastica. Sistemata sul letto di un paziente con difficoltà respiratorie. Costituisce uno spazio chiuso entro cui pompare una miscela gassosa ricca di ossigeno.

27 P. L. Guiducci, Sulla Tua Parola. Spunti ed idee per riscoprire la vitalità del Simbolo di Fede, Prefazione del Cardinale Ferdinando Antonelli ofm, La Parola, Roma 1981.

28 Due candele ormai consumate situate in una chiesa.

29 Accende un lumino.

30 Lascia il vuoto, cioè abbandona il Crocifisso.

31 Ma tu non lasci il compito di Salvatore dell’umanità.

32 P. L. Guiducci, Ciao Mamma!, sussidio per genitori ed educatori che insegnano ai bambini la preghiera del Rosario, Elledici, Leumann (TO) 1986.

33 Confronta ad esempio: I terapisti della palestra neuromotoria, XXXI Festa dell’incontro. I momenti condivisi di una famiglia in costruzione, in: «La voce dei poveri di Don Guanella«», anno 88, luglio-settembre 2016, numero 3, pagine 10-11 (rif. banda dei Granatieri di Sardegna, Fanfara dei Carabinieri).

(ottobre 2020)

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