Cenni essenziali di storia dell’umorismo
L’arte di far ridere da Aristotele a Pirandello: evoluzione di un costume e diversità d’interpretazione

L’umorismo è una tematica che attraversa l’intera storia dell’umanità. In epoca antica è legato a doppio filo con il magico mondo del teatro. La commedia è un genere drammatico nato nell’antica Grecia che, in contrapposizione alla tragedia, costituita da eventi luttuosi, aveva come fine quello di suscitare il riso negli spettatori. Purtroppo è andato perso il libro della Poetica di Aristotele che trattava nello specifico della commedia (fatto che servirà ad Umberto Eco per ideare il suo misterioso e suggestivo Il nome della rosa), ma dai testi antichi rimasti possiamo ricavare interessanti indicazioni. Uno dei campioni del genere fu Aristofane, vissuto nel V secolo avanti Cristo, che amava prendere di mira uomini politici e filosofi famosi cercando di renderli ridicoli evidenziando i loro difetti fisici e caratteriali. Nelle celebri Nuvole il bersaglio è nientemeno che il mitico Socrate. Tra le categorie sociali di cui Aristofane si faceva beffe va purtroppo segnalata anche quella delle donne. Il grande autore si immagina ad esempio i disastri che a suo giudizio avrebbero combinato le esponenti del gentil sesso nel caso in cui si fossero dedicate all’attività di parlamentari nella democrazia ateniese.

La risata comunque aveva soprattutto una funzione liberatoria. Ridere dei difetti umani riconciliava gli uomini stessi con la loro umanità, aiutandoli ad accettarsi.

Anche l’autore latino Plauto puntava sulla «vis comica», cioè sulla capacità di suscitare risate nel pubblico, ma lo faceva usando un linguaggio a tratti volgare e scurrile, con allusioni pure alla sfera sessuale. Molto più serie e pedagogiche invece erano le opere di Terenzio che cercava di trasmettere al pubblico i valori della famiglia e degli affetti ad essa legati.

Nel Medioevo Cristiano la considerazione del riso e dell’umorismo assunse connotati negativi. Come i monaci del Nome della rosa, gli uomini medioevali diffidavano di questo tratto dell’umanità considerandolo parte della vita terrena e dei suoi piaceri volgari. Non per niente la mentalità cristiana ideò il Carnevale per limitare e contenere in giorni e periodi prefissati i momenti concessi all’allegria e ai piaceri terreni.

In epoca contemporanea il premio Nobel Luigi Pirandello si propose di dare un’interpretazione nuova dell’umorismo. Secondo lui a suscitare in noi le risate sono quegli avvenimenti o quegli atteggiamenti che si distaccano in modo apparentemente buffo dalla normalità. In realtà dietro a questi ci sono spesso storie tristi se non addirittura tragiche. Pirandello fa l’esempio di una donna anziana che per piacere agli uomini si trucca e si veste da adolescente. A molti questo fatto susciterà ilarità. Se però scopriamo che la donna si comporta così perché i continui tradimenti del marito l’hanno portata alla disperazione, vicino alla follia, in noi nascerà un sentimento di compassione ed empatia. Ridere degli altri esseri umani, insomma, secondo l’autore siciliano, è un atteggiamento crudele o quantomeno superficiale.

(agosto 2018)

Tag: Lamberto Motta, storia dell’umorismo, Poetica di Aristotele, Umberto Eco, Il nome della rosa, Aristofane, umorismo, arte di far ridere, comicità, Nuvole, Plauto, vis comica, Terenzio, Carnevale, Luigi Pirandello, ilarità.