Paradiso Occidente
Spunti di riflessione in tema di etica civile nel mondo contemporaneo

In un aforisma rimasto famoso, Sigmund Freud aveva affermato che la vita umana è cosa inutile e senza senso, con una diagnosi tanto più terribile, in quanto formulata dal padre della psicanalisi. Oggi, Stefano Zecchi, ordinario di Estetica a Milano, e già noto al grande pubblico per la sua attività di saggista, di romanziere e di «opinion maker» anche attraverso un giornalismo realmente impegnato e formativo, ha offerto un’alta, magistrale e consapevole rivalutazione della vita nel suo irripetibile valore sacro, umano e civile[1].

Si tratta di un messaggio dal grande impatto culturale, col significativo riferimento, già nel sottotitolo, alla nostra indiscutibile decadenza. Merita un’attenzione specifica e meditata, perché esprime il convincimento, consolidato dalla filosofia ed attestato dalla storia, secondo cui il modulo dell’Occidente, pur con tutti i suoi limiti e contraddizioni, e con il suo progressivo declino, deve ritenersi una sorta di piccolo paradiso, modesto quanto si vuole, ma non certamente paragonabile con la sostanziale disperazione del nichilismo, né con le ricorrenti aberrazioni fondamentaliste. In un’epoca dissacrante come quella attuale, averlo sottolineato con la forza della ragione e dell’evidenza è un fatto indubbiamente meritorio; lo stesso dicasi per il giudizio sulla democrazia contemporanea sempre più perfettibile, in specie nell’ottica della rappresentanza.

In tutta sintesi, Zecchi propone all’attenzione ed alla sensibilità dell’uomo contemporaneo il bisogno ineludibile di fare il punto sulla sua essenza, e quindi sul significato della vita, avuto riguardo al fatto che le condizioni in cui questa necessità è in grado di essere meglio perseguita sono proprio quelle dell’Occidente. Nondimeno, tale constatazione non si traduce in un giudizio a priori ma si limita a proporre il dovere di trarne un impegno comune in chiave di responsabilità e di speranza: due «principi» solo in apparenza contraddittori, ma idonei a promuovere una sintesi idonea a farci comprendere anzitutto chi siamo e dove andiamo, ed a silenziare le tristi sirene del negazionismo etico e culturale.

Partendo dalla crisi dell’Occidente che si evidenzia con particolare visibilità in quella della famiglia, con riguardo specifico alla figura del padre ed al conseguente rifiuto della gerarchia tradizionale, ed avendo premesso che si è perduto il riferimento a Dio perché la vita è stata desacralizzata e demitizzata ripudiandone il referente trascendentale, Zecchi si pone il problema di come agire, affinché il «modesto paradiso» che ci viene offerto nell’epoca della globalizzazione possa essere tutelato, e per quanto possibile ampliato, nei contenuti e negli spazi.

La risposta non è univoca, perché l’obiettivo è straordinariamente complesso. Si parte dal riferimento alla tradizione, da recuperare e valorizzare nel suo ruolo di conformità al vero ed al giusto, si sottolinea l’importanza della creatività a fronte del mero utilitarismo, e si prosegue con il ruolo prioritario della libertà, rispetto a quello pur ineludibile della necessità. Soprattutto, si ravvisa nella convergenza di responsabilità e speranza, che appartiene alla natura umana corroborata da un imprescindibile impegno volontaristico, l’antidoto ad una crisi altrimenti cronica: il tutto, nel quadro di una Bellezza che, in quanto categoria dello Spirito e partecipe di un significato universale, è in grado di illustrare il Bene ed il Vero con l’autenticità della sua luce da tutti visibile ed apprezzabile, e non certo con il banale corollario di un pur piacevole orpello.

Si diceva della tragica definizione freudiana della vita: ebbene, giova aggiungere che Stefano Zecchi, ben lungi dall’aderire al pessimismo quasi disperato di Freud, si limita a mutuarne la teoria del «sogno notturno» quale soddisfacimento regressivo di desideri inconsci, contrapponendola al «sogno ad occhi aperti» di Ernst Bloch, in cui la fantasia consente di dare spazio all’idea di ciò che si «vorrebbe utopicamente essere o diventare». In altri termini, di scoprire il senso della vita e di agire in conseguenza.

In ogni caso, l’utopia di Bloch non deve essere vista in senso assoluto, e quindi irrealizzabile: infatti, nell’impegno che scaturisce dall’incontro della responsabilità e della speranza, la linea del possibile, come avrebbe detto Croce, si «sposta grandemente» verso il fattibile. In questa ottica si può leggere anche la rivalutazione del Romanticismo in quanto speranza di riscatto contro le suggestioni illuministe e gli eccessi della Rivoluzione; e prima ancora, il riferimento alla triade valoriale di libertà, conoscenza ed amore, cara all’ultima scuola goethiana.

All’età romantica, ed in misura prioritaria a Novalis, il poeta del Romanticismo Tedesco particolarmente caro a Zecchi, sono da rivolgere attenzioni particolari per il suo ritorno alla Bellezza: non soltanto in chiave classica, ma nello stesso tempo, quale momento di sintesi del Bene e del Vero. In parole brevi, una Bellezza che non viene riservata alla semplice contemplazione, ma diventa arra di crescita anche sul piano della conoscenza e dell’ethos.

Un problema di fondo, caso mai, è quello della condivisione e della partecipazione. Zecchi afferma emblematicamente che il Gulag di Solgenitsin, i campi di concentramento e le foibe non saranno meno veri se un giorno nessuno li ricordasse (in effetti, la memoria di questi delitti contro l’umanità si è andata tristemente riducendo ad una ritualità ripetitiva): il Vero ed il Bene esistono anche se non sono amati e fatti propri da un’umanità che non si riconosce in questi valori, e che può trovare una via di possibile salvezza nel Bello, in quanto «universale» idoneo a proporsi quale arma anti-nichilista, e quindi, a promuovere la riscoperta dell’etica e della civiltà.

In conclusione, quello dell’Occidente è un paradiso modesto, per sua natura limitato, ma ciò non significa che Stefano Zecchi indulga alla rassegnata propensione ad accettarne la «finitudine» in un’ottica di sopravvivenza utilitaristica. Al contrario, è consapevole che in sede politica esiste, soprattutto nel Terzo Mondo, una diffusa e spesso velleitaria esigenza di acquisire qualche beneficio di quel piccolo paradiso, sia nell’ottica dell’imitazione che della cooperazione internazionale; ma soprattutto, che la difesa dei valori autentici dell’Occidente, seppure condivisi da una minoranza piuttosto silenziosa ma culturalmente impegnata, si affida all’impegno individuale, ed in quanto tale libero, di chi sappia e voglia riconoscersi nel ruolo propositivo e costruttivo di tradizione, gerarchia ed etica; e contestualmente, nel valore «sacrale» della Bellezza e della Vita.


Nota

1 Stefano Zecchi, Paradiso Occidente, Mondadori Editore, Milano 2016, 240 pagine. L’Autore ha scritto una lunga serie di saggi filosofici, cui si sono aggiunti alcuni romanzi storici mutuati dalle vicende del confine orientale. Recentemente, a seguito di un grave lutto familiare dovuto alla perdita della sorella uccisa da un pirata della strada, ha acquisito ulteriore notorietà per avere auspicato, anche in sede televisiva, una giustizia assolutamente indipendente dalla vendetta.

(novembre 2017)

Tag: Carlo Cesare Montani, civiltà occidentale, Stefano Zecchi, Sigmund Freud, Ernst Bloch, Benedetto Croce, valori della civiltà occidentale, Novalis (pseudonimo di Georg Friedrich Philipp von Hardenberg), Aleksandr Solgenitsin, Paradiso Occidente.