L’orientamento pedagogico in alcuni canti mariani popolari tra Settecento e Novecento
Da O bella mia speranza a Madonna degli Alpini

Avvertenza: per ragioni di lunghezza, e in accordo con l'Autore, questo articolo è stato pubblicato privo delle note presenti nel testo originale.

Nello sviluppo della filialità mariana sono state diverse le espressioni della pietà popolare che hanno cercato di manifestare – in modo corale – alla Madonna dei sentimenti di affetto, di fiducia e di affidamento. In particolare, valorizzando l’uso di canti, è stato possibile coinvolgere intere comunità in un movimento spirituale segnato dall’orazione, dalla lode e dalla contemplazione. In realtà, a ben vedere, gli Autori di molti motivi musicali non hanno solo offerto – attraverso una melodia – un itinerario di pietà mariana, ma sono andati «oltre»: hanno scritto delle strofe che costituiscono pure un insegnamento, una catechesi. Questo saggio cercherà di evidenziare la pedagogia che si trova in più canti mariani composti tra Settecento e Novecento (XVIII-XX secolo).


SETTECENTO


Incontrare Maria senza formalismi. «O bella mia speranza» (1732)

Nel 1732, un sacerdote, Alfonso Maria de’ Liguori, nato vicino a Napoli, era impegnato da qualche anno anche in una catechesi per il popolo illetterato. Nel suo disegno pastorale utilizzò pure le cosiddette «cappelle serotine». In pratica, nelle ore serali, nelle piazzette di Napoli, gente dei quartieri disagiati (i «lazzaroni») si riuniva per pregare e per ascoltare riflessioni religiose. Inoltre si cantava. In tale progetto, attuato in più punti della città (presso «cappelle»), operai e artigiani venivano così avvicinati alla vita ecclesiale. Tale impegno religioso utilizzava anche delle composizioni musicali mariane. Alfonso Maria de’ Liguori era un teologo moralista. Nelle pause del suo ministero componeva diverse melodie. Era un modo per favorire in modo semplice la contemplazione dei Misteri della Redenzione. Alle sue opere inserì anche un nuovo canto dal titolo: O bella mia Speranza.

In questa iniziativa egli desiderò ricordare ai fedeli che già l’atto del guardare a Maria, del pensare a Lei, è un momento di filialità. Di confidenza. Di fiducia. Fece così comprendere che l’interazione con la Madre di Dio non ha bisogno di lunghe orazioni, o di particolari gesti di riverenza. Serve solo un cuore sincero. Capace di «vedere» nella Vergine – nell’immediatezza dell’incontro – una Presenza reale che accompagna. E che non delude. Per tale motivo si trovano nel testo dei passaggi particolarmente significativi:

«2. Se mai pensier funesto
viene a turbar la mente,
sen fugge allor che sente
il nome Tuo chiamar».

«4. Quando ti chiamo, o penso
a Te Maria, mi sento
tal guardio e tal contento che mi rapisce il cuor.»

È chiara in questa impostazione un’idea: la Madonna può essere invocata ovunque, non solo in chiesa, ma anche nelle diverse ore della vita quotidiana. Tale orientamento costituì un andare «controcorrente» perché in quel tempo esistevano nella sua terra abitudini legate alle apparenze, al formalismo, a manifestazioni attente a precisi rituali e a determinate credenze.


Ogni momento può essere un dialogo con Maria. «O Sanctissima, o piissima, dulcis virgo Maria» (1785)

L’idea di Sant’Alfonso de’ Liguori la si trova – in un testo più breve – anche in un motivo divulgato all’estero. Nel 1785 venne pubblicata a Londra una raccolta di canti: A miscellaneous collection of French and Italian ariettas. Il curatore era l’arpista Edward Jones. In quest’opera era pure inserita la composizione dal titolo: The prayer of the Sicilian mariners (La preghiera dei marinai siciliani).

Il canto iniziava con l’invocazione O Sanctissima, o piissima, dulcis virgo Maria. Nella parte del commento era scritto che questi marinai concludevano la giornata cantando tale inno (preghiera della sera). In seguito, nel novembre del 1792, a Londra il mensile «European Magazine and London Review» (pagine 385-386) pubblicò questo canto con il titolo: Sicilian mariner’s hymn to the Virgin. Nessun commento era allegato alla partitura. Si possono solo esprimere delle ipotesi sull’origine del testo e della melodia.

In tale contesto è utile annotare qualche ulteriore dato. Tra coloro che ebbero modo di conoscere questo canto ci fu Mozart. Egli ne realizzò una trasposizione per coro a cappella. Non si conosce il modo con il quale il musicista sia venuto a conoscenza di O Sanctissima. Quello che sorprende è un fatto. Il brano non si trova in alcuno dei vari repertori di canti siciliani pubblicati nell’Ottocento da filologi (ad esempio Giuseppe Pitrè). Ciò vale anche per Il giovane provveduto, un testo di San Giovanni Bosco (riporta molte canzoni mariane, ma non questa). Comunque O Sanctissima ebbe vasta diffusione. Nel 1807 il poeta e musicista tedesco Hoffmann ne fece una rielaborazione per coro e orchestra, riprendendo però la melodia originale solo nel basso.

Nello stesso anno, il testo venne inserito nella raccolta di canzoni dei vari Paesi Europei Stimmen der Völker in Liedern. In questa nuova edizione, il curatore, il filologo tedesco Herder, ne riportò (unico caso in tutta la raccolta di circa 300 canzoni) anche la melodia originale. Intanto il compositore austriaco Haydn ne aveva realizzato una versione per coro a 4 voci con accompagnamento.

Nel 1814 Beethoven riprese integralmente la melodia originale. E trasformò il brano in un mottetto per coro a 4 voci con strumenti ad arco e pianoforte. Vent’anni dopo Mendelssohn Bartoldy, incaricato dell’organizzazione di importanti festeggiamenti pubblici a Düsseldorf, fece eseguire la versione originale del canto. Altri noti musicisti rimasero colpiti da questa melodia: da Gounod a Dvorak, da Picchi al contemporaneo Frisina.

Nella pubblicazione londinese del 1792 è riportata solo la prima strofa che si può tradurre in modo letterale così: «O Santissima, o piissima, dolce vergine Maria: madre amata, pura, prega, prega per noi».

Nel testo latino si trova l’espressione: «Mater amata, intemerata». L’ultimo aggettivo viene oggi tradotto con «immacolata». Tale accezione sembra non corretta per una preghiera settecentesca (nella devozione popolare si accentuava maggiormente la verginità della Madonna rispetto alla Concezione senza macchia originale).

Le prime versioni musicali, da Herder a Haydn e a Beethoven, includevano solo l’invocazione ricordata in precedenza. In seguito, se ne aggiunsero altre. La seconda afferma: «Tu sei nostra gioia e rifugio, o vergine madre Maria. Tutto quello che noi desideriamo lo speriamo per mezzo tuo. Prega, prega per noi».

La melodia trovò consensi anche al di fuori del mondo cattolico. Nel 1816 il pastore luterano tedesco Falk compose un canto natalizio adattandolo alla melodia di O Sanctissima. Nel testo l’Autore esclama: «O gioioso, o beato tempo di Natale, che ci porta la grazia. Il mondo sarebbe andato perduto, ma Cristo è nato. Rallegrati, rallegrati o Cristianità». Il brano fu destinato in origine ad allietare il Natale di bambini rimasti orfani (assistiti da Falk). Ebbe però successo. Entrò nei libri di canto delle Comunità riformate e, in seguito, nel Gotteslob (raccolta di inni) cattolico (dal 1975). Aumentarono le traduzioni in altre lingue. Inoltre, il canto si inserì nel mondo tedesco e scandinavo (repertorio dei trombettieri che suonano in strada o dai campanili nella Vigilia di Natale).

La melodia si diffuse anche oltre oceano. Nel 2015 il musicologo e cantautore USA Guy Carawan rivelò di averne ripreso le prime battute come tema di We shall overcome. La notizia venne riportata anche dal «The New York Times» e da «The Atlantic».

In tale contesto quello che interessa, per il presente studio, è il tipo di insegnamento che l’Autore volle trasmettere attraverso il canto O Sanctissima. Riflettendo sull’impostazione della composizione ci si accorge che l’obiettivo base non è solo quello di esprimere una devozione alla Madonna. Emerge anche un altro obiettivo: ricordare che in ogni momento della vita è possibile rivolgere lo sguardo alla Madre di Dio. E chiedere il Suo aiuto nelle ore difficili. In pratica, non c’è bisogno di attendere delle funzioni religiose. C’è già un cuore che canta.


OTTOCENTO


Si può rivolgere una Supplica a Maria anche cantando. «Mira il tuo popolo» (1853)

A Torino, nella terza edizione (1853) del Giovane provveduto, si trova anche il testo di un canto mariano già noto in quel periodo: Mira il tuo popolo. Secondo alcuni studiosi, il verbo «mira» («guarda»), in uso in Spagna, farebbe pensare a un’origine della composizione in qualche area del Meridione soggetta storicamente a influssi spagnoli. Qualcuno avanza l’ipotesi che l’Autore possa essere identificato in Sant’Alfonso Maria de’ Liguori o in qualche Padre Redentorista. Al riguardo, si deve comunque ricordare che nel repertorio religioso spagnolo si trova un canto molto noto dal titolo: Mira que te mira Dios. Venne composto da Francisco López de Úbeda nella prima metà del Seicento. Tale composizione ebbe poi una versione mariana come Mira nos o madre nuestra, con la medesima ritmica di Mira il tuo popolo.

Quello che qui interessa evidenziare è che Mira il tuo popolo è, in concreto, la traduzione canora di una supplica. Erano infatti diverse le «suppliche» che già circolavano nelle Chiese locali. Si trattava di invocazioni speciali che, in determinate festività, venivano lette dal Vescovo a nome di tutto il popolo presente in gran numero. A titolo di esempio si ricorda la Supplica alla Madonna di Pompei, scritta nel 1883 dall’avvocato Bartolo Longo.

Queste «suppliche», però, rimanevano legate a cerimonie ecclesiastiche, a solennità, e lo stesso testo conteneva a volte alcuni termini poco chiari a gente illetterata. Per tale motivo, si volle realizzare una «supplica» impostata in modo da poter essere cantata da tutti, senza essere necessariamente legata a particolari ricorrenze religiose. Da qui la diffusione di Mira il tuo popolo.

«1. Mira il tuo popolo, o bella Signora,
che pien di giubilo oggi ti onora.
Anch’io festevole corro ai tuoi pie’,
o santa Vergine, prega per me. (2 volte)
2. In questa misera valle infelice
tutti t’invocano soccorritrice.
Questo bel titolo conviene a te
o santa Vergine prega per me!
3. Il pietosissimo tuo dolce Cuore,
esso è rifugio al peccatore.
Tesori e grazie racchiude in sé,
o santa Vergine prega per me!
4. Del vasto oceano propizia stella,
ti vedo splendere sempre più bella;
al porto guidami per tua mercè
o santa Vergine prega per me!
5. Pietosa mostrati con l’alma mia,
Madre dei miseri, santa Maria:
Madre più tenera di te non v’è,
o santa Vergine prega per me!
6. A me rivolgiti con dolce viso
Regina amabile del paradiso;
Te potentissima l’Eterno fe’
o santa Vergine prega per me!».


L’anelito di vedere Maria in Paradiso. «Andrò a vederLa un di’» (1853)

Nel 1853, il Padre Pierre Janin, membro della Congregazione dei Padri Maristi, compose il canto mariano J’irai La voir un jour. Questo lavoro musicale ha una storia che si collega con quella del suo Autore. Padre Janin, negli anni, sviluppò una crescita culturale non debole. Ma è quella spirituale che interessa di più. Questo giovane dimostrò che una vita in Dio non si esprime solo nel quotidiano impegno religioso, ma anche con la poesia e il canto. Sarà quest’ultimo, in particolare, a segnarne l’identità e la stessa linea pedagogica. Scrive Rozier che i suoi primi versi risalgono alla classe di studi umanistici, presso il seminario minore di Meximieux.

Più tardi, nel 1846, una grave malattia colpì Pierre Janin. È l’anno delle apparizioni della Santa Vergine a La Salette. Il giovane chiede aiuto a Maria. E supera la prova. Per lui, quindi, la guarigione è un dono della Madre di Dio. La devozione a Nostra Signora della Salette, di conseguenza, diventa così un qualcosa di vitale. Segna la sua esistenza. Nel seminario teologico, egli aderisce poi a un’associazione istituita per diffondere il culto alla Madonna dei Sette Dolori. Entra in seguito nella Società di Maria (Padri Maristi). È ordinato sacerdote nel marzo del 1851.

Prima di questa data Janin aveva scritto due poemi a Nostra Signora della Compassione, e dei canti utilizzando arie conosciute. Nel giorno della professione religiosa (settembre 1852) decide di esprimere in versi poetici la propria consacrazione alla Madonna. In quest’ultimo testo si individua uno dei temi del Trattato della vera devozione alla Santa Vergine del Montfort. In ricordo della sua professione il Janin scrisse altri versi rivolti alla Madre di Dio. Questo giovane religioso venne poi assegnato al collegio di Langogne. La filialità verso la Madonna si rafforzò in lui grazie anche alla spiritualità mariana del suo Istituto.

La Congregazione dei Maristi era stata fondata dal Padre Colin. Quest’ultimo, governò questa Famiglia religiosa per 16 anni. In Francia fondò diverse comunità. E dette impulso all’azione missionaria in Oceania. Il suo obiettivo era quello di costituire una Compagnia di consacrati al servizio della Chiesa. Tali religiosi, nel quotidiano, dovevano imparare dall’esempio di Maria. Donna umile tra gli Apostoli, umile a Nazaret, modello di apostolato e di vita interiore.

I fatti citati possono aiutare a comprendere un contesto storico ecclesiale, e una persona (il Padre Janin), segnati dalla filialità mariana. Nell’aprile del 1853 la comunità del collegio dei Maristi di Langogne si recò in pellegrinaggio a Le Puy en Velay (Alta Loira) per la chiusura del Giubileo locale. Il Padre Janin partì alla vigilia. A piedi. Nella neve. Con diversi altri Padri. In questa occasione cantò con tale impegno da subire un abbassamento di voce per circa 15 giorni. Utilizzò tale periodo per scrivere un poema. Nel testo chiese alla Vergine di rendere la sua voce e i suoi canti un pio ornamento in Suo onore «perché i miei canti, tu lo sai, sono la mia vita, il modo con il quale mi esprimo, la mia preghiera […] tutti i miei accenti sono per te».

Qualche settimana dopo, per la conclusione del mese mariano (31 maggio 1853), egli compose il canto Un radieux espoir (Un radioso futuro). Utilizzò al riguardo l’aria di una melodia di tipo pastorale: Le ciel en est le prix (Il cielo ne è il premio), intesa a Fourvière. La composizione ebbe poi un nuovo titolo: J’irais La voir un jour (Andrò a vederla un dì). Il canto venne poi pubblicato nel 1861 dal Padre Marista Jean-Marie Garin nel suo primo lavoro dal titolo: Cantiques des Congrégations du Collège Sainte-Marie de Bar-le-Duc.


Alcune sottolineature

Quando un poeta esprime i propri sentimenti non è legato a impostazioni rigide. Al minuzioso dettaglio. Alla citazione dotta. Egli grida uno slancio dell’anima. E lo fa evidenziando una idea essenziale. Nel Padre Pierre Janin tutta la costruzione del canto è in direzione del Paradiso. Qui avviene l’incontro definitivo con Maria. E in quest’ora di gioia sarà possibile esprimerLe in modo filiale un amore cresciuto con offertori quotidiani. Con fedeltà rocciose. Con il «fiat» della propria via crucis. In quest’ottica tutto il canto respira il trascendente e accompagna nelle realtà che superano l’orizzonte terreno.

L’incontro con la Vergine è vissuto già in terra (= è qui che emerge la pedagogia di Janin). È realtà che sostiene nelle salite della vita (= emerge la «scientia Crucis»). È un fatto diretto, personale (= Maria Madre della Chiesa). È evento ecclesiale che conduce nella Famiglia di Dio (= la lode segna una coralità di partecipazione). È un appuntamento definitivo (= all’aurora non seguiranno più tramonti). Tali aspetti furono, ad esempio, ben compresi da Bernadette Soubirous. J’irais La voir un jour era un canto a lei gradito. E anche la madre di Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo, la Beata Zélie Guerin in Martin, era solita cantare la composizione del Padre Janin.


Ulteriori vicende

Il Padre Janin venne poi inviato dalla sua Congregazione nel collegio di Arles. Qui, scrisse una nuova composizione dal titolo Pourquoi je chante Marie (Perché canto Maria). Nel migrare del tempo si arriva poi a un momento storico critico. Nel marzo del 1871 numerosi Francesi aderirono a un moto insurrezionale contro il Presidente Thiers.

Si arrivò a proclamare a Parigi la «Comune» (18 marzo). In seguito le forze governative ebbero il sopravvento. I rivoltosi furono deportati in Nuova Caledonia. A questo punto, si cercarono dei sacerdoti disposti a svolgere il ruolo di cappellani tra i condannati. Nell’ottobre del 1871 il Padre Janin offrì la propria disponibilità. Con dei versi poetici spiegò la sua decisione. Prima dell’imbarco celebrò una Messa di addio nella cappella di Fourvière, a Lione. Aggiunse anche altre tre strofe a J’irai La voir un jour. Questo canto si era ormai diffuso in Francia e all’estero (Padre Janin lo ascoltò arrivando in Nuova Caledonia).

Nel 1875, in occasione dell’inaugurazione di una cappella dedicata a Nostra Signora della Salette, nella sua «parrocchia», il Padre Janin scrisse ancora: «A te i miei messaggi d’amore / Signora della Salette. / Le tue lacrime mi hanno fatto poeta, / io sono il tuo trovatore. / A te i miei canti d’amore». Quattro anni dopo, in occasione dell’incoronazione della statua della Madonna posta nella cappella, annotò: «Ora, nunc dimittis, / ho visto il tuo trionfo, o Salette. / Quaggiù, le mie speranze sono esaudite. / Ma del tuo poeta / qual è la richiesta? Essere nell’eterna festa, / tuo trovatore per sempre».

Il Padre Janin cantò la sua «Signora» fino alla morte, avvenuta a Sydney nel 1899.

Egli si definiva un «trovatore mariano». Questa linea spirituale e pastorale si ritrova nei 21 canti inviati nel 1875 al superiore generale dei Padri Maristi, diversi dei quali erano stati già pubblicati in Francia, a Sydney o in Nuova Caledonia. Il canto Andrò a vederla un dì si diffuse anche in Italia. Ancora oggi lo si ascolta in occasione di festività mariane, di processioni, di funerali… Ma c’è un punto, al riguardo, da spiegare. Che senso ha ricordare oggi la figura di Padre Janin? E che significato attribuire a un canto (J’irais La voir un jour) che taluni etichettano rapidamente come «canto tradizionale» o «popolare», e che altri non apprezzano ritenendo che non rispecchi un’impostazione biblica, o comunque un indirizzo cristocentrico?

Al riguardo, è utile sottolineare degli aspetti. La figura del Padre Janin, intanto, non è da avvicinare come una realtà isolata, ma è da «leggere» come espressione di una filialità autentica che attraversa i secoli, e che anche nel Settecento e nell’Ottocento trovò delle manifestazioni ecclesiali capaci di «tradursi» in congregazioni, opere sociali, atti di sacrificio quotidiano, eroismi nascosti agli occhi del mondo. E tutto ciò si realizzò con il sostegno dei Pontefici (nel 1863, ad esempio, Innocenzo XI introdusse la festa liturgica del Nome di Maria).

In tale contesto, il canto Andrò a vederla un dì non solo si pone in sintonia con il quinto mistero glorioso del Santo Rosario (ove si contempla l’incoronazione di Maria Santissima Regina degli Angeli e dei Santi, e il Paradiso), e con l’invocazione finale del Salve Regina («e mostraci dopo questo esilio Gesù»), ma supera il circoscritto contesto di esodo dal quale molti Autori invocano Maria per un aiuto nell’oggi, per esprimere – con un linguaggio comprensibile a tutti – una contemplazione del Cielo, cioè del Paradiso, che è la Casa di Dio.

Deriva da ciò una sottolineatura: lo scopo del Padre Janin non è quello di impostare una lezione di mariologia usando della musica, ma è quello di esprimere un moto dell’animo capace di spingere verso offertori quotidiani rivolti a Dio, sostenuti con l’aiuto di Maria.

È solo in quest’ottica che si può comprendere perché certi canti di una storia meno recente riescono ancora a far breccia nell’intimo di molte persone. A riscaldare i cuori. Perché non c’è una dinamica segnata da un coro che sta da una parte e da un’assemblea muta che sta dall’altra. Ma c’è una voce che coinvolge altre voci (intonate o meno) fino ad arrivare a un’unica lode. Capace di segnare i solchi delle conversioni. Delle vocazioni religiose e sacerdotali. Dei «fiat» eroici. Che solo il cuore di Dio conosce.


Il racconto mariano come scoperta del «Dio vicino». «Ave Maria di Lourdes» (1873)

Nel 1873 un sacerdote francese, Jean Gaignet, attivo nella Vandea, decise di comporre un canto mariano in occasione di un pellegrinaggio di fedeli a Lourdes. In seguito, la composizione, di 8 strofe, divenne nota come l’Ave Maria di Lourdes. Il ritornello fu impostato in modo da ricordare il saluto dell’angelo Gabriele alla Madonna (Luca 1,26-38). La melodia venne presa in prestito da un cantico pubblicato nel 1842 da Padre Louis Lambillotte. La melodia del ritornello, composta solo dalle due parole del titolo in latino («Ave Maria»), riprende probabilmente un tradizionale canto degli abitanti di Bigourdan: Mous slops (Morbidi pendii).

In seguito, su richiesta del Vescovo di Luçon, il motivo venne ampliato: 68 strofe per raccontare le 18 apparizioni della Vergine Maria a Bernadette Soubirous (1858). La composizione trovò consensi nei più diversi Paesi del mondo, ed è stata tradotta anche in arabo.

Nell’ambito fin qui descritto c’è un aspetto da evidenziare. Quando il Padre Gaignet compose il testo dell’Ave Maria di Lourdes, egli volle indicare ai fedeli una realtà salvifica molto importante: attraverso Maria Dio interviene e si rivela come Colui che è vicino. In tal senso, tutto il racconto delle apparizioni non ha una centralità mariana ma cristocentrica. Ciò è strettamente in sintonia con i messaggi della Vergine:

1) l’Immacolata: realtà possibile grazie all’azione preventiva di Dio;

2) la Madonna, perché Immacolata, può difendere ogni figlio in esodo su questa terra. È un ruolo che le ha affidato Dio;

3) spetta, però, a ciascun fedele affrontare un cammino di ascesi verso Dio. Ciò può avvenire attraverso un itinerario di preghiera, di offerta, di penitenza, di opere di carità (malati, disabili…). In tale contesto, la conversione a Colui che salva diventa la porta da passare. Senza questo transito le dichiarazioni di fede rimangono affermazioni vuote di contenuto.

Il canto dell’Ave Maria di Lourdes ha accompagnato l’evolversi di fatti non spiegabili sul piano scientifico. L’11 maggio del 2016, una bambina di 6 anni, sorda dalla nascita, acquistò l’udito. La piccola si trovava con la famiglia a Lourdes, con il pellegrinaggio della Sezione Lombarda dell’UNITALSI. Aveva alle spalle una storia di sofferenza. Fin dalla nascita c’erano state criticità. Era rimasta ricoverata tre mesi nell’ospedale «Gaslini» di Genova. Vari problemi erano stati superati ma alcune medicine avevano provocato emorragie cerebrali. E avevano compromesso i canali uditivi.


A Gesù attraverso Maria. «Noi vogliam Dio!» (1882)

Nel 1793, quando la regione francese della Vandea si ribellò con le armi al regime rivoluzionario del tempo, si diffuse un canto: Nous voulons Dieu. Questa composizione, nella sua stesura iniziale, costituì un inno di lotta (andamento marziale). Al riguardo, è indicativa una strofa, in traduzione letterale: «Noi vogliam Dio perché gli empi si sono uniti contro il suo nome e nell’eccesso dei loro furori l’hanno proscritto: insensati!» Inoltre la frase «siamo pronti a morire per lui» esprime in modo evidente il clima del momento.

Si verificò in seguito un nuovo fatto. Nel 1882, il parroco di Sorigny (Touraine, Francia), François-Xavier Moreau doveva accompagnare un pellegrinaggio a Lourdes. I fedeli della sua diocesi, infatti, raggiunsero questa cittadina l’11 settembre di quell’anno. In tale occasione volle scrivere un canto mariano (musica e testo): Nous voulons Dieu (Noi vogliam Dio). Si tratta di una composizione che evidenzia il ruolo sociale del Cattolicesimo. Nelle strofe ci sono riferimenti alla scuola, ai tribunali, al matrimonio e all’esercito. Il canto fu in seguito pubblicato in un opuscolo. Nel 1885 si era già arrivati alla quarta edizione. Nella traduzione italiana è stata poi aggiunta una strofa che individua nel mondo del lavoro un ambito di santificazione.

Dopo il 1815 la versione italiana divenne inno ufficiale dello Stato Pontificio fino al 1857. Nel 1923 un Ministro della Cultura Francese propose l’abolizione dell’insegnamento religioso nelle scuole. Una folla di Cattolici raggiunse il Parlamento cantando Nous voulons Dieu. L’insegnamento non fu abolito.

Al riguardo, un fatto rimane interessante. Sul piano educativo Don François-Xavier Moreau non volle «isolare» la Vergine Maria dal Disegno Salvifico ma la collocò nell’unico Piano Redentivo. Per tale motivo l’affermazione centrale rimane il riconoscimento di Dio Padre e Creatore. Unitamente a ciò, mentre da una parte si proclama la Regalità di Cristo, dall’altra si «affida» a Maria il messaggio di fede di tutta la Chiesa verso l’unico Salvatore del mondo.


La filialità esclude il timore. «Vergin Santa che accogli benigna» (seconda metà del XIX secolo)

Secondo lo studioso Benno Scharf, il canto Vergin Santa che accogli benigna presenta «una sorprendente affinità con vari passi verdiani, al punto da autorizzare il dubbio che l’ignoto Autore abbia voluto riprendere qualcosa dal grande maestro. È noto che lo stesso Verdi fu in gioventù organista e direttore del coro nella chiesa di Busseto, suo paese natale. Meno noto è il fatto che in tale circostanza compose ben 80 canti religiosi. Vergin Santa si ispira forse a uno di questi?» In tale contesto, rileva interesse il riferimento alla «Stella del mare», all’«Addolorata» e all’«Arca dell’Alleanza». Si riportano le strofe:

«2. Tu Maria sei la splendida face
che rischiara il mortale sentiero;
sei la stella che guida il nocchiero
e lo salva dall’onda crudel.
3. Tu che gli angeli un giorno vedesti
là sul Golgota piangerti accanto
or asciuga dei miseri il pianto,
col materno purissimo vel.
4. Benedetta fra tutte le genti;
chè sei l’arca d’eterna alleanza
in Te posa la nostra speranza
contro l’arti d’un mondo infedel».

La ricerca storica, però, non si è fermata qui. Arrivando a un risultato. Attraverso la consultazione del Catalogo del Servizio Bibliotecario Nazionale è stato possibile arrivare a conoscere l’origine del canto. In particolare, nell’Archivio del Seminario della Diocesi di Vicenza si trova un documento (musica manoscritta) dal titolo: Canzoni. Vi sono conservate due composizioni. La «canzoncina numero 1» ha per titolo: Se dolce è il piangere. La «canzoncina numero 2» ha per titolo: Vergin Santa che accogli benigna. L’Autore è Antonio Coronaro (1851-1933). Questo suo lavoro uscì a Vicenza, e si può collocare a fine Ottocento/inizi Novecento. Al riguardo, ciò che qui interessa evidenziare è una intenzione del compositore: descrivere il moto dell’anima che si avvicina a Maria senza timore. Senza incertezze. Deriva da qui l’insegnamento: l’incontro con la Madre di Dio non mette soggezione ma dona piuttosto quella serenità interiore che facilita la confidenza, e che sviluppa una conversione a Dio.


NOVECENTO


Contemplare con il Magnificat. «Lieta armonia» (1909)

Nel 1909 un sacerdote, Don Raffaele Casimiri (1880-1943), volle «tradurre» il canto biblico del Magnificat in una composizione mariana popolare. Questo presbitero fu un notevole musicologo e ricercatore. Tra i principali esponenti del Movimento Ceciliano, era amico di Don Lorenzo Perosi. Svolse ricerche negli archivi di molte istituzioni italiane (religiose e laiche), riscoprendo importanti documenti storico-musicali. Fondò il periodico «Psalterium», e la casa editrice Psalterium.

Nel 1924 promosse la nascita della rivista «Note d’archivio per la storia musicale». Con la sua direzione ebbe inizio la pubblicazione de Le opere complete di Giovanni Pierluigi da Palestrina. Casimiri lavorò per la riforma e la restaurazione del canto gregoriano e della musica religiosa, secondo la tradizione dei grandi polifonisti del Cinquecento (in particolare Palestrina).

«1. Lieta armonia nel gaudio del mio spirito si espande;
l’anima mia magnifica il Signor:
Lui solo è grande (2 volte).
2. Umile ancella degnò di riguardarmi dal suo trono;
e grande e bella mi fece il Creator:
Lui solo è buono (2 volte).
3. E me beata dirà in eterno delle genti il canto.
Mi ha esaltata per l’umile mio cuor:
Lui solo è santo (2 volte).»

Quello che qui interessa evidenziare è la sensibilità che Don Casimiri manifestò verso i fedeli delle diverse Chiese locali. Egli comprese che per le persone meno preparate in musica sacra era utile un canto semplice ma corretto nell’impostazione biblica. Con Lieta armonia riuscì nel suo intento. Questa composizione venne utilizzata anche nell’omiletica e nella catechesi per ricordare un insegnamento: come Maria, anche il Cristiano deve rivolgere il suo grazie al Signore per i doni che ha ricevuto. A volte, infatti, non si ha la capacità di «leggere» nel tempo trascorso. E si dimentica l’aiuto divino ricevuto.


Nel Nome di Maria, incontro tra Cielo e terra. «Nome dolcissimo» (1920)

Nel 1513 il Papa Giulio II volle istituire (12 settembre) la festa liturgica del «Santo Nome di Maria». Lo fece per la diocesi di Cuenca (Spagna). Nel 1681, proprio il 12 settembre, il Re di Polonia Giovanni Sobieski sconfisse l’esercito turco che assediava Vienna. E liberò la città. A questo punto, Innocenzo XI, per esprimere gratitudine alla Madonna, estese la solennità del Nome di Maria a tutta la Chiesa. Come data scelse l’8 settembre. In seguito, Pio X ristabilì la celebrazione al 12 settembre.

Nel cammino della Chiesa il nome di Maria non rimane una semplice indicazione per identificare la Madre di Gesù. Esso vuol significare anche una realtà dinamica, un progetto di vita nella Vita, una Persona chiamata a partecipare a un Disegno Salvifico. Per questo motivo, diversi musicisti hanno ideato dei canti centrati proprio sul Nome della Madonna.

Alfonso Maria de’ Liguori, ad esempio, scrisse un motivo dal titolo: Maria che dolce nome. Le 8 brevi quartine rimate che lo compongono esprimono un atto di affidamento. Unitamente a ciò, occorre ricordare anche un canto che proviene dai Padri Redentoristi (seguaci di Sant’Alfonso): O dolce nome, Maria, Maria. L’Autore non è noto. La composizione dovrebbe risalire agli inizi dell’Ottocento. In 8 quartine a rima baciata il fedele assume un atteggiamento simile a quello del precedente motivo: fiducia nell’azione di Maria.

Nel contesto delineato, la composizione che ricevette il consenso più esteso (a tutt’oggi confermato) fu Nome dolcissimo (1920). Musica del Bergamasco Don Castelli, parole del Bresciano Don Rigosa.

Don Andrea Angelo Castelli (1876-1970) nacque alla Colombera di Sotto di Villasola di Cisano Bergamasco. Nel 1892 ebbe il primo incontro a Celana con Monsignor Angelo Giuseppe Roncalli, di cui divenne amico. Fu ordinato sacerdote nel 1901. Don Castelli in gioventù aveva studiato pianoforte con il Maestro Airoldi e il Maestro Previtali. Si diplomò in seguito in organo e composizione organistica. Cappellano militare (1915-1918) durante il Primo Conflitto Mondiale. Curato a Martinengo. Organista titolare e Maestro di cappella della chiesa prepositurale di Chiari (Brescia). Delegato vescovile a Bergamo nel rione di Santa Lucia (1922-1938). Trascorse gli ultimi anni presso la chiesa di San Tommaso.

Don Pietro Rigosa (1889-1968) nacque a Collebeato. Nella stessa località avvenne il suo decesso. Ordinato sacerdote nel 1911, quindi laureato in lettere a Milano, insegnò nel Liceo «Arici» dal 1923 al 1949. Fu anche giornalista. Molto attivo nel mondo culturale cattolico. Tra i fondatori con Andrea Trebeschi e Giovan Battista Montini del periodico «La fionda». Morì a 79 anni.

In tale contesto è utile ricordare il fatto che Don Castelli offrì alla Chiesa, in un esteso arco di tempo, delle composizioni particolarmente significative. Questo sacerdote ebbe anche il merito di individuare un percorso musicale nel quale confermare il magistero ecclesiale sull’Ausiliatrice, e realizzare tra gli stessi fedeli un esempio concreto di «incontro» tra il Cielo e la terra. Tale didattica la si individua nel ritornello: «dai cori angelici, dall’alma mia, ave Maria (2)».

In questo passaggio Don Castelli, con Don Rigosa, volle individuare la possibilità di una «doppia voce». Mentre un cantore intonava le prime parole del ritornello, un altro le ripeteva subito dopo. In tal modo si poteva creare quasi una sinergia, diciamo così, tra «i cori angelici» (Paradiso) e «l’alma» (l’anima) del fedele. In pratica: tutti lodano la Vergine Maria. Ricordo a Palermo un sacerdote che durante la celebrazione della Messa era molto bravo a intonare Nome dolcissimo riuscendo da solo a fare «la doppia voce».

Testo e spartito di Nome dolcissimo vennero pubblicati per la prima volta nel 1920 con il titolo: Canzoncina alla Vergine. La composizione era inserita nella raccolta monografica: Canti sacri facili e melodici ad una e due voci in onore di Gesù in Sacramento e della Beata Vergine, Fascicolo 1. Tale libro ebbe anche due edizioni successive (nel 1924 e nel 1952).


Contemplare Maria con il Cantico dei Cantici. «Dell’aurora» (dopo il 1920)

Mentre le comunità cristiane già cantavano i motivi citati in precedenza, un sacerdote dall’animo molto sensibile, Don Luigi Guida (1883-1951), musicò il testo mariano di un Gesuita, il Padre Francesco Saverio Maria D’Aria sj (1889-1976). Dall’incontro tra questi Autori derivò la composizione Aurora.

Don Luigi Guida nacque a Massaquano, frazione di Vico Equense (Napoli). Fu consacrato sacerdote nel 1908. Presso il Conservatorio di Napoli si diplomò in pianoforte, canto, violino, arpa, organo e composizione. Insegnò presso il Seminario Regionale di Posillipo, e al Convitto «Pontano» di Napoli (Padri Gesuiti). Diresse opere al «San Carlo» di Napoli e al Conservatorio dell’Aquila. Rifiutò la nomina a Maestro della Cappella Musicale della cattedrale di New York. Nel 1922 la casa editrice Fratelli de Martino di Napoli pubblicò il suo primo volume di canzoni intitolato Mystica – Canzoni alla Vergine e Inni al Sacro Cuore, più volte ristampato (1929, 1940, 1953) e nel 1932 diede alle stampe Mystica – Parte seconda – Mottetti. Negli ultimi anni della sua vita il sacerdote si ritirò a Massaquano, dove la morte lo colse il 15 dicembre 1951. È sepolto nell’antica cattedrale della Santissima Annunziata di Vico Equense.

Padre Francesco Saverio Maria D’Aria nacque a Sant’Agnello di Sorrento (Napoli). Ebbe come primo insegnante suo padre, maestro del paese. Entrò quindicenne nel noviziato della Compagnia di Gesù (1904). Nel 1915 fu ordinato sacerdote. Dal 1919, per circa 30 anni, si dedicò alle congregazioni mariane e alla direzione spirituale dei giovani. Insegnò nei due Istituti dei Padri Gesuiti a Napoli: l’Istituto Pontano a Palazzo Cariati (esternato), e il Convitto Pontano alla Conocchia (internato). Pubblicò varie biografie (San Luigi Gonzaga, San Francesco de Geronimo). Partecipò alle «Missioni mariane» (1948), che ebbero un momento centrale nella Peregrinatio Mariae (con il quadro della Madonna di Pompei).

Con altri Gesuiti e con volontari laici, organizzò l’assistenza spirituale e materiale a favore di molti sinistrati (colpiti dagli eventi della Seconda Guerra Mondiale), accampati nei padiglioni superstiti dell’antica Caserma dei «Granili», nella diroccata Caserma Bianchini (essa pure per tre quarti distrutta), e nella Scuola «Alessandro Volta».

Intervenne, ancora, per sostenere le colonie estive dei bambini, la domenica del fanciullo. Progettò e realizzò un centro di protezione e di promozione a favore dell’infanzia e della gioventù a Sant’Agata sui Due Golfi (Napoli), chiamato «Casa della Madonna» La struttura fu agibile nel 1957.

I collaboratori laici erano organizzati in un vasto movimento chiamato «Crociata Mariana». Questa iniziativa, promossa per soccorrere materialmente, moralmente e spiritualmente le fasce più deboli della società, aveva un proprio periodico: «L’Ora della Madonna». Insistendo sulle autorità civili, i membri della «Crociata» riuscirono anche a far edificare abitazioni per i senzatetto, e a far abbattere gli edifici fatiscenti dei «Granili» (1952-1954).

Nel 1959 il Padre D’Aria fondò a Sant’Agata sui Due Golfi l’Istituto «Ausiliarie della Madonna». Gli obiettivi di questa Famiglia Religiosa rimangono: la diffusione del messaggio di Fatima, l’educazione dell’infanzia e della gioventù, la promozione delle vocazioni sacerdotali e religiose, l’attività catechetica, l’apostolato parrocchiale e gli esercizi spirituali. Il 23 aprile del 1976 il Padre D’Aria poté vedere in Cielo Colei che aveva cantato sulla terra. Riposa nel cimitero di Sant’Agata sui Due Golfi, in località Santa Maria della Neve.


Contemplazione e Libro dell’Apocalisse

L’interazione tra Don Guida e il Padre D’Aria avvenne negli Istituti dei Gesuiti ove entrambi insegnavano. Il loro lavoro musicale, Aurora, è noto con il titolo: Dell’aurora. Dietro questa iniziativa esisteva una pedagogia precisa. L’intento di Don Guida e di Padre D’Aria è stato quello di accompagnare i fedeli in un percorso di contemplazione della Persona di Maria seguendo un iter biblico.

Per raggiungere tale obiettivo, vollero mantenere come riferimento il Libro dell’Apocalisse (Antico Testamento). Si tratta di un testo canonico ove la Donna che genera il Vincitore del conflitto con il male è inserita in un Disegno grandioso (Apocalisse 12). È un quadro biblico che rappresenta l’Opera di Salvezza compiuta da Dio, la fedeltà della Chiesa resa fino allo spargimento del sangue (i martiri; Apocalisse 7), e la luce che proviene da chi è in comunione con Dio (Apocalisse 19). In tale contesto, la Madre di Dio partecipa alle vicende della Redenzione, è protetta dagli assalti del maligno, e assiste al trionfo del Bene (Apocalisse 21-22).

Tale collegamento con il Libro dell’Apocalisse ha un fine preciso. I due Autori di Aurora hanno inteso ricordare ai fedeli che vivere nella Chiesa non significa rimanere immuni dalle vicende terrene, da contrarietà, da prove, da avversità. La natura umana e la libertà concessa a ogni persona si sviluppano secondo disegni che possono essere segnati anche da criticità. Non è Dio colpevole del male, ma sono piuttosto quelle genti che rifiutano la legge dell’amore per accentuare molteplici forme di violenza e di sopraffazione. L’esortazione finale è chiara: è importante rimanere vicini al Signore e alla Madonna, per ricevere quella grazia divina che consente di respingere tentazioni e lusinghe, in attesa di accogliere la venuta finale del Salvatore.


Maria non abbandona i figli e dona la pace. «Ave Maria di Fatima» (1929)

Nell’agosto del 1929, il Portoghese Afonso Lopes Vieira scrisse il testo dell’Ave di Fatima. A tutt’oggi non è noto il compositore della musica. Vieira visse tra la fine del XIX secolo e la prima metà del XX secolo. Fu un Cattolico noto nel suo ambiente, e molto rispettato. Il suo canto mariano venne pubblicato per la prima volta, in forma anonima («da un Servito»), nel numero del 13 settembre 1929 del periodico religioso «Voz da Fátima».

Lopes Vieira fu tra coloro che videro il cosiddetto «miracolo del sole». Infatti, il 13 ottobre del 1917, dal balcone della sua casa a São Pedro de Moel, poté assistere, con moglie e suocera, al movimento rotatorio e improvviso del sole che sembrò dirigersi verso la folla presente nella Cova da Iria.

Nel mese in cui scrisse l’inno (agosto 1929), questo Autore volle far inaugurare nella propria abitazione una cappella dedicata a Nostra Signora di Fatima.

La versione originale dell’Ave de Fátima fu poi inviata al Vescovo di Leiria (Monsignor José Alves Correia da Silva) per la necessaria approvazione canonica. In seguito, venne rivista da Francisco de Lacerda.

Anche in questo canto, molto utilizzato nelle processioni, si individua un insegnamento preciso: nelle ore tragiche per l’umanità Maria, espressione dell’azione di Dio, si fa riconoscere dai piccoli. E attraverso la loro innocenza, e valorizzando la loro fede semplice, spontanea, promette la pace. Per arrivare a tale equilibrio generale è necessaria una conversione a Dio (messaggio cristocentrico).


La «buona notte» a Maria. «Quando nell’ombra». «Odo suonar» (anni ’40-’50 del Novecento)

Nel periodo intercorrente tra gli anni ’40 e ’50 del Novecento il canto mariano popolare trovò diversi Autori che cercarono di richiamare l’attenzione dei fedeli agli appuntamenti mariani della giornata. In questo insegnamento venne evidenziata, tra l’altro, l’ora serale della preghiera. In quel periodo, infatti, non veniva celebrata la Messa a fine giornata. Si recitava invece il Santo Rosario, al quale seguiva la benedizione eucaristica. Derivò da qui l’esigenza di preparare delle composizioni musicali adatte alla liturgia. Furono così scritte, ad esempio, alcune melodie i cui titoli si riportano qui di seguito.

1) Quando nell’ombra cade la sera. Di questo canto non si conosce l’Autore del testo e della musica. Tale melodia continua a essere eseguita in più ambienti ecclesiali. Molto valido, ad esempio, il coro delle Suore dell’Immacolata (Roma, estate 1983, chiesa dell’Immacolata).

2) Preghiera della sera (Odo suonar la squilla della sera). Con riferimento a questo motivo si possiedono più dati. Fu Monsignor Giuseppe Gallizioli (1871-1946) a scrivere la musica. Invece, Don Nicola Pietrogiovanna, direttore della corale del Villaggio Prealpino, si occupò delle parole. La data di pubblicazione di Odo suonar rimane incerta (1940-1950).

Al riguardo, rimane significativa la figura di Monsignor Giuseppe Gallizioli. Nato a Pilzone di Iseo, fu ordinato sacerdote nel 1893. Ricoprì più ruoli: vicedirettore, maestro di canto nel seminario di Brescia, maestro di coro in cattedrale (1904). Canonico onorario (1931). Fu promosso canonico residenziale nel 1934. Nel 1943 ebbe la nomina a cameriere segreto di Sua Santità. Si adoperò per valorizzare nuovamente il canto gregoriano in diocesi (Brescia), e per diffondere il Movimento Ceciliano, combattere le infrazioni alle disposizioni ecclesiastiche, organizzare esecuzioni organistiche, specie in occasione di inaugurazione di organi, promuovere (specie dal 1929) lo studio del solfeggio e canto sacro nel seminario. Fu anche compositore di musica, tra cui, mottetti, litanie, inni, canzoni sacre, graduali, offertori. Tra le sue composizioni: Oremus pro Pontifice a 4 voci dispari (1904), Tu es sacerdos (1904), Tota pulchra e Tantum ergo a 3 voci pari (1904), Introibo a 2 voci pari (1904), Responsori a 4 voci pari (1904). Su parole di Don Pietro Rigosa musicò l’inno della «Fionda».


Tra le montagne si prega Maria. «Madonna degli alpini»

Negli itinerari di filialità mariana si collocano anche quei canti composti in zone di montagna. Tale fatto ha un suo significato perché esiste una spiritualità che si collega all’esperienza di chi affronta le varie altitudini. Diversi sono i temi ricorrenti: 1) «ascendere verso» (un motivo frequente nella Bibbia); 2) «ampliare gli orizzonti» (uscire dal chiuso del proprio «io» guerriero); 3) procedere con passo regolare (ogni ascesi ha i suoi tempi); 4) andare avanti in cordata (la fraternità, la corresponsabilità); 5) affrontare la fatica (ogni responsabilità richiede impegno); 6) reagire davanti ai rischi (superamento di paure, criticità); 7) «raggiungere la vetta» (comprensione della bellezza del Creato). Seguendo questa spiritualità sono state poste sulle montagne delle Croci, ma anche delle statue mariane. L’idea centrale di quest’ultima iniziativa è quella dell’accompagnamento. Maria è vicina nell’ora della prova. La Vergine non abbandona i suoi figli. Esiste, ed è evidente, un collegamento con la pedagogia dei secoli precedenti. D’altra parte la filialità mariana non muta il proprio slancio e l’affidamento.

In tale contesto, sono diversi gli Autori che hanno voluto scrivere dei canti in onore della Madre di Dio. Sono composizioni che collocano la Vergine negli ambienti di montagna, specie nel dorsale alpino. Qui di seguito si riportano alcuni esempi.

Nel 1958, il compositore vicentino Bepi [Giuseppe] De Marzi (nato nel 1935) volle ricordare con un canto (Signore delle Cime) l’amico Bepi Bertagnoli, morto a causa di un incidente. Quest’ultimo era stato travolto da una slavina nel 1951 durante un’ascensione solitaria sul monte Gramolon nell’Alta Valle del Chiampo. Nella sua opera (testo e musica sono di De Marzi), l’Autore prega, insieme a tutti i conoscenti del defunto, Gesù e la Vergine Maria. L’orazione esprime una richiesta: accogliere in Paradiso lo scalatore morto. E lasciarlo andare tra le montagne del Regno di Dio. Con riferimento alla Madonna si trascrive la strofa:

«2. Santa Maria, Signora della Neve,
copri col bianco, (tuo) soffice mantello
il nostro amico,
il nostro fratello.
Su nel paradiso,
su nel paradiso, lascialo andare
per le tue montagne».

Nel 1991 venne diffuso un canto: Madonna delle nevi, Sovrana delle valli. Il testo è di Domenico Seren Gay (alias Serengay; Torino, 1931-2003). Fu un paroliere, uno scrittore, un attore e un pittore. La musica di Madonna delle nevi è di Mario Piovano (Cambiano, Torino, 1927-2013). Era un fisarmonicista, un compositore e un cantante. In questa composizione si invitano le persone a guardare a Maria nella cornice del Creato. Mentre, in precedenza, la melodia di Dell’aurora tu sorgi più bella favoriva la contemplazione della Madre di Dio seguendo come itinerario espressioni della Sacra Scrittura (Apocalisse, Cantico dei Cantici), qui si osservano piuttosto le realtà naturali ancora non rovinate da interventi umani dannosi. In tal modo si arriva a disegnare un «affresco» canoro ove è tutto il Creato che rende omaggio alla Madonna.


«Madonna degli alpini vieni con noi lassù» (1980 circa)

Nel 1980, Raffaele Cile e Bruno Baudissone diffusero un loro lavoro: Madonna degli alpini vieni con noi lassù.

Raffaele Cile (nome d’arte di Raffaele Porcile, 1929-2009) nacque a Genova. Divenne in seguito poeta, scrittore e paroliere. Collaborò a testi teatrali di Carlo Dapporto e di Erminio Macario. Scrisse testi di canti e canzoni per Baudissone. È l’Autore del testo di Madonna degli alpini.

Bruno Baudissone è nato a Torino il 5 marzo del 1948. Si è laureato nel 1973 presso l’Università di Torino, discutendo con il Professor Giorgio Pestelli una tesi sul melodramma di Verdi. Compositore. Critico musicale. Ha svolto collaborazioni con teatri, case discografiche, enciclopedie, giornali e riviste specializzate. Notevoli le sue pubblicazioni. Nell’arco di 40 anni ha intervistato 375 cantanti lirici (lavoro inserito poi in una collana di libri). Preside nella Scuola Media Statale a indirizzo musicale «F. Gallo» di Mondovì. Sua è la musica di Madonna degli alpini. È anche Autore di vari canti popolari mariani: Madonna dei monti (musica di Secondo Gallizio), Madonna alpina (musica di Battista Bongiovanni), Madonna nera (alla Vergine di Oropa; musica di Mario Piovano). Ha scritto inoltre un’Ave Maria (su testo latino) e un Padre nostro (su testo italiano). Furono registrati dal soprano Magda Olivero nel 1994 (sua ultima incisione ufficiale a 84 anni) con il Bottesini Double Bass Quartet.

La diffusione di Madonna degli alpini in CD è avvenuta attraverso la Casa Musicale Pentagramma di Torino (2007). Un altro CD è stato pubblicato dalla Smile Records (2007). Nel medesimo anno, in occasione dell’80a Adunata Nazionale degli Alpini di Cuneo, il settimanale «La Guida» di Cuneo ha distribuito il CD Madonna degli alpini. Ne sono state vendute circa 12.000 copie.


L’insegnamento di «Madonna degli alpini»

Madonna degli alpini è un canto che ha trovato diversi consensi. Probabilmente questo è dovuto a una singolare impostazione. Maria è invitata a salire con gli alpini sui pendii scoscesi (le difficoltà della vita). Mentre nell’Ave Maria di Lourdes e in quella di Fatima è la Madonna che assume l’iniziativa, che affida messaggi, in questo secondo caso è disegnata un’altra dinamica. In pratica: emerge una richiesta che proviene «dal basso». L’escursionista, il rocciatore, non domanda solo una Presenza «ma va oltre». Chiede alla Vergine di essere Lei la capocordata (fedeltà alla Madre della Chiesa), di rimanere davanti a tutti nella battaglia (protezione dagli assalti del maligno), di bere con gli alpini (i segni della fraternità), di riposare su un cuscino di penne nere (l’offerta povera dei fedeli).

In tal modo, nel «quadro» delineato dagli Autori, la Vergine non è solo Colei che protegge «dall’alto», ma è anche la Sorella che partecipa alle vicende di un’umanità in esodo. Questo «affresco» spirituale non solo è in sintonia con il Concilio Ecumenico Vaticano II (confronta la Lumen Gentium, capitolo VIII), ma si collega direttamente con i Vangeli.

Questi testi raccontano anche un episodio significativo. Sono offerti a Gesù cinque pani e due pesci (Matteo 14,13-21, Marco 6,30-44, Luca 9,12-17, Giovanni 6,1-14). È l’unico apporto che si può dare per sfamare un numero elevato di persone. Con quella «povertà» umana Cristo compie il miracolo. Avviene la moltiplicazione del cibo. E tutti sono sfamati.

A ben guardare, anche nel canto Madonna degli alpini si ritrova una dinamica che «profuma» di Vangelo. Gli alpini non possono offrire grandi cose alla Madonna. Non possono garantire sicurezze. Sono segnati dalla stanchezza. Danno quindi quel poco che hanno: un po’ di vino per bere, delle penne nere per fare un cuscino. Anche in questo caso, con la povertà umana la Vergine saprà compiere gesti di misericordia e di luce. Tutto questo diventa possibile perché c’è una convinzione negli alpini: alla Madonna si parla da figli.

Anche nelle più note apparizioni mariane l’interazione dei veggenti verso la «Bella Signora» ha seguito (e segue) una immediatezza di comunicazione (per esempio, apparizioni di Guadalupe, 1531, Messico). Non ha tenuto conto di regole cerimoniali. Il modo di esprimersi rimane umile. Sereno. Privo di molte parole. Davanti alla Madre di Dio prevale la confidenza. Chi ha potuto contemplarla, Le ha parlato anche in dialetto (per esempio Bernadette Soubirous, Francia), o in lingua azteca (per esempio Juan Diego, nato a Cuauhtlatoatzi, Messico). Durante la sedicesima apparizione della Madonna nella Grotta di Massabielle (Lourdes, 25 marzo 1858), la Vergine Maria si presentò parlando in occitano. Disse: «Que soy era Immaculada Councepciou» («Io sono l’Immacolata Concezione»). Era un’affermazione significativa. Confermava il dogma proclamato da Pio IX (1854). Eppure non ci fu alcun discorso «di circostanza». Tutto rimase circoscritto all’essenziale. Quanto ricordato ha valore anche con riferimento ai canti mariani espressi dalla pietà popolare. In questi testi, compresi immediatamente dalla gente, si percepisce la tendenza a «scavalcare» ogni trionfalismo. E a privilegiare la sincerità del cuore. Proprio quello che è gradito dalla Madonna (per esempio, apparizione di Kibeho in Ruanda, 1981-1986).


Alcune vicende attuali

Tale orientamento ha incontrato però anche voci in apparenza meno vicine alla spontaneità di talune composizioni mariane. In questi casi, le sottolineature riguardano le regole per i testi, le caratteristiche musicali, i contenuti dottrinali, gli aspetti liturgici, le direttive di commissioni per la musica sacra. In questi contributi è evidente il desiderio di favorire delle celebrazioni attente al ciclo liturgico, alla Parola di Dio proclamata in assemblea, alla centralità del momento offertoriale, eucaristico, comunionale. Si tratta quindi di un fatto positivo.

Sul piano storico, l’orientamento citato ha favorito la preparazione di nuovi canti. E ogni espressione di Chiesa, dalle associazioni ai movimenti, dagli Istituti alla Prelatura Personale dell’Opus Dei, hanno oggi le «proprie» composizioni. Se si sfogliano i molti libretti dei canti si avverte una sincera devozione.

In tale contesto, sembra di scorgere anche qualche realtà debole. I fedeli ascoltano le diverse esecuzioni ma non sempre vi partecipano. Alcune melodie sono poco armoniose. L’uso di più tonalità non favorisce il coinvolgimento di tutti i fedeli. C’è poi un fatto: basta spostarsi da una parrocchia a un’altra per avvertire la scelta di canti diversi. Lo stesso si verifica se si passa da un gruppo a un altro. Da un’associazione a un’altra. Da un movimento a un altro. Da una diocesi a un’altra. Sono limitati, inoltre, i canti tradotti in altre lingue. A questo punto, talune impostazioni potrebbero, forse, essere migliorate. E sarebbe utile comprendere la «psicologia della comunicazione» (trasmessa in tempi anche non lontani da sacerdoti musicisti e da compositori laici).

In concreto: un canto mariano deve essere «avvertito» dal popolo («esigenza dell’anima»). I fedeli lo devono «identificare» con il proprio stato d’animo («canto dell’anima»). La melodia deve facilitare l’orazione, il raccoglimento («preghiera dell’anima»). La composizione deve facilitare «un guardare» al proprio cammino di fede, alle scelte vocazionali, alle ore segnate anche da momenti deboli («respiro dell’anima»). Deve far sentire un unico anelito assembleare verso l’incontro con la Madre di Dio («sguardo dell’anima»).

In tal modo, nella persona che entra in chiesa diventa spontaneo il desiderio di cantare (non importa se particolarmente intonata).

Evidentemente, questi canti mariani devono essere valorizzati in modo opportuno. A tutt’oggi sono inseriti al termine di una celebrazione eucaristica. Vengono eseguiti nelle processioni mariane. Nei pellegrinaggi. Nella Peregrinatio Mariae. Nelle feste degli Istituti religiosi. Nelle scuole. Nei matrimoni. Nei funerali (Andrò a vederla un dì). Nei seminari. Nelle esecuzioni corali a più livelli. In definitiva, che cosa rimane? Resta quella letizia interiore che, seguendo una melodia mariana, supera le realtà contingenti e rinnova il proprio amore a Colei che è stata Madre fin sotto la Croce.


Un aspetto particolare. Le offese alla Madonna

L’osservazione di un esteso periodo storico legato anche alla diffusione di canti mariani popolari, può essere completata con un aspetto particolare. Si tratta di quelle composizioni musicali che riguardano offese alle effigi mariane. Nel migrare del tempo rimangono diversi i fatti violenti avvenuti in alcune chiese. Viene da pensare subito alla statuina di Gesù Bambino trafugata dalla Basilica dell’Aracoeli (1994). Ma esistono cronache che riguardano anche la Vergine Maria. Rimane noto al riguardo il volto della Vergine di Częstochowa segnato nella guancia destra da due colpi d’ascia (1430). Tra gli episodi avvenuti in Italia: 1) trafugamento della Madonna di Loreto da parte delle truppe francesi (1796); 2) fucilata contro il volto di una Madonna in legno, posta in una edicola a Poggio Tesoro (Consuma, Firenze; anni ’60); 3) colpi sparati contro la Madonnina collocata sulla vetta del monte Cimino (Viterbo; anni ’50); 4) sassate contro la statua della «Madonna dei tre ponti» che si trova sulla strada che conduce a Sovana, e altri.

Nell’ambito di tale contesto si colloca un canto: Madonnina dai riccioli d’oro (1990). La composizione è di Armando Costanzo (in arte Ermanno; nato nel 1927 a Cavoretto, vicino a Torino; paroliere; deceduto), Secondo Gallizio (nato nel 1929 a Montaldo Roero, frazione San Rocco, Cuneo; musicista) e Bruno Garino («Martin», musicista).

La composizione racconta di una Madonna scolpita nel legno di abete e poi dipinta. Quest’opera all’improvviso non si trovò più. Qualcuno l’aveva trafugata dall’altare di una cappella posta sopra una valle. Si riporta qui di seguito il testo.

«1. L’ha scolpita in un tronco d’abete un bel pastorello,
dall’altare di quella cappella lei guarda la valle.
Poi qualcuno, colori e pennello, l’ha un dì pitturata,
ora è il simbolo d’ogni viandante che passa di là.
Rit.
Madonnina dai riccioli d’oro,
stai pregando su dimmi per chi,
per quell’uomo che suda in un campo,
per la donna che soffre da tempo,
tu d’estate sei lì sotto il sole
e d’inverno tra il gelo e la neve,
al tepore della primavera,
circondata di fiori sei tu.
Filo diretto col paradiso,
dona ai malati un conforto, un sorriso,
prega tuo figlio, digli che noi
siamo cristiani e siam figli tuoi.
2. Son passato un mattino d’autunno sul verde sentiero,
la Madonna dai riccioli d’oro non c’era: mistero.
Dalla nicchia deserta mancava quel dolce tesoro,
un viandante che passa davanti pregar più non può.
Rit.
Pastorello e pittore di un tempo, c’è urgente bisogno di voi,
la Madonna dai riccioli d’oro
ritornate a rifare per noi.
Filo diretto col paradiso,
dona ai malati un conforto, un sorriso,
Prega tuo Figlio, digli che noi
siamo cristiani e siam figli tuoi (2 volte)».

Questo, e altri episodi, «raccontano» di scelte umane avverse a una immagine mariana. Tali comportamenti possono essere motivati da stati di sofferenza. Diventa allora importante tornare a sviluppare una catechesi sul significato delle edicole mariane. Il volto di Maria, infatti, non esprime ostilità verso i fedeli. Al contrario, manifesta una partecipazione al cammino dei figli, anche piangendo (per esempio, apparizioni presso La Salette, 1846).


Qualche considerazione di sintesi

Nell’attuale periodo si osserva la tendenza a relegare come «canti tradizionali» o «canti popolari» delle composizioni musicali mariane. Tale fatto non aiuta a comprendere l’origine di talune composizioni, e soprattutto fa cadere nell’oblio le persone degli Autori. In realtà, dietro un dato lavoro, esiste un disegno pastorale. Si desidera insegnare in ogni ambiente sociale uno o più aspetti della mariologia. Maria, prima di tutto, è inserita in un Disegno di Salvezza. Con la Sua funzione materna partecipa all’opera dell’unico Redentore. Ella può aiutare i Suoi figli perché Immacolata. È protetta quindi dagli assalti del demonio. Nell’agire della Madre di Dio si prolunga l’insegnamento di Cana di Galilea («Fate quello che Lui vi dirà»; Giovanni 2,5), ma anche la lezione di fedeltà al Figlio (Passio Christi) e di testimonianza (Pentecoste). In tal senso, l’incontro con la Vergine Maria non è fisso all’emotività di un momento, ma diventa itinerario di conversione. In tale cammino verso la Casa del Padre Ella accompagna.

Anche la conoscenza della storia degli Autori dei canti mariani rimane significativa. Si tratta di sacerdoti, di religiosi, ma anche di laici, che hanno dedicato la propria vita alle anime a loro affidate. Sono educatori che hanno cercato delle strade semplici per avvicinare il popolo di Dio all’unico Padre che è nei Cieli. Sono animatori di gruppi. Fondatori di Istituti religiosi. Cappellani. Predicatori. Sacerdoti attivi in progetti di promozione sociale. Docenti. Le loro figure rimangono umili. A volte nessuno si ricorda di loro. Eppure, a tutt’oggi, esistono canti mariani che hanno superato ogni confine: l’Ave Maria di Lourdes, l’inno di Fatima, J’irai la voir un jour, au ciel dans la patrie, Mientras recorres la vida (Santa Maria del Cammino), Inno alla Madonna di Czestochowa (Madonna nera), e altri.

In tale contesto, è possibile individuare dei percorsi di spiritualità mariana. Il canto diventa memento di temi-chiave: i dogmi mariani (per esempio, Vergine, Immacolata, Madre di Dio), i riferimenti biblici (la Redenzione), gli insegnamenti morali (la sequela Christi). Nell’ambito di tali itinerari la partecipazione dei fedeli segue più appuntamenti ecclesiali: una celebrazione liturgica, un pellegrinaggio, una sosta davanti a un’edicola mariana, una processione...

Esiste, poi, un fatto non debole: molti canti mariani, ieri come oggi, sono riusciti a scaldare i cuori (senza utilizzare tenori o soprani), a imprimere vitalità all’apostolato, alle stesse uscite dei reparti scout, ai campi scuola, al rinnovo di impegni nella Chiesa... Tutto questo non si può dimenticare. Perché quando un’anima arriva a «comunicare» in modo filiale con la Vergine Maria non si accende solo un cuore. Si illumina tutta una comunità.


Alcune indicazioni bibliografiche

Autori Vari, La musica dei semplici. L’altra Controriforma, a cura di S. Nanni, Viella, Roma 2012

S. De Fiores, La Madonna anima della pietà popolare per un autentico incontro con Cristo, in: S. De Fiores, «Maria presenza viva nel popolo di Dio», Edizioni Monfortane, Roma 1980, pagine 178-183

B. Ferragamo, Canzoniere mariano, Edizioni Monfortane, Roma 1989

G. Gambassi, La Madre di Dio, «stella» della musica, in: «Avvenire», mercoledì 14 agosto 2019

P. L. Guiducci, Andrò a vederLa un di’, in: «Maria Ausiliatrice», numero 9, Torino, novembre 1988

P. L. Guiducci, Canto per Cristo..., canti per la Messa dei bambini, Tip. Città Nuova, Roma 1979 (parole e musica di Pier Luigi Guiducci)

P. L. Guiducci, Maria dei poveri. Un canto, in: «Maria Ausiliatrice», numero 10, Torino, novembre 1990

P. L. Guiducci, Preti che cantano Maria, in: «Maria Ausiliatrice», numero 4, Torino, aprile 1994

P. L. Guiducci, Questo bel titolo conviene a Te, in: «Maria Ausiliatrice», numero 10, Torino, novembre 1989

P. L. Guiducci, Salve Regina, Madre di Misericordia, in: «Maria Ausiliatrice», numero 1, Torino, gennaio 1990

A. Lacchini, Canzoniere mariano, MIMEP-Docete, Pessano Con Bornago (MI) 2021

L. M. Lombardi Satriani, Il canto religioso specialmente mariano nel contesto della cultura popolare, in: «La Madonna», numero 26, 1978, 1-2, 21-31

F. Molfetta (a cura), Pregare cantando, Edizioni musicali C. Casimiri, Roma 1944, I. «Canti popolari»

M. E. Patrizi, Cantiamo a Maria, madre di Dio. Storia e commento di sei canti mariani, Tau Editrice, Todi (PG) 2019

P. Poupard, I Cantori di Maria. L’ispirazione mariana nella musica, Città Nuova, Roma 2002

B. Scharf, Culto mariano e tendenze di popolarizzazione, Collana editoriale «Analecta musicologica». Pubblicazioni del dipartimento di storia della musica dell’Istituto Storico Germanico di Roma. Volume 47 (2011). A cura dell’Istituto Storico Germanico di Roma, pagine 338-339

B. Scharf, La canzone religiosa europea dal IV al XIX secolo, a cura di R. Aglio e M. Ruggeri, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2019

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Ringraziamenti

Dottor Marco Daniel Duarte, Direttore del Dipartimento Studi del Santuario di Fatima (Fatima). Professor Monsignor Tarcisio Cola, Presidente Associazione Italiana Santa Cecilia (Roma). Padre Carlo Maria Schianchi s, Archivista Generale Padri Maristi. Don Filippo Iappelli sj (+), Storico, Residenza dei Padri Gesuiti (Napoli). Maestro Professor Bruno Baudissone, Autore di Madonna degli alpini. Dottor Francesco Foglia, Membro del Direttivo della Sezione Associazione Nazionale Alpini Valsusa (Valsusa). Dottoressa Laura Miceli, Responsabile Biblioteca Seminario di Vicenza (Vicenza). Dottoressa Anna Rita Pappalardo (Roma), Comitato Nazionale Italiano Musica, redazione – sito web e comunicazione Banca Dati Musicale Italiana, Banca Dati Compositori Italiani, Archivio Etnomusicale del Mediterraneo. Dottor Stefano Aluisini e Ricercatore Ruggero Dal Molin, Coordinatori Archivio Storico «Dal Molin» (Bassano del Grappa, VI). Dottor Fabio Chiocchetti, Istituto Ladino di Vigo di Fassa (Moena). Dottor Daniel Ponziani, Direttore Archivio Congregazione Dottrina della Fede (Città del Vaticano). Dottoressa Mariolina Cattaneo, Centro Studi Associazione Nazionale Alpini (Milano). Dottoressa Maria Bramardi, Santuario di San Maurizio e Madonna degli Alpini (Vignolo, Cuneo). Presidenza Edizioni Carrara (Bergamo). Monsignor Piuero Panzetti, Direttore del Coro del Duomo di Lodi.

(settembre 2021)

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