Guerra e pace
Una costante universale: la competizione conflittuale e l’utopia della «pax perpetua» fino al sogno messianico di Padre Ernesto Balducci

«Quis fuit horrendos primus qui protulit enses? Quam ferus et vere ferreus ille fuit!» («Chi mai sarà stato quegli che per primo inventò le orribili armi? Quanto fu crudele e feroce costui!»). Con tutta evidenza, questi celebri versi del poeta latino Albio Tibullo[1] sono stati sempre all’ordine del giorno e continuano ad avere spazio anche nel mondo contemporaneo.

L’inventore della guerra, a ben pensarci, era stato addirittura Caino, figlio di Adamo, nel momento in cui aveva ucciso l’unico fratello Abele commettendo il primo atto di violenza e sfidando l’ira del Signore. «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida dal suolo! Sii maledetto! Via dalla terra che ha bevuto il sangue di tuo fratello!». Di qui, la condanna alla condizione perenne di «ramingo e fuggiasco» (Genesi, 4, 10-12).

Dopo Caino, le imitazioni si sono susseguite senza soluzione di continuità, ma nello stesso tempo con sistematiche varianti «in peius» fino alle incursioni atomiche sul Giappone che nel 1945 chiusero la Seconda Guerra Mondiale.

Thomas Hobbes, a conclusione delle sue riflessioni, si convinse che «homo est homini lupus»: un aforisma di sintesi affine a quello di tempi più lontani per cui «mors tua vita mea». La Rivoluzione cristiana ha edulcorato questa realtà, ma non è ancora riuscita ad azzerarla: Satana è sempre in attesa di essere precipitato nell’Inferno, come recita la preghiera all’Arcangelo del Signore, ma nel frattempo non trascura di perseguire il suo disegno diabolico.

Ebbene, che fare? Pur nella convinzione di un mondo fondato sulla lotta di ciascuno contro tutti («bellum omnium contra omnes») è stato proprio Hobbes a teorizzare la necessità di un’azione di governo finalizzata ad assicurare un «modus vivendi» accettabile, a condizione di fornire al genere umano la possibilità di «vivere e di fruire della protezione per vivere»[2].

Non è facile scrivere una nuova enciclopedia sulle guerre[3]. Anzi, è sostanzialmente impossibile, ma bisogna ammettere, volenti o nolenti, che la presenza della competizione conflittuale nel mondo, armata o meno che sia, è una vera e propria costante universale, a tutte le latitudini e a tutte le longitudini.

In particolare, l’Italia ha «ripudiato» la guerra come statuisce l’articolo 11 della Costituzione, ma soltanto quale «strumento di offesa alla libertà degli altri popoli». Ne consegue, come sostiene la dottrina prevalente, che la guerra di difesa è comunque ammissibile, con una valutazione tanto più importante se si pensa al momento politico in cui i Padri Costituenti scrissero il suddetto articolo: quello che vedeva l’Italia uscire da un conflitto a dir poco terribile[4].

Detto questo, è giusto aggiungere che dal punto di vista storico talune guerre hanno una giustificazione che non può essere sottaciuta. Solo per fare qualche esempio probante, la Guerra di Secessione Nord-Americana permise di abolire la schiavitù, mentre le Guerre dell’Indipendenza Italiana combattute nel Risorgimento hanno consentito la realizzazione del disegno unitario e l’affrancamento dal vecchio sistema generalmente assolutista, confermato dalla Santa Alleanza codificata nel Congresso di Vienna del 1815.

Una distinzione non meno importante da fare, se non altro dal punto di vista giuridico, è quella tra guerra e guerriglia: nel primo caso, valgono le norme del diritto internazionale bellico che nel secondo vengono meno «ipso iure». Infatti, le guerre cosiddette «civili» raggiungono livelli di efferatezza talvolta eccezionali, perché non possono contare su alcuna regola, sia pure limitata da ogni ricorrente affievolimento.

Le cosiddette «missioni umanitarie» dell’Italia che ormai costituiscono una regola ripetitiva, e nello stesso tempo una formula idonea ad aggirare anche l’articolo 11 della Costituzione, si sono susseguite da tempo con impressionante continuità, nel quadro di operazioni generalmente congiunte con le forze armate di altre democrazie: basti pensare all’intervento in Afghanistan a sostegno dell’impegno contro la guerriglia, a quello in Iraq a fianco della coalizione occidentale contro lo Stato di Saddam Hussein e alle tante «iniziative di pace» in Africa, in Asia e nella stessa Europa. Ebbene, il dubbio che almeno in qualche circostanza il disposto costituzionale non sia stato onorato ha motivo di sussistere.

Ciò, tenuto conto che la «libertà degli altri popoli» non è stata oggetto di preventive e peraltro ardue verifiche: molti Paesi hanno espresso sistemi non certo democratici e continuano a manifestarli, ma le opposizioni interne a tali sistemi non sembrano maggioritarie, limitandosi a essere patrimonio di piccole minoranze.

E poi, perché mai si è deciso di intervenire, da parte dell’Occidente, in Paesi come l’Iraq, la Libia e lo stesso Afghanistan, per non dire di quelli ex jugoslavi dilaniati dalle guerre di religione tuttora sotto traccia, ignorando le stragi se non anche i genocidi compiuti in altre parti del mondo? Al riguardo si possono ricordare, per fare qualche esempio, la questione plurisecolare della Palestina, i massacri indiscriminati compiuti nella vecchia Cambogia «kmer» e quelli, diversamente datati, avvenuti in Myanmar, Somalia, Sudan, Uganda, negli altri distretti dell’Africa Sub-Sahariana, a Timor Est e via dicendo, con tanti conflitti pressoché dimenticati. Che dire, del resto, della mancanza di una giusta tutela di minoranze spesso importanti anche sul piano numerico, persino in grandi Paesi leader come la Cina e gli Stati Uniti?

Fino a quando non si potrà realizzare il grande sogno messianico di una profetica Repubblica universale, caro a Padre Ernesto Balducci[5], che allo stato delle cose appartiene alla sfera puramente deontologica della filosofia morale, la pace correrà il rischio di essere una nobile utopia, condannata al tragico destino conflittuale: «Si vis pacem para bellum» («Se vuoi la pace, preparati alla guerra»). Come avrebbe detto il Poeta con rassegnata consapevolezza, «son queste delle umane genti / le magnifiche sorti e progressive».


Note

1 Vissuto a Roma nella seconda metà dell’ultimo secolo precristiano, Albio Tibullo appartenne a famiglia equestre e fece parte del circolo di Messalla Corvino, ma le sue condizioni altolocate lo costrinsero ad assumere impegni militari, in netto contrasto con la propria indole mite e la naturale propensione all’amore: di qui, il suo canto contro le armi che oggi, sia pure con qualche forzatura, si potrebbe definire pacifista.

2 Una sintesi esauriente del pensiero in questione è in Gerges H. Sabine, Storia delle dottrine politiche, capitolo XXIII: Tommaso Hobbes, Edizioni di Comunità, Milano 1955, pagine 365-382. Nella storiografia di matrice italiana una sintesi utile è quella di Gaetano Mosca, Storia delle dottrine politiche, Editori Laterza, Bari 1957, pagine 178-181.

3 In effetti, un’opera a carattere divulgativo è già stata proposta con l’ormai datata Enciclopedia illustrata delle guerre moderne, 6 volumi, Peruzzo Editore, Milano 1986; ma si tratta di una silloge meramente informativa che non affronta i grandi problemi etici e politici della competizione conflittuale.

4 Ancor prima che la Costituzione fosse promulgata, gli orientamenti maggioritari dei Padri Costituenti erano stati quelli di costruire un nuovo umanesimo su base solidaristica, in primo luogo interna, ma soprattutto internazionale: quello secondo cui è necessario «sostituire la forza del diritto al diritto della forza» e «aprire la via a regole di vita le quali, in contrapposizione alla legge della violenza, debbano fondare un solidarismo nell’ordine» (Francesco Maria Dominedò, Sviluppo storico delle Costituzioni – Relazione svolta a Roma il 16 maggio 1946 per la «Settimana Sociale dei laureati cattolici –, in Discorsi intorno alla Costituzione Italiana, Cesare Zuffi Editore, Bologna 1951, pagina 44).

5 Padre Ernesto Balducci (Santa Fiora 1922 – Cesena 1992), visse un’adolescenza «decisiva» nel comprensorio minerario del Monte Amiata, a stretto contatto con gli operai e i loro problemi. Dopo avere preso i voti il 26 agosto 1944, fu insegnante alle «Scuole Pie» fiorentine, frequentando l’Università dove conseguì la laurea nel 1950 con una tesi su Antonio Fogazzaro, e avendo rapporti col mondo cattolico del capoluogo toscano (Giorgio La Pira, David Maria Turoldo, Lorenzo Milani, Silvano Piovanelli, Raffaele Bensi, Mario Gozzini) e con quello della cultura (Giovanni Papini). I suoi interessi prioritari furono rivolti all’assistenza, alla critica politico-sociale e alla teologia: nel 1954 fu estensore dell’appello per «Pace e Civiltà Cristiana» e quattro anni dopo, fondatore di «Testimonianze». Avendo assunto atteggiamenti critici nei confronti della Chiesa, andò in «esilio» a Frascati e poi a Roma, ma continuando a seguire la vita fiorentina: sono del 1963 l’articolo Chiesa e Patria pubblicato dal «Giornale del Mattino» in difesa dell’obiezione di coscienza, e del 1964 la condanna per apologia di reato. Nel 1965 fece ritorno a Firenze, e più specificamente alla Badia Fiesolana di San Domenico, riprendendo l’opera di forte apertura sociale non senza critiche al cosiddetto centrismo «ecclesiale» della Chiesa, e avviando un dialogo col Partito Comunista Italiano che negli anni Settanta sarebbe diventato più intenso. Ciò, fino a diventare leader riconosciuto nella campagna per il disarmo anche attraverso i convegni: «Se vuoi la pace prepara la pace». Nel 1983 si rese protagonista di rinnovata visibilità con l’omaggio all’Islam «nesso vitale» con l’Occidente, in evidente opposizione a diversi ambienti moderati. Al 1986 risalgono la fondazione della Casa Editrice «Cultura della Pace» e del movimento «Umanesimo planetario», con le pubblicazioni, tra l’altro, delle biografie di La Pira, del Mahatma Gandhi, di San Francesco, e l’ultimo libro Montezuma scopre l’Europa, del 1992. Di estrema versatilità, fu Autore di parecchie decine di saggi e di opere importanti come la Storia del pensiero umano (3 volumi, Cremonese, Firenze 1986). Dopo l’improvvisa scomparsa in un incidente, fu insignito del Premio «Cultura della Pace» alla memoria, e la sua produzione editoriale, compresa quella delle Omelie, fu oggetto di parecchie ripubblicazioni, fino all’ultima del 2014 (Terzo millennio, Editore Pagliai, Firenze).

(ottobre 2021)

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