Creazionismo e concordismo: errori (e orrori) nella lettura delle Sacre Scritture
Come vanno interpretati i primi capitoli del Genesi: che cosa dice e che cosa non dice la Bibbia

I primi 11 capitoli del libro del Genesi, che narrano la storia dell’umanità dalla creazione del Cosmo fino ad Abramo, fanno parte di quella che è definita «Preistoria Biblica». Si tratta di una delle pagine meno antiche del Primo Testamento, redatta alla fine del VI secolo avanti Cristo sulla base di tradizioni preesistenti, e collocabile negli ultimi anni dell’esilio babilonese, in un momento particolarmente drammatico della storia del popolo ebreo. L’uomo – Ebreo e non Ebreo – si sentiva vulnerabile, minacciato, sperimentava con dolore la precarietà e la fragilità della propria esistenza: la domanda a cui il «racconto delle origini» voleva rispondere era una domanda sul senso della vita dell’uomo e sul senso di questo mondo. La creazione racconta non tanto l’origine delle cose da Dio, quanto gli inizi della storia della salvezza e dell’Alleanza tra Dio e l’umanità: per questo, nonostante alcuni temi comuni alle varie religioni e mitologie orientali, gli autori sacri eliminano molti degli elementi mitici della lotta creatrice della divinità contro le forze del Caos (ciò che interessa è offrire una rassicurazione al fedele che vive in un tempo di miseria e di oppressione, e che deve ritrovare la fede nella presenza soccorritrice di Dio), l’azione divina avviene attraverso la Parola e non attraverso emanazioni o uso di elementi primordiali, il linguaggio della creazione si fonda sui verbi «creare», «separare», «plasmare», «fare», e non sul verbo «generare» e, infine, nell’opera dei sei giorni Dio non solamente riempie, ma anche pone i tre spazi primordiali della concezione semitica dell’Universo (abisso, terra, firmamento). Il racconto della creazione non vuole dirci come sia stato creato il mondo da Dio, ma quale sia il senso dell’esistenza umana, della gioia, del dolore, del lavoro, dell’amore: la scienza e la Bibbia rispondono a domande diverse, e far dire ai testi scritturistici ciò che essi non vogliono dire mostra una fondamentale incapacità di lettura del testo sacro. È per correggere questa incapacità che ho deciso di scrivere questo articolo.

Dirò solo pochi accenni, per evitare che il lettore si trovi invischiato in poderosi volumi di teologia biblica che potrebbero confondere e scoraggiare alla lettura chi non è abituato all’uso di un linguaggio specifico.

Cominciamo dai termini: che cosa vuol dire «creazionismo» e che cosa vuol dire «concordismo»?

Il creazionismo, in una prospettiva scientifica o pretesa tale, è la credenza che l’Universo, la Terra e tutti gli organismi viventi originino da atti specifici di creazione divina, come riportato letteralmente nella Bibbia o in altri testi religiosi: in particolare si rifiuta la teoria evoluzionista, si afferma che tutti gli esseri viventi sono stati creati da Dio con le caratteristiche attuali, e a volte si rigettano tutte le scienze (la fisica moderna, l’astronomia, la chimica, la geologia con la sua datazione delle rocce e dei fossili) che pongono l’età del Cosmo nell’ordine dei miliardi di anni. Questo perché, scorrendo all’indietro la cronologia interna alla Bibbia, avremmo che il mondo fu creato nel 4004 avanti Cristo.

La difficoltà di interpretare letteralmente la Bibbia è un argomento discusso ampiamente e sin dall’antichità sia da Ebrei che da Cristiani: lo stesso Nuovo Testamento contiene diversi esempi di interpretazione allegorica delle Sacre Scritture. La Chiesa Cattolica non ebbe problemi a considerare i racconti della creazione del Genesi in senso esclusivamente religioso (senza pretese scientifiche), e ancor oggi – in particolare – non esprime una posizione ufficiale riguardo alla teoria dell’evoluzione, rimettendo la questione agli scienziati. Ha affermato Benedetto XVI il 24 luglio 2017, in un incontro con la diocesi di Belluno-Feltre e Treviso: «Vedo attualmente in Germania, ma anche negli Stati Uniti, un dibattito abbastanza accanito tra il cosiddetto creazionismo e l’evoluzionismo, presentati come fossero alternative che si escludono: chi crede nel Creatore non potrebbe pensare all’evoluzione e chi invece afferma l’evoluzione dovrebbe escludere Dio. Questa contrapposizione è un’assurdità, perché da una parte ci sono tante prove scientifiche in favore di un’evoluzione che appare come una realtà che dobbiamo vedere e che arricchisce la nostra conoscenza della vita e dell’essere come tale. Ma la dottrina dell’evoluzione non risponde a tutti i quesiti e non risponde soprattutto al grande quesito filosofico: da dove viene tutto? E come il tutto prende un cammino che arriva finalmente all’uomo?». A sostenere il creazionismo sono alcuni gruppi fondamentalisti cristiani o pseudo-cristiani (di area protestante), la maggior parte dei musulmani e alcuni gruppi induisti: ovviamente, musulmani e indù si riferiscono per sostenere le loro idee rispettivamente al Corano e ai Veda anziché alla Bibbia.

Evitiamo comunque di perderci nel marasma di varie teorie creazioniste (alcune delle quali particolarmente strampalate, come quella del «movimento raeliano» che vuole l’umanità creata da esseri alieni, senza però spiegare da chi siano stati creati questi esseri alieni), e parliamo del concordismo.

Il concordismo è la tendenza a interpretare il testo biblico sulla creazione del mondo in modo tale da mostrare la sua concordia fondamentale con i risultati delle moderne indagini scientifiche e archeologiche, anche allo scopo di convalidarne la veridicità. Tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX, si ebbero moltissime opere che pretendevano di dimostrare che la Bibbia, in quanto ispirata da Dio, aveva precorso le scoperte della scienza moderna: tentativi di volere a ogni costo dimostrare una scientificità della Bibbia che alla Scrittura per prima non interessava affatto.

Così Mattheo Fontaine Maury, fondatore dell’oceanografia, avendo letto nel Salmo 8 le parole: «Tu l’hai fatto solo di poco inferiore a Dio, e l’hai coronato di gloria e d’onore. […] Hai posto ogni cosa sotto i suoi piedi: […] i pesci del mare, tutto quel che percorre i sentieri dei mari» (versetti 5, 6, 8), si diede da fare per trovare i famosi «sentieri» citati, e in pochi anni stabilì le principali linee o sentieri del mare che sono tuttora seguiti nelle loro rotte dalle navi odierne perché più sicuri... ma i sentieri di cui parla il Salmo riguardano i pesci e non le navi e vogliono solo indicare che quelli vi guizzano per la loro strada, così come gli uomini seguono la propria. Ancora: nel Libro di Giobbe (38, 22) si parla di «depositi della neve» per indicare i «serbatoi» che l’autore sacro immaginava posti sotto la volta del cielo e dai quali la neve usciva attraverso delle apposite grate; il Dottor Frank T. Schutt del dipartimento canadese dell’agricoltura dimostrò che nel loro movimento centrifugo i nitrati esistenti nell’aria si raccolgono con l’ammoniaca libera e l’albuminoide per formare la neve, di cui ne sarebbero quindi i serbatoi, mentre la Bibbia indicava tutt’altra cosa. Un terzo esempio: in Genesi (13, 16; 15, 5) e Geremia (33, 22) si dice che le stelle sono innumerevoli come la sabbia del mare, il che è stato rivelato almeno in parte dai moderni telescopi; in realtà questa interpretazione dimentica lo stile iperbolico degli Orientali, che dicono la stessa cosa del popolo ebraico, che invece si può contare. Potremmo proseguire a lungo.

Bisogna inoltre considerare che la scienza va continuamente mutando, per cui non sarebbe mai possibile avere l’interpretazione esatta di alcuni passi biblici che muterebbero sempre di senso con il progresso scientifico: non saremmo mai sicuri di intendere bene la Sacra Scrittura, poiché potrebbe essere oggi interpretata secondo le verità degli scienziati odierni, che potrebbero divenire errori per gli scienziati di domani. Di più, anche se si potesse intendere qualche passo biblico in accordo con le moderne scoperte scientifiche, tutto il complesso scientifico supposto dalla Bibbia è comunque in stridente contrasto con l’odierna presentazione scientifica del Cosmo, come vedremo fra poco. In pratica, la Bibbia verrebbe piegata di volta in volta a dire verità in contrasto tra loro, perdendo ogni valore e venendo quindi del tutto screditata.

Cerchiamo, quindi, di capire che cosa dice la Bibbia, realmente. Dovrò necessariamente essere breve, mentre un’analisi del testo potrebbe occupare diverse pagine; mi limiterò ad alcune puntualizzazioni seguendo il metodo storico-critico, anche se di per sé non esaustivo per illuminare in tutta la sua bellezza il messaggio evangelico. Di seguito userò il termine «creazionisti» per designare sia i creazionisti propriamente detti, che i concordisti.

Il testo del Genesi presenta una creazione in sette giorni, come già facevano i Babilonesi (da cui gli Ebrei l’hanno ripresa). Non si tratta affatto di «ere» o «epoche» in senso moderno. Eppure, i creazionisti li intendono proprio così. Anzi, vanno persino a scomodare la teoria della relatività di Einstein (di ben 26 secoli posteriore alla pagina biblica) per dimostrare che si trattava precisamente di giorni di 24 ore l’uno: infatti, dato che – come ha dimostrato Einstein – a velocità prossime a quella della luce «lo spazio si curva, la massa si dilata e il tempo rallenta», se si potessero sommare tutte le velocità relative dei corpi celesti dell’Universo, potrebbe anche darsi che l’«orologio del mondo» abbia misurato 14 miliardi di anni, mentre l’«orologio di Dio» abbia misurato solo sette giorni di 24 ore. Lascio a ognuno il compito di pensare alla plausibilità di questa ipotesi: peccato che la Bibbia stesse parlando di tutt’altra cosa, dato che la creazione viene scandita in sette giorni per esemplificare la settimana liturgica.

«In principio Dio creò il cielo e la terra. […] Dio disse: “Sia la luce!”. E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre e chiamò la luce giorno e le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: primo giorno» (Genesi, 1, 1-5). Il primo giorno della creazione Dio crea la luce, vede che essa è cosa buona e la separa dal buio. Alcuni vedono in questo passo la prefigurazione del Big Bang: in realtà, dopo il Grande Scoppio, dovremo aspettare ancora 300.000 anni prima che appaia la luce! Nella Bibbia la luce viene creata per prima semplicemente perché all’autore sembra che nulla possa essere creato senza il chiarore (negare la luce equivaleva a negare la vita). Il mondo è posto subito sotto il segno della positività, viene ordinato, è bello e buono in senso ontologico-estetico, cioè conforme al progetto di Dio e ben funzionante. La creazione è da subito presentata come dono per l’uomo e benedizione.

«Dio disse: “Sia il firmamento in mezzo alle acque per separare le acque dalle acque”. Dio fece il firmamento e separò le acque, che sono sotto il firmamento, dalle acque, che sono sopra il firmamento. E così avvenne. Dio chiamò il firmamento cielo. E fu sera e fu mattina: secondo giorno» (Genesi 1, 6-8). Il secondo giorno della creazione Dio separa le acque inferiori da quelle superiori. Per capire questo passo, che i creazionisti credono erroneamente alluda alla nascita delle galassie (che gli antichi Ebrei non conoscevano), dobbiamo considerare come gli Ebrei pensavano che fosse l’Universo. Non avendo strumenti scientifici che ne permettessero una qualche conoscenza, e dovendo basarsi solo sui sensi, lo dipingevano «a strati sovrapposti»: la Terra sembrava piatta, e veniva raffigurata come un’isola galleggiante nelle Acque Inferiori, cioè un immenso oceano che la circondava ed era delimitato lungo tutto il suo perimetro esterno dai Monti Eterni. Il Firmamento o Cielo Inferiore era visto come una volta concava, semirigida, sulle nostre teste: qui vi erano il sole, la luna e le stelle; appariva azzurro perché vi era un oceano anche sopra di esso, l’Oceano Celeste o Acque Superiori (era l’oceano che cadeva sulla Terra sotto forma di pioggia). Su un’isola di questo, il Monte di Dio, abitava il Signore. Ancora più in alto si stendeva l’Empireo, o Cielo Superiore, o Cielo dei Cieli. Possiamo immaginare il terrore che gli Ebrei, popolo di terra, avevano del mare: si credevano circondati da ogni parte da acqua! La Terra poggiava su cinque colonne, le Colonne della Terra, tra le quali si aprivano gli Inferi (lo Sheol), il regno dei morti. Ancora più sotto vi era il Grande Abisso, sede degli spiriti infernali. È questo il quadro che dobbiamo tener presente quando ci accostiamo a queste pagine bibliche: dato che i popoli semiti credevano nell’esistenza di un oceano sopra il cielo, così Dio stende il firmamento per separarlo da noi.

Cosmo ebraico

L'Universo secondo gli Ebrei; disegno di Franco Maria Boschetto

«Dio disse: “Le acque che sono sotto il cielo, si raccolgano in un solo luogo e appaia l’asciutto”. E così avvenne. Dio chiamò l’asciutto terra e la massa delle acque mare. E Dio vide che era cosa buona» (Genesi 1, 9-10). Il terzo giorno della creazione Dio separa le acque dalle terre asciutte. Il Caos è una commistione del tutto disordinata di acque e terre; invece il Cosmos (l’ordine) consiste appunto nella loro separazione. Per gli Ebrei il mare è sempre stato sinonimo del nulla e della morte e infatti Dio, dopo aver creato la luce e il cielo, gli mette un confine invalicabile (vedi anche Giobbe 38, 8-11)

«E Dio disse: “La terra produca germogli, erbe che producono seme e alberi da frutto, che facciano sulla terra frutto con il seme, ciascuno secondo la sua specie”. E così avvenne: la terra produsse germogli, erbe che producono seme, ciascuna secondo la propria specie e alberi che fanno ciascuno frutto con il seme, secondo la propria specie. Dio vide che era cosa buona. E fu sera e fu mattina: terzo giorno» (Genesi 1, 11-13). Poi il Signore crea la vegetazione che cresce sulla Terra. La cosa è curiosa perché il Signore crea gli alberi prima del sole che li fa crescere. I creazionisti sostengono che nei tempi remoti l’atmosfera della Terra era satura di «gas serra» che impedivano di vedere il sole, ma lasciavano filtrare un chiarore diffuso: grazie a questo chiarore le piante poterono prosperare, e col passar del tempo immisero nell’atmosfera l’ossigeno che depurò l’aria e permise di far vedere il sole. Ma questo è falso: semplicemente, gli Ebrei non consideravano le piante degli esseri viventi, ma parte della natura inanimata perché in esse manca il sangue (che per Israele era la vita). La nascita della vegetazione non costituisce propriamente un atto di popolamento del mondo, ma solo la creazione di un teatro, che permetterà poi agli animali e agli uomini di vivere: inoltre – a differenza di quanto avviene tra gli uomini e gli animali – il compito di far nascere le piante secondo le varie specie, capaci poi di riprodursi attraverso i semi, non è affidato alle singole piante ma alla terra, fedele esecutrice degli ordini di Dio. E così le piante vengono create immediatamente dopo i continenti rocciosi e a due giorni di distanza dai «veri» viventi, gli animali.

«Dio disse: “Ci siano luci nel firmamento del cielo, per distinguere il giorno dalla notte; servano da segni per le stagioni, per i giorni e per gli anni e servano da luci nel firmamento del cielo per illuminare la terra”. E così avvenne: Dio fece le due luci grandi, la luce maggiore per regolare il giorno e la luce minore per regolare la notte, e le stelle. Dio le pose nel firmamento del cielo per illuminare la terra e per regolare giorno e notte e per separare la luce dalle tenebre. E Dio vide che era cosa buona. E fu sera e fu mattina: quarto giorno» (Genesi 1, 14-19). Il quarto giorno della creazione Dio pone i luminari nel cielo e dà loro la luce. Si noti come la «luce» era stata creata assai prima degli astri che la producono (sole, luna, stelle), perché si tratta in realtà di un’entità preternaturale, indipendente dagli oggetti che la producono. Il sole, la lune e le stelle non sono divinità, come nella mitologia babilonese (e degli altri popoli antichi), ma semplici luminari che servono a determinare il tempo delle feste liturgiche (quasi tutte cadevano nel quarto giorno della settimana: per questa sola ragione gli astri vengono creati il quarto giorno), lo scorrere dei giorni e degli anni, il governare il giorno e la notte.

«Dio disse: “Le acque brulichino di esseri viventi e uccelli volino sopra la terra, davanti al firmamento del cielo”. Dio creò i grandi mostri marini e tutti gli esseri viventi che guizzano e brulicano nelle acque, secondo la loro specie, e tutti gli uccelli alati secondo la loro specie. E Dio vide che era cosa buona. Dio li benedisse: “Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite le acque dei mari; gli uccelli si moltiplichino sulla terra”. E fu sera e fu mattina: quinto giorno» (Genesi 1, 20-23). Il quinto giorno della creazione Dio popola l’acqua e l’aria di animali. I creazionisti si chiedono se tra questi animali si annoverino anche i dinosauri, e qualcuno crede di ravvisarli nell’espressione «mostri marini»: in realtà, l’autore biblico non nomina i dinosauri semplicemente perché non li conosceva.

«Dio disse: “La terra produca esseri viventi secondo la loro specie: bestiame, rettili e bestie selvatiche secondo la loro specie”. E così avvenne: Dio fece le bestie selvatiche secondo la loro specie e il bestiame secondo la propria specie e tutti i rettili del suolo secondo la loro specie. E Dio vide che era cosa buona.

E Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”.

Dio creò l’uomo a sua immagine;
a immagine di Dio lo creò;
maschio e femmina li creò.

Dio li benedisse e disse loro:

“Siate fecondi e moltiplicatevi,
riempite la terra;
soggiogatela e dominate
sui pesci del mare
e sugli uccelli del cielo
e su ogni essere vivente,
che striscia sulla terra”.

Poi Dio disse: “Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra e ogni albero in cui è il frutto, che produce seme: saranno il vostro cibo. A tutte le bestie selvatiche, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde”. E così avvenne. Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona. E fu sera e fu mattina: sesto giorno.

Così furono portati a compimento il cielo e la terra e tutte le loro schiere. Allora Dio, nel settimo giorno portò a termine il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro. Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli creando aveva fatto. Queste le origini del cielo e della terra, quando vennero creati» (Genesi, 1, 24-31; 2, 1-4a). Il sesto giorno Dio crea gli animali della terra e l’uomo: dopo ciò, presenterà all’uomo tutti gli animali perché egli dia loro un nome. Secondo le culture semitiche, infatti, conoscere il nome di qualcosa significa possederla, e così tutto il creato viene affidato all’uomo perché lo coltivi e lo custodisca: l’uomo viene così caricato della responsabilità di garantire che il mondo sia il teatro nel quale egli possa condurre una vita prospera, libera, ma soprattutto giusta. Il fatto che all’uomo e agli animali sia dato in cibo ogni erba verde non significa che in origine fossero tutti vegetariani, ma che nel progetto di Dio la morte – anche solo per procurarsi il cibo – era esclusa. Questa apparirà a causa dell’uomo, che vorrà cibarsi dei frutti dell’albero che dà la conoscenza del bene e del male: un racconto che parla dell’idolatria (non di un qualche peccato di tipo sessuale), ovvero della pretesa umana di stabilire da solo che cosa sia bene e che cosa sia male, di crearsi dèi a misura umana; tutta la storia d’Israele è segnata da queste cadute, dal vitello d’oro ai pali sulle alture al culto delle immagini degli idoli, cose che danno una pace momentanea e solo illusoria, che non liberano dall’angoscia e dalla ricerca di un senso della vita che non esiste al di fuori del progetto di Dio.

Non si può non accennare al tema dell’evoluzione, punto «caldo» delle teorie creazioniste, che la negano: poiché non possono contestare il fatto che esistano scheletri di antichissime creature con caratteri in parte scimmieschi e in parte umani (gli ominidi), le spiegano o come specie di scimmie ora estinte, o come il risultato di abominevoli rapporti sessuali tra uomini e bestie. La prima ipotesi appare piuttosto poco credibile, la seconda è del tutto delirante (potrei usare termini peggiori, ma mi astengo dalla volgarità). Il fatto che Dio abbia disposto il perpetuarsi delle creature viventi «secondo la loro specie» è solo il modo per mostrare il grande ordine da Egli voluto, la definitiva vittoria sul Caos e sulla morte: per quanto ispirate da Dio, queste pagine non parlano dell’evoluzione perché l’autore biblico non conosceva questo concetto, e perché alla Bibbia non interessano simili risvolti scientifici. La teoria evoluzionista attuale, che individua le variazioni delle specie a causa di mutazioni genetiche spontanee, viene ritenuta la spiegazione più plausibile di ciò che è avvenuto e tuttora avviene nel campo biologico, anche se essa è valida essenzialmente a livello microevolutivo ma è insufficiente per spiegare tutto il processo evolutivo, soprattutto le grandi direzioni che si disegnano nel corso dell’evoluzione. In realtà, questa teoria non nega affatto Dio, tanto che quando Darwin nel 1850 espose le sue teorie, suscitò un vespaio nel mondo accademico laico ma nessuna reazione in campo ecclesiastico (la Chiesa è stata tirata dentro il dibattito in seguito e a sproposito). Come ha osservato il Papa Giovanni Paolo II nel suo discorso Fede cristiana ed evoluzione (27 aprile 1985), «una fede rettamente compresa nella creazione e un insegnamento rettamente inteso dell’evoluzione non creano ostacoli... La creazione si pone nella luce dell’evoluzione come un avvenimento che si estende nel tempo – come una “creatio continua” –, in cui Dio diventa visibile agli occhi del credente come il creatore del cielo e della terra». L’evoluzione cosmica e l’evoluzione biologica si sviluppano quindi secondo un disegno superiore: esse corrispondono a un progetto di Dio, in qualunque modo si sia realizzato tale progetto, fosse anche per eventi casuali, che Dio ha preveduto in un quadro di possibilità e di leggi o principi d’ordine insiti nella materia. In tale disegno l’uomo si presenta come il punto culminante del processo evolutivo. Per contro, la posizione di chi sostiene che l’Universo si sia creato da sé e che la multiforme varietà delle specie viventi attuali sia frutto di mutazioni genetiche del tutto casuali (la posizione diametralmente opposta a quella dei creazionisti) è del tutto insostenibile, perché in contrasto con tutte le «regole» e le «leggi» che reggono la nostra concezione dell’Universo, e spesso con la stessa logica.

Si aprono poi, nella Bibbia, alcune righe piuttosto oscure: «Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla terra e nacquero loro figlie, i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e ne presero per mogli quante ne vollero. Allora il Signore disse: “Il mio spirito non resterà sempre nell’uomo, perché egli è carne e la sua vita sarà di centoventi anni”.

C’erano sulla terra i giganti a quei tempi – e anche dopo – quando i figli di Dio si univano alle figlie degli uomini e queste partorivano loro dei figli: sono questi gli eroi dell’antichità, uomini famosi» (Genesi 6, 1-4). L’umanità si è corrotta, i figli di Dio si sono uniti alle figlie degli uomini facendo partorire loro i giganti, e qualche creazionista ha pensato di vedere un’allusione a una qualche catastrofe genetica. La narrazione può forse attingere elementi delle antiche mitologie orientali che introducevano i giganti come frutto dell’unione tra una divinità e una donna: i «figli di Dio» sono i membri del consiglio della corona di Dio, cioè gli angeli. Il testo però non parla né di catastrofi genetiche né della «caduta degli angeli» e della conseguente origine dei demoni, ma vuole solo mostrare come il male dilaghi e condannare una convinzione dell’antico Vicino Oriente, secondo la quale nei cosiddetti «riti della fertilità» si celebrava una specie di «matrimonio sacro» tra l’uomo e Dio, incarnato in un atto sessuale con la sacerdotessa o il sacerdote della divinità della fecondità: un comportamento prepotente, che mirava a scardinare i limiti delle regole armoniche del creato fissate da Dio. La polemica arriva all’aperta ironia: si dice che i giganti erano «uomini famosi», ma... non se ne cita nessuno!

Di fronte al dilagare della violenza, Dio «si pente» di aver creato l’uomo e pensa di spazzarlo via, ma Noè trova grazia ai Suoi occhi e si salva (Genesi 6, 8-8, 22). Il mito del diluvio universale è comune a tutte le culture e si è tentato di dargli una spiegazione tramite una catastrofe preistorica: si è parlato di uno straripamento dei fiumi Tigri ed Eufrate nelle pianure mesopotamiche (per un tratto di 350 chilometri prima della foce corrono su un piano quasi perfetto, con un dislivello di soli 34 metri, e in caso di forti piogge e dello scioglimento delle nevi a primavera le acque si trasformano in un’enorme massa che dilaga distruggendo tutto: una grande alluvione sconvolse la regione intorno al 4.000 avanti Cristo e sommerse un territorio lungo 630 chilometri e largo 160); oppure dell’allagamento del Mar Nero circa 7.600 anni fa, verso il termine dell’ultima glaciazione; meno credibile appare l’ipotesi del ricordo della salita dei mari dopo lo scioglimento dei ghiacci dell’ultima era glaciale, sia per il lungo arco di tempo che impiegò, sia perché gli autori sacri non possedevano strumenti che permettessero di rilevare l’evento e la sua portata globale. Naturalmente i creazionisti ritengono che il diluvio sia stato universale nel senso letterale del termine: partendo dal fatto (incontestabile) che sul pianeta ci sia più acqua che terra (tanto che se si riversassero in mare tutti i rilievi, l’acqua coprirebbe le pianure di centinaia o migliaia di metri), ritengono che un tempo i continenti fossero più estesi e i mari più piccoli di quelli attuali, finché col diluvio si sarebbero rovesciate sulla Terra le Acque Superiori, il cui peso avrebbe da un lato fatto sprofondare intere regioni creando le attuali fosse sottomarine e il Gran Canyon Americano, dall’altro lato spinto verso l’alto le attuali catene montuose; nessuna considerazione non solo sul fatto che credere che sopra la Terra vi sia stato un oceano è antiscientifico, ma anche sul fatto che un simile spostamento avrebbe modificato l’inclinazione dell’asse terrestre, provocando sconvolgimenti tali da rendere impossibile la sopravvivenza, nonostante l’arca. Questo solo per parlare di alcuni dei punti non spiegabili della teoria creazionista sul diluvio. Il senso vero del racconto del diluvio non è parlare di una qualche catastrofe avvenuta nel passato, quanto mostrare la grande bontà di Dio, sempre pronto a soccorrere i pochi giusti per non trattarli come i malvagi.

Passiamo ora ai discendenti di Noè. Il capitolo 10 del libro del Genesi (10, 1-32) dice che, dopo la fine del diluvio, il mondo venne abitato dalle tre stirpi dei figli di Noè, e cioè Cam, Sem e Iaphet. Spesso si è voluto vedere in questi tre patriarchi gli antenati rispettivamente delle razze nera, gialla e bianca; ma, in realtà, all’autore biblico i popoli dell’Africa Nera (tranne gli Etiopi), le stirpi «gialle» dell’Asia, gli Amerindi, i Polinesiani, i popoli dell’Estremo Nord erano erano del tutto sconosciuti! Le tre stirpi di popoli sono tutte di pelle bianca o olivastra (tranne i già citati Etiopi), e il loro elenco rappresenta una vera e propria carta geografica del mondo nel VI secolo avanti Cristo, quando questa pagina fu scritta, non certo di quello della remota antichità: i figli di Iapeht coprono soprattutto l’area mediterranea, i figli di Cam l’Africa e la Palestina, i figli di Sem la Mesopotamia, la Siria e la Penisola Arabica. Quelli che appaiono come nomi di figli e nipoti di Noè sono in realtà nomi di popoli! Thiras ricorda i Tirreni (gli Etruschi), Lud i Lidi, Assur gli Assiri, Mesech i Moschi (popoli del Caucaso citati anche da Erodoto), Aram gli Aramei (antica popolazione della Siria), Eber gli stessi Ebrei, e persino Cam altro non è che la trascrizione ebraica di Kem («Terra Nera»), il nome dato dagli Egizi al loro Paese, ricoperto periodicamente dal fertile limo scuro del Nilo! In quanto a Caino, il figlio cattivo di Adamo, allude probabilmente alla tribù dei Keniti (Genesi 4, 22), popolo nomade abile nella metallurgia, di cui era forse il dio nazionale ed eponimo, o l’antenato. Agli occhi di un Babilonese di quell’epoca, la Terra era piatta e circondata dal grande Oceano; i quattro fiumi maggiori del mondo prendono tutti origine dal giardino di Eden (Genesi 2, 8-14), a Oriente del quale si trova Nod, rifugio dell’omicida Caino (infatti in ebraico significa proprio «fuggiasco»); il «mare dei giunchi» del Sud altro non è che il Mar Rosso diviso in due da Mosè (Esodo 14, 1-30).

Ultimo episodio su cui ci soffermeremo è quello riguardante la Torre di Babele. I discendenti di Noè abitano la pianura di Sennaar, cioè la Mesopotamia Meridionale, e il loro Re Nimrod (famoso cacciatore di leoni, come nei bassorilievi in pietra trovati sulle pareti delle regge assire) decide di costruire una torre che tocchi il cielo, che da dovunque si veda e che nessun diluvio possa mai abbattere; il Signore risponde con la confusione delle lingue (Genesi 11, 4-9). In realtà gli Ebrei, prigionieri a Babilonia, vi videro l’altissima Ziggurat (tempio solare) e vi udivano parlare centinaia di idiomi, essendo allora Babilonia il centro del mondo. Per spiegare tutto ciò coniarono un’eziologia in cui il nome della città, che significa «porta del dio», viene spiegato mediante il termine ebraico che significa «confusione». Mentre la dispersione dell’umanità allude al fatto che, dopo la caduta di Babilonia sotto i Persiani, ai popoli schiavi (Ebrei compresi) fu concesso di tornare alla propria terra d’origine.

Questi sono alcuni dei punti fondamentali da tenere presente quando ci accostiamo ai primi capitoli del Genesi in particolare, e alla lettura delle pagine bibliche in linea più generale: è vero che la Bibbia tratta storia e non una serie di leggende, ma il suo intento principale non è quello meramente cronachistico, ma quello di mostrare l’intervento di Dio nella storia dell’umanità. È bene non dimenticarlo.

Naturalmente un discorso completo sulla creazione e la preistoria biblica, pur dovendo avere un particolare riguardo ai testi di Genesi 1-11, non può limitarsi a essi, ma deve acquisire tutta una serie di passi profetici e sapienziali; basti qui pensare agli inni cosmici di Amos 4, 13; 5, 8-9; 9, 5-6, oppure ai testi del Deuteroisaia come Isaia 44, 24; 48, 6-7; 51, 16, o ancora al famoso discorso di Dio in Giobbe 38-41, inneggiante la Sua sapienza creatrice, o ai salmi celebranti la creazione, tra i quali si segnalano i Salmi 8; 19; 104. Altro testo, in cui si trova la confessione di fede nella creazione, è il deuterocanonico Secondo Libro dei Maccabei 7, 22.23.28, dove è evidente l’influsso del pensiero greco, più preoccupato di rispondere alla domanda sull’origine radicale delle cose (è il testo dove si può correttamente riconoscere l’affermazione di una creazione «dal nulla»), che al bisogno di raccontare.

(dicembre 2019)

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