Confini e frontiere nel difficile equilibrio del mondo senza ethos e senza pace
Una casistica ricorrente

L’idea di confine è molto ampia, spaziando dal momento geografico a quello giuridico, e non senza assumere significati politici che in parecchi casi finiscono per trascendere la sfera normativa e provocare cospicui dissensi, dando luogo a possibili contenziosi destinati a difficili intese fra le parti, alle eventuali soluzioni arbitrali, e in casi estremi a conflitti, freddi o caldi che siano. Si tratta di una constatazione che trova innumerevoli conferme nella storia del mondo dimostrando quanto sia ardua la via della pace, che in varie circostanze resta tale anche nell’evo contemporaneo, nonostante la presenza di Organizzazioni internazionali preposte a dirimere le controversie, evitando il ricorso a scorciatoie belliche generalmente negative per tutti.

D’altra parte, il confine non indica necessariamente una conclusione di percorso o di sovranità, ma può significare un incontro, che sta alle parti valorizzare o disattendere. Comunque sia, sta di fatto che «interpretare» il confine propone una scelta: mettere in luce il suo ruolo di cesura o quello più arduo di confronto, non necessariamente competitivo. In questo senso la convivenza può diventare un valore positivo, ma presume un rapporto di buon vicinato che escluda a priori ogni soluzione di forza nel caso di controversie sempre possibili.

In effetti, i confini tra Stati non escludono la dialettica fra liceità e illiceità, indotta dai diversi rapporti di forza e dal probabile cedimento del più debole; in ogni caso, presumono l’esistenza di norme giuridiche, peraltro non sempre coincidenti con quelle morali, portando alla ribalta vecchi e nuovi confronti che definiscano le controversie, e statuiscano l’accettazione di conseguenti accordi.

Qualche esempio? Dopo la guerra franco-prussiana del 1870 e il trasferimento di Alsazia e Lorena al Reich tedesco, i patrioti francesi non cessarono mai dal raccomandare di «pensarci sempre e non parlarne mai»: ciò sarebbe avvenuto fino alla Grande Guerra, con l’enorme spargimento di sangue che il conflitto avrebbe comportato, ma con il recupero di quelle terre da parte francese, dopo meno di mezzo secolo. Analogamente, il forte «grido di dolore» proveniente dalle Regioni Italiane rimaste irredente anche dopo l’unità nazionale suffragata dalla «conquista» di Roma, fu sempre vivo in tante coscienze, nonostante le preclusioni categoriche dell’Italia ufficiale nei lunghi anni della Triplice Alleanza con gli Imperi Centrali (1882-1915).

Sul piano politico, il confine è la linea convenzionale che separa formalmente il territorio – su cui si esercita la sovranità di uno Stato riconosciuto nella pienezza dei suoi poteri – da quello appartenente ad altro Soggetto analogo, parimenti sovrano. Per analogia si parla anche di confini tra Regioni, Comuni ed Enti locali, anche se in questo caso la separazione assume carattere amministrativo, sia pure con evidenti valenze di politica interna. In ogni caso, il confine è un’astrazione giuridica e una realtà geografica cui possono corrispondere nette contrapposizioni etniche, per non dire di caratteri fisici non meno diversi: cosa da cui derivano forti motivi di tensione talvolta permanente.

La correlazione tra etica e confine è generalmente soggettiva, per non dire labile, perché la determinazione del confine medesimo non corrisponde a criteri universali, mentre esprime interessi spesso opposti ma senza dubbio forti, e meglio tutelati dagli Stati economicamente e militarmente prevalenti. Il caso attuale che vede Russia e Ucraina su posizioni nettamente divergenti ne costituisce la conferma, anche in una stagione come quella contemporanea in cui il negoziato costituisce una priorità riconosciuta, se non altro per i disastri potenziali rivenienti da ogni eventuale scontro armato. Del resto, nella storia non mancano gli esempi di confini ritenuti iniqui da una parte e non altrettanto dall’altra, come accadde nella lunga guerriglia statunitense contro le popolazioni autoctone, dove il confine era una realtà particolarmente elastica: per l’appunto, non più sottile linea «convenzionale» ma ampia frontiera. In altri termini, il rischio di strumentalizzazione, e prima ancora, di probabili interpretazioni divergenti del diritto e dell’ethos è sempre ricorrente, con ampie variazioni sul tema.

Il confine non è un istituto, ma uno strumento del giure internazionale a suo modo indispensabile, riconosciuto da tutte le Organizzazioni sovranazionali cominciando dall’ONU, in cui sono presenti quasi tutti gli Stati del mondo. L’intangibilità dei confini è stata codificata da circa mezzo secolo nel trattato di Helsinki (1975) ma è rimasta allo stato deontologico: ad esempio, poche settimane dopo fu sconfessata «in primis» dal trattato di Osimo fra l’Italia e la Repubblica Federativa Jugoslava – firmato dai Ministri degli Esteri Milos Minic e Mariano Rumor in un clima da consorteria – con cui Roma chiudeva un lungo contenzioso sacrificando anche la sovranità sulla cosiddetta Zona «B» del Territorio Libero di Trieste. Ciò, con un atto legittimo sul piano giuridico ma opinabile in sede politica, sia nel caso di cessione, come quello in parola, sia nel caso di compravendita: una fattispecie, quest’ultima, di cui è rimasto esempio clamoroso (e fonte di conseguenze tuttora palesi) l’alienazione dell’Alaska a vantaggio degli Stati Uniti, compiuta nel 1867 da parte della Russia[1] quando sembrava che quel vastissimo territorio fosse soltanto uno «scatolone» di ghiacci[2].

Un rapporto meno formale può cogliersi, come si accennava, nella complessa dialettica tra etica e frontiera, laddove quest’ultima, diversamente dalla linea di confine giuridico, è uno spazio di spessore variabile, talvolta territorialmente vasto, che separa realtà diverse non solo a livello fisico e politico, ma prima ancora, etnico e culturale. In questo caso, indipendentemente dalla predetta linea, gli auspicabili vincoli di collaborazione fra Stati diventano perseguibili anche, e forse soprattutto, in una logica morale, o se non altro di reciproca convenienza e di comune utilità. Cosa che, come si sa, non sempre accade.

Questi vincoli presumono l’accettazione di principi generali codificati nelle grandi Dichiarazioni dei diritti, e quindi, di affievolimenti talvolta notevoli delle sovranità: un obiettivo che la globalizzazione contemporanea sembra rendere maggiormente perseguibile, ma che in molti casi resta tuttora lontano. Ad esempio, lo «spirito europeo» che aveva alimentato grandi speranze al termine della Seconda Guerra Mondiale è rimasto sulla carta, con una visibilità straordinaria all’atto della «Brexit» ma con altri dissensi non sempre marginali, come quelli avvertibili nelle stesse Isole Britanniche o nell’Europa Nord-Orientale, sebbene affievoliti dall’inserimento degli Stati in questione, con particolare riguardo a Polonia e Paesi Baltici, nelle istituzioni comunitarie, all’insegna di evidenti interessi economici e finanziari.

Ancora più evidenti sono i dissensi presenti nelle altre parti del mondo, a cominciare da quelli di vecchia data fra Cina e Taiwan da una parte, o fra Corea Settentrionale e Meridionale dall’altra, dove il dissidio si sta avviando a diventare centenario. Altrove, come nel contenzioso confinario tra Argentina e Cile nella regione degli Stretti, il peggio si è potuto evitare soltanto grazie all’intervento del Vaticano. L’elenco, comunque, è lunghissimo, in specie per i tanti fattori di contrasto presenti, oggi come ieri, in molte realtà dell’Africa post-coloniale, dove la guerriglia ha finito per assumere carattere endemico.

Conviene aggiungere, peraltro, che mutazioni anche improvvise non sono mai da escludere alla luce di nuove valutazioni politiche, pronte a rivedere le vecchie scelte strategiche e tattiche. Per fare qualche esempio di casa nostra, particolarmente noto, basti pensare alla disdetta della Triplice Alleanza da parte italiana, e alla sottoscrizione del Patto di Londra (aprile 1915) con i «nuovi» Alleati Occidentali; oppure, al colpo di Stato di Belgrado (marzo 1941) che vide la Jugoslavia abbandonare le precedenti intese[3] con l’Asse Italo-Tedesca, a seguito di quelle innovative con la Gran Bretagna di Sir Winston Churchill. In buona sostanza, l’imprevisto può essere sempre dietro l’angolo.

Nell’odierno clima, ancora una volta oggettivamente difficile – a più forte ragione nel tempo della pandemia – il ricorrente sogno poetico della pace[4] rimane un riferimento tanto commendevole quanto futuribile, che può essere condiviso sul piano morale ma che resta amaramente lontano dalla realtà politica del mondo. Anche per questo, oggi come ieri, e forse come domani, è drammaticamente e paradossalmente attuale l’assunto del vecchio saggio: «Si vis pacem para bellum».


Note

1 Giorgio Balladore Pallieri, Diritto internazionale pubblico, Aldo Giuffrè Editore, Milano 1956, pagina 409. L’opera comprende un’ampia silloge di altri cambiamenti della sovranità avvenuti nella storia, a vario titolo, ivi compreso quello specifico della compravendita (come nel caso delle Antille cedute nel 1916 dalla Danimarca, anche stavolta agli Stati Uniti). Tra le fattispecie meno frequenti non mancano le permute: per citarne una riguardante il Risorgimento Italiano, basti rammentare la cessione della Lombardia alla Francia, al termine della Seconda Guerra d’Indipendenza (1859) e l’immediato trasferimento della stessa regione, dalla medesima Francia al Regno di Sardegna (Ibidem, pagina 411). Quanto alle concessioni, si può ricordare quella conferita all’Italia in agro di Tien Tsin (Cina) nel 1902 e scomparsa insieme alle colonie dopo le vicende del «secolo breve».

2 Il trasferimento di sovranità dalla Russia agli Stati Uniti ebbe luogo durante la Presidenza di Andrew Johnson, 16° successore di George Washington, per un corrispettivo pari a 7,2 milioni di dollari, che valse molte critiche allo stesso Johnson. L’opinione pubblica avrebbe iniziato a considerare meno sfavorevolmente l’operazione soltanto nel 1899, quando in Alaska furono scoperti importanti giacimenti d’oro. Poi, si sarebbero aggiunti quelli del petrolio, che oggi coprono circa un quarto dell’intero fabbisogno statunitense. Dal canto suo, la Russia non ebbe interesse a conservare la sovranità sull’Alaska, difficile da difendere in caso di guerra, e sul momento, di nessun interesse economico.

3 Il patto d’amicizia italo-jugoslavo del 1937 (firmato dal Capo del Governo di Belgrado, Milan Stojadinovic, e dal Ministro degli Esteri Galeazzo Ciano) aveva già chiuso, ancor prima delle successive intese maturate all’inizio della Seconda Guerra Mondiale, lo stillicidio delle lunghe diatribe fra Italia e Jugoslavia, culminate negli attentati terroristici orditi dalle Associazioni segrete Orjuna e TIGR, e nelle condanne capitali pronunciate dalla giustizia italiana contro Vladimir Gortan (1929) e contro i cosiddetti «Quattro di Basovizza» (1930).

4 Nella stessa epoca precristiana, pur fondata sulla pretesa «sacralità» dell’eroismo e della guerra, l’auspicio della pace perpetua aveva trovato spazio nei celebri versi di Albio Tibullo contenenti l’invettiva contro «chi per primo inventò le terribili armi». Analogamente, nell’evo contemporaneo è maturato il sogno messianico di una Repubblica Universale coltivato, fra gli altri, da Padre Ernesto Balducci, assai attraente in chiave teleologica ma contraddetto sul piano storico da una cifra interminabile di conflitti; e su quello economico dalla «dittatura» degli interessi pubblici e privati.

(aprile 2022)

Tag: Carlo Cesare Montani, confini e frontiere, Alsazia, Lorena, Reich Tedesco, Russia, Ucraina, Trattato di Helsinki, Trattato di Osimo, Italia, Jugoslavia, Territorio Libero di Trieste, Alaska, Stati Uniti, Isole Britanniche, Europa Nord-Orientale, Polonia, Paesi Baltici, Cina, Tien Tsin, Taiwan, Corea, Argentina, Cile, Città del Vaticano, Africa, Belgrado, Gran Bretagna, Antille, Danimarca, Lombardia, Francia, Regno di Sardegna, Milos Minic, Mariano Rumor, Winston Churchill, Albio Tibullo, Padre Ernesto Balducci, Giorgio Balladore Pallieri, Galeazzo Ciano, Andrew Johnson, George Washington, Milan Stojadinovic, Vladimir Gortan, «Quattro di Basovizza», Guerra Franco-Prussiana, Grande Guerra, Triplice Alleanza, Seconda Guerra Mondiale, strumenti di trasferimento della Sovranità, Brexit, Organizzazione delle Nazioni Unite, Patto di Londra, Asse Italo-Tedesca, Seconda Guerra d’Indipendenza, Orjuna, TIGR.