Texas City 1947, un’immane catastrofe
Quando la negligenza si somma a una decisione sbagliata...

In tutte le attività dell’uomo, quando qualcosa va di traverso, non è raro il caso in cui ci si trovi nelle condizioni che si attivi una successione di situazioni le quali, sommandosi fra di loro, portino a vicende veramente disastrose. La concomitanza della presenza delle stesse sostanze pericolose nello stesso porto ha offerto una dimostrazione pratica dell’asserto, tanto che si verificò una catastrofe, accaduta nei giorni 16 e 17 aprile 1947, nel porto della città statunitense di Texas City nella Baia di Galveston del Golfo del Messico, nello Stato del Texas.

Nel porto, da cinque giorni era ormeggiata la nave da carico lunga 130 metri, nata SS Benjamin R. Curtis, che, dopo aver fatto parte delle flotte USA nell’ultimo conflitto mondiale, nel 1946 fu offerta alla Francia come aiuto alla sua ripresa, diventando SS Grandcamp. Prima di attraccare alla banchina di quel porto, aveva fatto scalo in Belgio, dove aveva caricato 16 casse di munizioni, poi si era fermata a Cuba e a Houston per altre merci (macchinari e balle di spago di sisal), finché ancorò a Texas City per fare un carico di nitrato d’ammonio confezionato in sacchi di carta, prodotto negli Stati del Nebraska e dell’Iowa, trasportato via ferrovia e conservato a temperature (col senno di poi) troppo elevate e, perciò, poco affidabili. Del resto, gli scaricatori del porto, che, essendo fra i sopravvissuti, poterono raccontare ciò che era accaduto, confermarono che i sacchi erano erano più caldi del normale.

Il nitrato d’ammonio, di formula chimica NH4NO3, è il sale di ammonio dell’acido nitrico ed è un prodotto usato come valido fertilizzante in agricoltura, ma serve pure per preparare esplosivi, quali l’Ammonal, ottenuto con la sua miscelazione con l’alluminio in polvere, l’ANFO, questa volta miscelato con olio combustibile, e ancora altre miscele esplosive. È un prodotto molto usato in quest’ultimo campo, grazie alle sue caratteristiche che ne garantiscono un uso in buona sicurezza. Infatti, gli esplosivi a base di nitrato d’ammonio sono i prediletti nelle miniere di carbone e di zolfo, perché il calore prodotto dall’esplosione non è sufficiente a innescare lo scoppio del grisù, anche se presente in elevate concentrazioni, se il ricambio dell’aria è scarso. Per inciso, si ricorda qui che, oltre a essere una sostanza esplosiva, è un benemerito della salute, facendo parte dei componenti del cosiddetto «ghiaccio istantaneo», valido per uso medico e sportivo.

Sempre ancorata nello stesso porto, a un paio di un centinaio di metri di distanza, era un’altra nave, la SS High Flyer, con un carico di 872 tonnellate di nitrato d’ammonio e 1.600 tonnellate di zolfo.

Oltre all’ammonio in fase di carico sulla prima nave e quello presente sulla seconda, altre circa 500 tonnellate stazionavano sulla banchina del porto, in attesa di essere caricate.

Ma ciò che è stato successivamente rilevato, e che si appurò essere stata la causa del disastro, riguardò lo stato instabile in cui il materiale era giunto qui, essendo stato trasportato da un treno, avendo subito pertanto inaccettabili cambiamenti di temperatura ed essendo stato messo in condizione di attivare la sua reattività chimica, cioè la possibilità di giungere all’autocombustione o addirittura all’esplosione.

Nel mattino del 16 aprile 1947, quando il lavoro si avviava a essere a pieno ritmo, già 2.080 tonnellate di nitrato d’ammonio, contenute in sacchi di carta, erano state stivate, e ci si dava da fare per completare il carico; si notò che dai boccaporti aperti della stiva della Grandcamp si sprigionava un denso fumo. Erano circa le ore 8. Laggiù si era appiccato un fuoco, che i marinai tentarono di spegnere; ma tutti i loro tentativi furono inutili, tanto che il comandante della nave, Charles de Guillebon, diede l’ordine ai suoi uomini di chiudere i boccaporti e di attivare l’unico metodo a disposizione, che sembra essere il migliore in questi casi, cioè quello di mandare nella stiva del vapore, sperando che soffocasse l’incendio. Ma fu una valutazione errata, giacché il nitrato d’ammonio mette in circolazione ossigeno, gas che, com’è ben noto, è un comburente, vale dire che favorisce la combustione. In effetti, chimicamente che cosa succede? Con l’aumento della temperatura, il nitrato d’ammonio si decompone e, magari aiutato dalla presenza del vapore, si trasforma, divenendo protossido d’azoto (N2O) e libera quell’ossigeno che naturalmente alimenta la combustione; nel contempo e in tal modo, anche la temperatura nella stiva della nave aumenta.

Verso le 8 e mezza, il comandante, resosi conto che non era possibile spegnere l’incendio, evacuò l’equipaggio e chiese l’aiuto di un rimorchiatore, affinché trainasse la nave il più lontano possibile, ma l’esplosione impedì che ciò avvenisse.

Non essendoci sfoghi, i gas di combustione si erano accumulati a tal punto che l’unico sfogo possibile era quello attraverso un’esplosione, che puntualmente si verificò.

Prima dell’esplosione, una folta ressa di gente curiosa si era assiepata lungo la costa, per ammirare la nave in fiamme, attirata dall’insolito spettacolo caratterizzato dal loro strano colore giallo aranciato, dovuto al biossido d’azoto. I superstiti riferirono che l’acqua attorno alla nave bolliva, mentre sfrigolava contro le sue pareti arroventate. Probabilmente, quella folla era sicura di essere a una distanza di sicurezza, anche perché nessuno aveva previsto che il tutto si sarebbe potuto risolvere con un’immane esplosione.

Fu un errore di valutazione del pericolo da parte della Sicurezza locale, che non aveva provveduto a tenerla lontana? Forse sì.

I gas continuarono ad accumularsi nella stiva, accrescendo a dismisura la pressione insieme con l’aumento abnorme della temperatura, finché la struttura della nave non ce la fece più e l’esplosione fu l’unica conseguenza possibile. Erano le ore 9,12 del mattino.

Lo scafo della nave, di più di 6.000 tonnellate di stazza, fu, si potrebbe dire, letteralmente disintegrato, spargendo in giro i rottami e formando sopra di sé un’enorme colonna di fumo, simile a un gigantesco fungo, che raggiunse la quota di 600 metri. Un’ancora, del peso di 2 tonnellate, fu trovata in un giardino a un chilometro e mezzo di distanza. L’altra ancora, del peso di 5 tonnellate, è stata trovata a 800 metri dal luogo dell’incidente; ora è stata posta all’ingresso della diga di Texas City.

Gli edifici rasi al suolo furono circa un migliaio, mentre un incendio scoppiò nel complesso degli impianti della grande Monsanto Chemical Company, dove si produceva stirene; e il calore causò pure l’autocombustione nelle raffinerie di petrolio e nei serbatoi pieni di sostanze combustibili posti nella zona portuale e nelle vicinanze. Un parcheggio distante mezzo chilometro fu distrutto; furono più di un migliaio le auto danneggiate in modo più o meno grave, così come furono pressoché messi fuori uso più di 350 vagoni ferroviari. Anche due aerei privati che, in quel momento, stavano sorvolando il porto, ebbero la peggio.

L’onda d’urto fu udita a oltre 240 chilometri di distanza, mentre nel centro di Galveston, distante circa 16 chilometri, i vetri delle finestre andarono in frantumi. Lo scoppio causò il formarsi di uno tsunami con onde di 5 metri di altezza, che si estinse a non meno di 160 chilometri dalla costa texana, lasciando dietro di sé una scia di morti, scomparsi insieme con le loro imbarcazioni, in un numero forse superiore a quello provocato dall’esplosione.

Dei 41 uomini dell’equipaggio della nave solamente sei si salvarono, perché, per fortuna loro, si trovavano abbastanza lontani dal luogo dello scoppio, mentre solamente uno dei 28 vigili del fuoco, che erano intervenuti per spegnere l’incendio e che tentavano di farlo dalle banchine, si salvò. I feriti furono più di 3.000 e le vittime furono 581, di cui 178 non furono mai identificate. I soccorritori, che accorrevano dai dintorni per dare un aiuto, non riuscirono ad avvicinarsi a causa della barriera di fuoco, che si era estesa a macchia d’olio a tutto l’abitato.

Navi vicine alla zona dell’esplosione furono danneggiate, petroliere incendiate divennero falò per giorni, consumando enormi quantità di petrolio.

La nave da carico americana High Flyer, che era ancorata a un paio di centinaia di metri dalla Grandcamp, si incendiò, mettendo a rischio il contenuto stivato di circa 1.800 tonnellate di zolfo e 960 di nitrato d’ammonio. Il suo equipaggio tentò inutilmente di disancorarla e portarla lontano, ma l’intensità del calore gli impedì di portare a termine questa importante manovra, che si sarebbe dimostrata provvidenziale.

Oltre all’ammonio in fase di carico sulla prima nave e quello presente nella seconda, altre 500 tonnellate circa stazionavano sulla banchina del porto. Queste si incendiarono ma, trovandosi all’aperto, non si raggiunsero le condizioni necessarie a provocare l’esplosione e, pertanto, si limitarono a bruciare.

L’incendio della High Flyer continuò per 15 o 16 ore, finché anche nelle sue stive il fertilizzante raggiunse le condizioni ideali per l’esplosione che regolarmente avvenne, con il risultato di accrescere i danni provocati dalla precedente in tutto il porto, danneggiando altre navi qui ancorate con il lancio di pezzi metallici e materiale infuocato e distruggendo la nave da carico SS Wilson B. Keene, che ebbe la sventura di esserle ancorata vicina. Fra il materiale lanciato in giro dallo scoppio, ci fu una delle sue eliche, che fu ritrovata a un chilometro e mezzo di distanza alle spalle della città. L’elica, rotta in vari punti, e l’ancora della Grandcamp, senza un pezzo, si trovano in un parco della memoria di Texas City.

Le due esplosioni sono state valutate di intensità pari a 3,8 chilotoni (un chilotone rappresenta l’energia liberata dall’esplosione di 1.000 tonnellate di tritolo).

La Guardia Costiera, la Guardia Nazionale e le forze armate furono direttamente interessate per compiere quanto era urgentemente necessario nelle tragiche situazioni di quella sorta.

Oltre ai feriti e alle vittime ricordati più sopra, bisogna aggiungere quelli che sono stati coinvolti nell’immane tragedia: marinai di altre navi, viaggiatori, lavoratori non registrati, le loro famiglie, parenti in visita, eccetera; la cifra reale non è mai stato possibile stabilirla, per non parlare dei feriti, che furono in una quantità impressionante.

Le indagini, fatte per cercare di individuare quale veramente sia stata la causa scatenante di quello sconquasso, non diedero risposte del tutto soddisfacenti. Infatti, non si chiarì mai fino in fondo come l’incendio sia scoppiato.

Partirono dall’ipotesi che a innescare l’incendio sia stata una cicca di sigaretta accesa, buttata per spenta, la sera del giorno 15 aprile, che per tutta la notte abbia lavorato, facendosi piano piano più insistente, fino a giungere allo scoppio dell’incendio inarrestabile della mattina successiva. Ma con ogni probabilità l’incendio è scoppiato spontaneamente, per cui sono state le condizioni ambientali della stiva sigillata, con i boccaporti chiusi, a causare la reazione chimica che ha comportato l’abnorme aumento sia della pressione sia della temperatura, da cui sortì l’esplosione attendibile. Qualcuno ha ventilato l’ipotesi (forse non a torto) che a peggiorare la situazione abbia contribuito lo stato del materiale per la sua non completa depurazione dalle sostanze estranee presenti, essendo stato recuperato da depositi militari a guerra conclusa.

Successivamente, ci fu tutto quanto concerneva il risarcimento di danni, mandato avanti da 8.485 querelanti, chiedendo l’applicazione del Federal Tort Claims Act (FTCA), che è uno statuto del Governo degli Stati Uniti, che rende possibile la citazione in giudizio dello stesso.

Per ricordare il disastro di Texas City del 1947, in occasione del 50° anniversario, l’artista David Govedare realizzò una fontana commemorativa rappresentante l’Araba Fenice, che risorge dalle sue ceneri. Monumento bene augurante!

(ottobre 2022)

Tag: Mario Zaniboni, Texas City 1947, 16-17 aprile 1947, porto di Texas City, SS Benjamin R. Curtis, SS Grandcamp, nitrato d’ammonio, Ammonal, ANFO, ghiaccio istantaneo, SS High Flyer, Charles de Guillebon, diga di Texas City, Monsanto Chemical Company, parco della memoria di Texas City, Federal Tort Claims Act, disastro di Texas City, David Govedare.