La mistificazione del Generale Lee: da eroe nazionale a criminale
Dopo la morte di George Floyd, la statua del Generale Robert E. Lee collocata nel centro della città di Richmond in Virginia, ex capitale confederata durante la Guerra di Secessione (1861-1865), è stata imbratta e ricoperta di slogan contro il Generale confederale accusato di essere un razzista e schiavista

L’attuale governatore della Virginia, il democratico Ralph Northam, ha stabilito che la statua, neanche fosse una batteria di missili contenenti testate nucleari, sarebbe stata rimossa il prima possibile, motivando la scelta con la seguente affermazione: «In Virginia non si può diffondere una versione falsa della storia e, nel 2020, avere ancora un sistema che era basato sulla schiavitù».

«Una versione falsa della storia» l’ha data proprio il governatore Northam, e tutti quelli che hanno accusato Lee di essere schiavista, cosa che in realtà il Generale non era affatto, anzi deplorava moralmente questo fenomeno. È incredibile che nessun accademico statunitense, studioso della Guerra di Secessione Americana, periodo storico che è oggetto di materie d’insegnamento nelle facoltà di storia negli atenei degli Stati Uniti, abbia dato un’analisi oggettiva a 360° della personalità del Generale Lee. Per dirla con le parole dello storico di casa nostra Angelo D’Orsi, in questo caso si è preferito ridurre il sapere propriamente scientifico (episteme) a opinione (doxa).

«In questa età illuminata, vi sono pochi, credo, che non vogliono riconoscere che la schiavitù in quanto istituzione è un male sia morale che politico per ogni Paese. È inutile intrattenersi suoi suoi aspetti negativi. Io penso tuttavia che essa sia una peggiore calamità per la razza bianca che non per quella nera, nei miei sentimenti sono fortemente a favore di quest’ultima. L’emancipazione degli schiavi sarà più rapida grazie alla mite e progressiva azione del Cristianesimo, che non attraverso le bufere e gli uragani della feroce discordia. Questo influsso sarebbe lento è sicuro. Mentre vediamo dinanzi a noi avvicinarsi l’abolizione finale della schiavitù umana, e la aiutiamo con le nostre preghiere e tutti i leciti in mio potere, dobbiamo lasciare il progredire e l’esito nelle mani di Colui che vede i risultati!» (estratto di una lettera di Robert Edward Lee a sua moglie Mary Curtis, datata 23 gennaio 1861).

Come si può leggere dal passo estratto da questa lettera, l’allora cinquantaquattrenne Robert Lee, all’epoca colonnello dell’esercito degli Stati Uniti d’America, aborriva il fenomeno della schiavitù, attività praticata dai proprietari terrieri degli Stati del Sud. Lee era conscio che il processo per l’abolizione della schiavitù sarebbe dovuto avvenire gradualmente, tramite delle riforme costituzionali in ogni Stato.

Il Generale Lee

Foto di Robert Edward Lee fatta nell'aprile del 1865 da Mathew Brady a Richmond, Virginia

La sua famiglia era una della più illustri della Virginia, appartenente alla cosiddetta «old domination». Robert Edward Lee era nato nel 1807, lo stesso anno di Giuseppe Garibaldi. Suo padre, Harvey Lee, era stato un Generale del National Continental Army, l’esercito federale fondato da George Washington durante la Rivoluzione. Il giovane Robert era cresciuto fin da bambino con l’intento di emulare Washington, frequentò, come tutti i figli degli «aristocratici Virginiani» l’accademia di West Point. Diplomatosi all’accademia con il massimo dei voti e con il grado di tenente, venne inviato nella capitale, Washington, per comandare una compagnia di genieri.

In quegli anni si sposò con Mary Curtis, nipote del suo mito George Washington. Andarono ad abitare nella villa costruita dal padre della moglie, George Washington Parke Custis, figlio adottivo del primo Presidente degli Stati Uniti. La dimora era ubicata nelle colline della cittadina di Arlington, a Sud del fiume Potomac che distava solo qualche miglio dal quartiere generale di Washington D. C. Nel 1861, proprio nel terreno attiguo alla casa, venne iniziata la costruzione del cimitero nazionale militare, dove oggi sono sepolti i militari statunitensi di tutte le guerre, il Presidente J. F. Kennedy e suo fratello Robert.

Una passione prettamente intellettuale contraddistinse Lee dai suoi colleghi, che sarà determinante per come interpretò la sua vita e come stabili le tattiche militari durante la Guerra di Secessione, ovvero la passione per la storia e la letteratura greca e latina, lingue che conosceva molto bene. Le sue opere preferite erano le Vite parallele di Plutarco e le Odi di Orazio.

I cambiamenti economici e sociali degli Stati del Nord-Est, in cui lo sviluppo industriale e finanziario metteva in evidenza l’oggettiva arretratezza economica degli Stati del Sud, Virginia compresa, dove il modello della élite agraria veniva oramai visto dalla classe politica proveniente dagli Stati della futura «Rust belt» come arretrato e arcaico. Il dualismo tra il neo capitalismo industriale del Nord e l’élite agraria del Sud si andò a mescolare con l’ormai non sopita divergenza su come concepire la federazione degli Stati Uniti. Gli stati del Sud volevano un’ampia autonomia decisionale, senza nessun tipo di impedimento da parte del Congresso e del Governo centrale, cosa assai diversa per gli Stati del Nord, fautori del centralismo statale. Lee avvertiva che questa crescente animosità di separazione tra il Nord e il Sud era sempre più profonda e oggetto di animate discussioni anche all’interno degli stessi circoli ufficiali.

In questa confusione, Lee nutrì una profonda preoccupazione che si potesse addirittura arrivare a un conflitto civile, come scrisse in una lettera a sua moglie nel 1860: «Non posso prevedere sciagura più grande per il Paese che si sta sciogliendo dall’Unione. Sarebbe un accumularsi di tutti i mali per cui ci lamentiamo, e io sono pronto a sacrificare tutto eccetto l’amore per conservarla. Un’Unione che si può mantenere soltanto con le spade e le baionette, e in cui la rissa e la guerra civile debbono prendere il posto dell’affetto fraterno e della gentilezza, non ha per me alcuna attrattiva» (estratto di una lettera di Robert Edward Lee a sua moglie Mary Curtis, maggio 1860).

Il 19 aprile del 1861, quando oramai era inevitabile il conflitto armato, il Generale Scott offrì a Lee la promozione a Generale di corpo d’armata e il comando dell’Armata del Potomac che si sarebbe dovuta mettere in marcia per Richmond, la capitale della Virginia, in modo che il Governo locale desistesse da qualsiasi eventuale misura di secessione dall’Unione. Per Lee questo era troppo, non poteva diventare il carnefice della terra dei suoi avi, ma allo stesso tempo era un militare ed era suo dovere obbedire agli ordini. Il giorno seguente decise di dimettersi dall’esercito. La scelta era stata fatta, aveva aderito alla secessione della Virginia.

Lo stesso giorno abbandonò la sua casa ad Arlington e partì per Richmond per mettersi a disposizione del neo Presidente della Confederazione Jefferson Davis, che gli affidò il compito di organizzare la milizia volontaria della Virginia. Gli uomini, per lo più tutti contadini, accorsero in massa all’arruolamento volontario, desiderosi di difendere i loro diritti e la loro cultura contro il Nord. Lee non perse tempo, era conscio che l’esercito del Nord aveva alle spalle un’industria bellica che l’esercito confederato non avrebbe mai potuto fronteggiare.

A livello geografico la Virginia era facilmente attaccabile sia da Nord che dal mare, e per prevenire l’arrivo in massa delle armate nordiste, Lee decise di fabbricare delle fortificazioni lungo tutta la linea della costa dove avrebbero potuto attraccare le nuove navi da guerra unioniste, fatte fabbricare apposta dal Presidente Lincoln. Fu la prima volta che vennero attuate delle vere e proprie trincee, che verranno poi riprese a modello dallo Stato Maggiore Tedesco in Normandia nel 1944. Ma i Tedeschi, rispetto a Lee, non avevano capito che una difesa diretta sulla spiaggia, quando il nemico ha la totalità del controllo del mare, è pressoché impossibile. Infatti, gli Alleati ci misero poche settimane per distruggere il Vallo Atlantico, invece il sistema di trinceramento adottato da Lee durò per tutto il conflitto bellico.

In una lettera indirizzata al Presidente Jefferson Davis del 5 giugno 1862, Lee scrisse che la trovata di eseguire delle fortificazioni fu grazie alla lettura dei Commentari di Giulio Cesare.

Ma Lee fu anche un tattico audace. Nel 1863, la guerra era in una situazione di pieno stallo, le due armate si fronteggiavano asserragliate nelle loro trincee: le armate dell’Unione al confine con il Maryland per difendere la capitale Washington, e quelle della Confederazione al confine della Virginia. Il 15 maggio del 1863, Lee propose ai membri del Governo Confederato di scatenare un’offensiva oltre il confine, direttamente sul campo nemico. Il Generale Confederale riteneva che se avesse riportato una vittoria nei territori dell’Unione, la guerra sarebbe stata vinta.

Il piano che aveva in testa era semplice, invadere la Pennsylvania (Stato appartenente all’Unione) da Est, aggirare Washington e l’Armata del Potomac che la stava difendendo. Lì avrebbe attirato in trappola l’Armata Unionista a dare battaglia, minacciando direttamente le città roccaforti dell’Unione Baltimora e Washington. Tuttavia, il piano era molto audace e ricco di imprevisti. L’Armata del Potomac era superiore di uomini e di mezzi, potendo contare su ben 160.000 uomini e 362 cannoni rigati a lunga gittata. L’armata della Virginia, invece, non andava oltre i 120.000 uomini e 272 cannoni.

Una volta avuta mano libera da Jefferson Davis e dal Ministro della Guerra Sheldon, Lee diede il via all’operazione. Prima di mettere in moto l’armata emanò un ordine in cui vietava di commettere qualsiasi sopruso o atto di violenza nei confronti della popolazione civile della Pennsylvania, minacciando di comminare delle pene severissime e sommarie nel caso qualche militare avesse disobbedito.

I generi alimentari e il foraggio per cavalli sarebbero dovuti essere pagati, alla popolazione locale, solamente in moneta confederata. In una riunione con il suo Stato Maggiore, Lee aprì le carte topografiche della Pennsylvania, e puntò il dito su un anonimo paese di nome Gettysburg: «Qui probabilmente incontreremo il nemico e combatteremo una grande battaglia, e se Dio ci darà la vittoria, la guerra finirà e noi otterremo il riconoscimento della nostra indipendenza» (27 giugno 1863. Discorso riportato dal Generale Confederato Trimble, comandante del II Corpo d’Armata della Virginia).

Intanto a Washington il Presidente Lincoln aveva capito che Lee faceva sul serio. In qualità di Comandante in capo delle forze armate, decise di inviare l’intera Armata del Potomac in Pennsylvania e fermare i Confederati. Mise al suo comando il Generale Meade. Caratterialmente molto diverso da Lee, uomo schivo e pratico. A livello tattico, all’audacia preferiva la difesa. L’ordine che diede all’Armata era molto semplice, proteggere Washington fino allo stremo, senza condizioni di resa.

La sera del 28 giugno i vari corpi d’armata iniziarono a muoversi da Washington in direzione di Gettysburg per sbarrare la strada ai Confederati, che li stavano aspettando. Per entrambi gli schieramenti, quella battaglia sarebbe dovuta essere quella decisiva, che avrebbe deciso l’esito della guerra, previsione che si rivelerà sbagliata perché la guerra durerà ancora per quasi due anni dopo Gettysburg. Le divisioni confederate erano pronte sul campo di battaglia intorno a Gettysburg, aspettando quelle dell’Unione che sarebbero arrivate alla spicciolata due giorni dopo.

Lee, conscio dell’inferiorità numerica dei suoi uomini, aveva dalla sua parte persone che sarebbero morte per la causa della liberazione della Virginia, contadini che avevano imbracciato un fucile e avevano piena fiducia nei loro Generali che hanno fatto la storia dell’esercito degli Stati Uniti, come James Longstreet, James Johnston Pettigrew che tre anni prima aveva combattuto come volontario nelle truppe piemontesi nella II Guerra d’Indipendenza contro l’Austria.

All’alba del 1° luglio, le truppe unioniste si schierarono sulle colline a Est di Gettysburg. Alle 6,30 l’artiglieria iniziò a cannoneggiare le prime linee delle truppe confederate dislocate più a valle. La battaglia ebbe inizio. Le due armate si affrontarono senza esclusione di colpi per due giorni. Il 3 luglio, terzo giorno di battaglia, Lee decise che era giunto il momento di prendere un’altra iniziativa, che significava tentare il tutto per tutto. Il suo piano consisteva nell’aggirare la linea nemica dell’armata unionista dall’ala sinistra, e a farlo sarebbe stata un’intera divisione comandata dal Generale Longstreet.

Se la manovra avesse funzionato, la divisione di Longstreet si sarebbe inserita direttamente tra l’Armata del Potomac e la città di Washington. La manovra si rilevò essere sin da subito difficile, perché Lee non disponeva nemmeno di un reggimento di cavalleria che garantiva la massima celerità di manovra. Lee non aveva altra scelta, l’attacco andava fatto comunque, perché in una battaglia di logoramento, i Confederati non avrebbero potuto durare un altro giorno di più contro il numero preponderante degli Unionisti.

Nello schieramento avversario, Meade si aspettava che Lee avrebbe attaccato al centro, e quindi andò a rafforzare le linee centrali con altri battaglioni freschi appena giunti da Baltimora. Il terreno di battaglia era tutto in favore delle truppe del Nord. Il terreno collinare su cui erano asserragliati gli Unionisti, lasciava i Confederati in posizione scoperta. Lee diede l’ordine a Longstreet di attaccare, in un primo momento sembrava che le forze confederate stessero aggirando la linea unionista, ma l’enorme divario di organico tra le truppe ebbe un ruolo decisivo per la battaglia in favore dell’Unione. Infatti, vedendo che le truppe stavano per venire aggirate, Meade riuscì a far convergere ben due divisioni di riserva sull’ala sinistra, in modo da bloccare l’aggiramento. Questa tattica fu determinante, l’attacco confederato venne fermato.

Ma Lee non si diede per vinto, il giorno successivo, il 4 luglio e per caso giorno dell’Indipendenza, decise di tentare il tutto per tutto. Diede l’ordine al giovane tenente colonnello Alexander, comandante di un reggimento d’artiglieria, diplomatosi ad aprile del 1861 a West Point con il massimo dei voti, di scatenare tutti i cannoni contro la parte centrale dell’armata unionista.

La tattica di Lee questa volta era quella attuata da Napoleone durante le sue campagne militari in Europa: a un lungo attacco dell’artiglieria in un punto prestabilito, avrebbe fatto seguito la carica della fanteria. Longstreet non era d’accordo con questa tattica, sapeva benissimo che la manovra era disperata, ma Lee doveva tentare il tutto per tutto, anche se era conscio del fatto che la battaglia e la stessa guerra erano perse.

Alle 13 venne dato il via alle operazioni. L’artiglieria iniziò a fare fuoco, e l’armata confederata guidata dal Generale Aminestead si scagliò contro il II Corpo d’Armata comandato dal Generale Hancock. I due Generali erano amici fraterni, avevano passato molti anni insieme nell’Esercito degli Stati Uniti d’America, prima nella guerra contro il Messico, e poi tutti e due comandanti di due brigate in uno squallido paese di confine, Los Angeles. Quando venne proclamata la secessione della Virginia, Aminestead fu richiamato nel suo Stato da Lee. La sera prima di partire brindò insieme al suo amico. Al momento di congedarsi entrambi si abbracciarono e si misero a piangere, entrambi speravano in cuor loro che la guerra sarebbe durata solo pochi mesi, qualche piccola battaglia e poi si sarebbe trovato un compromesso politico, e loro avrebbero continuato a servire sotto un solo esercito. Ma le cose non andarono così. Alle 17 circa, Aminestead diede l’ordine di attaccare alla baionetta sulla collina del Cemetery Hill, dove erano appostate le seconde linee di Hancock. Aminestead guidava i suoi uomini, e fu uno dei primi a morire sulla collina, colpito da un colpo di fucile al petto. L’intera divisione confederata fu spazzata via. I numeri della battaglia furono spaventosi, 50.000 vittime, mai così tante nella storia di tutte le battaglie militari americane fino a quel giorno.

La mattina del 5 luglio, Lee fu costretto a ritirarsi dall’altra parte del Potomac. La Confederazione oramai era spacciata, anche se combatté per quasi altri due anni asserragliata in Virginia e in South Carolina contro un esercito imbattibile. Con Lee la vecchia Repubblica dei Catoni basata su una società agricola e patriarcale sudista lasciava il passo alla società industriale settentrionale basata su un profondo senso pratico e tecnico.

Tre prigionieri

Tre prigionieri durante la battaglia di Gettysburg

La guerra si spostò nel territorio degli Stati Secessionisti, e diventò un un vero e proprio assedio da parte delle truppe unioniste. Secondo una strategia definita dal Generale Sherman, città come Atlanta, Savannah vennero incendiate e rase al suolo, i campi di cotone di Virginia, Georgia, South Carolina vennero distrutti. L’obiettivo era fiaccare sia economicamente che psicologicamente la popolazione, in modo da porre termine il prima possibile alla guerra.

Rovine dell’arsenale di Tredegar Iron Works

Rovine dell’arsenale di Tredegar Iron Works, Richmond, aprile 1865

La mattina del 9 aprile del 1865, nella cittadina di Appomattox, Lee incontrò il Comandante dell’esercito dell’Unione, il Generale Grant, futuro Presidente degli Stati Uniti, all’interno di una casa privata, la McLeaen House, e firmò la resa. Il Generale Confederato si intrattenne qualche minuto con Grant, poi uscì dall’edificio e andò dai suoi soldati che erano nel cortile ad aspettarlo. Appena videro quell’uomo longilineo e dalla folta barba bianca ben curata, gli si fecero intorno in un mesto silenzio. Questa volta non doveva arringare la truppa perché non si sarebbe andato in battaglia. Lee cominciò a stringere le mani dei soldati a uno a uno, a tutti quei contadini che per quattro anni si erano trasformati in militari. Poi, quando le mani da stringere furono finite, prese la parola, con la voce rotta. Disse ai superstiti dell’Armata della Virginia che era giunto il momento di tornare dalle loro famiglie e nei campi per ricostruire il Paese e ubbidire alle leggi, quelle nuove, quelle degli Stati Uniti d’America.

(gennaio 2021)

Tag: Lorenzo Bravi, George Floyd, Robert Edward Lee, schiavitù, Stati Uniti, Mary Curtis, Richmond, Virginia, Guerra di Secessione, Harvey Lee, National Continental Army, George Washington, Ralph Northam, Angelo D’Orsi, schiavismo, old domination, West Point, Guerra di Secessione Americana, Arlington, Armata del Potomac, Jefferson Davis, battaglia di Gettysburg, Meade, Longstreet, Alexander, Aminestead, Hancock, Cemetery Hill, South Carolina, Sherman, Appomattox, Grant, Armata della Virginia, Stati Uniti d’America.