Il caso delle Malvine
Fuoco sotto la cenere

È passato esattamente un terzo di secolo dalla guerra anglo-argentina che insanguinò l’Atlantico Sud-Occidentale per l’annosa questione delle Malvine (nella toponomastica del Regno Unito: Falkland), archiviata in una labile memoria collettiva, specialmente nella vecchia Europa. Quello combattuto durante la primavera del 1982 (aprile-giugno) non fu un conflitto di poco conto, anzitutto sul piano geopolitico, ma anche dal punto di vista strettamente militare: da parte inglese si contarono 255 caduti e 777 feriti, mentre quelli argentini furono rispettivamente 649 e 1.068. Le perdite contestuali di mezzi operativi, per citare solo quelli di maggiore importanza strategica, coinvolsero otto navi dell’Argentina (tra cui l’incrociatore Belgrano ed il sommergibile Santa Fè) e sette del Regno Unito (con due caccia e due fregate), mentre gli aerei perduti, comprensivi degli elicotteri, furono 34 per la parte inglese e 86 per quella argentina.

La guerra delle Malvine, a parte i dolorosi sacrifici di vite umane, è passata alla storia soprattutto per la dimostrazione di potenza e di tempestività dimostrata dalla Marina Britannica, che fu capace di trasferire dalla Manica all’Atlantico Sud-Occidentale una forza d’urto capace di travolgere in pochi giorni le difese argentine delle isole appena conquistate, comprese quelle più lontane della Nuova Georgia. Per il prestigio inglese fu un colpo d’ala poderoso, certo non comparabile, per dirne una, con quello conquistato a Waterloo, ma pur sempre significativo in un mondo caratterizzato dalla rapida corsa alla globalizzazione.

Da allora, il problema torna alla ribalta con frequenti reviviscenze, tanto più che in Argentina il fuoco cova sotto la cenere, come la stessa cartellonistica pone in forte evidenza quando rammenta ai pochi immemori ed a tutto il popolo che «le Malvine sono nostre» o quando un suggestivo folclore si richiama alla loro tragica storia: ad esempio, nei fervidi canti popolari di Graciela Ocaranza in onore dei caduti.

Alcuni anni or sono una compagnia petrolifera britannica decise di iniziare una campagna di trivellazioni nelle acque contigue alle Falkland, dove esistono, alla luce di precedenti ricerche, riserve «pari ad almeno 3,5 miliardi di barili di greggio ed a nove trilioni di metri cubi di gas»: un autentico eldorado, in un contesto sempre più subordinato al ricatto energetico dei Paesi petroliferi. È inutile aggiungere che quella decisione diede luogo ad una lunga serie di proteste, sia in Argentina che in altri Stati Latino-Americani.

Infatti, non appena giunse la prima trivella, anch’essa trasferita dal Mare del Nord con un viaggio di oltre due mesi al traino dei grandi rimorchiatori d’alto mare, 32 Capi di Stato e di Governo dei predetti Paesi chiesero alle Nazioni Unite di fermare l’attività di estrazione e di ulteriore ricerca. Infatti, l’iniziativa contraddiceva la risoluzione dell’ONU che vieta qualsiasi attività «unilaterale» in acque sulla cui sovranità non è stato ancora risolto il contenzioso fra Argentina e Gran Bretagna.

Qualche tempo dopo, nelle Malvine si tenne un referendum, ovviamente ad iniziativa inglese, da cui emerse una maggioranza «bulgara» come poche a favore del Regno Unito, con tre soli voti contrari, ma nessuno può negare che dal punto di vista geografico le isole appartengano «ictu oculi» all’Argentina, senza dire che erano diventate inglesi a seguito della colonizzazione forzosa compiuta nell’Ottocento dal Governo di Sua Maestà.

Da questi episodi è scaturita una forte solidarietà tra Paesi di connotazione politica spesso diversa, ma uniti da comuni vincoli di cultura e di lingue: fenomeno che è giusto sottolineare, perché costituisce un fatto nuovo nell’ambito di un sistema caratterizzato da frequenti tensioni. Ad esempio, il Presidente Brasiliano Lula disse senza mezzi termini che non vi sono «ragioni politiche, geografiche ed economiche per giustificare la presenza di Londra alle Malvine», mentre quello venezuelano Chavez fu ancora più categorico, invitando la Regina Elisabetta alla restituzione delle isole.

Il problema non è marginale. Al di là del confronto diplomatico e della possibilità che una proposta di risoluzione contraria al Regno Unito possa essere inserita all’ordine del giorno dei lavori in sede di Assemblea Generale dell’ONU, sta di fatto che il Governo Britannico ha deciso di consolidare la difesa delle Falkland e di ignorare ogni diversa istanza, anche in chiave autonomistica. La tragedia della guerra del 1982 sconsiglia qualsiasi atto di forza, ma è palese che in tutto questo tempo le diplomazie non sono riuscite a venire a capo della questione: non certo per loro incapacità, ma per le carenze della volontà politica, in specie di parte britannica, alla luce di motivazioni che allo stato delle cose hanno assunto caratteri economici sempre più spiccati.

La risoluzione dei 32 Stati Latino-Americani ha sparigliato le carte in tavola ed ha conferito nuovo vigore alle tesi argentine, ma soprattutto all’interpretazione secondo cui «in assenza di un accordo specifico nessuna alterazione dello status quo, ivi comprese le campagne petrolifere», è possibile nell’area in parola. In ultima analisi, si tratta di un problema di cooperazione, che potrebbe essere risolto con ragionevoli accordi nell’interesse stesso di Londra, il cui rischio è quello di trovarsi in una situazione di possibile isolamento, evidentemente scomodo.

Nel frattempo, a prescindere dagli sviluppi di un contenzioso comunque complesso, si deve sottolineare che la ritrovata unità dell’America Latina, almeno in questa circostanza, costituisce una novità di cui sarà bene tenere conto a livello internazionale, se non altro per le implicazioni suscettibili di scaturire da questa solidarietà. In particolare, ciò vale per l’Europa e soprattutto per l’Italia, che è legata all’Argentina ed agli altri Paesi contigui, quali Brasile ed Uruguay, dai vincoli sostanzialmente perpetui originati da una lunga emigrazione.

È interesse di tutti evitare che la questione delle Malvine costituisca una mina vagante non certo utile al mantenimento di rapporti costruttivi e sereni fra le due sponde dell’Atlantico. In questo senso, l’azione intermediatrice dell’Italia, nel quadro del suo rapporto di partnership europea con il Regno Unito, e nello stesso tempo di grande affinità con l’Argentina sul piano storico, culturale e per molti aspetti etico, potrebbe costituire uno strumento propedeutico di buon rilievo, che peraltro presume una strategia consapevole e determinata: cosa tutta da vedere.

Intanto, le Malvine restano alla ribalta, sia pure per un motivo pragmatico come quello del petrolio. È vero che nell’attuale congiuntura mondiale «majora premunt», ma è pur vero che, proprio perché la tendenza non volge al bello, sarebbe meglio prevenire un rischio di troppo: quello che il fuoco sotto la cenere possa generare nuovi incendi.

(gennaio 2016)

Tag: Carlo Cesare Montani, guerra delle Malvine, Argentina, Gran Bretagna, guerra anglo-argentina, Atlantico Sud-Occidentale, America Latina, Falkland, Graciela Ocaranza.