Istmo del Nicaragua
Canale sì o canale no?

Guardando ciò che è avvenuto nell’America Centrale dopo l’apertura del Canale di Panama, vale a dire i guadagni che si sono fatti con il pedaggio delle navi che devono passare dall’Oceano Atlantico all’Oceano Pacifico o viceversa, come si potrebbe pensare l’acquolina si è raccolta nella bocca di parecchi Stati direttamente interessati perché limitrofi, e di Stati che, pur essendo lontani, hanno i mezzi finanziari e tecnici per poter partecipare alla spartizione della torta. Ed esattamente per questo, gli studi di fattibilità dei tagli degli istmi sembrano essersi fatti sempre più improcrastinabili, e si sta verificando una corsa (si fa per dire, perché gli scogli da superare sono tanti e talora addirittura molto impervi) nell’America Centrale a chi per primo riuscirà a escavare un altro canale che non solo sarà in stretta e agguerrita concorrenza con quello già esistente di Panama, ma sarà tale da offrire delle prestazioni ancora superiori, consentendo il passaggio anche alle più grandi navi che oggigiorno solcano i mari. Si può ricordare che ora la nave più grande del mondo – a quanto mi risulta – sia una portacontenitori, la MM Gdansk, battente bandiera panamense, lunga 400 metri, larga 62, con un pescaggio sui 18, che può trasportare quasi 24.000 contenitori TEU; si rammenta che 1 TEU («Tewnty foot equivalent unit») corrisponde a circa 38 mc. Pertanto, il nuovo canale dovrebbe consentire il passaggio a navi ancora più grandi di quelle che possono transitare ora, dopo i lavori eseguiti ultimamente nel Canale di Panama, duplicandone il passaggio da Oceano a Oceano. Insomma, sarebbe un canale con una marcia in più.

Gli Stati direttamente interessati all’apertura di un nuovo canale nella zona dell’istmo di Panama sono Messico, Guatemala, El Salvador-Honduras, Nicaragua, Costarica, Colombia. Chiaramente, qualora fosse possibile per tutti questi Stati coronare il sogno di avere un canale in casa propria, magari secondi dietro Panama, il peduncolo che collega le due grandi masse continentali americane sarebbe affettato come un salame della parmense Felino.

Naturalmente, si tratta di operazioni molto complesse e costose, che richiedono tempi e idee chiare, per non fare dei disastrosi buchi nell’acqua. Adesso, il Paese che si trova in uno stato più avanzato è il Nicaragua. Pare che gli studi di fattibilità stiano procedendo speditamente. Anche l’Honduras e il Guatemala, e forse anche il Messico, si stanno muovendo, ansiosi come gli altri di spartire il tesoro inesauribile proveniente dal pedaggio del traffico marittimo mondiale.

Continuiamo con il Nicaragua, che forse è lo Stato maggiormente avvantaggiato per fare una concorrenza efficace al Canale di Panama, riservando eventualmente di parlare in futuro anche degli altri Paesi, anche se qualcuno di questi ha la convinzione che un canale a casa sua sarebbe senz’altro il migliore.

Per la verità, in quel Paese, allo studio non c’è un solo percorso: ne sono previsti addirittura quattro, tutti abbastanza accidentati e malagevoli, e tutti passanti per il Lago Nicaragua (chiamato anche Cicibolca oppure Mar Dulce), il cui livello è situato a 32 metri sul livello del mare, per evitare maggiori esigenze di scavo. Questo lago, con un’estensione di 8.264 chilometri quadrati, è secondo dietro il Lago Titicaca, che è il maggiore dell’America Latina.

Gli studi fatti hanno individuato i seguenti tracciati, a partire dall’Oceano Atlantico: il primo prevede l’inizio a Cayman Rock, per proseguire lungo i fiumi Escondido e Oyate; il secondo, con partenza da Hound Sound Bar, dovrebbe continuare per i fiumi Rama e Oyate; il terzo, con imbocco a Punta Gorda, è previsto su due possibili tracciati; infine, il quarto, con ingresso a San Juan del Norte, dovrebbe andare avanti per il fiume San Juan. Chiaramente, per entrare nell’Oceano Pacifico, dopo il Lago Nicaragua rimarrebbe da tagliare la lingua di terra di Rivas per una decina di chilometri, con scavi che potrebbero seguire i fiumi Las Lajas o Brito, con le difficoltà poste per la quota minima da superare, che è di 56 metri sul livello del mare.

Già nel secolo XIX, da Napoleone III fu proposto di escavare un canale attraverso il corso del fiume San Juan, ma non ci fu un seguito. Anche gli USA si interessarono alla potenziale apertura di un canale che tagliasse l’istmo di Panama nel Nicaragua, ma loro non ne fecero nulla, anche perché, nel 1904, avevano fatto il colpo grosso, siglando un accordo con lo Stato di Panama per escavare il canale che oggi, ritoccato nelle dimensioni, è in piena attività.

Dopo fitti contatti, nel 2013 il Parlamento Nicaraguense ha approvato un disegno di legge, con il quale è stata stipulata una concessione della durata di cinquant’anni per costruire il canale alla Hong Kong Nicaragua Canal Development Investment Company (HKND), (secondo il parere di qualcuno, un’oscura impresa di Hong Kong), concessione rinnovabile per altri cinquant’anni dal momento dell’entrata in funzione del canale. Il progetto prevede un canale in grado di consentire il passaggio anche alle più grandi navi che circolano nei mari del pianeta, cioè a quelle navi che non possono passare per il Canale di Panama, nonostante l’aggiornamento con il nuovo sistema di chiuse realizzato recentemente.

Dei quattro percorsi preventivati, sembrerebbe essere il migliore l’ultimo di cui si è detto, sia perché sarebbe meno aggressivo rispetto all’ambiente, sia perché costerebbe meno, ma la società costruttrice (per ragioni sue) ha affermato che è sicuramente preferibile seguire il secondo percorso. In ogni modo, ha affidato a uno dei maggiori consulenti a livello mondiale, che s’interessano di problemi di sostenibilità («Environmental Resources Management» = ERM), l’incarico di fare una seria e libera stima sull’impatto, sia ambientale sia sociale, su tutti i tracciati.

Il canale prevede una lunghezza di 286 chilometri e una larghezza ben tre volte quella del Canale di Panama, un tempo di cinque anni per la costruzione, con un costo enorme (qualcuno ha previsto quattro volte il prodotto interno lordo del Paese che – se non vado errato – è sui tredici miliardi di dollari), però con un tornaconto sui cinque miliardi e mezzo di dollari l’anno; e, importante, non sono previste sanzioni in caso di ritardi nella consegna.

Le discussioni continuano fra Governo e opposizione e, mentre si sta pensando di realizzare un canale, c’è chi ritiene che sarebbero più importanti le esecuzioni di un gasdotto, un oleodotto, una strada ad alta velocità e una ferrovia, che unissero l’Oceano Atlantico all’Oceano Pacifico per un percorso lungo 390 chilometri, il che non sembra per niente poco. Tuttavia, il problema resterebbe, perché le merci, per passare da un Oceano all’altro e per proseguire verso le loro destinazioni, richiederebbero due passaggi in più: scarico da una parte e carico dall’altra, complicando le operazioni e i tempi di consegna; pertanto «Viva il Canale».

Il più esteso Paese dell’America Centrale è il Nicaragua, uno Stato che economicamente è sano con un prodotto interno lordo in crescita, con facilitazioni fiscali veramente rare nel mondo: tasse zero, imposte irrisorie sui fabbricati, il segreto bancario per citarne qualcuna. Proprio per questo, sono molti coloro che decidono di lasciare i loro Paesi, soprattutto gli Statunitensi, per affrontare una vita con facilitazioni economiche e tranquilla.

Intanto, il Governo Nicaraguense ha firmato l’accordo internazionale di Parigi del dicembre 2015 a favore della risoluzione dei problemi legati ai cambiamenti climatici, che ha lo scopo di limitare le emissioni di gas serra per contenere gli aumenti globali di temperatura.

Il Nicaragua non è un Paese con vita tranquilla, a causa delle grandi differenze sociali, con il popolo fra i più poveri del mondo da un lato e le ricchezze naturali dall’altro. Il progetto dell’apertura del canale dal punto di vista del Governo sarebbe l’intervento più importante e urgente da fare, dato che consentirebbe allo Stato di acquisire una posizione strategicamente importante nell’ambito internazionale, mentre da quello dei proprietari terrieri della striscia interessata agli scavi sarebbe un lavoro altamente sfavorevole, perché, oltre a metterli in difficoltà, rischierebbe di procurare enormi danni all’ambiente e creerebbe non pochi problemi alle popolazioni abitanti nella zona degli scavi. Del resto, non è mai stato dimenticato che, a causa dell’apertura del Canale di Panama e degli interventi sulla città, l’inquinamento è stato tale che tutt’attorno l’area non è balneabile; e in quel caso, l’intervento riguardava meno di ottanta chilometri. I contrasti fra locali e Nordamericani furono pesanti, anche per il numero di morti che accompagnò il compimento di quell’opera e per i disordini avvenuti contro questi ultimi, che si comportavano da padroni in casa d’altri. E tutto questo si teme si ripeterebbe, qualora la realizzazione del progetto prendesse il volo: si avrebbe il disordine nei territori abitati da popolazioni costrette all’esodo per trasferirsi altrove nello Stato, in contrasto con le leggi che proteggono la loro autonomia e i loro diritti sanciti da documenti internazionali; in aggiunta, queste non sono state per nulla interpellate dalle autorità governative, ma se anche lo fossero state, è intuibile che il consenso non sarebbe mai stato dato. Fra l’altro, non si può sottacere che lo scavo del canale comporterebbe la perdita di tanti siti archeologici.

Politicamente, la possibilità di apertura del Canale del Nicaragua probabilmente sarebbe male digerita dal Governo Statunitense per due buone ragioni: la prima, perché si vedrebbe molto negativamente ritoccato il beneficio pecuniario derivante dai contributi pagati dalle navi in transito, mentre la seconda sarebbe quella di avere la vicinanza poco gradita della Cina nelle aree ritenute più o meno di sua pertinenza. L’uso di un canale spostato verso Nord economicamente sarebbe favorevole ai grandi porti statunitensi, ma forse per gli USA non ne varrebbe la candela, perché a dirigere i giochi sarebbe sempre la Cina, che avrebbe la possibilità di allargare i suoi commerci, potendo proporre prezzi più scontati. A favorire l’apertura del Canale del Nicaragua c’è pure il Venezuela, che ne sarebbe avvantaggiato, giacché le sue grandi petroliere dirette in Oriente e soprattutto in Cina, di cui è uno dei più grandi fornitori di petrolio, non potendo transitare per il Canale di Panama per problemi di dimensione, sono costrette a passare per il Capo di Buona Speranza, estrema punta Sud del continente africano. D’altra parte, il Venezuela non è il solo produttore di petrolio a evitare, «obtorto collo», l’istmo di Panama, preferendo le vie più lunghe, ma più redditizie perché consentono trasporti quantitativamente più proficui per ogni passaggio.

Insomma, si trovano di fronte, platonicamente armati, da un lato gli interessi di un Paese e dall’altro quelli colmi di tutte le negatività possibili per quanto riguarda l’inquinamento ambientale, la perdita di innumerevoli abitazioni dei locali e di migliaia di ettari di foresta: si tratta di un tiro alla fune da cui, almeno oggi, non è possibile prevedere chi uscirà vincitore; il futuro sancirà di chi sarà la vittoria!

(maggio 2021)

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