Il Conflitto Anglo-Statunitense del 1812-1815: una guerra dimenticata
La più disastrosa guerra combattuta sul suolo statunitense: quando gli Inglesi diedero fuoco alla Casa che si chiamerà Bianca

La guerra tra Stati Uniti e Gran Bretagna combattuta dal 18 giugno 1812 al 17 febbraio 1815 è particolare, con una gestione mal condotta, una durata di tre anni contro un solo anno di previsione, la battaglia più famosa viene combattuta dopo la firma del trattato di pace; eppure questo conflitto gioca un ruolo cruciale nello stabilire l’identità dell’America, ispira l’inno nazionale e stabilisce la prima zona smilitarizzata del mondo.

All’inizio del XIX secolo l’America è un’associazione libera di Stati sparpagliati, che confinano a Ovest con una vasta zona selvaggia e a Est con l’estensione dell’Oceano; queste comunità isolate di rudi pionieri che si spingono avanti combattendo la natura e gli indiani, sono circondate da un ampio territorio inesplorato e ostile, ma anche fertile e che si presta a essere densamente popolato. Nell’arco dei 35 anni che seguiranno il Conflitto Anglo-Statunitense, le regioni che si estendono per 3.000 miglia tra l’Oceano Atlantico e l’Oceano Pacifico e tra i Grandi Laghi del Nord fino al Golfo del Messico cadranno sotto il controllo di Washington.

La guerra scoppia per i conflitti che, al di là dell’Atlantico, insanguinano il continente europeo: per affamare gli Inglesi e toglier loro ogni rifornimento, Napoleone Bonaparte impone il famoso «blocco continentale». Questo produce in America lo scontro tra i federalisti, anglofili per interessi commerciali, e i repubblicani, simpatizzanti per la Francia rivoluzionaria e bonapartista. Gli Stati Uniti mantengono un atteggiamento pacifista e doppiogiochista, vendendo a entrambe le parti in lotta i propri prodotti; così, la Corona Inglese prende ad arrogarsi il diritto di perquisire le navi mercantili statunitensi quando attraversavano le rotte commerciali, impedendo di fatto agli Americani il libero commercio con i Francesi e, cosa ancor più grave, procede all’arruolamento forzato dei marinai per combattere la «sua» guerra. Oltretutto, gli Inglesi supportano le tribù indiane che resistono all’espansionismo americano, incitandole agli attacchi al confine.

Il 1° giugno del 1812, il Presidente Americano James Madison (un uomo esile, 163 centimetri per 50 chilogrammi di peso, un intelletto fine, che ha architettato la Costituzione, ma che al dominio della scienza politica non accoppia pari abilità pratica), capendo che il conflitto è inevitabile, chiede al Congresso di dichiarare guerra, per porre fine alla continua violazione dei diritti dell’America sulla navigazione. Spingono alla guerra i repubblicani che rappresentano i nuovi Stati dell’Ovest (nel 1796 e nel 1803 sono diventati Stati il Tennessee e l’Ohio; nel 1812 la Louisiana; negli anni successivi, sotto la spinta colonizzatrice e a danno degli Indiani, entreranno a far parte della Confederazione Americana l’Indiana, il Mississippi, l’Illinois, l’Alabama): sono desiderosi di metter le mani sull’Alto Canada, e magari sul Canada tutto intero. Il 18 giugno il Congresso risponde affermativamente alla richiesta del Presidente, sia pure con una maggioranza esigua, e comunque senza un’alleanza «ufficiale» con Napoleone.

Sulla carta, gli Stati Uniti hanno una superiorità schiacciante sugli avversari: possono contare, tra esercito regolare, ranger, milizia e nativi americani alleati, su quasi 600.000 uomini, contro gli Inglesi che, tra esercito regolare, milizia e tribù indiane alleate, non arrivano a 60.000 combattenti – un rapporto di circa 10 contro 1. Ma la stragrande maggioranza delle truppe americane è formata da uomini della milizia, ovvero civili del tutto impreparati per una guerra, male armati e peggio addestrati; in realtà gli Stati Uniti non hanno neppure un vero esercito (ne mettono in campo uno di soli 5.000 uomini: quello del ben più piccolo Regno di Sardegna è superiore sotto ogni punto di vista, contando 60 divisioni contro 15 americane, ed essendo ben addestrato); sulla scena internazionale, i combattenti americani sono considerati dei sempliciotti disorganizzati e poco realisti. Non hanno neppure una conoscenza adeguata di quelle lande canadesi che sono così ansiosi di conquistare. Al contrario, l’esercito britannico dispone di soldati professionisti ben addestrati, equipaggiati con armi all’avanguardia e comandati da ufficiali capaci e con molta esperienza, oltretutto la potenza della flotta britannica non teme rivali (11 vascelli, 34 fregate e 52 navi da guerra del Regno Unito contro 8 fregate e 14 navi da guerra degli Stati Uniti).

Soldato americano

Un soldato americano

Soldato britannico

Un soldato britannico

Il conflitto, l’ultimo combattuto sul suolo canadese, si articola su tre teatri distinti: sul mare, navi da guerra e corsari dei due schieramenti attaccano le unità mercantili dell’avversario, mentre gli Inglesi impongono un blocco navale e conducono ripetute incursioni anfibie lungo la costa orientale degli Stati Uniti; al confine con il Canada, entrambi gli schieramenti si impegnano in una serie di battaglie terrestri e navali; in terzo luogo, gli Inglesi conducono una campagna anfibia lungo la costa meridionale degli Stati Uniti. È una guerra «sporca», non priva di crudeltà, come quando nei pressi di Frenchtown (22 gennaio 1813) gli Inglesi, vittoriosi sul campo di battaglia, lasciano i prigionieri americani alla completa mercé delle milizie indiane, le quali danno sfogo ai loro istinti più violenti, torturando e uccidendo gli Statunitensi sopravvissuti.

Qualche settimana dopo la dichiarazione di guerra, i comandanti americani attaccano l’ultima roccaforte britannica nel Nord America, il Canada, ma quella che molti avevano preannunciato come una semplice marcia, si trasforma in una delle più grandi disfatte della storia militare americana.

Il Generale Statunitense Hull è ripetutamente respinto. Le forze britanniche dislocate in Canada marciano verso Sud occupando tutto ciò che incontrano sulla loro strada; a Detroit oltre 4.000 uomini si arrendono senza neanche combattere. Anche le truppe americane guidate dal Generale Van Rensealler si rifiutano di attraversare il Niagara e di combattere. Sono dei chiari campanelli d’allarme!

Dal 1812 la guerra si trascina nel 1813, la campagna per la conquista del Canada è un fiasco totale; gli Americani subiscono una sconfitta dopo l’altra. Il 27 aprile le truppe americane attaccano York (l’odierna Toronto), la capitale del Canada Settentrionale, e danno fuoco al Parlamento; gli Inglesi non perdonano questo atto e preparano la risposta decidendo l’invasione degli stessi Stati Uniti!

Dal suo esordio, la guerra del 1812 è di secondaria importanza per gli Inglesi, che ormai da nove anni sono impegnati nelle guerre bonapartiste, ma all’inizio del 1814 la sconfitta dei Francesi consente di spostare migliaia di soldati esperti sul fronte dell’Atlantico. Al comando di questa offensiva c’è un uomo per cui la distruzione dell’America è una vendetta personale: il Vice Ammiraglio Sir Alexander Cochrane; il suo risentimento nasce dalla morte di un parente, caduto durante la guerra per l’indipendenza americana. «Distruggere tutto ciò che porta colori americani! Voglio che il nemico subisca una sconfitta totale!» sono i suoi ordini.

Secondo il Segretario alla Guerra Americano, John Armstrong, gli Inglesi colpiranno Baltimora, grande centro commerciale, ma il Presidente Madison risponde al panico crescente nella capitale blindando Washington e creando il decimo distretto militare, una zona che circonda la città; comandante di questa cintura difensiva è William Winder, un uomo privo di esperienza nel campo militare e ostacolato da Armstrong che si rifiuta di trasferire a Washington la milizia dislocata sul confine canadese, a meno che non vi sia una vera emergenza; la città è presidiata solo da pochi e inesperti cittadini armati di moschetto.

Il 19 agosto, 5.000 soldati britannici sbarcano a Benedict nel Maryland, a meno di 40 chilometri dalla capitale. Il Presidente Madison emana due ordini, concentrare le truppe il più rapidamente possibile e portare in salvo fuori dalla città tutti i documenti. Raggiunge la campagna per incitare le truppe, mentre Winder cerca di avvistare le schiere britanniche per poter stabilire dove concentrare le forze, a ogni nuova segnalazione sposta le truppe esauste con delle contro-marce.

Sulle sponde del fiume Potomac, a soli 10 chilometri da Washington, si decide il destino della capitale. Il 24 agosto, i soldati di Winder, inesperti e male equipaggiati, affrontano le veterane truppe del Generale Robert Ross, che li travolgono: in appena un’ora, tutta la resistenza americana viene cancellata, la strada per Washington è sgombra.

Madison capisce che la città è perduta e cerca un posto sicuro dove rifugiarsi, la fiorente capitale si trasforma in una città fantasma, i governanti lasciano la città, le truppe americane sconfitte che si riversano a Washington non hanno idea di dove sia il Presidente. Una donna, prima che le giubbe rosse riducano tutto in cenere, cerca di salvare quanto più possibile delle memorie della Nazione: è la First Lady, Dolly Madison, che raggiunge il tesoro nazionale e si assicura personalmente che i documenti più preziosi siano messi al sicuro, poco prima che gli Inglesi entrino a Washington.

Dolly Madison

Dolly Madison

In risposta alla distruzione della sede del Parlamento Canadese, i Britannici danno fuoco agli uffici governativi di Washington: alla residenza presidenziale, in sala da pranzo trovano apparecchiato, prendono del vino per fare un sarcastico brindisi al Presidente, saccheggiano le stanze e arraffano tutto ciò che c’è di valore, comprese le lettere d’amore del Presidente Madison alla moglie, poi lanciano torce dalle finestre e il palazzo viene inghiottito dalle fiamme. Il giorno successivo incendiano la Biblioteca del Congresso e i cantieri navali, nel pomeriggio si scatena sulla capitale uno degli uragani più potenti della storia, i lampi squarciano le nuvole e venti fortissimi spazzano la città. All’improvviso si forma una tromba d’aria che vortica nel centro della capitale, per due ore la tempesta sconvolge Washington e spegne le fiamme che l’avevano trasformata in un inferno. Poi gli Inglesi si ritirano: non hanno le forze per conquistare e presidiare gli Stati Uniti, né ne hanno la volontà o l’intenzione.

Incendio della Casa Bianca

L'incendio della residenza del Presidente a Washington (Stati Uniti)

Il Presidente e la First Lady fanno rientro a Washington il 27 agosto, dopo che gli Inglesi se ne sono andati, e trovano la città ridotta a un deserto carbonizzato e fumante, il palazzo presidenziale è un guscio bruciato senza tetto: dopo la ritinteggiatura, prenderà il nome, attuale, di Casa Bianca.

Intanto, Baltimora si prepara alla difesa: vengono radunate quante più forze possibili ed è chiesto alla popolazione il sacrificio supremo, marinai e mercanti affondano le proprie navi nel tratto di mare tra Fort McHenry e la terraferma per formare una barriera artificiale che impedisca alle navi inglesi di penetrare nel canale che conduce alla città, sono costruite due gradinate per potervi posizionare 60 pezzi di artiglieria. Alle cucitrici di Baltimora è ordinato di fabbricare una grande bandiera per il presidio e una più piccola da usare come stendardo di battaglia: la più grande misura 9 metri per 12 e prende a sventolare su Fort McHenry.

L’11 settembre un colpo di avvertimento interrompe la quiete di una domenica pomeriggio, le vedette localizzano la flotta britannica. Il Generale Rober Ross, quando viene a sapere che gran parte delle truppe nemiche provengono dalla milizia, dichiara: «Non mi importa se pioverà milizia! Ma dovrà pentirsene presto!» Dinanzi a lui c’è il Generale Americano John Striker, un capo determinato, che dà subito l’ordine di attaccare il nemico. Ross accorre in prima linea al rumore dei primi spari e un anonimo cecchino americano lo colpisce al fianco; il comandante britannico cade da cavallo, ferito a morte, e prima di spirare passa il comando al Colonnello Arthur Brooke.

La notizia della morte di Ross si sparge rapidamente tra i ranghi: per i soldati britannici era più di leader, era un eroe cavalleresco, coraggioso, forte, astuto e carismatico. Invece Arthur Brooke è un leader capace ma cauto: pensa di scardinare le difese americane con un violento fuoco di artiglieria e all’alba del 13 settembre le navi da guerra britanniche sparano gigantesche palle di piombo da 90 chilogrammi contro Fort McHenry. Cala la notte e, nel cielo sopra il forte, i razzi producono una luce abbagliante, mentre i boati dei colpi assordanti dell’artiglieria scuotono tutta Baltimora; nel buio che precede l’alba del 14 settembre Brooke, compresa l’inutilità di continuare il combattimento, ordina la ritirata e leva l’assedio. Una dopo l’altra, le navi da guerra britanniche salpano l’ancora e spariscono nella calma foschia del mattino; dopo una tempesta di fuoco senza precedenti, il vessillo a stelle e strisce sventola ancora sul forte, Baltimora è salva. Durante questo assedio, viene composto l’inno nazionale statunitense.

Gli Indiani Creek sono sconfitti in Alabama e i loro alleati Cherokee nella battaglia di Horseshoe Bend dalle truppe statunitensi; la loro disfatta apre nuovi vasti territori agli insediamenti dei pionieri americani.

Nel frattempo, al di la dell’Oceano un altro avvenimento influisce sul corso della guerra: i rappresentanti americani e britannici si riuniscono in Belgio e iniziano gli accordi di pace. Il 24 dicembre 1814 viene firmato il Trattato di Gand, che sancisce un sostanziale ritorno allo «status quo ante bellum».

Ignaro della cosa, Sir Alexander Cochrane pianifica un assalto a New Orleans, porta d’ingresso al territorio nordamericano: una vittoria permetterebbe agli Inglesi di collegarsi al Canada e controllare gli Stati Uniti da Nord, Sud e Ovest. A ostacolarlo è Andrew Jackson, un quarantesettenne del Tennesse, la cui determinazione e il fiero e indomabile temperamento gli valgono il leggendario soprannome di «Vecchia Quercia».

Andrew Jackson

Andrew Jackson

Jackson arriva a New Orleans il 1° dicembre 1814, giura di rispedire i nemici in mare o di morire provandoci, e inizia immediatamente a organizzare le difese della città: sotto il suo comando si riunisce gente di ogni etnia e di ogni classe sociale, cosicché Jackson riesce a reclutare un esercito grazie solo al potere magnetico del suo carisma.

I suoi 4.000 uomini senza alcuna esperienza e senza addestramento hanno di fronte 10.000 soldati professionisti britannici, comandanti dal Generale Sir Edward Pakenham, un uomo che gode di grande fama grazie alle sue imprese.

I primi scontri sono favorevoli agli Inglesi, che avanzano faticosamente fra acque melmose e nebbie. Il 1° gennaio 1815 la nebbia si dirada e gli Inglesi aprono il fuoco, l’esplosione dei razzi e dei colpi di mortaio si sente fino a grande distanza; dopo alcune ore tutti i pezzi tacciono, hanno esaurito le munizioni o sono stati messi fuori uso dall’artiglieria americana. Il Generale Pekenham è convinto di poter sopraffare Jackson con un attacco diretto alla città, grazie alla propria superiorità numerica e alla debolezza di alcuni punti della difesa nemica: decide per un attacco ben coordinato, circa 1.000 uomini attraverseranno il fiume Mississippi dal lato orientale, attaccheranno le batterie americane e punteranno il fuoco sugli uomini di Jackson, un altro reggimento ha il compito di ingannare gli Americani attaccandoli sulla sinistra, mentre il grosso dell’esercito attaccherà frontalmente.

Alle prime luci dell’alba dell’8 gennaio, gli Inglesi avanzano, ma il fango sulle rive del Mississippi rallenta la forza dell’attacco e alcune imbarcazioni a causa della corrente vengono spinte fuori rotta, quando raggiungono l’altra sponda ormai è troppo tardi, i razzi sparati nel cielo rendono visibile la loro avanzata, i battaglioni che hanno il compito di montare le scale per scavalcare le difese americane non ne hanno a sufficienza. Non appena la colonna britannica è a tiro, gli Americani le sparano contro tutto ciò che hanno e centinaia di Inglesi cadono in pochi minuti, il battaglione con in dotazione le scale si ferma per rispondere al fuoco, il resto dell’armata cerca di arrampicarsi sui pendii di fronte alle difese americane, ma senza le scale non riesce a superare i bastioni e diventa un facile bersaglio; gli ufficiali vanno in prima linea per dare coraggio agli uomini, ma vengono subito individuati e uccisi. Sulla destra le truppe britanniche riescono a conquistare i bastioni, il combattimento si trasforma in una lotta corpo a corpo, ma senza rinforzi gli Inglesi sono infine costretti a ripiegare. Il cencioso esercito di Jackson – divenuto eroe nazionale – in poche ore ha sbaragliato il miglior esercito del mondo: più di 2.000 sono le perdite britanniche, mentre gli Americani contano solo 13 caduti e alcune dozzine di feriti.

Intanto giunge la notizia che la guerra è finita: i termini del Trattato di Gand (ratificato dal Congresso Americano il 17 febbraio) ristabiliscono i confini territoriali e i diritti marittimi a come erano prima del conflitto, del resto la causa principale della guerra – l’arruolamento forzato – era già cessata con la fine delle guerre napoleoniche; le parti in causa sono obbligate a rilasciare i prigionieri (ma gli Inglesi non lo faranno, pagando agli Stati Uniti circa 250.000 sterline come risarcimento). Nel 1818 Gran Bretagna e Stati Uniti si accordano nel riconoscere il 49° parallelo quale linea di confine fra Stati Uniti e Canada e stabiliscono di occupare congiuntamente il territorio Nord-Occidentale dell’Oregon; la linea di confine fra Canada e Stati Uniti è del tutto smilitarizzata: è la prima linea di confine smilitarizzata al mondo e lo è ancora ai nostri giorni. Il conflitto non lascia strascichi di animosità tra i due Paesi anglosassoni.

Questa guerra, senza un chiaro vincitore, costa agli Stati Uniti circa 20.000 caduti (tra deceduti in battaglia e morti per malattia), 4.505 feriti, 278 prigionieri e 1.408 navi catturate o distrutte; la Gran Bretagna lamenta 4.481 caduti (anche qui si sommano le perdite in battaglia e i morti per malattia), 3.679 feriti, circa 1.150 navi catturate. Essa non è stata però del tutto inutile, perché ha stabilito la direzione e l’identità dell’America, rendendola del tutto indipendente dalla madrepatria britannica: si è consolidato il senso di unità nazionale e il patriottismo, e si è creato il «mito» di una giovane Nazione, forgiata dal fuoco, unita nella volontà, che annulla le disuguaglianze e vince; gli Stati Uniti restano, in questo primo scorcio del XIX secolo, l’unica Nazione Repubblicana nel mondo.

(ottobre 2019)

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